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mercoledì 29 gennaio 2025

TUTTI GLI INDIRIZZI PERDUTI di Laura Imai Messina [ RECENSIONE ]



Ci sono, custoditi tra le pagine di questo romanzo, una poesia, una delicatezza e un incanto che lo rendono quasi una favola, un racconto che fa bene al cuore e che ci ricorda quanto possa essere potente la scrittura e quanto bene faccia sentirsi liberi di raccontarsi, di aprire gli argini del proprio cuore senza il timore di venir giudicati.



TUTTI GLI INDIRIZZI PERDUTI
di Laura Imai Messina


Einaudi
240 pp
Io non lo sapevo ma... esiste davvero: il Missing Post Office, sulla piccola isola di Awashima, situata nel mare interno di Seto; con la sua forma ad elica, conta poche centinaia di anime. 

In questo posticino ameno, quasi magico, c'è il cosiddetto «Ufficio Postale alla Deriva», qualcosa di originale, insolito e, a modo suo, speciale.

In questo minuscolo ufficio vengono conservate tutte le lettere spedite a un destinatario che però è irraggiungibile, vuoi perché non c'è il nome, vuoi perché manca proprio l'indirizzo. Missive mai recapitate, insomma.

Coloro a cui sono destinate lettere e cartoline possono essere destinatari di vario genere, anche i più bizzarri: dall'amore perduto e mai dimenticato all'inventore del fon, dal giocattolo preferito nell'infanzia e smarrito per sempre alla povera lucertola cui, da bambini, si è tagliata la coda.

Sono delle lettere particolari, lunghe o brevi, che non arriveranno mai nelle mani della persona/animale/ricordo/oggetto alla quale sarebbero destinati, e questo le rende preziose perché in esse c'è il cuore di chi le ha scritte, ci sono le sue lacrime, i suoi sorrisi, i sospiri e le risate, le malinconie e i rimpianti.
Ci sono frammenti di vite, a volte anche vite intere, tra quelle righe.
Ci sono le parole pensate e mai dette, per paura, per imbarazzo o vergogna, perché il tempo è sempre il solito tiranno, per tante ragioni diverse.

"Alla deriva", sì, perché queste lettere somigliano a quei suggestivi e romantici messaggi nelle bottiglie, affidate al mare, al caso, al tempo..., che vanno alla deriva, come naufraghi.

A me ricordano anche un po' un diario segreto che non faremo mai leggere a nessun altro, forse noi per primi difficilmente ne ripercorreremo le pagine, per tenere lontane quelle emozioni, quei ricordi troppo forti, travolgenti, che per i più disparati motivi (e bisogni) preferiamo allontanare da noi.
Parole che, in fondo, sono destinate praticamente a  noi stessi e che mettiamo su carta perché scrivere fa bene, può curare, ci fa compagnia, ci aiuta a decifrare il mondo e, ancor prima, a capire la nostra stessa anima.

La protagonista è una ragazza dolcissima e gentile: Risa, che sbarca ad Awashima in un mattino freddo di primavera, portando con sé una sacca misteriosa gonfia di buste. 

«Awashima è l’indirizzo che ha preso in carica tutti gli indirizzi perduti della terra». 

È sbarcata in quest'isoletta giapponese per lavorare nell’Ufficio postale alla deriva e catalogare le tantissime lettere arrivate in dieci anni.

L'isola è incantevole ma si sta spopolando; dopo un iniziale atteggiamento di diffidenza verso questa giovane donna, gli abitanti si abituano alla sua presenza e imparano man mano a volerle bene, anche perché l'incombenza che s'è presa non è da poco: mettere in ordine la corrispondenza è un lavoro enorme e nessuno capisce perché una signorina laureata debba rintanarsi in quel luogo dimenticato da tutti per svolgere un lavoro davvero singolare.

Ciò che essi non sanno è che Risa ha più di una ragione per essere lì: anzitutto, suo padre è un postino e ha lavorato tutta la vita con serietà e sollecitudine affinché neppure una lettera andasse perduta.  
E Risa è un po' come il suo amato papà: tenace, desiderosa di prendere le cose sul serio, di trattarle con delicatezza, e queste lettere - in cui ci sono istanti, pensieri, sentimenti, ricordi intimi e importanti delle persone - sono un tesoro da rispettare, meritano attenzione e cura.

E poi c'è un'altra motivazione, anch'essa molto personale: la sua defunta madre. 

La sua è stata una madre presente, sì, ma in modo intermittente e sicuramente diverso da quello che ci si aspetta da una mamma; Risa la ricorda come una persona che viveva costantemente in un mondo interiore tutto suo, in cui conosceva parole magiche per evocare creature del bosco e in cui era totalmente immersa, dimentica della realtà vera, circostante.

Quella madre particolare le ha insegnato la poesia e la curiosità verso ciò che è estraneo, perché «è dall’incontro con gli sconosciuti che può nascere lo straordinario»

E se proprio sua madre le avesse lasciato un messaggio che è finito lì, nell'Ufficio alla Deriva? Non sarebbe un modo per tenerla ancora un po' con sé, vicina al cuore, per sentirne la voce attraverso le sue parole scritte?

Nel suo soggiorno sull'isoletta, Risa farà incontri speciali, che le faranno bene e che le insegneranno a guardarsi dentro, a non fuggire dalle proprie emozioni, a mettere a fuoco ricordi, desideri, speranze, timori e quel legittimo bisogno di amore che si scontra con la paura di lasciarsi andare e di soffrire.

Avrà anche modo di ricordare un episodio dell'infanzia (quando aveva solo tre anni) che aveva sepolto nei recessi della propria memoria e, riaffiorando, la riempirà di quell'inspiegabile gioia che si prova quando si riesce a recuperare qualcosa di importante che pareva smarrito per sempre.


