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mercoledì 29 maggio 2024

L'ULTIMO MAGO di Francesca Diotallevi [ RECENSIONE ]




Sullo sfondo suggestivo di una Torino oscura e misteriosa degli anni Sessanta, Francesca Diotallevi ci restituisce il ritratto di un uomo la cui vita è stata ammantata anch'essa di mistero: Gustavo Adolfo Rol, "...traghettatore di anime (...) Visibile e invisibile, possibile e impossibile." 


L'ULTIMO MAGO 
di Francesca Diotallevi


Ed. Neri Pozza
240 pp
18 euro
 Nino Giacosa è un uomo che superato i quaranta e la cui esistenza è un continuo susseguirsi di fallimenti e solitudine.

"La sua vita era tutta lì, grigia come il cielo che lo sovrastava. Un’esistenza trascorsa a scacciare, senza successo, i demoni che lo assediavano."

Nino è un uomo spezzato dentro e da sempre in fuga: fugge dagli uomini cui deve dei soldi, fugge dalla sua passione per il gioco d'azzardo, fugge dai ricordi dolorosi e sempre vivi della prigionia ad El Alamein (combatté nella seconda guerra mondiale e fu fatto prigioniero dagli inglesi), e fugge dai fantasmi del passato, in particolare da Miriam, la donna che ha amato. 

In realtà, c'è qualcun altro da cui sta fuggendo: sé stesso. 
Da quel sé stesso che da una parte è tentato di lasciarsi andare a una vita allo sbando, priva di scopi e ambizioni, in balia di alcol e gioco, e dal'altra è solleticata dal desiderio di poter essere qualcuno, di lasciare un segno del proprio passaggio sulla terra e di farlo attraverso un libro.

Nino ha lavorato nel mondo del cinema in ruoli senza troppe pretese, ma ciò che sogna è scrivere una sceneggiatura.

E dopo tanti sogni infranti ecco che il desiderio di scrivere una storia diventa uno scopo che potrebbe riempire il vuoto della sua intera esistenza.

Ma trovare un soggetto interessante è un'impresa tutt'altro che semplice, sopratutto se vivi nel timore che i tuoi creditori ti trovino e te le suonino per bene, se le tasche sono perennemente quasi del tutto vuote e se l'unica pensione che puoi permetterti è un buco squallido presso una signora nervosa e seccante che non fa che urlare e guardarti con aperto biasimo.

Un giorno, però, qualcosa comincia a cambiare, portando un diversivo nella grigia e triste vita di Nino.
Anzitutto, rincontra - dopo una ventina d'anni - i due amici d'infanzia Giorgio e Miriam.
Certo, sono passati davvero troppi anni perché la vecchia e solida amicizia degli anni verdi sia ancora quella d'un tempo; sì, perché c'è stato un periodo in cui i tre sono stati inseparabili, ma la guerra li ha allontanati e ha scombinato tutto.
E mentre Giorgio ha sposato Miriam, Nino ha tagliato i ponti con loro dopo essere tornato dalla prigionia in Egitto, preferendo un'amara solitudine alla frequentazione del buon Giorgio e della bella Miriam, di cui è da sempre innamorato (ed era convinto che anche lei lo amasse..., salvo poi sposare l'altro).

Nino, quindi, riapre timidamente i rapporti con i due vecchi amici, e se con Giorgio c'è una cortese distanza, tra lui e Miriam c'è un vero e proprio muro di freddezza e diffidenza.
Miriam guarda Nino con astio, con disapprovazione per ciò che è diventato (un nullafacente che alza spesso il gomito, povero e con la deleteria fissa per le carte da gioco) ma nel fondo di quegli occhi espressivi e profondi, l'uomo vi legge anche altro.

E parte di questo altro egli lo tocca e sperimenta personalmente attraverso un invito apparentemente innocuo ma che si rivelerà importante e unico: Miriam lascia che una sera Nino vada con lei a casa di un uomo particolare, sensazionale, che corrisponde al nome di Gustavo Rol.

Chi è Gustavo Rol?
Se lo chiede Nino e, con lui, anche il lettore, e insieme scoprono pian piano, pagina dopo pagina, incontro dopo incontro, qualche frammento della variopinta ed eclettica personalità di questa persona non comune, che qualcuno chiama illusionista, qualcun altro mago o prestigiatore, altri anche medium.

Rol rifiuta con forza etichette di questo genere e l'unica cosa che chiede alle persone - che egli stesso ammette in casa propria, durante le serate speciali che organizza - è che esse assistano (e partecipino) ai suoi "esperimenti" senza pregiudizi di sorta ma con un atteggiamento di sincero stupore davanti a ciò che vedranno, anche qualora non capiscano appieno gli eventi a cui assistono.

E allora cosa accade tra le mura della bella casa di Gustavo Rol, in via Silvio Pellico, a Torino? Cosa vedono e cosa sentono i pochi eletti ammessi alle serate?
Sono spettatori di giochi e numeri di magia? Di sedute spiritiche? 

Di certo, Rol sa creare un'atmosfera di suspense, carica di una tensione palpabile che fa trattenere il respiro, sbarrare gli occhi e gelare il sangue perché quello che avviene in quegli appuntamenti speciali ha il carattere del soprannaturale, è qualcosa che il padrone di casa per primo giudica di valore inestimabile, metafisico, quasi divino.
Prodigioso.

Quando Nino viene introdotto per la prima vola al cospetto di quest'uomo che "si esprimeva nel più garbato dei modi e con un tono di voce dolcissimo, lezioso", il cui sguardo sembrava trapassarti l'anima e leggervi dentro con una sicurezza che non è di questo mondo, porta con sé tutto lo scetticismo e il raziocinio che lo caratterizzano, per natura e carattere.

Nino si rende conto di come sia Miriam che gli altri ospiti pendano letteralmente dalle labbra di Rol, di come siano ammaliati dalla sua figura carismatica, di quanto grande e cieca sia la loro fiducia in quell'uomo e nell'autenticità dei suoi "esperimenti" ultraterreni.

Ma Giacosa non ci casca: è convinto che sotto ci sia un grande imbroglio, celato dalle mani sapienti di un illusionista, bravo, per carità, ma che resta comunque un furfante cui piace incantare la gente più sensibile e credulona con i propri trucchetti, che riesce a scoprire particolari di ogni singola esistenza dei presenti con chissà quali mezzucci e spacciarli per abilità sovrumane, vicine al divino, al trascendente.

Ed è con questo atteggiamento diffidente, con l’occhio vigile a ogni dettaglio, che Nino inizia a partecipare con costanza alle serate di Rol, sempre facendo attenzione a non lasciarsi irretire e sedurre; la sua missione è scoprire e svelare il trucco che c'è dietro le dimostrazioni straordinarie che avvengono in quella casa.
E chissà che dalla frequentazione di questo personaggio unico ed enigmatico non possa nascere del materiale per la sceneggiatura che desidera da tempo scrivere e che potrebbe cambiare finalmente la sua vita!

Ciò che però non aveva messo in conto è che tra lui e Gustavo potesse crearsi un rapporto di complicità, una sintonia imprevista e preziosa, fatta di conversazioni serene e illuminanti per lei vie di una Torino gelida e impenetrabile, momenti in cui è lo stesso Rol ad aprire il proprio cuore al dubbioso Nino, raccontandogli la propria vita, il modo in cui ha scoperto di avere questo «dono» e la sensazione di tristezza e di costernazione nel rendersi conto di come tutta l'ammirazione e la venerazione che lo circondano siano fini a sé stesse e non frutto di una volontà genuina, da parte di chi lo segue, di capirlo davvero. 

Frequentando Gustavo Rol, imparando gradualmente a conoscerlo un po' di più, a sbirciare un pezzetto di quella personalità ingombrante e sfuggente, i dubbi di Nino verranno sciolti? 
L'ipotesi che l'altro sia un abile prestigiatore  verrà confermata o semplicemente Nino Giacosa potrà dire di aver conosciuto un essere assolutamente speciale, a metà tra l'umano e il divino, tra il terreno e il trascendente, capace di racchiudere in sé illusione e verità, magia e realtà, luce e ombra, vita e morte?

 

Attraverso "L'ultimo mago" ho avuto modo di avvicinarmi ad un personaggio realmente esistito di cui sinceramente, prima di leggere questo libro, non avevo mai sentito parlare.
Il velo si apre su Gustavo Rol e l'autrice sa come renderlo avvincente, misterioso, lasciandone emergere la complessità, i conflitti interiori, il suo essere - in un certo senso - padrone e schiavo di questi suoi doni "magici" inspiegabili scientificamente, e di portare il peso, dentro di sé, di tale dualità, che se lo rendeva una creatura degna di considerazione e plauso per un verso, per l'altro gli lasciava in bocca l'amara certezza di essere solo e incompreso, pur avendo attorno alla propria persone frotte di curiosi.

