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sabato 21 giugno 2025

Recensione || L'IMPREVEDIBILE CASO DEL BAMBINO ALLA FINESTRA di Lisa Thompson



Un dodicenne affetto da misofobia * passa le giornate chiuso dentro casa a guardare, dalla finestra della propria camera, ciò che accade in strada ai vicini.
Un'abitudine stramba, che lascia perplessi i vicini e smarriti e dispiaciuti i genitori ma che, al momento opportuno, potrebbe rivelarsi molto utile per risolvere un mistero...


L'IMPREVEDIBILE CASO DEL BAMBINO ALLA FINESTRA
di Lisa Thompson


De Agostini
trad. M. Lowery
V. Zaffagnini (ill)
304 pp

«Non aspettare che il temporale passi. 

Devi uscire e danzare sotto la pioggia.»


Matthew Corbin è un ragazzino di dodici anni che sta vivendo una fase molto delicata della propria giovanissima vita: ha, infatti, un'immensa paura dei microbi e questa condizione non può che farlo soffrire e creargli problemi nella gestione della quotidianità e del rapporto con gli altri.
Matthew è ossessionato all'idea che miliardi di germi e batteri si depositino su qualsiasi superficie a lui vicina e che possano "assalirlo", contaminandolo e facendolo ammalare.
E lui deve assolutamente evitare di "sporcarsi" toccando o facendosi toccare da qualsiasi cosa o persona sia portatrice di maledetti e micidiali microbi. Non può e non vuole, per nessuna ragione, ammalarsi a causa di questi esserini invisibili e potenzialmente mortali.
Una fobia del genere non può che condizionare la sua vita quotidiana.

Tanto per iniziare, non esce praticamente mai di casa e raramente dalla propria stanza.
Starsene chiuso tra le famigliari quattro mura - che egli si premura di pulire e lucidare e disinfettare in ogni modo, con costanza e tenacia - lo fa sentire al sicuro da germi, batteri e da tutti i pericoli del mondo esterno. 

I genitori Sheila e Brian sono preoccupati: il loro bambino si rifiuta di andare a scuola, non vuole neppure giocare a biliardino col padre, non si lascia abbracciare, sta lontano dal gatto Nigel come se da un momento all'altro potesse saltargli addosso e attaccargli peli e malattie feline... 
E ovviamente non ha amici, non va in strada a giocare a pallone, non esce... niente: passa il tempo affacciato alla finestra a osservare gli strani vicini di casa e ad annotare ogni cosa sul suo diario. 

Fino al giorno in cui Teddy, il nipotino del signor Charles, che ha solo quindici mesi, scompare improvvisamente.
Matthew è stato l'ultimo a vederlo, dalla finestra, ma ovviamente non sa dire come sia potuto allontanarsi dal giardino in cui stava giocando né se un estraneo si sia introdotto per rapirlo.

Quando la polizia viene allertata, comincia a piantonare il giardino e il quartiere, facendo domande a tutti, compreso Matthew, che racconta ciò che sa lasciando un po' interdetti i poliziotti quando capiscono che il ragazzino non fa che osservare tutto e tutti dalla sua finestra e scrivere ciò che vede sul quaderno.

Una cosa emerge chiaramente da subito: la scomparsa del piccolo non ha lasciato tracce, non si riescono ad individuare né moventi né testimoni davvero utili né una banda di rapitori ha chiamato per chiedere un riscatto. 

L'angoscia di tutti è alle stelle e Matthew sta bene attento ad analizzare i comportamenti di tutti.
C'è chi si comporta come sempre - tipo la coppia che aspetta un bambino - e chi invece è più strano che mai, come il nonno del piccolo, il signor Charles, che continua a curare il proprio giardino con la stessa sollecitudine di sempre, oppure la sorella maggiore di Teddy, Casey, sempre con la sua inquietante bambola di porcellana in mano e con quel suo continuo prendere in giro Matthew chiamandolo pesciolino (proprio in virtù del fatto che se ne sta chiuso in camera come un pesce in un acquario).

Il ragazzino assorbe tutta l'ansia e la paura degli adulti in merito alla scomparsa di Teddy e vorrebbe poter fare qualcosa, ma come potrebbe, proprio lui che non ha manco il coraggio di uscire fuori di casa?

Ed ecco, allora, che la strada migliore da percorrere è aprirsi un po' agli altri.

In particolare, c'è la giovanissima vicina Melody Bird - una tipa un po' strana che ha l'abitudine di frequentare il cimitero - e, più tardi,  si aggiungerà Jake, coetaneo di Matthew e, in passato, suo grande amico.

Per Matthew interagire col prossimo - a partire dagli stessi genitori - è molto difficile perché il pensiero di contaminarsi lo ossessiona e lo terrorizza.
Leggere di quante volte (decide e decine) si lava le mani con sapone, candeggina, acqua bollente, della quantità di guanti di cui necessita quando esce dalla propria camera... fa tenerezza e fa riflettere su quanto soffrano le persone affette da disturbi ossessivo compulsivi (DOC), come questo che affligge il protagonista.

Ma da cosa ha origine questo DOC in un bambino di dodici anni?

Durante la lettura, capiamo che c'è stato un evento tragico e doloroso, accaduto in famiglia, che lo ha traumatizzato, innescando in lui questo terrore di sporcarsi, unito al senso di colpa che, lasciandosi raggiungere dai microbi, potrebbe essere causa di problemi per le persone che ama.

Matthew è un ragazzino intelligente, sveglio, sensibile; egli si rende conto di come e quanto i suoi genitori soffrano nel vederlo così e questo lo fa stare peggio, perché aumenta il senso di colpa e lo fa sentire inadeguato, incapace, diverso.

Appassionarsi alla sparizione del bimbo, però, diventa l'occasione per sfidare sé stesso e le proprie paure, per tentare di vincerle, lasciandosi aiutare dai due amici investigatori e dai genitori, che si sono rivolti a una professionista per capire come andare incontro ai comportamenti ossessivi del figlio.

L'investigazione procede, tra ipotesi, piccoli abbagli ed errori e nuove piste da percorrere.
Sarà la capacità di osservazione di Matthew a permettere di risolvere il mistero e a condurlo dritto dritto dai colpevoli della scomparsa di Teddy.

Questo romanzo per ragazzi lo consiglio perché  ha il pregio di essere molto scorrevole nello stile, originale nella trama perché il protagonista ha questo DOC e la sua condizione ci viene descritta con naturalezza, senza essere né pesante né superficiale; l'elemento giallo è accattivante ma ad avermi colpita maggiormente è l'aspetto psicologico legato alla fobia, al rapporto con i genitori, con l'esperienza traumatica che sta all'origine, e mi sono commossa verso la fine perché l'autrice è riuscita a farmi sentire le difficoltà e la sofferenza che si celano dietro un disturbo che, dall'esterno, può apparire bizzarro ma che in realtà nasconde disagio, dolore, fragilità e che va quindi individuato, trattato, compreso in modo serio e professionale. Bello il messaggio di speranza che lascia in riferimento alla possibilità di riprendere la propria vita e ricominciare a vivere.

Molto carino, lo consiglio!!




*  La misofobia consiste in una estrema paura dei germi ed è caratterizzata dalla tendenza ad evitare, in ogni modo possibile, l’esposizione ad agenti contaminanti.
Come ogni fobia, tende a peggiorare proporzionalmente agli evitamenti messi in atto.
Nel tempo è possibile rimanere bloccati in un circolo vizioso che compromette la qualità di vita, simile a quello caratteristico del disturbo ossessivo compulsivo (> QUI <).

lunedì 16 giugno 2025

Recensione || Il BAGLIORE D’ARGENTO di Catherine Bilson



Una giovanissima insegnante lascia la California per insegnare nell'unica scuola di un paese piccolo e tranquillo, senza immaginare che la sua vita sta per cambiare radicalmente.
Un aitante cowboy è alla ricerca dell'oro nella assolate terre del Nevada ma, nel tornare a casa, sarà l'amore a trovare lui...



Il BAGLIORE D’ARGENTO
Romanticismo e coraggio nel cuore della frontiera 
di Catherine Bilson


(Cuori di Frontiera Vol. 1)
416 pp.
Daisy Jackson è una giovane maestra, orfana di entrambi i genitori e sola, che si candida per il posto di insegnante a Rattlesnake Ridge,  in Nevada.
Nell'inviare la candidatura non dà dettagli sulla sua giovane età, né sulla mancanza di esperienza lavorativa né, soprattutto, sulle sue origini miste (è per metà cinese), che potrebbero non essere accettate dal comitato cittadino.
Eccitata all'idea di cambiare vita, lascia la California per recarsi in questo nuovo stato.

Luke Rockford è un cowboy che ha superato la trentina, è bello, muscoloso e ancora scapolo.
Quando accidentalmente i suoi occhi si posano sul bel faccino della nuova maestrina di Rattlesnake Ridge, ne rimane immediatamente affascinato, anzi folgorato. 

Comincia a girarle rispettosamente attorno e a corteggiarla con discrezione, mentre lei oscilla tra l'imbarazzo e il piacere di essere corteggiata da un così baldo giovane.

Insomma, lui piace a lei, lei piace a lui... Devono solo dichiararsi amore eterno e vivere per sempre felici e contenti.

Però giustamente qualche problemino ci deve essere, sennò sarebbe tutto fin troppo semplice (lo è comunque, tranquilli).