"Tutti gli indirizzi perduti" è un romanzo che mi ha ammaliata con la sua atmosfera quasi da sogno, con una storia deliziosa che, nella sua semplicità, emana poesia, incanto, umanità, dolce malinconia, tenerezza; la protagonista mi ha conquistata per la sua personalità sensibile, buona, riflessiva, per le sue fragilità e insicurezze; particolare l'ambientazione che, pur essendo reale, sembra quasi fantastica, irreale, forse per quel carattere esotico, ricco di fascino e suggestione che l'Oriente esercita.

Una lettura molto introspettiva, delicata e profonda, che tocca, con un linguaggio immediato e diretto, temi universali, come i legami famigliari, l'amore, le paure che ci bloccano, i sentimenti segreti e intimi mai espressi a voce alta, e tutta quella sfaccettata  e meravigliosa galleria di emozioni che connota e dà senso alla vita di ogni essere umano.

Consigliato!!



Awashima


Missing post Office
(qui)


martedì 28 gennaio 2025

LETTERE AL DI LÀ DEL MURO di Stefano Apuzzo – Serena Baldini – Barbara Archetti [ RECENSIONE ]

 

LETTERE AL DI LÀ DEL MURO di Stefano Apuzzo – Serena Baldini – Barbara Archetti è una raccolta di lettere e pensieri di alcuni bambini palestinesi che vivono nei campi profughi gestiti dall'UNRWA alle porte di Gerusalemme. 

Il libro è diviso in due parti: se nella seconda (arricchita da fotografie di bambini palestinesi) è possibile
Stampa Alternativa
165 pp

leggere le lettere dei protagonisti, nella prima gli autori riassumono la situazione in cui versa la Palestina, andando a ritroso nel tempo, sin da quando nel 1948 è stato fondato lo Stato di Israele e migliaia di famiglie furono espulse a suon di fucilate, terrore e massacri, dai propri villaggi e case.

Quello fu l'inizio della Nakba ("catastrofe") e della massiccia colonizzazione delle terre arabe in Palestina; ancora oggi centinaia di migliaia di palestinesi vivono da profughi in campi che sono luoghi in cui crescere, vivere, realizzare sogni... è davvero difficile.

“Cadono le foglie dagli alberi sulla terra e da lontano viene il vento per raccoglierle, ma il loro grido di aiuto cade nel vuoto, perché sono rinchiuse dentro queste mura che si chiamano campo profughi” (Marah, 9 anni).


Cosa significa per dei bambini nascere e vivere tra rifiuti e macerie, ingabbiati da un muro di cemento alto 9 metri, senza la possibilità di uscire dai campi, a meno che non si abbia la "carta blu"?

Cosa significa vivere in quella parte di muro dove ogni scelta è condizionata dai checkpoint, dal coprifuoco, dalle incursioni militari? 

Come cresce, con che pensieri, sentimenti, prospettive per il futuro..., un bambino che è figlio o nipote di rifugiati, che ha sentito i tristi e dolorosi racconti della Nakba e che tocca con mano ogni giorno le innumerevoli difficoltà di vivere sotto occupazione?
L’occupazione militare israeliana influenza ogni ambito dell’esistenza dei palestinesi e nelle lettere scritte dai bambini ai loro coetanei italiani emergono i numerosi problemi che essi incontrano nella quotidianità della vita nei campi profughi.

Un aspetto importante che emerge sin dalle prime pagine di questo testo è la necessità che ciascuno di noi (occidentali) ha di andare oltre stereotipi e pregiudizi; troppo spesso siamo vittime di un meccanismo di disumanizzazione del “nemico”: bollandolo in maniera semplicistica con l'etichetta "arabo=terrorista", lo rendiamo crudele, malvagio, un mostro che agisce e uccide senza pietà degli innocenti, e così diventa molto più semplice giustificare ogni sorta di negazione, di violazione e di sopruso nei suoi confronti.

"L’intento di Lettere al di là del Muro è di restituire ai palestinesi, soprattutto ai bambini palestinesi, la più reale immagine di esseri umani, simili a noi. Sono lettere di bambini che scrivono ad altri bambini".

L'iniziativa nasce nel 2003, ad opera di una Onlus di Milano, Vento di Terra, che da allora organizza uno scambio con una delegazione di bambini palestinesi dal campo profughi di Shu’fat, Gerusalemme est, e dal campo di Qalandia, nei pressi di Ramallah.

I bambini sono ospitati per due settimane dalla struttura di accoglienza della Parrocchia Ognissanti di Rozzano e condividono con i ragazzi dell’oratorio le attività del centro estivo.

Sono occasioni di condivisione, di arricchimento, di scambio interculturale e soprattutto umano; offrono ai bambini palestinesi la preziosa occasione di sperimentare l’esistenza di un mondo fuori dal campo che non è solo ostilità, privazioni, persecuzione, bombe e morte.

"È ora di sottrarre i bambini alla firma delle bombe, perché tornino a giocare e a colorare il mondo con sorrisi di pace".

Leggendo le parole semplici, schiette e sincere dei bambini che scrivono, abbiamo modo di vedere le cose con i loro occhi, di capire quali sono le cose importanti per loro, quello che vorrebbero cambiare, eliminare o costruire: il ruolo fondamentale della scuola e dell'istruzione ("L’istruzione è l’arma della libertà, un’arma per battere l’ignoranza” - Rasha, 11 anni), la scarsa salubrità dell'ambiente in cui vivono, a causa delle strade piene di rifiuti, delle fogne a cielo aperto, delle case attaccate le une alle altre, dell'aria malsana, la disoccupazione, il sovraffollamento, l'assenza di spazi in cui giocare liberamente (centri per bambini, parco-giochi...), quel muro di separazione che impedisce ai profughi di sentirsi liberi, di vedersi rispettati nelle proprie esigenze di spostarsi (per motivi di lavoro, di salute ecc...).

In molti racconti è chiaro e commovente il forte attaccamento dei bambini alla propria terra, la solidarietà, le amicizie e, in generale, i legami che si creano nel campo profughi che, pur essendo pieno di criticità e aspetti negativi, resta la loro "casa".