A prescindere dalle posizioni personali circa tutto ciò che appartiene alla dimensione magica, all'illusionismo e affini, Rol è senza dubbio una figura ricca di fascinazione, che finisce per instillare interrogativi e dubbi circa i suoi "poteri" e l'autenticità dei suoi "prodigi", a fronte delle testimonianze di chi lo ha conosciuto, ha avuto il privilegio di entrare in casa sua (ricordiamo personaggi noti come Fellini, l'avv. Agnelli ed altri) e di vederlo all'opera.

Interessante anche il co-protagonista, Nino Giacosa (che fa un po' da contraltare a Rol: razionale, "terreno" e dubbioso l'uno, pieno di meraviglia e metempirico l'altro), sempre in lotta con qualcosa e qualcuno, a partire da sé stesso; battaglie interiori che Rol vede con chiarezza, scrutando nel suo animo e lasciando Nino spiazzato, confuso, sorpreso.

Al punto da farlo sentire rammaricato al pensiero di non aver vissuto appieno, di essere stato troppo legato a ciò che vedeva, toccava o a ciò che gli mancava di materiale, tenendo lontana da sé la meraviglia, la capacità di stupirsi e di lasciarsi sedurre con serena fiducia dalla magia,

"...vorrei aver vissuto diversamente. Vorrei essermi lasciato andare alla meraviglia e all’incanto delle cose che non si possono spiegare, perché senza questo cosa resta, di una vita? Nient’altro che la realtà. E a chi basta, la realtà?"

E anche il lettore, come Giacosa, finisce per chiedersi quanto sia capace di lasciare spazio, nella propria vita, all’imprevisto e all’inspiegabile, nella convinzione che "ci sono più cose tra cielo e terra di quante la scienza potrà mai spiegare e (...) che la vita non sia tutta qui, che quel che vediamo sia solo un’insignificante porzione di quel che ci circonda. Comprendere che una vita acquista senso solo se può contare su una certa dose di incanto, di prodigio. Di meraviglia".


Accattivante anche la cornice costituita dalla città di Torino, capitale della magia bianca e della magia nera, "città austera e oscura (...) con quell’aria d’altri tempi e i mostruosi volti in pietra che si affacciavano da sotto i cornicioni, i diavoli in bronzo a protezione dei portoni e i piccoli occhi a fessura che da terra spiavano in superficie.", con le sue leggende che la rendono "una sfinge fissa e muta come un segreto", eternamente immersa in un enigma di difficile comprensione.


Il mio parere sul romanzo della Diotallevi è positivo, sono felice di averlo letto e mi ha trasmesso una grande curiosità circa questo sensitivo, Gustavo Rol.




Alcune citazioni

"la notte sapeva essere lunga e tormentosa, ma era dell’alba che occorreva dubitare, poiché è nel primo chiarore che si abbassa la guardia, sollevati."

"...delle vite degli altri ci sfugge sempre l’essenziale."

"Non importa quanti anni passeranno, quante cose accadranno nel frattempo, quanti altri amori vivrà quella donna: certe cose ti restano dentro, non passano mai e non cessano mai di tormentarti. Alcuni giorni sono meglio di altri, ma non bisogna illudersi. Le tragedie che ci colpiscono si fanno eredità, un lascito che non vorremmo ma che ci appartiene nostro malgrado".

«Tutte le storie di amori infelici sono storie di fantasmi, non è così?»

sabato 25 maggio 2024

UN ANIMALE SELVAGGIO di Joël Dicker [ RECENSIONE ]



Mentre si avvicina, inesorabile, il giorno di una rapina di una gioielleria di Ginevra, le serene vite famigliari di due coppie vengono stritolate in un torbido ingranaggio di segreti e menzogne dal quale sarà difficile uscirne indenni.


UN ANIMALE SELVAGGIO
di Joël Dicker 


La Nave di Teseo
trad. M.Zemira Ciccimarra
448 pp
"gli animali selvaggi sono come gli uomini: li puoi ammansire, truccare, travestire, puoi lare doro amore e speranza, ma non puoi cambiare la loro natura".

Il 2 luglio 2022 due ladri hanno in progetto di rapinare una importante gioielleria di Ginevra e, benché questo evento sia il culmine verso cui convergono tutte le vicende e le dinamiche che sostengono la struttura narrativa del romanzo, ad essere poste sotto attenta analisi sono le vite (singole e di coppia) dei personaggi coinvolti.

Sophie e Arpad Braun sono sposati ormai da diversi anni (con figli) e la loro è la classica famiglia che potremmo definire "del Mulino Bianco": sono belli,  ricchi, due professionisti di successo eleganti e di classe, vivono in una grande villa (chiamata "la casa di vetro") e appaiono così felici da suscitare spesso l'invidia di chi li conosce e frequenta.

Ad esempio, l'invidia di Greg, che abita vicino alla casa di vetro.
Greg è un rispettabile ed encomiabile poliziotto sposato con Karine; i due conducono, assieme ai figli, una vita semplice, onesta e sobria, e anche la loro può essere definita una bella famiglia.

Certo, non dispongono delle medesime risorse economiche dei più agiati Braun (con cui saltuariamente trascorrono del tempo insieme), non sono altrettanto ammirati né si distinguono per eleganza e raffinatezza, però sono "moderatamente felici" e la loro vita di coppia procede abbastanza bene, tra alti e bassi.

O almeno, questo è ciò che pensa Karine.
Greg, invece, è insofferente e insoddisfatto, e soprattutto cela pensieri e voglie estreme che non sono dirette verso la propria moglie, bensì verso l'affascinante e sensuale Sophie; è lei che Greg sogna di baciare e possedere, è diventata la sua ossessione e non fa che osservarla di nascosto, spiandola per rubarle, seppur con gli occhi e da lontano, momenti di intimità, sia ella da sola in casa o col marito.
La sua attrazione fisica per la bella signora Braun non può non condizionare il rapporto con Karine, con cui Greg si fa giorno per giorno più freddo, distante, seccato e irritato, quasi ne mal sopportasse la vicinanza e avesse cominciato a vedere tutti i difetti estetici e caratteriali della moglie, che nel paragone con Sophie perde alla grande.
Per placare gli istinti sessuali che non può sfogare su e con l'oggetto del proprio desiderio, Greg si butta su una relazione extraconiugale, salvo poi rendersi conto che avere l'amante può essere impegnativo tanto quanto avere una moglie.

Ma il poliziotto non è l'unico spione appostato nei pressi della casa di vetro: qualcun altro, dalla propria auto, è da giorni interessato ad osservare ciò che accade in casa Braun.

Perché? È un ladro che sta organizzando una rapina alla villa? O è un uomo fissato con Sophie, tipo Greg?

Come è sua abitudine, anche in questo romanzo Dicker struttura la storia in un continuo alternarsi di presente e passato; la rapina fa da spartiacque, creando una sorta di prima e dopo, e tutto ciò che accade prima del fatidico 2 luglio, è assolutamente importante per capire chi sono i nostri personaggi, qual è la loro personalità, quali sono le aspettative, le speranze, i timori, i segreti, il passato.
I lati oscuri e i "peccati" mai confessati.

Il racconto del passato è, a sua volta (in quanto più complesso e ricco di fatti), stratificato in vari periodi, che possono arrivare anche a vent'anni prima, quando ad es. Sophie e Arpad si erano appena conosciuti.

Dicker ci lascia entrare gradualmente nelle vite di Arpad e di Sophie, così da permetterci di conoscere cosa l'uno e l'altra si sono sempre nascosti reciprocamente, cosa erano prima di unire le loro vite e quanto di quei giorni andati è rimasto in loro.

Arpad è uno stimato professionista che lavora in una banca eppure c'è una macchia nel suo passato, qualcosa che lo costrinse, quand'era più giovane, a scappare e a cercare di rifarsi una vita lì dove nessuno lo conosceva.
Come mai? Cosa può aver mai combinato?

Sophie è, però, la vera protagonista di questo thriller famigliare, colei alla quale si deve lo stesso titolo del libro: un animale selvaggio.

A vederla oggi, la donna è un connubio di fascino e forza, è non solo bella fisicamente, ma ha carisma da vendere; è una di quelle persone che, quando entra in una stanza affollata, attira gli sguardi di tutti perché è come se fosse costantemente circondata da una luce alla quale tutti vogliono avvicinarsi.

Sophie è un bravo avvocato e ama il suo Arpad e i loro splendidi bambini; eppure, c'è un fuoco che arde dentro di lei, qualcosa che pretende di trovare sfogo per farla sentire viva, e il tatuaggio della pantera che è sulla sua gamba rispecchia bene la sua personalità: Sophie non è fatta per restarsene nei salotti a chiacchierare di futilità, lei è sveglia, agile, scaltra e selvaggia come una pantera, e come una belva selvatica ha bisogno di muoversi al di là delle sbarre della prigione dorata in cui si è infilata col matrimonio.
Una prigione comoda, certo, una bolla di felicità e tranquillità, fatta di lavoro, casa, figli, marito, amici, cene... 
Un tipo di vita che, però, ha sempre reso Sophie insoddisfatta, ma mai avrebbe immaginato che una persona (importante) del passato sbucasse fuori dopo anni a turbare le placide acque del presente.