L'ostacolo ha un nome e un distintivo, quelli del vice sceriffo Grant Watson, pure lui attraente e giovane, che ha messo gli occhi sulla giovane maestra. 
E Grant, al contrario del rozzo ma galante Luke, non è il tipo che si chiede se potrebbe o no piacere a Daisy; lui è di quelli abituati ad avere sempre ciò che vogliono e da subito manifesta un ingiustificato senso di possesso verso la ragazza, il che lo porta ad avere comportamenti inopportuni.

Ma la bella e pura fanciulla non ha nulla da temere: c'è il bel cavaliere sul proprio destriero e con la mano sulla pistola a salvarla dai cattivi!

Cavaliere che, tra l'altro, sta cercando - assieme al fidato amico Jack - di seguire le orme paterne e andare alla ricerca dell'oro a Virginia City *.  Chissà che la fortuna non gli sorrida...


Siamo nel 1871 e Rattlesnake Ridge è tipo Virgin River versione western: si conoscono tutti, sono tutti - o quasi - socievoli, amichevoli, disponibili a dare una mano (la prima persona con cui Daisy fa amicizia è una vedova rispettabile e dal carattere forte, che per campare canta nei saloon ma anche nel coro della parrocchia, a testimonianza del fatto che è una brava persona, eh), pronti a organizzare buffet per mangiare qualcosa insieme; poi qui ci sono anche la chiesuola con il reverendo simpatico e generoso e lo sceriffo comprensivo e attento ai bisogni e ai problemi dei cittadini.
In pratica, un posticino idilliaco, pacioso, quasi paradisiaco, dove i pochissimi cattivelli che rovinano l'atmosfera bucolica vengono tempestivamente individuati e resi inoffensivi.

I personaggi principali sono (appena) sufficientemente delineati e rientrano nei cliché del genere romance più classico: lei ingenua, il candore virginale la precede e la segue pure (sospetto creda che i bimbi nascano sotto il cavolo ma potrei sbagliarmi), non ha mai conosciuto neanche lontanamente il sapore di un bacio a fior di labbra, è un'insegnante coscienziosa e amorevole, unica pecca: sangue misto, che a quel tempo era effettivamente un problema **
Ed infatti l'autrice menziona -. ma senza approfondire più di tanto - il tema dei pregiudizi razziali.

Che dire...?
Lo consiglio solo ed unicamente (e comunque con moooooolte riserve) a chi desidera leggere un romance pulito, squisitamente romantico, ricco di buoni sentimenti e belle persone, con un'ambientazione che personalmente io trovo sempre attraente: il vecchio West, appunto, e anzi è proprio il motivo che mi ha spinto a scegliere questo libro sul catalogo Kindle Unlimited.

Per il resto, la storia di per sé non spicca per originalità, i personaggi sono abbastanza stereotipati e prevedibili in opere e parole, ma a darmi fastidio è stata - DI NUOVO! - la traduzione che, ripeto (come nel caso di Sabbie di Persia) è di sicuro frutto dell'Intelligenza Artificiale ed è "super iper pessima".

Non ho pensato a screenshottare tutte le castronerie perché ero impegnata a ridacchiare per il nervosismo (non so neppure io perché non l'ho mollato), ma un paio le ho evidenziate, verso la fine.

Insomma, lettori e lettrici: ci sono tanti bei libri (anche sentimentali, per chi ama il genere) tradotti bene, per cui questo lo eviterei.
E c'è pure il seguito, perché il romanzo appartiene a una serie.







*Virginia City è una famosa città mineraria fondata nel 1859, durante il periodo della febbre dell’oro, sul pendio di un colle a seguito della scoperta di un filone nel vicino Six Mile Canyon. In pratica è una città del vecchio West e passeggiare tra le sue strade è come saltare sulla macchina del tempo.


** Nel 1861 nello stato del Nevada vigevano le leggi contro la mescolanza razziale che vietavano indistintamente il matrimonio tra bianchi e gruppi non bianchi, soprattutto afroamericani, nativi americani e asiatici in generale. Ma nel 1868 fu ratificato il XIV Emendamento alla Costituzione che, tra le altre cose, stabiliva che erano cittadini tutti coloro nati o naturalizzati negli Stati Uniti.



venerdì 13 giugno 2025

Recensione || SFUMATURE di Alessio Falavena



Tre persone di diversa età, giunte a una fase della vita in cui si sentono smarrite, piene di incertezze, timori, dubbi, in un arco di tempo piuttosto breve, in una sera e in una piazza come tante, si ritrovano a condividere pochi ma significativi attimi che li faranno sentire in qualche modo uniti, intrecciati, fino a fondersi in qualcosa di nuovo e complesso.


SFUMATURE 
di Alessio Falavena



Ed. Scatole parlanti
104 pp
15 euro
"...tutti sono, in fondo, l’unione degli incontri con le persone che incontrano."


David ha appena lasciato il proprio impiego in un'azienda in cui lavorava da sette anni per inseguire il sogno di scrivere canzoni; lui ama mettere nero su bianco ciò che prova e pensa, e farne una canzone, una melodia che qualcuno suonerà e delle parole che una cantante canterà al posto suo.

Valentina è una ragazza che fa la commessa in un negozio di abbigliamento ma è un'attività che trova impersonale, verso la quale non sente alcun entusiasmo. Nonostante la giovane età, è un tipo solitario con scarsa vita sociale e questo le sta bene.
Attualmente, vive ogni giorno, da mesi, con la sensazione di correre e restare sempre nello stesso punto.

Andrea ha passato i quaranta, ha un matrimonio naufragato alle spalle e una grande amarezza nel cuore a causa di questa relazione finita, i cui strascichi ancora gli pesano sul cuore.

I tre non si conoscono, pur abitando nella stessa città, e una sera le loro strade si incrociano, per pura casualità in una piazza.

Quella sera accade qualcosa che costituirà per i due uomini e per la ragazza una sorta di spartiacque, un momento cruciale dopo il quale nelle loro vite cominceranno a maturare nuove consapevolezze su sé stessi e il modo in cui stanno conducendo le proprie esistenze.

Andrea, in particolare, è colui che mette in atto una condotta che lascia gli altri due sgomenti, perplessi e, per alcuni secondi, impauriti; sì, perché egli si sente arrabbiato, furioso con sé stesso e con il mondo intero e istintivamente questa furia rischia di esplodere proprio al cospetto di quei due estranei. 

Nasce una scintilla di tensione tra Andrea e Valentina, la quale sta passando per quella piazza, e la ragione è di per sé piuttosto futile; ad essa assiste David, che si intromette "a difesa" di Valentina e ambedue diventano oggetto della rabbia (immotivata ed esagerata) di Andrea, che si comporta male soprattutto con David, provocandolo e manifestando un'aggressività decisamente inopportuna in un contesto che non giustifica comportamenti violenti.

Dopo poco, i tre si separano e tornano ciascuno alle loro vite, ma qualcosa quella sera è successo dentro di loro e il pensiero di quell'incontro casuale non li abbandonerà, anche perché da quel momento il ... caso?, il destino? li farà incontrare ancora.

Se David e Valentina restano perplessi ripensando alla condotta di Andrea, quest'ultimo è consapevole di essersi comportato male e ripensa con vergogna a quella sera in piazza.
Una parte di lui vorrebbe trovare la forza di scusarsi con entrambi.
Ma intanto, ciò che gli resta sono giornate di nervosismo e amarezza nel pensare all'ex-moglie e al fallimento che è stata la loro relazione, e di tristezza nell'interagire con un padre ormai anziano e fragile ma di cui ha sempre sofferto le assenze.

Tanto Valentina quanto David si sentono spinti a ritrovare loro stessi, a recuperare i sogni chiusi in un cassetto e quel fuoco dentro che una quotidianità scialba sembra avere, se non spento, offuscato; ciascuno si sforza di cercare la propria strada e di dare importanza a sensazioni, pensieri, turbamenti, stati d'animo, esperienze, compresi i fatti di quella fatidica sera in piazza e l'incontro a tre, che ha generato un fiume di emozioni contrastanti che li hanno avvolti, travolti, coinvolti e, per qualche minuto, uniti.

Andrea, David, Valentina: tre persone con esistenze "fratturate", sospese, temporaneamente interrotte, schiacciate da paure, delusioni, dal timore di non potercela fare. 

Tre persone come tante, caratterialmente diverse eppure accomunate dal loro essere irrisolte.

Il loro incontro, senza che essi sappiano poi spiegarlo razionalmente, innesca l'opportunità di riflettere e di cambiare interiormente, intraprendendo un primo, piccolo ma necessario passo per risolvere i conflitti che li tormentano e lasciare entrare più luce nelle ombre che occupano i loro cuori.

Sfumature è un romanzo breve ma di cui ho avuto modo di apprezzare la penna profonda, la scrittura intensa e delicata, che sa cogliere e raccontare la quotidianità di gesti, abitudini, sentimenti, pensieri e insicurezze come ne hanno tutti gli esseri umani e di farlo con una bella capacità introspettiva, un linguaggio che, nella sua semplicità, sa avvicinare il lettore al mondo emotivo del personaggi.