"Sogno di vivere in una casa grande, dove posso avere la mia stanza da sola, dove nessuno mi disturba e dove posso tranquillamente giocare e dormire. Sogno che la gente mi rispetti nella città e nei villaggi, perché quando esco dal campo sento che per me c’è meno rispetto. Io non ho nessuna colpa, perché sono stata cacciata dal mio villaggio" (Marah, 12 anni).

 
È una raccolta molto significativa, interessante e stimolante, perché induce a informarsi su come vivono i palestinesi nei Territori Occupati, a riflettere, ad eliminare o affinare o modificare opinioni dettate da preconcetti o "prese di posizioni" acritiche (che riducono la "questione palestinese" a un parteggiare per una "tifoseria" piuttosto che per l'altra) e non da reali e accurate conoscenze; e poi può rivelarsi un valido strumento per quegli adulti coinvolti in prima linea in ambito educativo perché sentono il desiderio di raccogliere la sfida urgente di educare le nuove generazioni, al rispetto, alla tolleranza, alla solidarietà, alla pace

sabato 25 gennaio 2025

LA VILLA DELLE STOFFE di Anne Jacobs [ RECENSIONE ]



Nel primo volume della saga storica e famigliare di Anne Jacobs, conosciamo la giovanissima Marie Hofgartner mentre si appresta a fare il suo ingresso nella grande Villa delle Stoffe, di proprietà della ricca famiglia Melzer.
La sua vita, fino a quel momento all'insegna della povertà e degli stenti, comincerà a prendere una piega decisamente inaspettata.



LA VILLA DELLE STOFFE
di Anne Jacobs



Giunti Ed.
trad.L. Ferrantini
576 pp

Siamo in Germania, qualche anno prima che scoppi la Grande Guerra, più precisamente ad Augusta nel 1913. 

Marie è una ragazza di diciotto anni quando è costretta a lasciare l'orfanotrofio in cui è cresciuta e in cui ha vissuto un'infanzia costellata dalla penuria di cibi, vestiti e soprattutto di amore e premure, per vivere nel mondo esterno.
Per sopravvivere, dovrà ovviamente lavorare e la direttrice dell'istituto le ha trovato un impiego come sguattera presso la Villa delle Stoffe (non è un caso che l'abbiano scelta).

Quando la giovane si trova per la prima volta davanti alla maestosa dimora, ne rimane affascinata e intimorita: l’imponente palazzo della famiglia Melzer, proprietaria della più grande fabbrica di tessuti bavarese, svetta come un castello fatato in un immenso parco. 

Certo, ci sarà da lavorare, ma almeno avrà dei vestiti caldi, un letto, dei pasti..., insomma, sarà sempre di gran lunga migliore della vita in orfanotrofio!

"Chiunque lavorasse alla Villa delle Stoffe doveva considerare quell’impiego un privilegio, da guadagnare a suon di virtù: correttezza, zelo, discrezione e fedeltà."

Fin da subito, però, Marie deve fare i conti con le ostilità e le gelosie dei suoi "colleghi di lavoro", vale a dire dello stuolo di camerieri e domestici imbellettati che la guardano con sospetto e invidia.

Sì, perché nonostante Marie sia una povera orfanella, non ne ha né l'aria né il portamento, tutt'altro: ha una grazia e un'eleganza innate, è intelligente, assennata, determinata, sa come interagire con chi le è di fronte e non si lascia intimidire facilmente da nessuno, uomo o donna, padrone o cuoca che sia.

«Hai degli occhi bellissimi. Dentro, c’è la tua anima. Pieni di dolore, desiderio, fame di felicità. Stanchezza e allo stesso tempo un’incredibile forza.»


Marie è una protagonista che attira immediatamente le simpatie del lettore perché non è un tipo che si piange addosso ma anzi è attiva e laboriosa e, come emerge man mano, piena di grinta e coraggio.

Non si lascia buttare giù dai tanti rimproveri della governante o delle altre domestiche "più anziane", dalle parole sprezzanti della cameriera personale della signora Alicia Melzer; non ha paura neanche di rivolgersi al padrone, il burbero e sempre nervoso signor Johann Melzer, o di parlare con le signorine Elizabeth e Kitty.
Solo al cospetto del signorino, Paul, il primogenito dei Melzer, si sente più a disagio.
Sarà perché nota come il giovanotto sia troppo gentile con lei, che è una semplice sguattera?

Tra Marie e Paul, sin dai primi momenti, si affaccia un'intesa che entrambi, per ovvie ragioni legate al diverso ceto sociale, farebbero bene a soffocare.
A differenza di quanto potrebbero pensare il signor Melzer e qualcun altro in casa, Marie non è affatto una arrampicatrice sociale o un'opportunista, non è neanche una ragazza che si lascia andare alla passione amorosa senza pensarci su, tutt'altro: è una fanciulla dai sani principi,  dignitosa, con un alto senso del rispetto di se stessa e degli altri.


La vita in casa Melzer è sempre ricca di cose da fare e di sorprese, e ben presto la bella e talentuosa Marie viene notata dalla signorina Kitty, la figlia più giovane dei Melzer, appassionata d’arte, che arriva a chiederle di posare per lei come modella da ritrarre. La signorina si renderà ben presto conto di come Marie non sia solo un'ottima modella ma ancor più una bravissima artista, con un gran talento nel disegno.

Tra le due coetanee nasce una sorprendente complicità, con sommo disappunto del capofamiglia, che prova verso Marie sentimenti contrastanti.
Da una parte, è contento di averle dato lavoro perché sa che era la cosa giusta da fare; dall'altra, teme che quella ragazza - così simile alla sua defunta madre - possa portare problemi in casa.

Johann ha conosciuto Luise, la mamma di Marie, ma è molto restio a confessare tale importante dettaglio alla ragazza perché questo significherebbe confessare la verità sui propri errori, su come egli abbia contribuito a fare di Marie un'orfanella...