Questa persona è un uomo che conosce sia lei che Arpad; è tornato con uno scopo ben preciso, che potrebbe stravolgere le vite dei Braun.
Nel giorno del proprio 40° compleanno, Sophie riceve da quest'uomo un regalo che sconvolgerà la sua vita e che la porterà, con la mente, indietro di anni e anni prima, lontano da Ginevra e dalla villa elegante di oggi, in un passato in cui la pantera che è in lei era viva e attiva.

Attraverso un meccanismo narrativo in cui il passato, implacabile, insegue il presente e in cui la tensione sale con l'approssimarsi del giorno della rapina, il lettore punta la lente d'ingrandimento su Sophie e Arpad, impegnati a cercare di continuare a nascondersi i rispettivi segreti per non dover assistere al drammatico crollo della loro vita; ma la resa dei conti è sempre più vicina e la famosa rapina avrà il suo peso.

Dicker è bravo nel costruire storie ricche di intrecci e di suspense, in cui tutto tutto ciò che sembra lineare e ovvio si trasforma, in un susseguirsi di flashback e colpi di scena inaspettati, in qualcosa di intricato e imprevedibile; la caratterizzazione psicologica dei protagonisti è l'elemento principale, prima ancora dell'aspetto thriller in sé per sé; da Sophie ad Arpad a Greg, i personaggi sono delineati con profondità e sfumature, in special modo Sophie, che emerge quale figura complessa e affascinante, alle prese con un passato che tenta di nascondere ma che rischia di farsi sempre più ingombrante, perché specchio di desideri e istinti nascosti, che lei vorrebbe continuare a soffocare per il bene di tutti.

Attorno a lei ruotano personaggi tormentati e ambigui, che sia l'uomo del passato (conoscenza in comune con Arpad), il marito stesso (bugiardo anch'egli) o Greg, diviso tra l'essere un buon poliziotto e marito, e l'assecondare gli impulsi che gli si agitano dentro. Forse l'unico personaggio meno complicato e più "limpido" è Karine.

Un animale selvaggio è un thriller avvincente che spinge non a lambiccarsi il cervello su un mistero o un crimine o un caso da risolvere, quanto piuttosto a riflettere sulla natura umana, su quanto ambigue possono essere le relazioni interpersonali (nello specifico, quelle di coppia), sul potere (nefasto) dei segreti e sulla battaglia tra razionalità e istintività. 

Con un ritmo incalzante e una scrittura elegante, Dicker esplora sapientemente le zone d'ombra dell'animo umano, spesso in balia di desideri in contrasto tra loro, in costante tensione verso la ricerca della verità ma, al contempo, vittima di bugie costruite per proteggere chi/ciò che si ama.

Il libro l'ho ascoltato su Audible e mi è piaciuto moltissimo, la storia mi ha tenuta incollata dall'inizio alla fine.

Lo consiglio a chi ha già avuto modo di apprezzare Dicker, a chi desidera leggere un thriller non cruento ma più psicologico, incentrato sulle relazioni e sulla profondità della psiche umana.

giovedì 23 maggio 2024

MAGNIFICAT di Sonia Aggio [ RECENSIONE ]



Nilde e Norma sono due cugine rimaste orfane nel 1944, quando i loro genitori morirono sotto i bombardamenti; sono sempre state tutto l'uno per l'altra, cresciute come sorelle legate da un affetto tenace e solido, che però a un certo punto si incrina fino a spezzarsi, col rischio di trascinare l'una lontana dall'altra..., proprio come gli argini del Po si ruppero nel novembre 1951, travolgendo il territorio del Polesine.


MAGNIFICAT
di Sonia Aggio


Fazi Ed.
202 pp
L'alluvione del Polesine di cui si narra tra queste pagine è stata una delle calamità naturali più gravi in Italia; coinvolse le province di Rovigo, Ferrara e Mantova, causando centinaia di vittime e migliaia di sfollati.

È quindi il 1951 quando Nilde e Norma vivono tranquille in un piccolo casolare nella campagna del Polesine; a dispetto della loro diversità fisica e caratteriale, le due si vogliono un gran bene e sanno di poter contare sul sostegno reciproco.

Ma un giorno tutto cambia, all'improvviso, ed è Norma la responsabile.

Da un po' di giorni ha iniziato a comportarsi in modo strano, soprattutto da quando (a detta sua) è caduta dalla bicicletta mentre raccoglieva le ciliegie, fatto di per sé non grave eppure, da allora, la ragazza adotta comportamenti strani, misteriosi: scompare senza motivo ogni volta che scoppia un temporale, è scontrosa, non vuol parlare con la cugina, arrivando ad impedirle persino di avvicinarsi. 

Per carattere, già Nilde è timorosa e va in ansia per un nonnulla, figurarsi di fronte ai bizzarri e inspiegabili mutismi della cugina-sorella, alle sue risposte sgarbate, addirittura ai suoi gesti quasi violenti, aggressivi fisicamente: Nilde è confusa e spaventata, quasi ha paura di questa nuova versione di Norma, che a malapena le parla, che nulla le spiega dei propri malesseri, di ciò che la rende nervosa e scontrosa.

Che cosa le sta succedendo? 
Nilde prova a seguirla nei campi, ascolta le voci che circolano in paese, ma non riesce a capire perché la sua Norma, il suo punto di riferimento nella vita, bella come la Madonna del Magnificat che le loro madri tanto veneravano, le stia facendo questo.

Cosa sta spingendo Norma ad allontanarsi da Nilde (in un modo fin troppo brusco, quasi con cattiveria) e a fuggire come una bestia selvatica al primo rombo di tuono? 
Dev'essere per forza accaduto qualcosa e più Nilde insiste con domande, suppliche accorate sull'orlo delle lacrime, e più sembra che Norma si innervosisca e aumenti la distanza tra loro.
Una distanza riempita da silenzi e bugie.

Attorno al legame indissolubile che lega le due protagoniste si sviluppano altre dinamiche e rapporti, come quello tra Nilde e Domenico (un bravo ragazzo che le vuol bene e che entrerà a far parte della sua vita) e il disastro provocato dall'alluvione, che obbligherà la gente a cercare di scappare per non farsi travolgere dal fiume in piena. 

Ma ciò che più di tutto metterà a dura prova il rapporto tra le due cugine sarà una serie di misteriosi e inspiegabili incontri e "apparizioni" che coinvolgeranno proprio l'enigmatica Nilde.

La ragione per cui si sta allontanando bruscamente dall'amata cugina non è egoistica né capricciosa, anzi, è l'espressione di un amore sincero, coraggioso, disposto a sacrificarsi pur di preservare l'altra dal male. 
C'è qualcosa che va oltre il terreno, l'umano, il razionale e che sta tirando la pur forte Norma in un abisso oscuro, proprio come il Po travolge case e alberi e persone con le sue acque scure, che da "amiche" del territorio diventano "nemiche", portatrici di catastrofe, danni, morti, perdite.

Un'antica leggenda ritorna a circolare in quei giorni particolari, una voce insistente parla all'orecchio di Norma e ciò che sussurra la fa spaventare, rabbrividire, perché ha il sapore dell'ineluttabilità, lascia addosso il freddo della morte e la ragazza è pronta ad affrontare l'ignoto pur di non trascinare con sé la cara e ignara Nilde.
Piangerà e soffrirà senza di lei, ma preferisce che sia Nilde a piangere la sua Norma, e non il contrario.


"Magnificat" è un romanzo molto particolare, dalla trama quasi sfuggente, che richiede attenzione durante la lettura perché - almeno per me è stato così - la sensazione di "perdere qualche pezzo" lungo il tragitto è dietro l'angolo.
La natura si prende il suo spazio tra queste pagine, nel bene e nel male, in quanto portatrice di benedizioni e bellezza ma anche di calamità; si respira da subito un'aria di mistero che conferisce un che di gotico, una sensazione di evanescenza e di indefinito, di sospeso e irrisolto, anche quando poi - proseguendo fino alla fine - comprendiamo quegli aspetti che possono sembrare elusivi e poco chiari inizialmente.
Ma del resto mi sono fatta l'idea che siano proprio l'inafferrabilità e l'impenetrabilità a rendere interessante questo romanzo dai toni molto evocativi, e ciò è coerente con la presenza di elementi sovrannaturali, che attingono al complesso mondo delle credenze popolari, le quali mescolano spesso superstizioni e fede, razionale e irrazionale (o meglio, soprarazionale).

Concludo dicendo che ho avuto un rapporto strano con questo libro: all'inizio ho faticato ad entrare nella storia, mi sembrava di andare avanti brancolando nel buio, come se mi mancassero dei punti di riferimento, degli indizi o segnali chiari; poi ho messo da parte la razionalità e ho cercato di lasciarmi trascinare dall'autrice e dal suo modo di raccontare, accettando di entrare in un "piccolo mondo antico" sibillino e, per questo, affascinante.