La narrazione è in terza persona quando entriamo nelle giornate di Valentina ed Andrea, mentre la prospettiva di David è narrata in prima persona; dei tre protagonisti emergono con chiarezza i temperamenti, i vissuti che li hanno formati e segnati, le sconfitte, il senso di smarrimento ma anche la voglia di non restare impantanati nelle proprie umane paure.

Consigliato, un libro breve ma molto piacevole e scorrevole nello stile e profondo nei contenuti.

 




sabato 7 giugno 2025

Recensione || L'EDUCAZIONE di Tara Westover

 

Romanzo biografico e di formazione, L'educazione ci racconta la storia della sua autrice, nata e cresciuta in una famiglia di mormoni fondamentalisti, con a capo un marito/padre ossessionato dall'imminente fine del mondo e con una madre amorevole sì ma ciecamente sottomessa alla "fede" del marito al punto da non intervenire di fronte ai soprusi che si consumavano dentro e fuori le mura di casa.

Uscire da una tale complessa e soffocante situazione famigliare non sarà facile ma si renderà comunque necessario.

L'EDUCAZIONE
di Tara Westover


Feltrinelli
trad. S. Rota Sperti
384 pp

Tara nasce in una isolata località di montagne, nell'Idaho; è l'ultimogenita e tanto lei che sua sorella Audrey e i loro fratelli Luke e Richard non sono stati registrati all'anagrafe, alla nascita (lo saranno qualche anno più tardi) perché suo padre - mormone survivalista - ha sempre odiato il governo, con le sue leggi e i suoi loschi tentativi di schedare, ingabbiare, schiavizzare e controllare le persone. 
Per la medesima ragione, non ha mandato a scuola nessuno dei suoi figli, compresi i maggiori Tony, Tyler e Shawn.
I ragazzi Westover non conoscono neppure cosa voglia dire andare in ospedale o farsi visitare da un dottore.
Sono cresciuti senza libri, senza sapere cosa succede nel mondo oggi né cosa sia successo di rilevante in passato; tutto ciò che sanno proviene dalla Bibbia e dal Libro di Mormon, e gli unici "personaggi storici" di cui sanno vita morte e miracoli sono Joseph Smith e Brigham Young *.

La loro mamma a un certo punto, contro la propria volontà e su insistenze del marito Gene, ha iniziato a lavorare come levatrice e guaritrice, divenendo esperta nell'uso di piante medicinali.
I figli hanno imparato sin dall'infanzia ad aiutare sia dentro casa (ad esempio, nello stufare le erbe per la madre o preparare frutta sciroppata da conservare in vista della fine del mondo) che fuori, accompagnando il padre in discarica per recuperare metalli. 

Lavoro, quest'ultimo, pesante e pericoloso, tanto che Tara ci racconta diversi episodi drammatici in cui lei o un paio di fratelli si sono fatti moooolto male proprio lavorando col padre, e non hanno potuto neppure usufruire dell'ospedale ma solo rimettersi nelle sapienti mani della mamma e in quelle misericordiose del Signore.

Fino a diciassette anni Tara non aveva idea di cosa fosse l’Olocausto o l’attacco alle Torri gemelle e l'idea di andare a scuola era quasi una bestemmia alle orecchie del padre, che al solo nominarla cominciava ad inveire contro la cultura del mondo, peccaminosa, seducente, contraria al volere di Dio.

Il clima in casa era spesso pesante: il padre era un uomo carismatico ma anche folle e incosciente, fino a diventare pericoloso; il fratello maggiore Shawn era chiaramente disturbato e diventa violento con le sorelle; la madre cercava di difenderle, ma piuttosto blandamente e comunque sempre restando fedele alle sue credenze e alla sottomissione femminile prescritta.

L'unica "pecora nera" in casa è sempre stato Tyler, uno dei fratelli, il più tranquillo e riflessivo che di punto in bianco ha deciso di studiare, decidendo - contro la volontà paterna - di lasciare casa pur di iscriversi al college.

Sarà proprio lui a consigliare a Tara di non restare a lungo tra quelle montagne, ma di provare a costruirsi la propria strada, magari attraverso lo studio, la scuola.

 “C’è un mondo là fuori, Tara,” disse. “E ti sembrerà molto diverso una volta che il papà avrà smesso di sussurrarti all’orecchio cosa ne pensa.”

E infatti Tara, incuriosita e desiderosa di sapere cosa e quanto ci fosse di nuovo e interessante oltre l'educazione ricevuta in casa, decide di seguire le orme di Tyler e di provare a leggere e studiare i testi scolastici, pur non avendo lei altre basi se non quelle (limitate) datele dalla madre.

Ed è così che la possibilità di emanciparsi, di vivere una vita diversa, di diventare una persona diversa fa capolino nella sua mente e diventa per lei il trampolino per spiccare il volo, per cominciare ad allentare gli stretti legami con quella famiglia ingombrante, in cui si respira costrizione, doveri, ordini da eseguire, dove il tipo di attività che la vede impegnata è non soltanto decisamente mascolina, ma altresì pericolosa e senza sbocchi per il futuro.
Se lei restasse tra quei monti, a separare pezzi di ferro e alluminio, non avrebbe alcuna possibilità di dare una svolta alla propria vita.

Per non parlare del fatto che Tara, come tutti gli esseri umani, ... cresce.
Passano gli anni e non è più la bambinetta di nove anni che va dietro alla madre a veder nascere dei bambini, ma è un'adolescente che comincia a chiedersi se potrebbe piacere ai ragazzi, e se potrebbe mai piacere loro conciata com'è, con la salopette lorda e un cattivo odore sempre attaccato addosso a causa dei lavori da fare con e per il padre.
E quando il fratello Shawn si scontra con la realtà di questa sorellina - chiamata affettuosamente Morennina, con cui ha iniziato da qualche anno ad instaurare un buon rapporto, fatto di complicità - che sta maturando, il cui corpo sta sbocciando, che ha voglia di sistemarsi prima di uscire, forse anche di mettere un velo di rossetto..., qualcosa gli scatta nella testa e il suo comportamento verso Tara subisce una brusca deviazione.

Shawn diventa violento, aggressivo fisicamente e psicologicamente, non fa che prendere per i capelli Tara anche solo se lei gli risponde male o lo ignora, metterle la faccia nel water, torcerle polso e braccia sino a farla quasi svenire dal dolore, il tutto accompagnato da una sfilza di pesanti insulti, che terminano solo quando lei, per porre fine a quella sofferenza, si umilia e chiede scusa.

"È strano quanto potere dai alle persone che ami, avevo scritto sul mio diario. Ma Shawn aveva un potere su di me che era inimmaginabile. Aveva definito chi ero, e non esiste potere più grande di questo."

Ogni volta che questi episodi accadono, Tara reagisce in un modo che a me personalmente, in certi momenti, ha irritato: ride e, se c'è gente a guardarli mentre avviene questa violenza, ride ancora di più e comincia a gridare frasi sconnesse che facciano pensare agli sgomenti spettatori che è tutto ok, i due fratelli stanno giocando.

È chiaro che è un meccanismo di difesa, che Tara mette in atto per convincere se stessa che Shawn non la sta mica per ammazzare, che di lì a poco smetterà di torcerle il braccio o di sedersi sulla sua schiena gridandole ingiurie...
Tara, sconvolta ogni volta, prova poi a fare il punto di ciò che è accaduto, ad analizzarne ogni frammento, arrivando a trascriverlo su un quaderno per non dimenticarlo, perchè un domani i ricordi non si confondano.

E il rischio che i racconti di aneddoti del passato possano essere falsati è concreto, tant'è che spesso l'autrice inserisce delle note per far sapere al lettore che di un dato fatto ci sono varie versioni in famiglia, e che certi suoi ricordi sono confermati o smentiti dai fratelli presenti di volta in volta.

Quando Tara - diventando adulta e dopo aver deciso di dire basta a quella situazione famigliare che la vede sempre vittima di botte e ingiurie da parte di Shawn, il quale viene sempre difeso e coperto dai genitori - tenta di iscriversi al college (alla Brigham University) non sa ancora - o forse lo immagina appena - che quello sarà soltanto il primo passo per l'emancipazione, l' inizio della sua battaglia per scrivere la propria storia personale al di là e al di fuori di quella della propria famiglia.

Pensare di recidere i legami con essa è inevitabilmente fonte di dolore perché comunque lei ama i propri cari, ma al contempo sa che se restasse in quella casa, morirebbe dentro, ogni opportunità di fare della propria vita qualcosa di prezioso e unico, svanirebbe, verrebbe schiacciata da cumuli di pesche sciroppate, dall'odore delle piante cotte dalla madre e dal ferro accartocciato in discarica col padre.
Per non parlare del pericolo costituito da Shawn.

L'educazione è quindi non solo un'autobiografia ma soprattutto un romanzo di formazione, in cui l'educazione diventa lo strumento principale di riscatto di una ragazza da un'eredità famigliare che, lungi dal poter essere una ricchezza, rischia di essere un fardello, un ostacolo alla propria autorealizzazione.

È un processo irto di dubbi e paure, quello che vive Tara per trovare sé stessa, il proprio valore come singola persona, che può e sa vivere (e bene!) anche fuori dal nido famigliare, per certi versi rassicurante, per altri insidioso.

Non è facile dare un calcio agli insegnamenti religiosi ricevuti, che hanno contribuito a formare la sua personalità, nel bene e nel male.