C'è, quindi, un segreto che unisce i Melzer a Marie, e il lettore ne conoscerà i particolari progredendo nella lettura, che scorre con sufficiente fluidità, fatta eccezione per alcuni passaggi un po' più lenti.

Oltre al segreto custodito da Johann e che riguarda il passato di Marie, ci saranno altre vicende che smuoveranno le acque: Kitty ha un bel caratterino tutto pepe e farà l'errore di seguire l'amore per un baldo giovanotto, infilandosi in una situazione compromettente da cui dovrà essere tirata fuori.

Alla fabbrica dei Melzer, i problemi non mancano, tra scioperi degli operai, incidenti sul lavoro e macchinari che si rompono...: tutti eventi che mandano in crisi Melzer senior, il quale però potrà fare  affidamento - con sua grande sorpresa - su quel figlio maschio di cui non si è mai fidato.
Paul, infatti, futuro erede dell’impero, fino a quel momento, aveva vissuto come un dandy abituato a sperperare i soldi del padre: adesso, finalmente, si affianca al padre e riesce, con maestria e saggezza, a gestire molte delle difficoltà all'interno della fabbrica.


"La villa della stoffe" è il primo volume di una saga storica famigliare che si preannuncia piena di intrighi, amori e colpi di scena, in cui il punto di vista narrativo è affidato "ai piani bassi", ai domestici della Villa delle Stoffe, che inevitabilmente conoscono ogni segreto dei propri padroni, li servono con devozione più o meno sincera, ne invidiano la vita sfarzosa ed eccitante.

Lettura piacevolissima, vien voglia di proseguire, ed infatti ho iniziato il secondo libro, Le ragazze della Villa delle Stoffe.


giovedì 23 gennaio 2025

STORIA DEL NUOVO COGNOME. L'amica geniale vol.2, di Elena Ferrante [ RECENSIONE ]

 

Nel secondo volume della serie L'amica geniale, ritroviamo le due protagoniste - amiche sin dall'infanzia, Lila ed Elena, il loro rapporto di amore e odio, l’intreccio inestricabile di dipendenza e volontà di autoaffermazione.




STORIA DEL NUOVO COGNOME. 
(L'amica geniale vol.2)
di Elena Ferrante


Ed. E/O
480 pp
Lina Cerullo ed Elena Greco sono nel pieno dell'adolescenza e le loro strade, pur avendo solo sedici anni e vivendo ancora nel rione, hanno già cominciato a dividersi e a prendere direzioni opposte.
Ciò che le accomuna, al di là delle diverse decisioni prese, è la sensazione di essere in un vicolo cieco.

Lila si è appena sposata con Stefano Carracci e la sua esistenza è solo apparentemente migliorata: suo marito è un giovane e ambizioso uomo d'affari, non le fa mancare nulla e Lina può godere di una casa tutta sua e di una disponibilità economica che di certo prima non aveva. 

Ma prendere il cognome di Stefano ha significato anche, per lei, perdere un po' sé stessa: l'uomo la ritiene e la tratta come se fosse una sua proprietà.
Dice di volerle tanto bene, si sforza di assecondarla e di avere pazienza, perché lo sa com'è fatta la giovane moglie (capricciosa, testarda, ribelle, indipendente...) ma al contempo è evidente che si crede di essere il suo proprietario e, in quanto tale, ha il diritto e dovere di "raddrizzarla", pure con le mazzate, se necessarie.

Dal canto suo, Elena è ormai una studentessa modello ma, proprio durante il matrimonio dell’amica, ha scoperto che non sta bene né nel rione né fuori.

Cerca in tutti i modi di distinguersi a scuola ma diversi fattori interverranno per far sì che il suo rendimento scolastico, a un certo punto, diventi altalenante.
E questo la manderà un po' in crisi: lo studio, la scuola, la possibilità di proseguire e andare all'università prendendo ottimi voti al liceo, sono le uniche cose cui può ambire. Non può permettersi di fallire.

La sua famiglia è un fardello pesante da portare, in particolare lo è Immacolata, sua madre, che non fa altro che rimproverarla e rinfacciarle i sacrifici fatti per farla studiare, pretende che la figlia porti i soldi a casa, che "faccia i mestieri domestici", badi ai fratelli piccoli, e mette pure bocca sulla relazione tra la Lenuccia e Antonio.

Antonio, a sua volta, è motivo di amarezza e delusione per Elena, che in realtà non ne è davvero innamorata ma sta con lui per non essere sola, soprattutto perché attorno a lei tutte si fidanzano e Lila s'è pure maritata.

Come sempre accadrà nel legame tra le due ragazze, negli anni esse si avvicineranno, diverranno intime confidenti, per poi allontanarsi nuovamente, e questo modo di fare caratterizzerà sempre la loro pur sincera amicizia.

In questo romanzo, il rione è ancora il cuore pulsante di tutto, lo sfondo che accoglie e condiziona le vite delle protagoniste, che lo percepiscono sempre più come una odiosa trappola per chi, come loro, vuole allontanarsene, scrollarsi di dosso la triste eredità di quella realtà fatta di pettegolezzi, botte, urla, miseria, sopraffazione dei potenti versi i più poveracci, strozzinaggio, vendette in stile mafioso e tanta, tanta ignoranza a tutti i livelli.

Proseguendo nella lettura, attraverso gli occhi di Lenù, conosciamo in modo intimo le vicissitudini dei numerosi personaggi: le non facili ambizioni scolastiche di Elena e i suoi momenti di scoraggiamento, il suo sogno nel cassetto di diventare qualcuno attraverso la scrittura; la vita matrimoniale di Lila, contrassegnata da prepotenze e violenze, cui lei non si sottomette (anche se talvolta mostrerà di calmarsi, ma il suo spirito indomito è tutt'altro che piegato o spezzato dagli schiaffoni), il suo fiuto negli affari, che la rendono speciale agli occhi sia di Stefano che di Rino (fratello di Lila) e soprattutto dei prepotenti Solara - Marcello e Michele -, e in special modo quest'ultimo non ha smesso di essere ossessionato da Lila e di sperare che lei passi dall'essere di un Carracci all'essere una proprietà sua; le dinamiche messe in moto dal ritorno in scena di Nino Sarratore, ormai giovane uomo avviato verso una brillante carriera universitaria grazie alla quale può manifestare al mondo la sua intelligenza, la sua cultura, il suo sapere, la dialettica nel disquisire di argomenti vari, dall'economia alla politica alla letteratura.