Consigliato a chi ricerca un libro breve, diverso dal solito, in cui vengono affrontati argomenti come il legame tra sorelle, il peso delle tradizioni/credenze nei piccoli paesi, la forza dirompente dei fenomeni naturali, l'amore come àncora di salvezza e come sacrificio, l'andare incontro al proprio destino. 

mercoledì 22 maggio 2024

NOVITÀ IN LIBRERIA [ romanzi thriller e storici ]


Ed ecco alcune recenti  pubblicazioni mi "segno" qui sul blog perché mi interessano molto. Voi che ne pensate? Le trame vi incuriosiscono?



THRILLER

OVUNQUE TU SIA 
di Harlan Coben


Longanesi Ed.
368 pp
22 euro
Dal 21 maggio '24
Nella notte più brutta della sua vita, David si sveglia immerso in una scena sconcertante: suo figlio Matthew è stato assassinato. 
Fin dalle prime ore la polizia e la sua stessa famiglia sospettano che il responsabile del brutale omicidio sia proprio lui e anche se David sa che non è così, non ha modo di provarlo. 
Distrutto dal dolore e tormentato dal senso di colpa, assiste impotente allo sgretolarsi della propria linea difensiva e al naufragio del proprio matrimonio finendo per accettare la condanna all'ergastolo. 
Dopo cinque anni passati in totale isolamento, David riceve la visita della cognata, che gli mostra una foto recente scattata in un parco. Sullo sfondo, appena visibile, c'è un bambino. 
E quel bambino è Matthew. 
Possibile che suo figlio sia ancora vivo? 
A David non resta che fuggire dalla prigione in cui è rinchiuso per cercare a tutti i costi di scoprire cosa è davvero successo quella maledetta notte. 
Fino a quando David riuscirà a depistare gli agenti dell'FBI che lo braccano?  
Chi riuscirà a fermare un padre disposto a tutto pur di scoprire la verità su un figlio che credeva perso per sempre?




LA FAMIGLIA È  ANCORA QUI
di Lisa Jewell


Neri Pozza
trad. A. Biavasco,
V. Guani
384 pp
20 euro
Dal 21 maggio '24

2019. È mattina presto quando l’ispettore Samuel Owusu riceve una chiamata: sulle rive fangose del Tamigi è stato ritrovato un sacco nero contenente resti umani. 
Gli accertamenti della Scientifica portano a un vecchio caso che aveva visto coinvolti marito, moglie e un terzo uomo, trovati morti, allineati a terra come in un rituale, nella cucina della loro elegante casa di Chelsea, una bimba di pochi mesi, piangente, al piano di sopra, e i due figli adolescenti svaniti nel nulla. 
Un cold case fatto di indagini senza sbocco, profili di dna ignoti, ombre inquietanti di una setta. 

Anche Rachel Rimmer viene svegliata da una telefonata: suo marito Michael è stato trovato morto, aggredito con un’arma da taglio, nella cantina della sua villa di Antibes, in Francia. 
Alle domande della polizia francese circa il passato e le frequentazioni di Michael, Rachel non ha alcuna intenzione di rispondere sul suo passato, le sue frequentazioni. Domande a cui Rachel non ha alcuna intenzione di rispondere. 

Dopo essere fuggita da Londra trent’anni prima incalzata da un’orribile tragedia, ora Lucy Lamb può tornare lasciandosi alle spalle un’esistenza all’insegna della precarietà. 
Un’inaspettata eredità le consentirà finalmente di trovare una sistemazione più che decorosa per sé e i suoi due figli e di lasciare l’appartamento di suo fratello Henry, dove non sono i benvenuti. 
Anche perché Henry se n’è andato, in cerca di una persona del loro passato, quel passato che non possono dimenticare.



STORICO

LA STANZA DEI SEGRETI
di Megan Campisi

Ed. Nord
trad. Toticchi
400 pp
19 euro
Dal 21 maggio '24
La guerra civile infuria e, per aggiudicarsi la vittoria, servono armi più potenti di cannoni e fucili. Servono informazioni. 
Assunta dalla leggendaria Pinkerton National Detective AgencyPer, Kate Warner è l'unica agente donna e lotta da anni per conquistarsi il rispetto dei colleghi, che la considerano troppo emotiva per le operazioni sul campo. 
Ma adesso, nell'agosto del 1861, è lo stesso Allan Pinkerton a sceglierla per una missione delicatissima. Nessun uomo infatti potrebbe far collaborare Rose O'Neal Greenhow, una vedova sudista che è stata trovata in possesso di un messaggio cifrato che, se decrittato, potrebbe porre termine a quella carneficina. 
Ricca, viziata e razzista, la donna rappresenta tutto ciò che Kate disprezza ma deve assolutamente riuscire a conquistarsi la sua fiducia, e per farlo imparerà a mettersi nei suoi panni, scoprendo così una persona forte e determinata, che combatte per ciò che ritiene giusto. 
Solo allora Kate si rende conto che una donna del genere – così diversa eppure così simile a lei – non può essere piegata. 
E che tutte e due sono pedine di un gioco dall'esito imprevedibile...




LA PALUDE DELLE STREGHE 
di Jarka Kubsova


Neri Pozza
trad. C. Ujka
320 pp
19 euro
Dal 14 maggio '24
Amburgo, oggi. Quando Britta Stoever si trasferisce con la famiglia a Ochsenwerder, quartiere periferico a sud della città, si ritrova a vivere nella solitudine, che la stringe in una morsa e fa eco a quella che sente nascere dentro di sé. 

Eppure, da ex geografa, Britta è abituata al silenzio del paesaggio in cui si celano le storie, e quando in una delle sue camminate si imbatte in un cartello che porta il nome di una donna, la sua curiosità si ridesta. 
Quella che incontra, tuttavia, è una storia di invidie, di pregiudizi, di persecuzione. E di fuoco. 

Amburgo, 1570. Abelke Bleken, unica figlia di un ricco fattore, gestisce i suoi possedimenti con saggezza. 
È bella, dicono alcuni. È arrogante, dicono altri: tutta quella terra è troppa per lei sola. 
E il giorno in cui, grazie all’attento ascolto della natura, Abelke prevede l’arrivo di una tremenda inondazione – che causerà danni incommensurabili – la voce che nel villaggio si diffonde su di lei è soltanto una: strega. 
Basta poco perché l’invidia e il desiderio rendano le accuse concrete, condannandola al processo, alla tortura, al rogo.

Ispirato a una vicenda reale.





sabato 18 maggio 2024

"Quando muore un amore. Storie di lutto e memoria" di Matteo Carlesi [ Segnalazione& Recensione ]



"Quando muore un amore. Storie di lutto e memoria" è una silloge del poeta toscano Matteo Carlesi (Controluna Edizioni, 13 euro, 102 pp.).

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Il volume comprende 46 poesie, suddivise in due parti - "In morte di A." e "In memoria di A" - più un intermezzo ("Miscellanea") e da subito comprendiamo come il cuore e il motore di questi versi sia principalmente l'Amore, accanto al quale si sviluppano altre tematiche di vita altrettanto fondamentali, come la malattia, la morte, il ricordo di chi non c'è più e, di conseguenza, la potenza della memoria,  in cui la consolazione è mescolata a una dolorosa nostalgia per ciò che di bello è stato vissuto accanto alla persona amata ma che adesso, purtroppo, è andato via con la sua dipartita.

Nelle poesie di Carlesi traspaiono il grande e sincero amore provato e vissuto con il suo compagno Andrea, che una terribile e inesorabile malattia ha strappato a questa vita; la sua assenza si sente in ogni momento, in ogni luogo, gesto e abitudine legati alla quotidianità e al tempo condiviso tra sorrisi e lacrime, tra gioie e difficoltà, scandisce l'oggi e disegna i giorni futuri.


Ma ora tacete le parole
tacete uccelli il vostro canto.
Fermate le campane.
Prosciugate le fontane.
Io solo resto
senza occhi, senza speranza,
senza vita, senza aria né acqua.
Il mio campo è seccato.
Il mio mondo è caduto.
Rotto.
Infranto.
Spezzato.
Il mio amore è morto.


A lenire il dolore per l'assenza c'è la consapevolezza di un sentimento inossidabile che la morte non può calpestare o annullare, rafforzato anzi dalla forza dei ricordi di ciò che è stato, memorie che - come dicevo più su - da una parte alleviano e confortano, dall'altra spesso si posano e pesano sul cuore, rendendo l'aria e i giorni irrespirabili, svuotati di senso e valore.

Perché l'esistenza ha valore nell'amore vissuto giorno per giorno, negli abbracci, nei sorrisi, nelle risate di chi si ama.
E quando questo viene a mancare a causa della morte, continuare a vivere può trasformarsi in una lotta giornaliera per non soccombere alla sofferenza; l'accettazione della perdita dell’amato è un viaggio in cui la solitudine, le lacrime, lo smarrimento, il rumore sordo del vuoto dentro casa... sono i compagni più tristemente fedeli.