"Ad avere valore non ero io, ma la patina di obblighi e cerimonie che mi frenava."

Lo studio di materie come la Storia ** le aprono la mente, allargandole gli orizzonti e offrendole altre chiavi di lettura della realtà, prima analizzata solo da un'unica prospettiva: quella della fede mormona.

"Avevo cominciato ad accorgermi di una cosa fondamentale che riguardava mio fratello, mio padre, me stessa. Avevo capito che eravamo stati scolpiti da una tradizione che ci era stata data da altri, una tradizione di cui eravamo volutamente o accidentalmente all’oscuro. Mi ero resa conto che avevamo prestato le nostre voci a un discorso il cui unico scopo era quello di disumanizzare e abbrutire gli altri – perché era più facile alimentare quel discorso, perché conservare il potere sembra sempre la strada migliore."


"Tutti i miei sforzi, tutti i miei anni di studio mi erano serviti ad avere quest’unico privilegio: poter vedere e sperimentare più verità di quelle che mi dava mio padre, e usare queste verità per imparare a pensare con la mia testa."

La lettura di quest'autobiografia romanzata mi ha suscitato diverse emozioni, legate anche al fatto che c'è di mezzo l'argomento fede, al quale sono sensibile per ragioni personali.
Mi ha sempre "spaventata" il fondamentalismo religioso e, con gli anni, ho cercato di evitarlo, pur avendo dei saldi principi di fede, basati sull'insegnamento delle Sacre Scritture.

I libri (ma anche le serie tv, i film e i documentari) che trattano di questi movimenti religiosi estremi, che dicono di ispirarsi alla Bibbia ma in realtà ne distorcono spesso il senso, mi hanno sempre interessata moltissimo ed ho letto con molta partecipazione il racconto che la scrittrice fa della propria famiglia, dell'educazione ricevuta al suo interno, dei legami famigliari forti e, per alcuni versi, tossici; mi hanno colpito le figure maschili, in particolare il padre e Shawn, il primo probabilmente bipolare e il secondo con gravi problemi di autoregolazione della rabbia e degli istinti violenti.
Ammirevole la forza di volontà di Tara, che ha iniziato, affrontato e proseguito con profitto un percorso di studi sempre più difficile, partendo da un'istruzione domestica davvero molto limitata; lei alcune volte mi ha irritata per il suo essere succuba di certe dinamiche ed altre mi ha intenerita per la stessa ragione, perché comunque non ci si libera di determinati retaggi con uno schiocco di dita e sicuramente allontanarsi da casa le è costato non poco, emotivamente.

Lo consiglio, la lettura scorre in modo via via sempre più avvincente, soprattutto perché si legge con la consapevolezza che è una storia vera.





* Smith è stato il fondatore e il primo presidente della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (i "mormoni"); Brigham è stato il secondo presidente. Entrambi erano considerati dai fedeli "profeti e veggenti".


** Tara Westover è nata in Idaho nel 1986. Dopo una laurea alla Brigham Young University, ha vinto una borsa di studio a Cambridge, dove ha conseguito un dottorato di ricerca in storia.






giovedì 5 giugno 2025

§ Recensione § SABBIE DI PERSIA. Romanzo storico basato sulla storia biblica di Esther di Elizabeth Faye

 

La storia della regina Esther, narrata nella Bibbia, viene qui romanzata, in un mix di elementi presi dalle Scritture ed altri inventati dall'autrice; il risultato è un romanzo piacevole capace di trasportare il lettore in un tempo lontano.


SABBIE DI PERSIA.
Romanzo storico basato sulla storia biblica di Esther
di Elizabeth Faye


298 pp
È il 483 a.C. quando la sedicenne Vashti, di origini egiziane, viene scelta dall'imperatore persiano Serse come sua consorte.
Sebbene viva in un ambiente regale, sontuoso e privilegiato, la ragazza si rende subito conto che "non è tutto oro ciò luccica", che il suo essere imperatrice non le dà alcun reale potere e che le insidie sono sempre dietro l'angolo.

Ed è suo marito l'insidia principale.

Capriccioso, burbero, soggetto a cambi repentini di umore, iracondo, schiavo dei propri piaceri sensuali, pericoloso nelle decisioni che prende sull'onda dell'istinto, l'imperatore non sa farsi amare.

La saggia zia Irdabama non lo ritiene un imperatore all'altezza del padre, che l'ha preceduto sul trono; i suoi servitori e i suoi eunuchi più fedeli hanno paura dei suoi scatti d'ira e del suo umore altalenante.
La sua giovane moglie avrà modo di sperimentare, sulla propria pelle, quanto può essere perfido Serse, quanto può essere insensibile.

Prima ancora che lei possa comunicargli di essere incinta del loro primo figlio, Serse tiene un luculliano e sfarzoso banchetto lungo una settimana, con tutta la gente più nobile al suo cospetto, ma la situazione degenera, sfociando nella dissolutezza.

Spaventata, Vashti si trova di fronte a una scelta impossibile: sottomettersi all'umiliazione pubblica o sfidare l'uomo più potente del mondo. 

In un moto d'emancipazione e di affermazione della propria dignità di persona meritevole di rispetto, Vashti si rifiuta di comparire dinanzi all'imperatore per obbedire ai suoi egoistici capricci.
Questa decisione le costerà caro e, se anche le verrà risparmiata la vita, la corona le cadrà dal capo...

La scomparsa della regina Vashti dal fianco di Serse apre le porte ad un'altra donna: Esther.

Esther ha solo tredici anni quando viene condotta alla corte dell'imperatore perché attraversi un periodo in cui lei ed altre ragazze verranno lavate, profumate e rese pronte per presentarsi dinanzi a Serse, che poi sceglierà tra loro l'imperatrice che sarà al suo fianco sul trono di Persia.

Esther è un'ebrea, orfana di entrambi i genitori e per questo cresciuta dal cugino Mardocheo (Mordecai), che l'ha tenuta in casa, non facendole mancare nulla ma esigendo anche dei lavoretti per contribuire al ménage famigliare.

Una cosa le ha sempre ordinato Mardocheo in modo severo: non rivelare mai che loro due sono Giudei.
Tutti devono continuare a credere che vengono da Babilonia. Ne va della loro sicurezza, della loro stessa vita.

Dal momento in cui la ragazza entra nel palazzo reale, si fa subito ben volere dagli eunuchi che si occupano di andare incontro alle esigenze delle "fanciulle dell'imperatore"; mentre il proprio segreto è al sicuro nel suo cuore, la bellezza e l'innata eleganza di Esther incantano anche l'imperatore, che la sceglie come moglie.

Mardocheo coglie l'occasione per cominciare a chiedere alla cugina Esther di ricordarsi di lui, di non lasciarlo fuori dalle grazie del suo potentissimo consorte e di continuare a nascondere la loro identità.

Ma gli eventi cominceranno a prendere una piega complicata quando entrerà in gioco un personaggio borioso e ambizioso, che desidera farsi bello agli occhi di Serse e brama essere glorificato da lui.
Quest'uomo è Aman e ben presto rivelerà la propria natura malvagia, mettendo a rischio l'esistenza di Esther, di Mardocheo e di tutto il popolo giudeo che risiede tranquillo nel regno di Persia.

Cosa farà Esther per salvare sé stessa e la sua gente dalle insidie di questo nemico dei giudei?
Qualunque decisione prenderà, comunque metterà a repentaglio la propria esistenza e il proprio ruolo.

Ma in lei, tra le nebbie della paura, comincerà pian piano ad insinuarsi anche un desiderio fino a quel momento rimasto sopito: conoscere il Dio degli ebrei, El Shaddai, quella divinità onnipotente che i suo padri adoravano e che lei, esiliata in terra straniera, non ha mai avuto modo di "conoscere". 

Seguiamo le vicende di Esther e Mardocheo mentre, parallelamente, ce ne sono altre che creano dinamiche: rivediamo Vashti, la cui vita isolata è andata avanti ma che, negli anni, ha maturato il pensiero di ribellarsi al dominio di quell'imperatore che l'ha usata e rigettata come un cencio vecchio e inutilizzabile.
C'è la storia di Artemisia, una donna forte, determinata, capace che, dopo essere stata un'ufficiale dell'impero persiano, perderà ogni privilegio; anche in lei, nel suo cuore ferito e umiliato, la rabbia e il rancore getteranno i semi della ribellione.
Conosciamo le storie di alcuni eunuchi, costretti da ragazzi a diventare tali, a veder distrutti i propri villaggi e uccisa la propria famiglia; molti di loro covano ineluttabilmente odio e vendetta verso quell'imperatore che li ha resi schiavi e  "menomati".

E così le tensioni politiche si fanno sentire sempre più forte tra la popolazione, e in Egitto e Babilonia comincia a soffiare il vento della rivolta...

Questo romanzo storico conserva e trasmette tutto il fascino antico dei tempi in cui è collocato, ma il luccichio e lo sfarzo di un ambiente popolato da gente potente e piena di ricchezze, nasconde inevitabilmente del marcio: egoismo, prepotenza, intrighi, tradimenti, lascivia, umiliazioni e soprusi.

È un mondo in cui le donne sono pedine nei giochi di potere degli uomini ma i personaggi femminili principali - Esther, Vashti, Artemisia e anche Irdabama - non accettano supinamente questo loro destino e nel loro piccolo, con i propri mezzi, con la propria intelligenza e tenacia, riescono a non soccombere, a porsi degli obiettivi e a far di tutto per portarli avanti.

