Per l'ultra sessantenne Framboise Dartigen prendere in mano e leggere il vecchio album/diario di sua madre è come fare un salto nel passato, andando indietro di molti anni, a quando aveva solo nove anni e l'innocenza dell'infanzia si è frantumata in mille dolorosi pezzi davanti alla brutalità di un periodo storico drammatico che ha sconvolto le vite di tante persone.
CINQUE QUARTI D'ARANCIA
di Joanne Harris
|
Ed. Garzanti trad. L.Grandi 405 pp |
Ci sono segreti che vanno custoditi per sempre.
Perché pensare ad essi crea dolore, vergogna, sensi di colpa, rimorsi.
Perché ormai ne è passata di acqua sotto i ponti e rivangare il passato non solo non può cambiare ciò che è stato, ma oltretutto impedisce di vivere al meglio il presente.
Ma a volte è inevitabile ripensare ai giorni andati e, anzi, capita che se anche non lo volessi fare, c'è qualcun altro che ti costringe a farlo.
Così succede a Framboise Dartigen, vedova da vent'anni, con due figlie ormai adulte, che è tornata nel paesino in cui è nata, e ha trascorso parte dell'infanzia, per aprire una crêperie.
Nessuno sa che è lì in incognito, con un altro nome, un'altra identità.
Beh, quasi nessuno: lo sa suo fratello Cassis - che va anche a trovarla -, il di lui figlio, Yannick, e quella strega della nuora, Laure, che si fa viva per interessi egoistici.
Ma Framboise sa come rispondere per le rime a tutti. Del resto, chi la conosce lo sa: ha un bel caratterino, fumantino, determinato, schietto.
Come sua madre, Mirabelle, la proprietaria della fattoria in cui lei è ritornata a vivere e che più di cinquant'anni prima era stata distrutta da un incendio, in seguito ai terribili avvenimenti che si sono susseguiti a grande velocità e che hanno stravolto le esistenze di tante persone.
Di colpevoli ed innocenti.
Framboise riprende il diario della madre e vi trova tante cose: ricette, aneddoti, ricordi e soprattutto si accorge che sua madre scriveva adottando un linguaggio strano, una scrittura crittografata che lei non capisce; le viene in aiuto suo fratello e così tante parole e frasi misteriose vengono decodificate e rese chiare.
Il lettore segue quindi la narrazione della protagonista che dal presente passa al periodo del secondo conflitto mondiale.
Siamo sempre nello stesso paesino sulle rive della Loira, a Les Laveuses, vicino ad Angers; qui vive Framboise con la mamma Mirabelle, il fratello Cassis e la sorella Reine-Claude (Reinette).
Mirabelle ama cucinare e in questo è bravissima; ha una passione per tutti i frutti tranne le arance, che non permette che entrino in casa perché solo il sentirne il profumo le fa venire delle emicranie dolorosissime.
I nomi dei figli prendono spunto proprio da un frutto o da una ricetta: Cassis, per il suo ricco dolce di ribes nero; Framboise, per il suo liquore di lampone, e Reinette dalle susine regina Claudia che crescevano lungo il muro a sud della casa.
La donna porta avanti la fattoria con grande energia, è abituata a fare da madre e da padre ai propri figli, che ama ma verso i quali ha un grande limite: non è capace di dimostrare amore attraverso parole o gesti affettuosi.
Non è semplicemente riservata, poco avvezza ad esprimere emozioni e sentimenti: no no, lei è proprio dura e arida come un nocciolo; brusca, sgarbata ed eccessivamente spiccia nei modi, severa e molto rigida nell'educazione dei figli, non fa che dettare ordini e rimproverare, riprendere e borbottare scontenta verso tutto ciò che dicono e fanno i ragazzi.
I quali, seppur malvolentieri, obbediscono; la più ribelle è proprio Framboise, testarda, volitiva, dalla forte personalità, così simile a quella madre nervosa e coriacea, e le due infatti trovano sempre il modo di scontrarsi.