Ma se lo struggimento e il dolore più cupo proseguissero senza mai attenuarsi, vivere diverrebbe un inferno per chi resta, ed è così che nel passaggio dalla prima alla seconda parte della raccolta cominciano a interporsi altre consapevolezze, altre emozioni: il dolore non può essere scacciato del tutto perché l'assenza resta, ma forse i ricordi belli possono aiutare a lasciare viva l'immagine del volto amato, a ripensare con tenerezza e commozione al vissuto condiviso, che dalla mente e dal cuore non se ne andranno mai ma continueranno ad essere alimentati dall'amore:

"...in questo mio tempo
mi spetta la tua assenza,
ma nel mio cuore lo sai
resta una sola parola:
Amore."

Lungi dall'essere cupe o disperate, le poesie di Matteo Carlesi trasmettono una grande forza, anche nell'espressione del dolore; perdere l'amato e sapere che al mattino non lo vedremo più accanto a noi è qualcosa di emotivamente devastante (cui si aggiunge, in questo caso, anche il travaglio della malattia nei mesi precedenti la morte) e inevitabilmente l'autore non attenua ciò che prova a livello di angoscia, di senso di vuoto, perché la mancanza è "ingombrante", riempie ogni spazio, ogni attimo, e fingere che non si soffra non aiuta, al contrario.
La luce ci sembra tanto più luminosa quando si è attraversato il buio più nero, e questa luce la percepiamo, la vediamo leggendo queste bellissime poesie: è la luce della speranza di riuscire comunque a vivere con dignità e la giusta serenità in nome di un Amore che non passa, che sopravvive all'assenza fisica dell'altro, il quale continua ad esistere nel cuore di chi l'ha amato e quest'ultimo non può che dare valore al suo ricordo continuando a vivere, a resistere giorno per giorno.

"Là, davanti alla tua foto ho sorriso,
un sorriso appena accennato,
e tu mi hai risposto,
hai risposto nel mio cuore."


Una silloge che si legge d'un fiato grazie ad una scrittura immediata, semplice ma emotivamente ricca e piena, poesie che commuovono per i forti e genuini sentimenti che le attraversano e che arrivano con potenza ai cuori dei lettori, tanti dei quali sicuramente possono ritrovarsi - in virtù di esperienze simili - nel vissuto dell'autore, che ha scritto una raccolta che ritengo, nel mio piccolo, davvero meritevole di attenzione.

Consigliata a quanti amano la poesia perché le riconoscono il suo "potere" straordinario di esprimere, in modo unico, vissuti, emozioni, speranze, ricordi dolorosi e belli, e di concedersi, attraverso questo viaggio dentro sé stessi, il dono di guarire, di gettare un po' di balsamo sulle ferite e di continuare a trovare, di giorno in giorno, il senso della propria esistenza nonostante delle importanti assenze.

mercoledì 15 maggio 2024

LIA di Maria Cristina Russo [ RECENSIONE ]



Questa è la storia di una donna che per trent'anni è stata prigioniera di un matrimonio infelice con un marito violento; una donna vittima di soprusi e umiliazioni fisiche, sessuali, psicologiche, ormai rassegnata a quell'esistenza priva di gioia e amore accanto al suo aguzzino.
Ma un giorno accade qualcosa che le dona, inaspettatamente, la speranza di poter essere felice.


LIA
di Maria Cristina Russo

IVVI Ed.
176 pp
19,90 euro
Febbraio 2024
Poco più che cinquantenne, Lia è ancora una bella donna, con un bel corpo, un bel viso..., ma è lei la prima ad averlo dimenticato.

Sposata con Carlo da trent'anni, non sa cosa voglia dire godere di una relazione di coppia sana, basata su amore, fiducia, stima, complicità, rispetto; al contrario, tra lei e il coniuge c'è un legame tossico, dove lui è colui che comanda, decide, domina sulla moglie, e quest'ultima è totalmente sottomessa alle decisioni, ai capricci e agli scatti d'ira di quello che ormai è divenuto il suo "carceriere".

Sì, perché un matrimonio così altro non è che una prigione infernale, contrassegnata da ogni genere di violenza fisica e psicologica, completamente priva di gesti di tenerezza, di affetto, di calore.

Sarebbe facile giudicarla e chiedersi: "Ma se viene maltrattata, picchiata, abusata, perché Lia non se ne va? Perché non lascia Carlo, questo marito crudele e sadico, che gode nell'infliggere sofferenze alla moglie inerme e silenziosa?".

Ma Lia non va giudicata; Lia va capita, ascoltata, aiutata, e fatta eccezione per l'amica di sempre (Vera) e il fratello Paolo, non ha chissà chi a supportarla, a cominciare dalla madre, che non le è mai stata né di aiuto né di conforto, anzi.

Eppure, una sera, accade qualcosa che cambierà radicalmente l'esistenza della donna.

Sembra una serata come le altre (trascorsa in casa a pulire, preparare la cena, facendo attenzione a non commettere neanche il minimo errore, pena l'ira furibonda di Carlo, che comincerebbe a sfogare ogni frustrazione sulla moglie), ma non è così perchè Carlo sta tardando dal lavoro, cosa che non capita praticamente mai.
Alla porta si presenta un ispettore di polizia, Giuseppe Cafiero, accompagnato da un poliziotto in divisa, che le comunica che il marito è stato ucciso. 

Carlo ucciso? E da chi? Perché?

Sarebbero domande normali da porsi, ma in realtà Lia non se ne preoccupa: Carlo non c'è più, qualcuno - anche se non si sa ancora chi - ha spezzato le catene della sua terribile e dolorosa prigionia e questo è, per la vedova, l'unico pensiero meritevole di attenzione.

Certo, un attimo di smarrimento c'è, ma la consapevolezza di essere finalmente libera a 52 anni le riempie il cuore di un sollievo, di una serena euforia... che mai aveva provato fino a quel momento.

Vivere.
Cominciare a vivere adesso che è una donna matura, non più una ragazza: è forse tardi per lei?
No, non è troppo tardi per prendere in mano la propria esistenza, anzi, può farlo con la certezza che non ci sarà più la presenza malvagia di quel marito-padrone che godeva nel farle del male.

E noi lettori percepiamo questa leggerezza che inonda il cuore di Lia, partecipiamo alla sensazione di liberazione e pace che la travolge e che la spinge a rivoluzionare da subito il modo di vestire, di acconciarsi, la casa, i rapporti con le persone, soprattutto con gli uomini: basta, non c'è più nessuno a condizionarla, a schiaffeggiarla per ogni presunto suo sbaglio, a dirle come deve vestire, se e quando può parlare, uscire, alzarsi o sedersi.

La sua esistenza comincia lentamente una nuova fase in cui rinascita è la parola d'ordine. 

Lia comincia a conoscere persone nuove, a partire dal suo affascinante vicino di casa di origini inglese: John Westmoreland, un professore universitario affascinante, elegante, socievole, con il quale stringe un' amicizia speciale.

E poi c'è lui, l'ispettore Cafiero, l'uomo che sta seguendo le indagini dell'assassinio di Carlo.

Tra Giuseppe e Lia scatta un'intesa particolare sin dai primi momenti; entrambi si sentono imbarazzati e intimiditi ma, poiché le occasioni per vedersi e parlare non mancano, ogni volta hanno modo per capire e appurare se l'uno condivide le stesse belle e travolgenti sensazioni che prova anche l'altra.

E quando si accertano che un filo di passione e complicità li unisce, la voglia di vivere nella libertà un sentimento acerbo e appena nato, eppure già così forte, diviene incontenibile.

Intanto, però, l'assassino ha cominciato a tessere la sua tela e a noi lettori viene concessa una prospettiva narrativa più ampia, per cui intuiamo la sua identità, lo vediamo agire col favore delle tenebre e architettare ulteriori crimini per non farsi scoprire.

Non solo, ma quest' assassino è ancora l'ennesimo uomo convinto di poter decidere del destino di una donna, di avere il diritto di accampare pretese su di lei e di essere geloso e possessivo.

Lia è stata liberata da una relazione malata da qualcuno di cui non conosce il volto né il nome; il suo unico e legittimo desiderio è quello di essere felice, indipendente, di amare (ed essere amata da) un uomo che la rispetti, che non voglia dominarla ma starle accanto, che l'apprezzi, la stimi, la supporti, che non la riempia di pugni e calci ma di carezze e baci.

Ne ha tutti i diritti e cercherà di mettere sé stessa al primo posto, di non permettere più a nessuno di trattarla come un oggetto senza valore, di umiliarla, possederla contro la sua volontà, di farla sentire meno di niente.

Lia sogna ciò che ogni persona ha diritto a sognare e ad avere nella propria vita.
Ce la farà ad essere felice?

"Lia" è un romanzo drammatico che tratta la tematica della violenza di genere, delle relazioni tossiche, e lo fa con realismo, con un linguaggio semplice, immediato, con molti dialoghi e altrettanti passaggi più riflessivi in cui abbiamo modo di approfondire le psicologie dei personaggi coinvolti.
Non possiamo non empatizzare con la protagonista, "facciamo il tifo" per lei, desideriamo che sia finalmente l'unica padrona di sé stessa, che non ceda più a un amore (che amore non è!) deviato, egoistico, violento, abusante.
Lia si merita un uomo come Cafiero: onesto, dolce, rispettoso; si merita un'amica come Vera, sempre disponibile e pronta a darle il suo aiuto.