Se il libro biblico di Esther mette al centro l'omonima protagonista e il suo fondamentale contributo perché il popolo giudeo (che risiedeva nel regno di Serse) non venga distrutto dal malvagio Aman, in questo romanzo che ad esso si ispira, ci si sofferma anche su altre donne e sulla loro forza interiore, la loro resilienza e lo spirito di intraprendenza.

Alcune cose non mi sono piaciute di questa pubblicazione: anzitutto la traduzione, che è davvero terribile. Ho il dubbio che sia frutto dell'IA, ci sono troppi errori, soprattutto nei verbi, ma non solo. È un aspetto che mi ha irritata non poco durante la lettura.
Mardocheo viene chiamato ora così, ora Mordecai, e non capisco il perché di questa confusione; inoltre, nel romanzo, quest'uomo mi ha dato l'idea di un opportunista, di un prepotente, di uno che vuol tentare di farsi notare dall'imperatore, farsi accettare da lui, magari diventare un suo uomo di fiducia, e non esita ad usare Esther per i propri ambigui scopi.
Insomma, un personaggio negativo, cosa che non emerge dal testo biblico.

Nel complesso, non è male, ma ripeto, la traduzione gli fa perdere diversi punti.

sabato 31 maggio 2025

MAGGIO 2025 - tra libri e sensei

 

Ecco le mie letture di maggio.
Non ho letto quanto avrei desiderato perché le cose da fare durante il giorno sono davvero molte, e la lettura spesso me la lascio soprattutto per la sera (tanto comunque in tv non c'è nulla di interessante), però l'importante è leggere, no? ^_-





  1. L'ANNIVERSARIO di A. Bajani: narrativa contemporanea italiana - quando allontanarsi dalla famiglia d'origine diventa l'unico modo per salvarsi da meccanismi insani e violenti (4/5). SE HAI VOGLIA DI UNA LETTURA BREVE INCENTRATA SUI RAPPORTI FAMIGLIARI.
  2. L'ORFANOTROFIO SUL LAGO di D. G. Miller: thriller - molte ragazze spariscono da una casa famiglia. Investigatrice coreana indaga (3.5/5). TRAMA DEBOLE, POCO AVVINCENTE NEL COMPLESSO; SI RISOLLEVA NELLE BATTUTE FINALI.
  3. LA LEVATRICE DI NAGYRÉV di S. Zuccato: giallo storico - cosa lega la misteriosa e affascinante figura di una levatrice a una serie di strane morti che si susseguono nell'arco di una decina d'anni in un villaggio ungherese nei primi decenni del Novecento? (5/5). ROMANZO STORICO ISPIRATO A FATTI E PERSONAGGI REALI. BELLO BELLO.
  4. UN INCANTEVOLE APRILE di E. von Arnim - narrativa femminile - quattro donne infelici passano insieme un mese di vacanza in Italia e la loro vita verrà inaspettatamente stravolta. SE DESIDERI UNA LETTURA PROFUMATA COME I FIORI IN PRIMAVERA E CAREZZEVOLE COME IL SOLE D'APRILE SULLA PELLE.
  5. SABBIE DI PERSIA di E. Faye - narrativa storica - romanzo storico basato sulla storia della regina Esther narrata nelle Sacre Scritture (2.5/5). Elementi biblici si fondono e confondono con altri inventati dall'autrice. Pessima traduzione (forse frutto dell'IA?). Potrei pure  consigliarlo se fosse tradotto bene.


READING CHALLENGE

Per la sfida letteraria, nel mese di maggio gli obiettivi erano i seguenti:

- ROMANZO DISTOPICO
- LIBRO LA CUI STORIA ABBIA A CHE FARE CON L'ARTE
- LIBRO PER BAMBINI/RAGAZZI
- "DIECI FIGLI CHE LA SIGNORA MING NON HA MAI AVUTO" (E.E. Schmitt)

Io ho scelto un obiettivo del mese di FEBBRAIO >>  UN LIBRO CON PROTAGONISTA UN BAMBINO/ADOLESCENTE << 
6. IL GIOCATTOLAIO di S. Pastor: thriller ambientato in un Quartiere dove i bambini sono lasciati a loro stessi e gli adulti, quando non sono "semplicemente" distratti, possono essere pericolosi... (3,5/5). PRIMA PARTE LENTA, POI LE VICENDE SI FANNO VIA VIA PIÙ DINAMICHE.


SERIE TV

Ho finito COBRA KAI e posso dire di aver terminato le sei stagioni davvero in poco tempo perché la voglia di vedere due-tre puntate l'una di seguito all'altra era molta.

Ok, quanto di voi non sono così giovani da non conoscere Karate Kid?
Avete presente Ralph Macchio, Johnny Lawrence, il maestro Miyagi..., "dai la cera, togli la cera"?

No??
Beh, io sì, la mia infanzia è stata scandita da alcuni film che poi sono diventati dei cult, dei classici degli anni Ottanta che non tramontano più: Ritorno al futuro, Rocky, Karate Kid, appunto, e solo per citarne alcuni.

Cobra Kai
è una serie composta da sei stagioni, realizzata tra il 2018 e il 2025 ed è il sequel della serie cinematografica The Karate Kid.

Siamo ad oltre trent'anni dopo gli eventi narrati nei primi tre film (il quarto Karate Kid è del 1994 e il protagonista è un altro, anzi un'altra) e la situazione è questa: mentre Daniel LaRusso (Ralph Macchio) si è fatto strada come imprenditore, aprendo una concessionaria di automobili, il suo famoso rivale del 1984, Johnny Lawrence (William Zabka) è uno sfigato, un cinquantenne fallito, con una relazione importante ma fallimentare alle spalle, un figlio teeenager (Robby Keene) che non vede mai e che lo detesta, e una vita allo sbando, in cui lui cerca di tirare avanti giorno per giorno facendo lavoretti vari e passando le giornate da solo a commiserarsi.

Le glorie vissute nel dojo più aggressivo di All-Valley negli anni Ottanta, il Cobra Kai guidato dal sensei che in pratica egli vedeva come un padre, John Kreese (Martin Kove), sono un lontano ricordo e quella sconfitta in finale, a causa di Daniel, brucia ancora.

Ma qualcosa comincia a cambiare anche per uno come lui, che ha fatto della birra la sua amica più fedele.

Una sera aiuta un adolescente di origini latine, Miguel Diaz (Xolo Maridueña), a non soccombere a un gruppetto di bulli, i quali vengono scacciati da Johnny con quattro mosse di karate; Miguel gli chiede di aiutarlo ad imparare a difendersi e, dopo le reticenze iniziali, Lawrence accetta, motivato dalla presenza di questo allievo che, chissà!, potrebbe essere il primo di tanti altri.

Le cose cominciano subito a complicarsi.
Per farla breve: Daniel accoglie, come dipendente nella concessionaria, il giovane Robby, ma lo fa non sapendo che è figlio di Johnny (e che questi si avvicina ai LaRusso per fare un dispetto al padre, avendo saputo che questi odia Daniel); Samantha, la primogenita di Daniel, si invaghisce di Miguel e i due si mettono insieme.
Quando LaRusso viene a sapere che Johnny ha in programma di riaprire il Cobra Kai, comincia a preoccuparsi: lui sa per esperienza cosa significhi finire nelle mani dei ragazzi che imparano il karate in quel dojo, ne conosce la violenza, la terribile legge del pugno che porta avanti ("Strike first, strike hard, no mercy!") e si proporrà, come missione, di impedirne l'apertura o comunqu di farlo chiudere se apre.

Ecco,  questa "lotta" tra i due eterni rivali scandirà il loro rapporto per moooooooooolte puntate, ma porterà Daniel a non limitarsi a mettere i bastoni tra le ruote a Johnny, bensì anche a convincersi della necessità di aprire pure lui il proprio dojo, chiaramente all'insegna dei nobilissimi valori imparati ai piedi del caro e compianto signor Miyagi, il quale gli ha insegnato che il karate non è mai per attaccare per primi ma sempre per difesa, oltre a puntare sul rispetto, sulla compassione, insomma su valori opposti a quelli del Cobra Kai.

I due dojo verranno aperti e ciascuno comincerà ad attirare ragazzi, ognuno rapito dalla "filosofia" dell'uno o dell'altro.
Gli allievi più in vista saranno, oltre ai già citati Miguel, Robby e Sam, i loro amici "Falco", Demetri, Tory Nichols, e tra questi (ed altri allievi che man mano si aggiungeranno) si instaureranno dinamiche tipiche del mondo adolescenziale: innamoramenti, tradimenti, bullismo (anche abbastanza pesante), amicizie e alleanze che nascono, poi si sfasciano e poi si riallacciano, in un continuo andare e venire, odiarsi e amarsi, avvicinarsi e allontanarsi che inevitabilmente coinvolgerà i due sensei e i loro dojo.

Non intendo riassumervi sei stagioni, tranquilli, vi dico solo che io ho trovato la serie fighissima, mi sono piaciute tante cose e, credetemi, l'ho iniziata titubante, quasi convinta che l'avrei abbandonata alla prima puntata, e invece...!

