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lunedì 15 settembre 2025

[ RECENSIONE ] LA FORTUNA di Michael McDowell (Blackwater V)

 

La guerra è passata e la famiglia Caskey si appresta a vivere un periodo economicamente florido oltre ogni immaginazione.
Ciascun membro del ricco clan avrà l'opportunità di rendere stabile e sicura la propria esistenza, anche se qualcuno sarà chiamato ad affrontare cambiamenti importanti e radicali.



LA FORTUNA 
di Michael McDowell



Neri Pozza
trad. E.Cantoni
256 pp
Il secondo conflitto mondiale è ormai un ricordo del passato, dopo il quale segue un periodo di assestamento nel quale Miriam e Oscar proseguono con l'attività della segheria, conseguendo successi e ampliando le prospettive di guadagno; le cose non possono che migliorare quando nel team della ditta si inserisce un nuovo elemento: Billy Bronze, il marito di Frances, secondogenita di Elinor ed Oscar.

Inizialmente, Billy si occupa di riorganizzare i beni mobili e immobili dei propri parenti acquisiti, e poiché il suo contributo viene percepito come fondamentale e irrinunciabile, anche Miriam decide di approfittare dell'aiuto che può darle Billy in azienda.

Miriam è sempre la stessa: distaccata, razionale, responsabile e con un gran senso pratico e fiuto per gli affari; quando sua madre Elinor (con cui i rapporti sono, se non nettamente migliorati, almeno un po' più sereni) le confida che nelle terre paludose (e apparentemente sterili e inutilizzabili) in cui vivono Grace e Lucille, possono rivelarsi, se ben sfruttate, una fonte di immenso guadagno, Miriam si fida ciecamente e decide di cominciare a muoversi per sfruttare al massimo quelle zone.

Con grande stupore ed entusiasmo di tutti, le previsioni di Elinor si rivelano vere e la scoperta non potrà che rendere i Caskey ricchissimi e felicissimi.
Si ritrovano a poter disporre di una tale quantità di soldi da non sapere in che modo utilizzarli al meglio.                                               

Ma non sono solamente i quattrini ad arrivare a iosa; ci sono anche dei ritorni inaspettati... e non tutti graditi.

Torna il figlio maggiore di Queenie (Malcom), desideroso di rientrare nel clan e di poter finalmente mettere radici definitivamente nella sua Perdido.
E torna pure Early, il marito girovago di Sister, la quale però non sopporta l'idea di riaverlo tra i piedi e farà di tutto per sbarazzarsi di lui e di non seguirlo là dove l'uomo vorrebbe portarla.
È pronta anche a pagarne amare conseguenze pur di restare a Perdido, nella propria casa con Miriam e Queenie ad assisterla.

Se il giovane Malcom mostra segni di maturità e un'evoluzione ammirevole, Sister subisce un'involuzione, andando concretamente incontro al rischio di somigliare sempre più a colei che, in gioventù, aveva tanto criticato: sua madre Mary-Love.


Ma c'è un'altra persona che dovrà accettare e gestire mutamenti importanti, che coinvolgeranno letteralmente tutto il suo essere: Francy Caskey Bronze.

Sappiamo come ella abbia sempre avuto un legame speciale e molto stretto con la madre Elinor, la quale ha per Frances una predilezione  e un affetto viscerale che mai ha avuto per Miriam.
Elinor e Frances si comprendono con uno sguardo e la prima sa leggere i silenzi e le espressioni facciali, i gesti, le rughe sulla fronte della figlia come se si trattasse di sé stessa.

Frances è alla sua prima gravidanza ed è inevitabile che un evento del genere cambi la futura mamma, rendendola apprensiva, preoccupata, un po' ansiosa e piena di aspettative e speranze.

Ma in Frances l'avere figli costituirà uno spartiacque che cambierà drasticamente la sua persona, il suo modo di sentire e pensare, i suoi desideri e stati d'animo.

Frances partorisce due bambine, Lilah e Nerita, ma dovrà necessariamente separarsi da una delle due, cosa che sembrerà accettare nei primi momenti, per poi invece soffrirne grandemente.