Ma, come dicevo, questo libro è realistico e non pensate che sia scontata la favola, l'happy ending.
Ci auguriamo che per ogni donna che riesce a fuggire da un uomo che non l'ama e che la maltratta, ci sia una concreta possibilità di rinascere dalle ceneri di un rapporto che non ha dato altro che lacrime.
E fino alla fine vorremmo questo anche per Lia.

Un romanzo che scorre pagina dopo pagina, grazie alla scrittura fluida, alla storia così attuale, aderente alla realtà, alla capacità dell'autrice di coinvolgere emotivamente il lettore nelle vicende della protagonista.

Consigliato a quanti cercano una storia che rispecchi tematiche purtroppo tristemente attuali, come la violenza sulle donne.

lunedì 13 maggio 2024

LO SCORPIONE D'ORO di Mariangela Camocardi [ RECENSIONE ]



Vent'anni dopo la prima pubblicazione, "Lo scorpione d'oro" di Mariangela Camocardi esce in seconda edizione in un formato rieditato e aggiornato dall'autrice stessa: intrighi e misteri, amore e vendetta rendono appassionante questo historical romance ambientato nella Milano del 1815.


LO SCORPIONE D'ORO
di Mariangela Camocardi


PUBME
ebook 3,99
cartaceo 18 euro
358 pp
In una gelida notte d'inverno, una donna partorisce due gemelli ma, seppur con dolore, tiene con sé solo uno, mentre l'altro lo consegna alla fidata cameriera Cosima: la partoriente è l'amante (e futura moglie) del conte Murialdo Lattanzi e si è accorsa che il secondo gemello ha un'evidente deformazione fisica che impedirebbe al padre di accettarlo e amarlo, essendo egli ossessionato dalla bellezza e da tutto ciò che è perfetto... Così donna Orsola chiede a Cosima di prendere il bimbo e fuggir via, e questo fa la cameriera dopo aver preso, dalle mani della padrona, danaro e gioielli, tra cui una catenina d'oro da dare al povero bambino, se mai fosse sopravvissuto.

Trent'anni dopo, in casa Lattanzi è accaduta una tragedia e l'unico figlio cresciuto dalla coppia è ormai un uomo di nome David.

Il giovane sta attraversando un momento non certo semplice: i suoi genitori sono morti in circostanze drammatiche e lui scopre che essi gli hanno nascosto un segreto: ha un fratello!
David è intenzionato a cercarlo, a dargli affetto ed eredità pur di non restare solo dopo la morte dei genitori. 

La ricerca del fratello segreto diventa una vera e propria missione e assolda anche un investigatore pur di trovarlo; ma ciò che non si aspetta è che le sue vicende personali si intrecceranno con quelle di una donna tanto bella quanto battagliera, anch'ella impegnata in una intricata impresa.

Clementina Martini è una ragazza testarda e coraggiosa, che non teme di affrontare a muso duro chiunque si riveli un farabutto e un prepotente: che sia l'odiato cognato Gerolamo - che ha sposato sua sorella Celia - o il di lui cugino, il religioso don Ferrante.

Clementina ha tutte le ragioni per detestare i due uomini: qualcuno ha pestato a sangue la sua povera sorella e ne ha rapito il figlioletto, Stefano; un testimone che ha assistito al fattaccio giura di aver scorto, tra coloro che si sono macchiati dell'infame gesto, un individuo con un medaglione su cui era inciso uno scorpione. 

Clementina sa di dover trovare questo delinquente che ha preso Stefano e ridotto in fin di vita Celia, ed è ovviamente convinta che dietro ci sia Gerolamo, un uomo dissoluto, prepotente, che ha sempre trattato male sua moglie, la quale di recente l'aveva lasciato proprio a causa dei continui maltrattamenti: forse Gerolamo, da marito ferito nell'orgoglio, s'è vendicato cercando di far fuori Celia e togliendole il bambino?
E se suo cugino, il viscido don Ferrante, fosse coinvolto in questa brutta storia?

Pur di vederci chiaro, Clementina si mette alla ricerca del cognato lì dove crede di poterlo trovare, ma non trova Gerolamo, bensì... un bell'uomo con un anello vistoso e particolare, su cui è inciso... uno scorpione!

L'uomo è il conte David Lattanzi: possibile che sia in combutta con Gerolamo e Ferrante? Che sia informato sul rapimento di Stefano?

David non sembra un manigoldo come il marito di Celia, anzi, è affascinante, gentile... e anche appassionato e seducente, tanto che tra i due scatta un bacio mozzafiato già dalla prima volta che si incontrano.

Ma Clementina è una ragazza con un grande autocontrollo e, pur provando una forte attrazione per il bel conte, cerca di sopprimerla perché è profondamente delusa dal genere maschile (e non solo in virtù dell'infelice matrimonio della sorella),è determinata a concentrarsi e a spendere ogni energia per cercare i responsabili del rapimento e delle percosse a danno di Celia, e se questo conte ammaliatore è complice, lei è pronta a scoprirlo.

A motivarla c'è anche un'altra importante ragione: don Ferrante le ha messo una pulce nell'orecchio circa un losco giro di rapimenti di poveri bambini, che vengono costretti a divenire dei cantanti..., con tutto ciò che tale scopo può implicare per queste creature...

Ben presto, però, ha modo di appurare che David non ha nulla da spartire con Gerolamo né col sequestro di Stefano e, anzi, i due uniranno le forze per raggiungere ciascuno i propri obiettivi: se Clementina ha a cuore le sorti del nipotino, David continua ad avere in testa il fratello perduto, che ha intenzione di ritrovare a tutti i costi.

Le due missioni finiscono per intersecarsi e i problemi e le difficoltà affrontate da David diverranno le stesse di Clementina, e viceversa.

Ad unirli c'è l'amore fraterno: Clementina ha un gran senso di protezione verso Celia ed è disposta a tutto - finanche a mettere a repentaglio la propria incolumità - pur di aiutarla a riprendersi la sua vita lontana da quel bruto di Gerolamo e a restituirle Stefano sano e salvo; dal canto suo, David non ha mai conosciuto suo fratello e sente il vivo desiderio di rintracciarlo per offrirgli il proprio sincero affetto, per riparare ai torti commessi dai loro genitori, che l'hanno abbandonato chissà per quale ragione.

David e Clementina andranno incontro a numerose avventure, molte delle quali pericolose, se la vedranno con diversi nemici, decisi a fermarli in ogni modo possibile, e per la coppia non sarà facile scoprire chi sta cercando di farli fuori e perché.
Una cosa è certa: lo scorpione d'oro torna spesso quale importante indizio che pian piano li condurrà verso la verità.

E mentre sono impegnati in questa doppia missione famigliare, la passione e il sentimento bussano alla porta del loro cuore, avvicinandoli sempre di più l'uno all'altra.

"Lo scorpione d'oro" è un romanzo che, una volta iniziato, si ha voglia di leggere tutto d'un fiato perché la scrittura è molto fluida, il periodo storico interessante (come lo è il riferimento alle voci bianche e a ciò cui andavano incontro i bambini ritenuti vocalmente dotati...), i dialoghi abbondanti e il linguaggio è consono all'ambientazione e ai personaggi, tutti ben delineati, tanto i principali che i secondari.
Le vicende - sempre molto dinamiche e vivaci - sono sviluppate in modo accattivante e la componente "gialla" - la presenza di misteri e verità da svelare - rende la storia avvincente, tenendo desta la curiosità del lettore sino alla fine.

Ideale per chi ha voglia sì di una storia d'amore ma ricca di avventura, colpi di scena, dal ritmo incalzante e che affronta tematiche come i rapporti famigliari, i legami tra fratelli/sorelle, la vendetta, le seconde opportunità.


sabato 11 maggio 2024

IL CERCATORE DI LUCE di Carmine Abate [ RECENSIONE ]



Le vicende personali del giovanissimo protagonista e la sua storia famigliare si intrecciano con il racconto dell'esistenza avventurosa e sorprendente di un artista italiano del Novecento, portando il lettore dal Trentino di Arco e della Scanuppia alle altezze sublimi di Maloja, all'altopiano della Sila nel cuore del Mediterraneo. 


IL CERCATORE DI LUCE
di Carmine Abate


Mondadori
378 pp
È l'estate dei suoi dodici anni e Carlo Adami si reca in vacanza con i genitori e la sorella maggiore Luisa nella baita di famiglia, situata in Scanuppia, una montagna del Trentino; con loro c'è l'anziana nonna Moma, una donna dal carattere granitico, dallo spirito indomito e dalla memoria di ferro.

Memoria cui lei attinge con vivacità e passione per raccontare al nipotino prediletto, Carlù, che somiglia al proprio defunto marito (l'omonimo Carlo Adami, stimato ingegnere), un fiume di ricordi, aneddoti, storie del passato, concernenti non soltanto il proprio vissuto personale, l'amore con e per nonno Carlo, ma soprattutto la vita straordinaria e piena di un uomo che è stato altrettanto straordinario per talento e cuore: Giovanni Segantini, il celebre pittore di Arco (Trento) sempre "in cerca di luce".