Ho amato il personaggio di Johnny: parte come un fallito, incapace di fare qualcosa di buono, oggetto del disprezzo da parte di tutti, ma poi trova in sé stesso la ferma volontà di cambiare il proprio destino: riaprire il Cobra Kai è una sfida personale, è il suo sogno da sempre e incontrerà molte difficoltà per poterlo tenere aperto, ma con le motivazioni giuste, e soprattutto le persone accanto giuste, saprà superare le proprie insicurezze, i momenti di disistima e di scoraggiamento.
A lui si devono i momenti più divertenti e umoristici, che mi hanno fatto davvero ridere.
Ho apprezzato la sua evoluzione umana: cresciuto con Kreese - nessuna pietà, combatti forte, non avere compassione dell'avversario, spezzagli il braccio e la gamba se serve a vincere... -, ne vuol riportare in auge i metodi (dis)educativi, ma avrà modo di modificare i propri schemi mentali e, grazie in particolare al confronto con Daniel LaRusso, saprà aprirsi alla filosofia, più umana ed empatica, del dojo Miyagi, con cui infatti nasceranno collaborazioni, ora conflittuali ora ricche di crescita.

Ho amato tutti i flashback che mi riportavano ai film, e non solo al primo ma anche agli altri due, e questo grazie all'aggiunta, nel corso delle stagioni, di altri personaggi che sbucheranno proprio dal passato e che renderanno le vicende più frizzanti e imprevedibili (uno su tutti: il pericoloso, e un filino sociopoatico, sensei Terry Silver).
Mi hanno fatta sorridere molto anche i riferimenti a Rocky, e il rapporto tra lo Stallone e l'amico-rivale Apollo Creed rivivrà in qualche modo in quello tra Daniel e Johnny, che se ne diranno e faranno di ogni, ma essendo due uomini intelligenti, sinceramente appassionati di karate e interessati ai loro ragazzi, sapranno all'occorrenza vincere ogni personale rivalità, la quale dopotutto affonda le radici in un passato ormai abbastanza lontano.

Mi sono piaciute le tematiche giovanili, nonostante a volte gli episodi di bullismo fossero esagerati, esasperati e spesso sfociavano in condotte quasi criminali; c'è da dire che anche i ragazzi (i personaggi principali), al momento giusto e dopo essere maturati e aver riflettuto, hanno saputo regolare il proprio comportamento e direzionare in modo progressivamente più sano, emozioni, obiettivi e la voglia di combattere e vincere, dentro e fuori il tatami.

Ci sono molti colpi di scena, spesso le puntate terminavano in modo da incuriosirmi e lasciarmi con la voglia di conoscere ogni futuro sviluppo di tutte le dinamiche e le interazioni che si creavano di volta in volta.

Seguivo i combattimenti con lo stesso coinvolgimento di quando vedevo Rocky menar pugni di qua e di là, il che è tutto dire *___*

Beh, che dirvi ancora?
È una serie fatta bene, mescola comedy e drama, avventura e temi adolescenziali, il tutto con un risultato assolutamente positivo.

Non volevo arrivare all'ultima puntata perché già sapevo che mi sarebbero mancati... 

Io la consiglio!!

martedì 27 maggio 2025

Recensione || L'ANNIVERSARIO di Andrea Bajani

 

Il ritratto lucido e pacato, ma allo stesso tempo intenso e struggente, di una famiglia in balìa di un marito/padre padrone, che tiene sotto scacco la moglie - completamente succuba - e tenta di tenere terrorizzati e annichiliti i figli.

E per salvarsi e spezzare certi ingranaggi soffocanti, a volte non resta che allontanarsi da legami famigliari poco sani. 

L'ANNIVERSARIO
di Andrea Bajani


Feltrinelli
128 pp
Nessuno di noi sceglie i genitori o i fratelli con cui cresce.
La famiglia in cui nasciamo, buona o cattiva che sia, è parte di noi e noi siamo parte di essa, e il tipo di legami che instauriamo al suo interno, in qualche modo ci segnano, probabilmente per sempre e irrimediabilmente.

In questo romanzo l'autore racconta, attraverso la voce del protagonista e voce narrante (il figlio), com'è nascere e crescere all'interno di una famiglia in cui il perno e il motore di tutto è sempre stato il padre: un uomo che incarna il patriarcato nel suo significato più puro (sistema famigliare, sociale e culturale in cui l’autorità detenuta dal maschio, mentre le donne e altre identità di genere restano subordinate).

Il figlio, scopriamo da subito, ha scelto di allontanarsi dai genitori, anzi, a voler essere precisi, dieci anni prima ha deciso proprio di abbandonarli, di chiudersi definitivamente alle spalle la porta della loro casa e di non andare più a trovarli.

Le ragioni di una decisione tanto drastica che, a primo impatto, forse si potrebbe essere tentati di giudicare esagerata e poco compassionevole, ci scorrono davanti agli occhi di capitolo in capitolo, nel corso della narrazione.

Con una disarmante consapevolezza e onestà, il figlio ci racconta del rapporto con suo padre, con sua madre e, solo accennando, con la sorella maggiore, anche se questa rimarrà comunque marginale rispetto al cuore della narrazione, non perché sia poco importante ma perché ella - ben prima del fratello, e con maggiore presa di coscienza e caparbietà - aveva fatto la propria scelta in merito al  proseguimento o meno dei rapporti col padre in età adulta.
Il figlio ci racconta com'era vivere con un padre che si aspettava dai figli ubbidienza assoluta, che aveva da ridire su tutto e che non lasciava molto margine di libertà ai ragazzi.

Ma è sulla madre che si sofferma, in particolare: completamente sottomessa al marito, questa donna - che pure aveva frequentato le superiori ed era una persona che poteva legittimamente avere e perseguire sogni e aspirazioni - ha rinunciato a tutto pur di restare al fianco dell'uomo che s'è scelta, e ha continuato a farlo nonostante le umiliazioni, la violenza psicologica, emotiva e - seppur non di frequente - fisica.
La violenza del marito verso la moglie (inevitabilmente si estendeva anche ai figli) era sottile, poteva non palesarsi in lividi evidenti sul volto o sul corpo, ma era comunque una realtà costante all'interno delle mura di casa, qualcosa di palpabile, che creava una continua cappa di ansia, di paura al pensiero delle reazioni brusche ed aggressive o sarcastiche e taglienti del padre/marito, il cui comportamento autoritario e duro faceva trattenere il fiato e lasciava sempre tutti in uno stato di tensione.

Dall'esterno forse gli altri non si accorgevano di nulla.
Ma quali altri? 
La madre di lui era l'unica parente a frequentare un po' la loro casa ed era mal tollerata addirittura dal figlio stesso.

Amici dei figli? Non pervenuti.

Amiche della madre? Quelle poche figure femminili con cui la moglie/madre ha provato, nel tempo, a rapportarsi - con la speranza di creare un legame amicale su cui contare e da cui trarre conforto, confidenze, consigli - erano ovviamente mal viste da lui, che riteneva avessero influenze negative sulla moglie (non sia mai che le attaccassero una bizzarra e folle voglia di indipendenza ed emancipazione!).

Durante l'ascolto dell'audiolibro, ho provato diverse emozioni: indignazione e rabbia verso il marito/padre, verso la sua prepotenza, la sua arrogante sicurezza di poter tenere moglie e figli dentro un regime in cui egli era il capo assoluto e indiscusso, che mai lo vedeva mettersi in discussione, chiedere mai scusa, fare un passo indietro.

Ho provato tristezza - e un filino anche di irritazione - per la moglie/madre, per il suo essere ai piedi di questo marito che la considerava una nullità e che voleva che lei fosse (e continuasse ad essere) niente per sentirsi  qualcosa, e lei accettava di essere niente per essere qualcosa agli occhi di lui.

Nei raccontare di sua madre, il figlio tenta di ricordarla come individuo singolo, dotato di una propria personalità, slegata dal rapporto col marito e dal ruolo di subordinata in cui era risucchiata ma, in realtà, si rende conto che fa fatica a "scorporarla" da suo padre, come se ella fosse sempre esistita ed esistesse solo e unicamente in funzione di lui, come moglie prima ancora che come donna, come persona.
Il figlio, nel riaprire il bagaglio dei propri ricordi famigliari, prova a cercare dei frangenti di quotidianità, delle situazioni in cui sua madre possa essere stata altro dal capofamiglia, in cui abbia dimostrato di non essere totalmente in balìa della sua tirannia, del suo dominio... ma è una ricerca drammaticamente difficile e frustrante perché era il padre, in casa, a stabilire i ruoli e alla madre/moglie era stato dato quello dell'ombra, dell'invisibilità.

Il marito/padre aveva bisogno di tenere la famiglia sottomessa (e lo faceva con una logorante violenza sottile e pervasiva che generava timore) per sentirsi amato.

In un contesto famigliare così, è strano immaginare che un figlio, una volta cresciuto, desideri liberarsi di questa eredità patriarcale brutale, di legami così opprimenti e disgraziati, da un tipo di amore malato, in cui possesso e richiesta d’amore erano i lacci di un unico nodo?

Malinconia, risentimento, rabbia, dolore, ansia...: sono alcune degli stati emotivi che connotano il racconto di questo microcosmo, di questo "sistema" in cui ogni componente rischia di essere complice, se non ne esce, se non si ribella.