Nino ha un posto privilegiato nel cuore di Elena, da sempre segretamente innamorata di lui e folle di gelosia nell'apprendere come egli preferisca fare il filo a chi non deve e continuare a considerare lei, Elena, solo una buona amica con cui sfogare le proprie pene d'amore.

Che sia in merito all'amore per/di Nino o in merito ai risultati scolastici e al raggiungimento di obiettivi, il cruccio principale di Lenù è e sarà sempre l'amica del rione, Lila: possibile che la signora Lila Carracci, intelligente sì ma senza cultura, strafottente e sprezzante verso chiunque sia più acculturato di lei, secca come un'acciuga, con quello sguardo che trasmette perfidia, cattiveria... possa piacere tanto agli uomini, disposti a fare pazzie pur di averla?
E Nino Sarratore potrebbe rientrare nella schiera di coloro che soccombono al misterioso fascino di Lina Cerullo?

Galeotta sarà un'emozionante vacanza estiva a Ischia, che porterà non poco scompiglio.

Ovviamente, attorno alle due si svolgono altre dinamiche, che le più o meno riguardano direttamente e che vedono di volta in volta coinvolti gli altri abitanti del Rione: Pinuccia e Rino, Gigliola, Antonio e la sua famiglia, Bruno Soccavo (amico di Nino, che ritroviamo a Ischia), Pasquale ed altri.

La penna profonda e acuta, sensibile e mordace, intrisa di schietto realismo, di Ferrante è capace di trasportarti con forza nel rione, così da viverlo a 360° insieme a Lila e Lenù.
Tutto, nella narrazione, è viscerale, forte, prepotente, in alcuni momenti pure disturbante, e si insinua nelle pieghe della mente e della pelle del lettore, che ne viene risucchiato divenendo anch'egli un abitante del quartiere.

Dalle pagine prendono forma, voce, corpo tutti i personaggi con le loro caratteristiche fisiche e di personalità.

➤La sgradevolezza dei Solara, la loro boria che li spinge a credersi i padroni del mondo (o quanto meno del rione).

➤ La grettezza di personaggi come Rino, il signor Greco, con il loro essere mediocri, apatici, senza spina dorsale.

➤ La sciocca superficialità delle tante donne del rione, le classiche pettegole di quartiere.

➤ La debolezza e l'inferiorità di Stefano Carracci rispetto a Lila, che lo spingono ad imporsi con l'aggressività e la violenza fisica e verbale non potendo rispondere all'acume e alla furbizia della moglie ad armi pari.

➤ La straordinaria intelligenza (cognitiva, emotiva, pratica) di Lila Cerullo, la cui sagacia, la capacità manipolatoria, il saper scrutare nell'animo di Lenuccia e non solo, la sua determinazione nell'agire come desidera senza condizionamenti e sottomissioni, cosa che fa arrabbiare chi le è attorno e, al contempo, la rendono unica e degna di rispetto. 

Lila è così: respingente in quanto dura, cinica, crudelmente schietta, e attraente al tempo stesso perché innegabilmente forte, determinata, onesta, libera. È la strega ma anche la fata, la si detesta e la si ammira.

➤ L'incapacità di Elena di trovare una collocazione nel mondo, di tracciare la propria strada attraverso le proprie capacità e i propri sogni.
Ella sa solo che non vuole restare nel rione e desidera essere al passo con Lila (se proprio non può superarla), di cui invece finisce per essere sempre all'ombra, a volte accanto ma, per la maggior parte, dietro.

Elena e Lila sono due protagoniste che entrano nel cuore e che regalano molte emozioni; leggendo, mi rendevo conto di come mi riuscisse difficile provare empatia più con una che con l'altra o viceversa; piuttosto, in base a ciò che di loro apprendevo, finivo per provare più o meno simpatia ora per Lila, ora per Lenù, detestando o amando certi loro modi di fare, certe decisioni prese, certe parole pronunciate.

A volte ho odiato Lila quando ostentava sicurezza, tracotanza e un'aria di incomprensibile superiorità verso Lenuccia e quel mondo di intellettuali che ciarlano di cose che concretamente non è detto conoscano; li disprezza apertamente ma forse questo nasconde un complesso di inferiorità e la consapevolezza che, nonostante le proprie doti intellettive, lei non farà mai parte di quel mondo altolocato e la cosa la indigna e la incattivisce anche verso la sua migliore amica, che invece lo frequenta.

Elena spesso mi ha innervosita in quanto troppo insicura, sempre bisognosa di ricevere gratificazione e lodi, di sentirsi apprezzata dagli altri (ad es. da coloro che ritiene dotti e sapienti, vedi la professoressa Galiani e tutto il mondo intellettualoide cui appartiene o Adele Airota), di dover dimostrare capacità, intelligenza e bravura; per non parlare di quel suo cercare continuamente l'approvazione di Lila e Nino, verso cui è tanto debole e patetica.

Seppur mosse da motivazioni e desideri differenti, Lila e Lenù vedono Nino come colui che può elevarle e liberarle dal rione, in cui regnano ignoranza, maleducazione, mediocrità, grettezza mentale e culturale, perché ambedue in fondo disprezzano il contesto da cui vengono, che per loro è un'eredità pesante di cui vorrebbero liberarsi per spiccare il volo verso una reale indipendenza, per potersi affermare e realizzare.


Che dirvi ancora?