"È un cercatore di luce, Giovanni. E di luce nutre gli occhi, l’anima e il corpo."

Il lettore segue, quindi, due storie parallele lontane di molti anni e che vedono protagonisti il giovane Carlo nel presente e Giovanni Segantini nel passato (seconda metà del 1800).

Carlo è un ragazzino solitario, schivo, timido, riflessivo; non è bravo a fare nuove amicizie e preferisce trascorrere gran parte del tempo in compagnia della nonna Moma, di origine calabrese, che gli cucina molte prelibatezze e gli racconta di come nonno Carlo abbia conosciuto, da bambino, il grande pittore Segantini, ricevendone in dono uno dei suoi splendidi dipinti raffigurante una giovane donna con un bambino tra le braccia. 

Carlo è capace di stare ore a guardare quel quadro, ricavandone una forte sensazione di serenità e sollievo, soprattutto quando sente i propri genitori litigare aspramente, o quando vede sua madre tesa e cupa a causa delle lunghe assenze del marito che, con la scusa del lavoro, torna a casa in fretta e furia solo nei weekend (e neanche tutti), col risultato di innescare baruffe e momenti di palpabile tensione.

E se la sorella Luisa cresce bella e indipendente, sviluppando (almeno agli occhi di Carlo) un atteggiamento di sano menefreghismo per i litigi dei genitori e davanti alla possibilità che si separino, Carlo ne soffre oltremodo, non riesce ad accettare che la sua famiglia possa sgretolarsi, che suo padre vada definitivamente via di casa, che la mamma non provi a far pace e a ricomporre ciò che ancora resta della loro famiglia.

"Mi sarebbe piaciuto avere la sua brillantezza nello studio e soprattutto la sua capacità di pensare solo a sé stessa, al suo tornaconto personale, con naturalezza e convinzione. Io invece ero pigro e confuso, legato alla famiglia da un cordone ombelicale che mi strangolava e che però avevo paura di spezzare."

A salvarlo dalla tristezza ci sono la natura, la baita in Scanuppia e lei, Moma: 

"...il mio libro parlante, il più veritiero di tutti, il più appassionato, in particolare quando raccontava del primo e unico amore di Giovanni, per definire il quale usava un solo aggettivo: eterno."
E questo amore ha il nome e il volto della bella Bice Bugatti, la compagna di vita di Segantini ("Segante", come lo chiamava Bice), donna carismatica e compagna fedele, sempre al fianco del proprio uomo sin dall'incontro a Milano e poi ancora in Brianza e in Svizzera, realizzando le promesse che si scambiano gli sposi: restare insieme nella ricchezza e nella povertà, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia.

Bice e Giovanni: lui un sognatore che tende a volare troppo in alto, un Icaro che ha bisogno di una donna con i piedi per terra che gli impedisca di bruciarsi le ali e cadere giù e Bice, con il suo dolce pragmatismo, sarà sempre la sua salvezza.

Carlo si rivede in quel Giovanni amante della natura (uno dei più frequenti soggetti delle sue opere), nel suo amare i momenti di solitudine, di contemplazione e silenzio, e perdersi negli appassionanti racconti della Moma è un balsamo per i suoi piccoli ma brucianti dolori, causati dai genitori e dal suo essere un ragazzino che fatica a trovare il proprio posto nel mondo.

Egli non riesce a brillare negli studi (come fa invece Luisa), non ha una comitiva di amici, non riesce neppure a trovare una fidanzata, per lo meno non una come la devota Bice di Giovanni.

E allora immergersi nelle vicende e nel vissuto personale del pittore diventano un modo per staccarsi dalla propria realtà per immaginarne una decisamente più avventurosa e ricca di eventi, alcuni drammatici, tristi, pieni di difficoltà (Giovanni ha avuto un'infanzia povera e non certo felice) ed altri intrisi di vita, amore, soddisfazioni, talento, viaggi, speranze.
Luce.

Sì, perché se c'è un aspetto che accompagna tutta l'esistenza di Giovanni Segantini è la costante ricerca della luce giusta per le proprie opere, molte delle quali rappresentano paesaggi (di montagna, rupestri...):

"... è consapevole della bellezza della luce, non sta facendo altro nella vita che cercarla. Per un attimo immagina che ogni goccia di luce sia una creatura viva, la madre, il padre, i fratelli, la capinera, un pulcino, (...) ciò che diventiamo dopo la morte, un luccichio così sfavillante che ci ripete miliardi di volte: “La vita è bella, non scordarlo mai”."

"Ai piedi" di nonna Moma non c'è solo il giovane Carlo (che seguiamo fino agli anni dell'università, osservandone la crescita e il suo diventare un giovane riflessivo, sensibile, che cerca di superare i propri limiti e le proprie paure) ma anche noi lettori diveniamo, in un certo senso, uditori della vicenda umana di Giovanni Segantini, che ci viene narrata con un linguaggio quasi poetico e molto evocativo, ricco di suggestioni, in cui i luoghi (con la loro bellezza paesaggistica e umana) visitati hanno un ruolo preponderante, come lo sono i rapporti famigliari, quello tra l'uomo e l'arte, tra l'uomo e la natura, tra l'uomo e la vita/la morte; e poi ci sono la memoria, o meglio la potenza dei ricordi e il tenerli vivi attraverso i racconti orali, tramandati di generazione in generazione.

"Il cercatore di luce" è un romanzo di formazione che dà modo al lettore di conoscere un grande pittore, che prima ancora è stato un uomo semplice (per estrazione sociale, per modo di vivere, per il modo di scrivere e parlare, ecc...) e, allo stesso tempo, ricercato e complesso in virtù del suo immenso talento creativo e artistico, per l'affascinante e colorato universo che aveva dentro di sé e che solo con la pittura riuscita a tirare fuori magistralmente.

Pur avendo trovato il ritmo lento e poco coinvolgente il modo in cui l'autore sviluppa i due filoni narrativi (di per sé interessanti), non posso dire che questo romanzo di Abate non meriti attenzione, tutt'altro, e di esso ho sicuramente apprezzato il fatto di avermi avvicinato a un artista italiano dalla grande sensibilità artistica, come Giovanni Segantini (ho trovato il personaggio davvero molto affascinante) e quella vena nostalgica e quasi struggente che attraversa tutta la narrazione.

"Il compito principale nella vita di un uomo è di dare alla luce sé stesso. E Giovanni Segantini ci è riuscito in pieno, grazie alla sua arte".

Inoltre, c'è da dire che Abate ha un modo di scrivere che per me è, al contempo, un punto di forza e di debolezza: leggerlo è come iniettarmi una dose di calma e pace, che da una parte mi dà delle sensazioni positive, e dall'altra - a lungo andare - finisce per distrarmi e farmi sentire poco partecipe.

Consigliato in particolare a chi ama le narrazioni profonde, quasi contemplative. dal ritmo pacato e dalle atmosfere un po' malinconiche.




Alcune citazioni

"...c’è sempre un istante in cui il talento, se ce l’hai, si svela e ti cambia la vita. Bisogna solo saper aspettare. Fiduciosi. Vera o inventata, una storia non mente mai."

"I luoghi, come degli amanti smaniosi di conquistarti, rivelano le loro bellezze più irresistibili al primo incontro. Poi, con il tempo, ti possono pure pugnalare alle spalle, ma tu li amerai comunque e per sempre."

"...sarebbe bello se il risveglio mattutino cancellasse la realtà più subdola come fa con i sogni. Purtroppo, succede sempre il contrario, e la realtà si ripresenta sotto forma di incubo."

"Forse è questa la base più solida dell’amore eterno: due persone opposte in tutto che si sostengono a vicenda e si compenetrano fino a vivere insieme in un’unica aura, per sempre."

"Il dolore può essere infettivo o morderti il cuore senza pietà, ma ti fa crescere e maturare".

"Non siamo noi ad abbandonare i luoghi, sono loro che abbandonano noi. Nel senso che, appena pensiamo a malincuore di partire, non ci trattengono per le radici, ma ci lasciano andare altrove, spesso ci costringono. E quando ci accorgiamo dell’inganno è troppo tardi per ritornare sui nostri passi."

"... le storie sono già dentro di noi, mescolate a ferite e ricordi, al passato e al presente, persino al futuro, e i fili che le legano sono invisibili ma fortissimi. Basta un’immagine che resiste nel tempo, che rimbalza per caso davanti agli occhi, e le storie escono fuori con la necessità di un respiro vitale."

mercoledì 8 maggio 2024

I QUADERNI BOTANICI DI MADAME LUCIE di Melissa Da Costa [ RECENSIONE ]



Amande ha appena perso il marito e la bimba che aspettavano e l'unica cosa che desidera è sparire, allontanarsi da tutto e tutti, lasciarsi andare inerte al buio che ha inondato la sua esistenza.
Ma non ci sono tenebre che un raggio di luce, per quanto flebile, non possa illuminare e anche un'anima ferita e annichilita come quella di Amande continua a conservare, dentro di sé, la speranza e la voglia di rinascere.