Ma vi è anche un desiderio insopprimibile di rinascita, di affermazione di sé stessi e del diritto vivere la propria vita, di aprirsi agli altri senza il terrore delle ritorsioni e dei ricatti morali. 

Qual è l'anniversario, se non da festeggiare, almeno da ricordare, con parenti del genere?
Forse una liberazione da un retaggio famigliare totalitarista che, a ben guardare, riguarda tante persone e tante famiglie ancora oggi?


Il romanzo ha un ritmo fluido e naturale e l'ascolto (letto da Luigi Lo Cascio) è stato gradevole; non avevo mai letto (ascoltato) nulla di Bajani ma conto di leggerlo ancora perché ho apprezzato il modo in cui ha raccontato questi rapporti famigliari all'interno di un contesto non  sano (e neanche così insolito o inverosimile, purtroppo) in modo appassionante ed emotivamente coinvolgente, pur mantenendo una scrittura asciutta, semplice e chiara.

giovedì 22 maggio 2025

** Recensione ** IL GIOCATTOLAIO di Stefano Pastor


Crescere in un quartiere degradato, con scarse possibilità di progresso e che offre decisamente ancor più scarse opportunità di migliorare la propria vita, è già dura, ma se a questo si aggiunge l'appartenenza a una famiglia disagiata e disfunzionale sotto diversi aspetti, la situazione non può che essere drammatica.
E questa è la triste condizione in cui vivono i giovanissimi protagonisti di questo romanzo, i quali - come se non bastasse - dovranno vedersela anche con un mondo di adulti indifferenti, distratti o, peggio ancora, malvagi.
Eppure, qualche eccezione c'è e potrebbe diventare, per alcuni, l'unica áncora di salvezza in una realtà disperata.


IL GIOCATTOLAIO
di Stefano Pastor

Fazi Ed.
397 pp
2012
Massimo ha undici anni ed è appena arrivato nel Quartiere; è ospite di suo zio Donato, fratello di sua madre, ma l'uomo non si rivela, sin dai primi momenti, una figura rassicurante: è un alcolizzato e un violento, non ci sa fare con i ragazzini e in più è evidente come tolleri a malapena la presenza di questo nipote in casa propria.

Perché Massimo è finito in custodia dallo zio, che tra l'altro non ha mai frequentato in passato?

Le motivazioni emergono gradualmente e sono drammatiche, dolorose per il bambino, che già ha sulle proprie fragili spalle un passato di violenze famigliari; vivere in casa con un uomo che non conosce e che ha pure problemi nel gestire la rabbia, lo getta nello sconforto.
Massimo è terrorizzato, teme che lo zio lo picchierà prima o poi; vorrebbe solo potersi allontanare da lì ed infatti preferisce star tutto il giorno fuori casa, vagabondare solitario e impaurito per le strade semideserte del Quartiere, entrando e uscendo dai palazzi abbandonati (spesso occupati da barboni, da individui "strani" o semplicemente da ragazzini che vanno a giocare), sotto gli occhi curiosi e diffidenti della gente che si sofferma a guardare, da dietro alle tende delle finestre, ciò che accade in strada.

Ed è mentre va in giro senza aver nulla da fare che Massimo incontra dei coetanei, come il vivace e strafottente Grillo e il saggio e tranquillo Marco, con cui si ritrova ad andare molto d'accordo.

Nel Quartiere vive anche la 15enne Mina.
Mina è un'adolescente dal carattere d'acciaio, dalla volontà di ferro, dalla tempra di una piccola guerriera che non abbassa il capo davanti a nessuno, che non si lascia impressionare dai prepotenti, anzi, li individua e li bracca fino a quando non smettono di fare gli sbruffoni e i bulli.
Mina odia le ingiustizie e cerca in tutti i modi, con i pochi mezzi che ha (sé stessa, le proprie mani, la propria voce) di difendere i più deboli, proprio come deboli e bisognosi di aiuto sono i tanti bambini del suo Quartiere.

Bambini che vivono con genitori che non si prendono cura di loro come dovrebbero, che sono superficiali e distratti o, peggio ancora, aggressivi, abituati a sfogare la propria frustrazione e infelicità sui figli attraverso botte e umiliazioni fisiche e psicologiche.

Se potesse, Mina prenderebbe questi bambini e li porterebbe a casa propria per salvarli, per dimostrare loro che non c'è solo la violenza e che possono aspirare a una vita felice.
Mina è orfana di madre e suo padre è sempre via per lavoro.
Il suo migliore (ed unico) amico è il signor Baldacci, che lei ha soprannominato Peter, come Peter Pan: perché Peter è un uomo adulto ma non ragiona come gli adulti: dentro è rimasto un bambino, la sua anima si è come cristallizzata nell'infanzia, restando pura, innocente, semplice.

Jon è un adolescente di sedici anni di origine albanese; è in fuga dal proprio paese e da una famiglia ormai sfaldata e anch'egli è arrivato da poco nel Quartiere, con la speranza di lavorare - seppur in nero - e guadagnare qualcosa, provando a costruirsi una vita e sperando che non lo rimandino in Albania.
Ma i suoi timidi desideri si scontrano dal primo momento con la triste realtà: il cadavere di un bambino, scomparso da mesi, viene ritrovato proprio nei pressi del magazzino in cui lavora Jon (e in cui ha trovato temporaneamente riparo), e dalle terribili condizioni in cui è il piccolo corpo è evidente che sia stato orribilmente torturato...

Purtroppo, non è l'unico caso di scomparsa: altri bambini sono recentemente spariti senza lasciare traccia. 

La paura del mostro scivola sulle coscienze degli adulti, preoccupati sì, ma non abbastanza da muoversi e far qualcosa di concreto per ritrovare questi innocenti.

Dalle pagine di questo romanzo si delinea una situazione infelice che vede i minori abbandonati a loro stessi e, dall'altro lato, degli adulti (genitori, vicini di casa, conoscenti, gli stessi poliziotti) arroccati nella loro irriducibile distanza rispetto al mondo dell'infanzia. 

Il primo mostro - quello che distrugge la purezza e l'innocenza dei bambini, che li avvolge nelle soffocanti spire dell'angoscia, della solitudine - è l'indifferenza dei grandi verso i piccoli; chi dovrebbe proteggere, rassicurare, passare del tempo con i bambini, non lo fa, tutt'altro: questi sono lasciati soli contro il mondo, all'interno di un quartiere ostile, cupo, in cui aleggia una minaccia non ancora identificata ma sicuramente pericolosa che individua proprio nei piccoli più soli, più vulnerabili, il bersaglio ideale.

Solo Mina (che non è una bambina ma neanche ancora un'adulta, pur essendo fin troppo matura per la propria età, e di certo più responsabile di molti adulti attorno a lei) e Peter, il gentile titolare di un banco di pegni zeppo soprattutto di giocattoli, sembrano comprendere la triste realtà che li circonda e desiderano andare incontro ai desideri e alle paure dei bambini. 

Il ritrovamento del cadavere sconvolge il Quartiere che comincia a puntare il dito su Peter il giocattolaio.

L'uomo ha, agli occhi della comunità, atteggiamenti molto strani, sembra così ingenuo e disponibile verso i ragazzini... Forse nasconde qualche perversione? Magari è proprio lui che li rapisce e li uccide?

Mina è strasicura che il suo buon amico non sia colpevole; anzi, è piuttosto il contrario: è così altruista e gentile, che la gente approfitta di lui!

Insieme a Jon, Mina farà di tutto per scagionare Peter da ogni accusa ma per farlo dovrà individuare l'identità del rapitore assassino e, se possibile, salvare i bambini che sono ancora nelle sue mani.

Dal canto suo, Massimo viene sempre più schiacciato dal peso della solitudine e della sofferenza, e l'amico Marco sembra diventare l'unica presenza positiva: il bambino è socievole, allegro e invita Massimo a casa sua, dove vive con suo padre. 
Un padre che è perfetto, l'opposto dei "padri del Quartiere", così disinteressati e freddi verso i figli: lui è invece un vero e proprio "genio della lampada" che esaudisce ogni desiderio di Marco, portandolo dove vuole, comprandogli di tutto, dai vestiti alla cameretta nuova piena zeppa di giochi.

È questa la vita perfetta, serena, ideale, che Massimo sogna per sé stesso.
Ma per lui le prove non sono ancora finite...

"Il giocattolaio" è un thriller che parte, a mio avviso, placidamente, in quanto si sofferma molto sul mostrarci com'è la vita nel Quartiere, come sono i rapporti tra gli adulti e i bambini, i problemi dei primi e le afflizioni dei secondi, in un quadro di completa tristezza e distanza emotiva tra tutti.
Per circa metà del libro, vengono "gettate le basi" per gli avvenimenti più movimentati che avranno luogo dopo, per cui il ritmo iniziale è tranquillo, se non fosse per quella persistente, palpabile e sottile sensazione di un indefinibile pericolo acquattato nelle strade, nei palazzi, nel buio di certe zone meno sicure, nelle quali può nascondersi il mostro.
La narrazione (sempre in terza persona) segue i punti di vista di più personaggi (Mina, Massimo, Jon...), tecnica che offre una molteplice prospettiva da cui guardare gli eventi, oltre a lasciarci entrare nell'intimo dei singoli, mettendoci di fronte alle loro paure, alle loro insicurezze, ai mille dubbi, ai desideri e alle timide speranze, ma che in questo caso non ho trovato priva di difetti.