La verità è che su questa saga ci sarebbero tante cose da dire, tante considerazioni da fare (ad es. sul contesto storico-politico, sugli anni in cui ci troviamo - gli anni Sessanta - sui ruoli e i rapporti uomo-donna dentro e fuori dal rione, sulla scrittura stessa della Ferrante...) ma la cosa migliore che posso fare è consigliare, a chi ancora non l'ha fatto, di immergersi totalmente in queste pagine, dalle quali è facile venire assorbiti e coinvolti grazie a una narrazione appassionante, dinamica, che punta tanto sulle relazioni umane e su un'egregia caratterizzazione dei personaggi. 

Lenù e Lila diverranno due amiche che sarà difficile lasciare.
Io ho cominciato il terzo volume subito, proprio perché mi mancavano.


mercoledì 22 gennaio 2025

MICIO CUPIDO di Ilaria Carioti [ RECENSIONE IN ANTEPRIMA ]


Lui è una ex-rockstar che da tempo non sa più cosa sia il successo; lei è una veterinaria con una vita sentimentale "sfigata".
In comune sembrano non aver nulla, se non fosse che entrambi hanno un gatto in casa cui sono molto affezionati.
Non solo, ma sia lui che lei sono delusi, sfiduciati, non cercano una relazione amorosa, ma il dio dell'amore non ha smesso di scoccare le proprie frecce.

MICIO CUPIDO
di Ilaria Carioti


 
290 pp

Quando il lettore incontra Adriel per la prima volta, ha di fronte a sé un giovane cantante talentuoso, il frontman di una rock-band, The Bats, all'apice della fama, che riempie stadi e manda in deliquio stuoli di fans inferocite e innamorate dei suoi pettorali, oltre che della sua voce graffiante e carismatica.

Ma il successo, si sa, sa essere trascinante quanto impalpabile come carta velina, e basta poco perché dalla cima ti ritrovi a terra, e più in alto eri, più la caduta risulta rovinosa.

Per Adriel è così: da lì a pochi anni più tardi, la gloria è solo un lontano e malinconico ricordo.
Del bellissimo e affascinante rockettaro non resta che un uomo che vive nell'ombra, che vorrebbe non essere neppure riconosciuto dalle fans di una volta, che preferisce la solitudine a tutto il resto.

Ma la sua vita solitaria viene presto interrotta quando prende in affitto un appartamentino in mansarda e lì vi trova già un inquilino: un gattino.

All'inizio vorrebbe liberarsene, ma poi qualcosa lo spinge a prendersene cura, dandogli anche un nome: Schizzo.
Avendo la bestiola come unica compagnia, Adriel esprime inconsapevolmente un desiderio di per sé impossibile: poter parlare con il suo amico peloso.
Un desiderio formulato con la leggerezza di chi sa di pronunciarne uno irrealizzabile.
Ma... Schizzo incredibilmente riesce a comunicare con lui, a farsi capire e a rispondere al suo padrone.
Spaventato e disorientato all'idea che un gatto "parli", Adriel si reca in una clinica veterinaria, temendo che Schizzo sia vittima di una strana malattia.
Lì i due conoscono Cristiana, giovane veterinaria che da poco si è trasferita a Roma da Orvieto; la ragazza è sempre stata una fan accanita dei The Bats e follemente invaghita del bellissimo Adriel.
 
Dal canto suo, Schizzo sta benone e, anzi, come se non gli bastasse l'uso della parola, rivela di avere un bel caratterino: è logorroico e ipocondriaco, tende a lamentarsi e a pretendere attenzioni esclusive e crocchette di buona qualità.
Ed è poco socievole.
 
Tant'è che quando si vedono fiondare in casa la ragazza che abita al piano di sotto e la sua gattina Minù, Schizzo non la prende benissimo: lui vorrebbe starsene in pace con il suo amico umano, non ha alcuna voglia di socializzare né con l'umana - che, guarda caso, è la veterinaria che l'ha visitato e che ha gli occhi a cuoricino in presenza di Adriel - né tanto meno con la sua sciocca e insistente gattina, che gli si struscia addosso dal primo momento.
 
Quando Cristiana scopre che non solo ha avuto modo di visitare il gatto del suo cantante preferito ma che questi vive nella mansarda del palazzo in cui si è appena trasferita, stenta a credere che una tale fortuna possa essere capitata proprio a lei, che pare avere la sfiga attaccata addosso.
 
La ragazza è da poco uscita da una relazione che le ha procurato non poche lacrime: quando viveva ad Orvieto (lavorando come veterinaria in una clinica), ha commesso l'errore di innamorarsi e iniziare una relazione con un uomo sposato il quale, nonostante le tante promesse e il dichiarato amore, si rivela essere un codardo, incapace di prendere decisioni scomode, per cui preferisce interrompere la relazione con Cristiana, che si ritrova single e senza lavoro.
 
Adesso che è a Roma, non ha alcuna intenzione di mettere a rischio il proprio cuore con un nuovo amore che possa illuderla e deluderla, anche se si tratta nientemeno che del suo idolo, che col passare degli anni non ha fatto che migliorare, assumendo un fascino più maturo, tormentato e misterioso.
I due iniziano a frequentarsi, non per scelta di Adriel o di Schizzo - entrambi asociali - ma a causa dell’invadenza proprio di Cristiana, che entra nelle loro vite insieme alla sua gatta Minù, portando un po' di solarità nelle grigie giornate dell'ex cantante.
 
In prima battuta, Schizzo è infastidito dalle due femmine insistenti e ciarliere, e cerca in tutti i modi di scoraggiare Adriel dal frequentarle, ma Cupido ha già iniziato a muoversi tra loro e a tessere le proprie trame e Schizzo avrà l'occasione di decidere se dare o meno una svolta decisiva al rapporto fra l'artista e la veterinaria.
 
Mentre l'amicizia sincera tra i due si va consolidando, la vita comincia a porli davanti a nuove possibilità ma anche nuovi e vecchi dilemmi.
 