I QUADERNI BOTANICI DI MADAME LUCIE
di Melissa Da Costa



Rizzoli
trad. E. Cappellini
304 pp
Non c'è niente di più insopportabile della luce del sole splendente, della vita, del rumore, del vocìo allegro di gente spensierata... per chi vuol solamente chiudersi a riccio nel proprio dolore e circondarsi di buio, silenzio, solitudine.

Ed è ciò che desidera, infatti, per sé Amanda Luzin, una giovane donna da poco rimasta vedova e privata anche della figlioletta che stava aspettando.
Una doppia tragedia che l'ha spinta a prendere una decisione: lasciare tutto ciò che resta della propria esistenza frantumata dal dolore e dal lutto, e andare a vivere lontana dal caos e dalla presenza di altri esseri umani: ha così preso in affitto una vecchia casa nella campagna francese dell’Auvergne.

Per lei è un rifugio nel quale stare da sola, rannicchiata nella propria sofferenza, vivere senza aprire mai le imposte, con le finestre sbarrate, senza l’interferenza della luce e distante da ogni contatto sociale.

Le sue giornate trascorrono monotone e uguali e Amande sta bene attenta a non chiamare nessun famigliare o amico né desidera essere chiamata e visitata.

"Non voglio nulla che mi ricordi la mia vita precedente. Quella prima del 21 giugno e della notte che è seguita. Come fanno le persone? Come si può veder crollare il tuo universo e riprendere la stessa vita che facevi? Tornare al lavoro dopo qualche giorno, continuare ad abitare nello stesso appartamento, frequentare lo stesso quartiere… È al di sopra delle mie forze. Hanno abbandonato il mio mondo all’improvviso, tutti e due, la stessa notte, e a partire da quel momento quel mondo, il mondo in cui mi muovevo, respiravo, mi svegliavo da ventinove anni, quel mondo non esiste più."

Ma fortunatamente, nonostante il suo atteggiamento di chiusura, non viene lasciata sola da chi le vuol bene: i suoceri (Anne e Richard) non fanno che telefonarle per sapere come sta e offrirle il loro sostegno, e così pure il cognato Yann e la moglie Cassandra. Anche la madre di Amande prova a chiamare la figlia ma tra le due non scorre un gran feeling, per cui i tentativi maldestri dell'imbarazzata genitrice fanno più male che bene.

A far compagnia alla donna ci pensa un gattino randagio che pian piano, con insistenza, riesce a conquistare le attenzioni di Amande, che ha sempre avuto un gran terrore dei gatti; non solo, ma ella scopre in casa degli  appunti lasciati dalla vecchia proprietaria di casa, Madame Lucie, riportati con minuziosità e costanza su dei calendari: si tratta di indicazioni semplici ma estremamente dettagliate per la cura del giardino, con annesse anche ricette di torte invitanti e marmellate. 

Amande ha trent’anni, è una donna di città, non ha mai indossato un paio di stivali di gomma, eppure è attratta da quelle istruzioni vergate con una grafia elegante, così prova a seguirle alla lettera, impegnandosi a far rinascere l'orto che un tempo era curato dalla signora Lucie.

Il progetto di buttarsi in quest'avventura tutta nuova la fa sentire viva, finalmente impegnata in qualcosa di bello, utile, che ha a che fare con la vita che, anche dopo un periodo di incuria e abbandono, può tornare a rinascere.

Mai avrebbe pensato di sentirsi elettrizzata all'idea di piantare semi, bulbi, di strappare erbacce, innaffiare, aspettare che germoglino fiori e frutti e verdure.

Eppure è così: prendersi cura di qualcosa che lei stessa contribuisce a far nascere e crescere è esaltante, la fa star bene, la tranquillizza e, soprattutto, le occupa la mente e le giornate, le impedisce di crogiolarsi nel suo plaid sul divano di casa, a piangere e a pensare a ciò che la vita le ha crudelmente strappato.

Certo, non è un orto - per quanto sia impegnativo e la faccia sentire sfinita a fine giornata - ad allontanare i ricordi di un tempo felice.

La narrazione del presente viene arricchita dei ricordi di Amande, che ripensa a quando il suo amato Benjamin era accanto a lei: lui, così allegro, espansivo, pieno di voglia di vivere, comprensivo, affettuoso, un bravo educatore che amava il proprio lavoro ed era amato dai "suoi" ragazzi del centro; un marito così dolce con la sua Poupette, la sua Amande, e così felice al pensiero che presto sarebbero diventati genitori della tanto attesa e già adorata Manon.

Manon, così minuscola nella mani di un'addolorata e distrutta Amande. Un piccolo angioletto che non ha avuto tempo di vivere neppure un secondo fuori dal grembo materno.

Come ci si riprende da tutto questo?

Non è per niente facile, eppure Amande, giorno dopo giorno, si dà dei piccoli e poco pretenziosi obiettivi, uno dei quali è semplicemente "lascia entrare".

"Lascia entrare. Una frase in sospeso, che attende il seguito. Non so. Lasciare entrare cosa? Il sole? La vita? Preferisco fermarmi lì. È già abbastanza. Semplicemente Lascia entrare. Ho bisogno di un margine di manovra."


Un passo alla volta e Amande lascia entrare e rientrare persone nella propria vita e nella propria casa che comincia a profumare di tarte tatin e confetture: prima Julie (la figlia della vecchia proprietaria, con cui allaccia un bel rapporto di amicizia), poi il gatto, poi i cari e amorevoli Anne e Richard, fino ad accogliere altre persone importanti, con cui Amande riassapora le piccole ma necessarie gioie che può dare il trascorrere del tempo con chi le vuol bene e non l'ha mai abbandonata, ma anzi ha atteso con pazienza e premura che uscisse dal suo bozzolo di dolore e solitudine.


Come le piante da lei stessa innestate, anche Amande deve sbocciare di nuovo e riprendere a costruirsi un po' di felicità, per quanto all'inizio sia rabberciata e fragile.

"La vita è ricominciata nonostante il dolore, nonostante la sensazione che niente sarà più come prima, che il mondo si è fermato. Ma non per me… Io sono rimasta lontana da tutto, dal rumore, dalla frenesia, dall’esistenza dei comuni mortali. Sono rimasta nella mia casa, ad appendere obiettivi strampalati alla parete e oggetti colorati al salice. Non è la vita normale, è un’altra vita che mi sforzo di ricreare, una vita su misura, che si adatterà ai miei passi titubanti e lascerà spazio alle mie due perdite."


Ci vuol tempo, nulla nasce in una notte o in un giorno, né tanto meno il suo cuore spezzato può essere ricomposto con facilità e velocemente..., ma un po' alla volta ella imparerà a percorrere con sicurezza la propria strada, anche se adesso ha ancora bisogno di punti di riferimento.

La "sua" casa diviene il suo personale universo, che lei stessa si è costruita: un mondo fatto di alberi colorati, di candele al chiaro di luna, pini sacri e piccoli e gioiosi riti funebri; un'oasi di tranquillità, adornata di alberi e fiori che invadono il prato, arricchita dal dolce tintinnio della campana eolica appesa a un vecchio salice e dal suono del vento che canta e fa danzare i colori tra i rami. 


"Celebro la vita in tutte le sue forme e credo che Ben abiti nel tronco di un pino. Non ha alcun senso, e al tempo stesso ne ha moltissimo. Tutto ciò che so è che… mi fa maledettamente bene!", ammette con gli occhi che le brillano di un rinnovato stupore e della consapevolezza che, sebbene una parte di lei sia andata via con il suo Ben, il ricordo e l'amore per lui e vissuto con lui non se ne andranno mai, ma continueranno a vivere nel cuore suo e di chi l'ha amato.

Ben e Manon saranno sempre lì, con lei, ogni volta che guarderà il salice, che sentirà il profumo di un dente di leone, che assaporerà la dolcezza di una fragola, che si lascerà cullare dal vento. 
Ogni volta che aprirà le finestre per lasciare entrare la luce, la vita, le persone importanti.

È il secondo romanzo che leggo di quest'autrice francese e, se "Tutto il blu del cielo" fu una bellissima scoperta, questo non mi ha deluso e non è stato da meno; vi ho ritrovato la stessa sensibilità, dolcezza e profonda delicatezza nel trattare argomenti difficili, dolorosi, come il lutto, la perdita, la sensazione di immobilità e annichilimento, figlia della consapevolezza che delle persone importanti non sono più tra noi,che non arricchiranno e non daranno più senso e valore alle nostre giornate.

Ma la fase del lutto non è un tunnel senza uscita e tra queste pagine respiriamo con Amande il profumo della vita che chiede di tornare a nascere e che lo fa attraverso la natura, la quale è un continuo e costante ciclo di morte e rinascita.

Un libro che si lascia leggere con incredibile fluidità e scorrevolezza, che sa commuovere, intenerire e toccare la sensibilità del lettore.

Consigliato!


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"C’era un tempo per curare il proprio dolore, per ricordare, per dire addio come si deve. Oggi, la routine deve riprendere appena dopo il funerale: il lavoro, le bollette da pagare… La società non ha più tempo per il lutto."

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