Il personaggio di Peter è centrale ed è particolare perché incarna una sorta di ponte tra gli adulti e i bambini, in quanto egli stesso è anagraficamente adulto ma è rimasto fanciullo nei modi di pensare, sognare, progettare il futuro.
Mina è agli antipodi: disincantata, pragmatica, dai modi spicci e bruschi, spesso aggressiva nell'approccio con chi la contraddice o non la comprende, manifesta nei gesti e nella parole un quantitativo di rabbia e risentimento che rischia di divorarla, rendendola troppo dura e cinica a soli quindici anni. 

Ma sia lei che gli altri personaggi principali (Jon, Massimo, Peter...) avranno modo di cambiare, di maturare, di superare ciascuno i propri limiti, insicurezze, provando a costruire un domani diverso e più luminoso, non prima di aver attraversato una serie di vicissitudini terribili, pericolose e dagli sviluppi imprevedibili.

Durante la lettura ho avvertito una certa debolezza nella trama, dovuta al passaggio troppo repentino da un punto di vista all'altro, alla caratterizzazione (un po' superficiale, dal mio punto di vista) di alcuni personaggi secondari, ad alcuni dialoghi un po' stereotipati, a come sono gestiti gli eventi che man mano conducono verso il finale.

Però diciamo che nel complesso è un buon libro, si legge con fluidità e sufficiente interesse, soprattutto dalla seconda metà in poi.

martedì 20 maggio 2025

Recensione - L'ORFANOTROFIO SUL LAGO di Daniel G. Miller



Un'investigatrice privata accetta di indagare per conto di una donna la cui figlioccia è misteriosamente scomparsa dall'orfanotrofio di cui era ospite.
Tra silenzi, misteri e indizi da seguire, le ricerche riveleranno non pochi segreti e porteranno la detective dritta dritta nelle fauci di predatori senza pietà.



L'ORFANOTROFIO SUL LAGO
di Daniel G. Miller 



Newton Compton
288 pp
Hazel Cho lavora da qualche anno come investigatrice privata.
Trentenne di origine coreana, condivide un appartementino a Manhattan con il coinquilino e amico Kenny, contravvenendo al modo di pensare dei genitori, che la vorrebbero impegnata in una professione più seria e stabile e, chissà, magari fidanzata o sposata.

Ma purtroppo per Hazel la ruota della fortuna sembra aver smesso di girare: la sua agenzia investigativa stenta a decollare e finora si è sempre occupata di casi minori e soprattutto ha avuto a che fare con clienti non sempre accomodanti ed educati.
Sul fronte sentimentale non ne parliamo: è single e all'orizzonte non si intravedono uomini interessanti e interessati; e Kenny - infatuato di lei - non è il suo tipo, per cui... nisba!

Insomma, c'è bisogno di una svolta, di una scossa, magari attraverso un caso bello adrenalinico e complesso.

Detto fatto: una mattina alla porta del suo ufficio si presenta Madeline Hemsley, una donna ricca, snob, arrogante, misteriosa e con un'offerta di lavoro economicamente troppo allettante per poter essere rifiutata: una ragazza è scomparsa dall'orfanotrofio in cui viveva e Madeline vuole che lei la trovi. 

L'adolescente 15enne si chiama Mia, è la figlioccia di Madeline e sin da piccola vive nell'istituto Saint Agnes, che accoglie orfane e ragazze bisognose, dando loro un'istruzione, oltre a un posto sicuro (si spera) in cui vivere.

Madeline si dimostra, dai primi momenti, molto sibillina ed enigmatica, restia a dare più informazioni del dovuto ad Hazel ma, allo tesso tempo, pretende da lei una certa urgenza nel cominciare le indagini affinché si giunga ad una soluzione, possibilmente positiva.
Già altri investigatori si sono succeduti prima di Hazel, ma nessuno ha portato risultati concreti.

Hazel Cho è l'ultima spiaggia.

Motivata dall'alto compenso economico (che potrebbe costituire la famosa svolta da lei desiderata), Hazel accetta, nonostante Madeline sia insopportabile, spocchiosa, invadente ed esigente oltremisura.

La nostra investigatrice non si lascia scoraggiare dall'atteggiamento quasi ostile di Madeline e dalle scarse informazioni di partenza, e incomincia a interrogare le persone che, all'interno della Saint Agnes, conoscevano Mia, l'hanno vista prima della scomparsa e possono avere qualche dato utile per capire cosa l'è successo.

Mia è scappata volontariamente e con le proprie gambe dall'istituto o è stata rapita, trascinata con la forza?

Una vota appurato in che modo sia avvenuta la sparizione della ragazza, c'è da chiarire chi sia coinvolto, e quasi sicuramente si tratta di (almeno) un adulto.

Cosa accade realmente tra le mura di quella casa famiglia guidata da un preside autoritario, che tutti stimano e conoscono come un uomo morigerato, generoso, devoto alla propria missione di salvare bambine/ragazze da difficili situazioni famigliari?

Hazel parla con diverse persone che lavorano lì e che hanno avuto contatti con Mia e, tra le prime scoperte in cui si imbatte, ce n'è una che la sconvolge: negli anni si sono verificate decine di sparizioni di minorenni, ospiti della Saint Agnes.

Che fine hanno fatto quelle ragazze? Sono state cercate seriamente dalla polizia, dalla famiglia, dallo stesso preside, il signor Mackenzie?

Man mano che procede con le indagini, senza ignorare nessun dettaglio o intuizione, Hazel incappa in diversi indizi che fanno sospettare che in quell'orfanotrofio sul lago, tanto apprezzato dalla comunità e generosamente supportato con donazioni economiche da benefattori molto ricchi, si celino segreti oscuri: qualcuno al suo interno agisce nell'ombra per ragioni sinistre e le giovanissimi ospiti sono probabilmente vittime di una realtà deviata e pericolosa.

Chi sono queste persone responsabili delle sparizioni? E cosa c'è dietro, quali malvagi scopi?

Hazel è una donna vivace, piena di risorse, determinata, anche impavida quando serve, fino all'incoscienza e all'avventatezza, e non teme di andare oltre neppure dopo essere stata minacciata da un losco figuro di farsi i fatti propri, pena la morte.

Sebbene spaventata dalle opposizioni che incontra nel proprio lavoro investigativo, Hazel capisce che dev'essere sulla buona strada evidentemente, altrimenti nessuno si scomoderebbe a minacciarla per strada con un coltello.

Mentre cerca di raccapezzarsi in queste ricerche che si ingarbugliano ogni giorno di più - e che le mettono non poca ansia, avendo avuto da Madeline una scadenza di poco più di una settimana -, aiutata da Kenny (aspirante poliziotto), qualcosa comincia a smuoversi anche nella sfera privata sentimentale.

Durante una cena, cui partecipa per ragioni di lavoro, conosce un giovane tanto bello quanto gentile: Andrew DuPont, il cui padre è uno dei massimi benefattori della casa famiglia.
Tra i due sembra scoccare immediatamente una scintilla d'attrazione e Hazel non crede a ciò che vede e sente: quel pezzo d'uomo bellissimo e vicino alla perfezione, sembra sinceramente interessato a lei, a una donna made in Korea con un lavoro particolare e alta poco più di un metro e cinquanta?!
Roba da non credere! Eppure pare proprio così!

Ma le acque si muovono anche nell'indagine che sta seguendo: riesce a mettersi in contatto con il detective Riether della polizia di New York, che si è occupato del caso di Mia, ricevendo da lui importanti pezzi per il complicato puzzle che è la sparizione delle ragazze della Saint Agnes; e inoltre scopre un luogo che è collegato alle scomparse in un modo che, una volta compreso e chiarito, potrà portarla verso la soluzione.

Quali segreti terrificanti nasconde  quell'orfanotrofio?
E la stessa Madeline: le avrà detto tutto o nasconde qualcosa anche lei?


L'orfanotrofio sul lago è un thriller che ho scelto di leggere spinta dai pareri positivi su Amazon e dalla trama, perché quando ci sono istituti misteriosi e persone scomparse, la mia curiosità è sicuramente solleticata.

Lo stile è scorrevole e piacevole, i dialoghi sono abbondanti e la protagonista è simpatica, intraprendente, un po' sfigatella ma è divertente anche per questo, e infatti i toni sono spesso ironici, anche se a volte Hazel si comporta un pochino come una teenager, pur avendo trent'anni, ma ci sta, è una ragazza che in fondo deve ancora affermarsi e realizzarsi appieno, a prescindere dall' età anagrafica.

Ciò che mi ha convinto meno è il modo in cui è gestita la trama per gran parte del romanzo: il ritmo è un po' lento, "dilatato", per troppo tempo non accade granché e mi sembrava di girare intorno all'istituto senza che mi venissero date le tracce per cominciare ad intuire in che guaio si fosse cacciata la ragazza scomparsa.

Le cose cominciano a farsi più movimentate dopo la metà del libro per diventare più appassionanti e vivaci verso la fine, quando la protagonista vive in prima persona una "bella" avventura che metterà a rischio la sua stessa incolumità.

Nel complesso non è un brutto thriller e non mi sento di sconsigliarlo, anche perché comunque sentivo la voglia di arrivare sino alla fine; si fa leggere, c' è qualche colpo di scena ma non mi ha dato grosse palpitazioni, diciamo. 
 

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