Rispetto ai fratelli, Boise non ha paura della mamma, la sfida con lo sguardo, con parole taglienti e sferzanti e, soprattutto, sfrutta le debolezze dell'adulta. La mamma odia le arance e al solo annusarne la presenza si lamenta per il mal di testa? Bene, vorrà dire che per metterla ko la ragazzina provvederà a nascondere dentro casa un sacchettino con la scorza d'arancia!
È solo una bambina di nove anni ma sa quel che vuole e sa come ottenere il rispetto della sorella - più delicata e tranquilla, tutta concentrata sulle star del cinema, rossetti e sciocchezze del genere - e del fratello, che tende a trattarla come una mocciosa.
Quando gli occupanti nazisti arrivano nel loro villaggio, tante cose cambiano nelle abitudini delle famiglie e anche in casa Dartingen.
In particolare, nelle loro vite arriva un giovane soldato tedesco: Tomas Leibnitz.
Quest'uomo stringe un'amicizia segreta con i tre bambini e li conduce passo dopo passo in un mondo di adulti che, per ragioni egoistiche e interessi personali, non esitano a tradire, dire bugie, ricattare, fare del male.
In quell'estate in cui tutto cambia, Boise e i suoi fratelli dovranno fare i conti con episodi brutali, prendere decisioni difficili di cui non sono totalmente consapevoli, in quanto sono ancora molto, troppo giovani per prevedere le conseguenze di certe azioni importanti e drammatiche.
Gli eventi che si verificheranno porteranno sgomento, dolore e rabbia a Les Laveuses, con strascichi molto tristi, ingiusti, che coinvolgeranno anche persone innocenti, il cui ricordo tormenterà Boise negli anni.
E proprio quegli eventi terribili hanno spinto la donna, ormai matura, a tornare in quel paesino che fu costretta ad abbandonare quand'era una bambina, a riprendere possesso della fattoria materna ma, allo stesso tempo, a farlo sotto falso nome, convinta che nessuno, dopo tanti anni, potrebbe mai ricollegarla ai Dartingen di cinquant'anni prima.
Anche se poi, in realtà, a Les Laveuses qualcuno sa chi lei sia: il suo amico d'infanzia Paul, il buono e lento Paul, balbuziente e, a detta di tutti, poco intelligente.
Ma Paul è meno sciocco di ciò che gli altri - Boise compresa - pensano e saprà dimostrarlo alla sua vecchia amica.
Tra queste pagine si consumano vicende tragiche che si intrecciano ad un’atroce pagina della Storia, creando dinamiche spietate che hanno un impatto sul presente e anche sul futuro.
Si narra del lato più oscuro dell'infanzia, di questi bambini cresciuti da un genitore solo e poco affettuoso, e costretti troppo presto a guardare in faccia la complicata realtà di certi adulti e ad interagire con essi, sviluppando un cinismo e un senso pratico che alla loro età non dovrebbero essere già presenti, perché significa che son cresciuti in fretta. Troppo in fretta.
È un romanzo che narra di tradimenti: quelli di una figlia verso la madre (amata, odiata, così terribilmente simile a sé), quelli consumati all'interno della famiglia e della comunità in cui si vive. Tradimenti che non si limitano a danneggiare chi ne è coinvolto in prima persona, ma che allargano i propri malefici tentacoli anche su altri.
Ed è un romanzo sui tentativi di andare avanti malgrado il passato sia un fardello pesantissimo, e sul tornare a casa, anche là dove la vita ha rivelato il suo volto peggiore.
"Non è mai troppo tardi per tornare a casa. (...) Devi solo smettere di andartene".
Mi piace la presenza importante del cibo e del ricettario della mamma della protagonista: la cucina è forse la sola passione che le unisce e così, al di là degli anni trascorsi, nonostante le parole non dette, le carezze mai date, i silenzi e i musi duri che hanno creato divisioni, diffidenza, mancanza di gesti d'affetto, il cibo riesce a creare un ultimo, agognato collegamento tra mamma e figlia.
Tra questa mamma anaffettiva capace, però, di proteggere i propri figli a rischio della propria vita, e questa figlia che, in fondo, avrebbe solo desiderato ricevere un po' di calore e amore.
Bello, è il mio primissimo approccio all'Autrice di Chocolat e credo non sarà l'ultimo.