Sarà possibile per Adriel ritornare a cantare e a suonare con la sua band? Cristiana, nella sua innocente schiettezza, è convinta di sì - il talento non ha di certo abbandonato il ragazzo -, ma non basta la sua positività. C'è bisogno di una reale e concreta offerta a tornare sulle scene.
Arriverà mai quest'ultimo treno?
 
A sua volta, Cristiana si ritrova a dover fronteggiare una situazione famigliare complicata, che le darà non pochi turbamenti e preoccupazioni, ma la sua amicizia con Adriel potrebbe rivelarsi un'ancora di salvezza.
 
Ma c'è davvero solo amicizia tra i due?

 
"Micio cupido" è un romance contemporaneo con un elemento fantastico (il gatto parlante), dai toni ironici e ricco di passaggi e dialoghi divertenti, grazie in particolare al gatto Schizzo, che riesce a comunicare con il suo padrone, divenendo per lui un vero e proprio compagno di avventure, un consigliere a volte saggio, altre volte un po' lamentoso, ma di certo un amico prezioso.
 
La narrazione procede fluida e con un ritmo vivace, anche grazie all'alternarsi dei punti di vista di Cristiana e Adriel; è una lettura che sa intrattenere in modo simpatico e che sicuramente piacerà non solo a chi ricerca letture romantiche ma anche a quanti amano spassionatamente i gatti.
 

Il romanzo è in uscita oggi, 22 gennaio.  >> LINK AMAZON  <<

 
L' autrice.
Ilaria Carioti, nata a Nettuno (RM) il 1978, ha avuto sin da bambina una propensione per le arti creative e ha continuato a leggere, scrivere e dipingere nel tempo libero. Negli ultimi anni ha pubblicato diversi romanzi: “Il cuore non dimentica mai”, "E se invece fosse amore”, "L'amore non era previsto", "Amore senza esclusione di colpi", "Un imprevisto da favola", favola moderna ispirata a La bella e la bestia; “Rotta verso l’amore”, “Io e te oltre le nuvole”, una storia di rinascita e di speranza, l’amore impossibile tra uno spirito libero e una donna alla ricerca di se stessa; “Nemici del cuore”, “Un imprevisto da favola”, “La mia favola da le mille e una notte”, romantic suspense, retelling della celebre cornice di raccolta di novelle Le mille e una notte. A maggio 2023 esce “Cose dell’altro mondo”.
 
 

domenica 12 gennaio 2025

NON AVRAI ALTRA DONNA ALL'INFUORI DI ME di Antonio Chirico [ RECENSIONE ]



Un giallo storico che rende conto, in modo molto dettagliato, di un caso giudiziario basato su fatti realmente accaduti, avvenuti negli anni Venti del secolo scorso in Puglia e che vedono contrapposte due differenti verità su ciò che è accaduto in una sera di primavera, quando fu ucciso un giovane uomo, colpevole di aver sedotto e abbandonato una povera fanciulla.


NON AVRAI ALTRA DONNA ALL'INFUORI DI ME 
di Antonio Chirico 

Readaction
347 pp
"A che serve la verità? Assicurare i colpevoli alla giustizia fa forse resuscitare i morti? Certo che no. E colpevoli sono solo coloro la cui mano abbia premuto il grilletto? Ci sono invero responsabilità che nessun codice mai sanzionerà e in nessuna galera si potranno scontare. Sono le colpe dell’ambiente circostante, della cultura imperante, della famiglia di appartenenza, le colpe della stessa vittima del reato."

Nella serata dell'11 aprile 1923 un medico di quarant'anni sta uscendo dalla farmacia D’Andria quando viene freddato per strada da tre colpi di pistola.
Soccorso immediatamente, prima di esalare l'ultimo respiro riesce a mormorare alcune frasi e a ripetere più volte: «I miei cugini mi hanno ucciso.» 

Non passa molto che si procede subito all'arresto della prima sospettata: Maria Caramia, che si trovava non lontano dal luogo del delitto e indossava abiti maschili.

Ma a sconfessare la sua colpevolezza ci pensa la sorella della stessa, Costanzina Caramia, che si dichiara colpevole di aver sparato al medico Pietro Caramia.

La donna viene quindi arrestata e accusata di omicidio volontario, da lei stessa confessato.

Caso risolto? Nulla di più semplice quando c'è un reo confesso, giusto?

Quello che, a prima vista, potrebbe sembrare un caso di omicidio "facile" da risolvere, in realtà si rivelerà un vero e proprio ginepraio che terrà impegnato per diverso tempo il giudice istruttore a capo delle indagini e tutto il commissariato coinvolto.

E soprattutto, vedrà impegnati i cittadini di Torre Santa Susanna che, come fedeli in una processione, si susseguiranno giorno per giorno, settimana dopo settimana, alla scrivania del giudice Francesco Giove, che ascolterà con molta attenzione ogni testimonianza, farà accomodare ogni persona che gli si presenterà davanti, desiderosa di dare il proprio contributo alla giustizia, e avrà la pazienza di lasciarle parlare (in alcuni casi "sproloquiare") anche quando non tutte le testimonianze si riveleranno realmente utili.

Il presente giallo storico di Antonio Chirico procede di deposizione in deposizione, in un alternarsi di uomini e donne di qualunque età e grado di istruzione, che si susseguono  nel raccontare, con maggiore o minore sollecitudine,  il proprio punto di vista, la propria conoscenza dei fatti e delle persone che ruotano attorno all'omicidio di Pietro Caramia.


Vengono ascoltati tutti: le persone sospettate di aver commesso l'omicidio (c'è la possibilità che la rea confessa potrebbe aver mentito) o di essere complici, i testimoni oculari - coloro che hanno visto i sospettati allontanarsi dalla farmacia, chi ha soccorso la vittima... -, tutti i vari e numerosi parenti di Pietro e Costanzina, che tra l'altro erano cugini.

La parentela, però, non ha impedito ai due di avere una relazione amorosa clandestina, dalla quale è nato un figlio; ovviamente, Costanza sostiene di essere stata sedotta e abbandonata, di essere stata circuita dal cugino - di diversi anni maggiore di lei e con molta più esperienza -, il quale ha approfittato della sua innocenza e ingenuità per poi stufarsene e gettarla via come una scarpa vecchia.

Di fronte a tutta la sofferenza causata all'ex-amante, l'uomo non si è mai impietosito ma ha sempre trattato con disprezzo e cattiveria la povera ragazza disonorata...

Che siano convocati dagli inquirenti o che si rechino spontaneamente in commissariato, coloro che testimoniano si dividono sostanzialmente in due categorie: chi parteggia per la vittima e chi invece "difende" l'assassina nel senso di vedere in lei la vera vittima, colei che nel corso degli anni ha sofferto, ha vissuto nella vergogna e nella solitudine, macerandosi nel dolore, nel rancore e in desideri di vendetta che evidentemente l'hanno portata a fare quello che ha fatto.

"Era in corso una guerra aperta tra gli zii e i nipoti maschi e ciascuna parte si stava muovendo sul campo con testimoni chi più, chi meno, falsi, per far prevalere la propria verità. 
Ma qual era la verità obiettiva? Quella dei testi “vicini” agli zii o quella degli informatori schierati dai fratelli di Costanza e a larghe maniche arruolati tra gli iscritti al fascio locale? 
Non era affatto facile comprenderlo. Sembrava che più si andava avanti nelle indagini, più la verità tendeva a nascondersi, e ciò che prima era chiaro diveniva incerto. 
La verità era una palude nelle cui acque torbide stavo lentamente affondando". 


Seguendo gli interrogatori e le riflessioni dei giudice istruttore - un uomo equilibrato, coscienzioso, che esercita la propria professione con serietà e convinzione - diviene sempre più chiaro come, anche in un caso in cui il colpevole del reato in oggetto è certo (seppur con qualche dubbio sorto in itinere), non è altrettanto automatico e semplice stabilire in modo inequivocabile la verità assoluta.

Pietro è stato ucciso a sangue freddo, è vero, e ciò è un dato acclarato e confermato dalla stessa rea confessa, Costanza, che però ha agito... in quale stato emotivo e mentale? 

La condotta scellerata (stando alle dichiarazione di Costanza e famiglia, non certo in base ai famigliari di Pietro) del dottore, e la conseguente frustrazione e infelicità della cugina, possono costituire un attenuante per l'assassina?

Siamo in un paesino del sud Italia in cui certi modi di pensare, di considerare i ruoli e i comportamenti degli uomini e delle donne, i pregiudizi, l'importanza data alle "chiacchiere di paese", alla conoscenza personale di Tizio e Caio, alle opinioni politiche (i fratelli di Costanza militano nel partito fascista), hanno il loro peso e tutti questi fattori sono importanti perché il giudice possa farsi un'idea complessiva del contesto umano e sociale in cui quel delitto ("d'onore"?) è maturato, come esso viene giudicato, condannato o addirittura "giustificato".

È un libro senza dubbio ben scritto, interessante e che, prendendo a pretesto un assassinio, ci offre un ritratto sfaccettato e realistico di una realtà di paese dei primi anni del '900; io l'ho apprezzato e credo che esso possa piacere in particolare a quanti sono appassionati di casi giudiziari a carattere storico; in queste pagine si può apprezzare la penna scrupolosa e accurata dell'autore, il quale di volta in volta adegua il linguaggio al livello culturale dei personaggi (tanti che accorrono a dire la loro sono persone semplici, umili, spesso analfabete, che si esprimono in dialetto stretto*), così che il lettore possa sentirsi immerso in quel luogo e in quegli anni, come se anch'egli fosse nell'ufficio del giudice a raccogliere deposizioni e a farsi una propria idea di ciò che ascolta.




* le parole/espressioni dal significato meno intuibile sono "tradotte" in italiano nelle note


venerdì 10 gennaio 2025

PRIMO SANGUE di Amèlie Nothomb [ mini-RECENSIONE ]

 

In questa breve e interessante biografia, la scrittrice belga racconta l'infanzia e la giovinezza di suo padre, il diplomatico Patrick Nothomb.



PRIMO SANGUE
di Amèlie Nothomb

Voland Ed.
trad. F. Di Lella
128 pp
Il nostro primo incontro con il  protagonista è decisamente drammatico per lui: ha 28 anni ed è davanti a un plotone d'esecuzione pronto a sparargli, scena che viene ripresa nelle ultime pagine del libro.

Tra i due momenti c'è una giovane esistenza che ci viene raccontata con eleganza, brio, simpatia, e così conosciamo il piccolo Patrick Nothomb, rampollo di una delle più influenti famiglie del Belgio. 

Conosciamo sua madre, rimasta troppo presto vedova, una figura tanto eterea e bellissima quanto distante affettivamente dall'unico figlio, che soffrirà sempre sia per la mancanza di un padre che per l'amore distaccato della mamma.

Fortunatamente ha accanto i nonnini materni, affettuosi e premurosi, e crescendo conoscerà anche il nonno paterno - severo poeta, orgoglioso del proprio nobile casato - e i numerosi figli di lui, alcuni dei quali coetanei dello stesso Patrick.

Immerso in una realtà famigliare a dir poco bizzarra, il piccolo Patrick si impegna giorno dopo giorno a diventare un giovanotto con carattere e con le idee chiare.

È un libro di poco più di 100 pagine ma vi assicuro che è piacevolissimo in quanto il ritratto che Amèlie ci dà della propria storia familiare sa intenerire e divertire.

In quanto figlia, la scrittrice ci parla di Patrick in modo vivido e dettagliato, dandoci l'opportunità di conoscere aneddoti curiosi e aspetti interessanti della personalità del diplomatico belga, il cui primo incarico l'ha visto impegnato in Congo, tra non poche difficoltà.

Non avevo mai letto nulla di questa scrittrice, di cui ho apprezzato molto la penna elegante e ricca di sfumature e di cui ho intenzione di leggere altro.


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