Non aggiungo altro ma, com'è facile intuire se avete letto i precedenti libri, Frances deve accettare la propria vera ed intima natura, che è ciò che la lega e la rende simile tanto ad Elinor quanto alla figlia da allontanare.

Arriviamo quindi al 1956 e il mese di maggio vedrà Perdido ritrovarsi in una situazione molto, troppo simile a quella da cui siamo partiti (nel 1919): non è solo la vera natura di Frances a chiedere prepotentemente di uscir fuori, ma anche la natura circostante, che alza ancora una volta la propria voce come a chiedere il conto ai suoi abitanti.


La fortuna è il quinto e penultimo volume della saga famigliare Blackwater e, pur avendo letto anch'esso con piacere (ritornare a Perdido, dai Caskey, ormai è come tornare a far visita a degli amici), ho avuto la conferma che è ben lontana dall'essere una saga horror; è sicuramente paranormal fantasy e con un'atmosfera gotica suggestiva, che crea aspettative nel lettore perché gli mette addosso, nel corso dello sviluppo degli eventi, la sensazione che sta per accadere qualcosa di oscuro che potrebbe sparigliare le carte e spazzar via quella serenità e stabilità in cui i Caskey e Perdido rischiano di crogiolarsi, indolenti e paghi.

Il mio parere continua ad essere positivo; io amo le storie in cui i legami famigliari sono al centro della storia raccontata, in cui emergono luci ed ombre, difetti e pregi dell'essere umano, e sotto questo aspetto McDowell è stato sicuramente generoso, offrendoci una esaustiva e interessante caratterizzazione di ogni personaggio.

Mi attende l'ultimo libro, Pioggia, e poi vorrei leggere anche Katie.


LIBRI DELLA SAGA

1. LA PIENA
2. LA DIGA
3. LA CASA
4. LA GUERRA
5. LA FORTUNA
6. PIOGGIA

sabato 13 settembre 2025

ROMEO E ROSALINA di Natasha Solomons [ Recensione ]



"O Romeo, Romeo? Perché sei tu, Romeo?"
Chi non conosce queste celebri parole e il nome di colei che le ha pronunciate nel dramma d'amore tra i più famosi della letteratura?
Tutti conosciamo, fosse anche solo per sommi capi, l'amore osteggiato e tragico tra Giulietta Capuleti e Romeo Montecchi.
In questo romanzo esso ci viene raccontata dalla prospettiva di una donna illusa e delusa proprio da quel gaglioffo di un Montecchi...


ROMEO E ROSALINA
di Natasha Solomons


Neri Pozza
trad. A. Sabini
352 pp
Rosalina è una signorina della Verona del Cinquecento, una quindicenne bella e con carattere ma la cui sorte è stata decisa dai genitori: non è destinata al matrimonio, bensì alla vita monastica.

Dopo essere rimasta orfana di madre (a causa della peste), la bella Rosalina Capuleti scopre, con sgomento e amarezza, che l'amata genitrice ha lasciato scritte le proprie volontà sulla figlia, chiedendo che prenda il velo.
Il padre, Masetto Capuleti, non può che concordare e così, con quella durezza che da sempre ha riservato alla figlia femmina, le comunica che ha ancora undici giorni di libertà, dopo i quali verrà spedita dritta dritta in convento, dove diventerà una Sposa di Cristo.

Undici giorni!
Rosalina è affranta, delusa, amareggiata, il suo cuore è rotto dal peso di un destino sfortunato che vuole privarla delle gioie della vita secolare per rinchiuderla tra le cupe sbarre di una vita di clausura.

Le sue rimostranze, le sue argomentazioni circa l'assenza di vocazione, non addolciscono il padre, che è risoluto e fermo nella propria decisione: tra undici giorni le mura del convento si chiuderanno dietro di lei.

Rosalina sa di non poter opporre resistenza, così decide di vivere al massimo quegli undici giorni, di assaporare gli ultimi sprazzi di libertà, e tanto per cominciare va di nascosto ad una festa in maschera organizzata da una famiglia ben nota alla propriai e da essa odiata: i Montecchi, con cui i Capuleti sono in eterna rivalità.

Eccitata all'idea di trasgredire gli ordini paterni e l'obbligo a starsene chiusa in camera, col supporto della propria cameriera personale, Rosalina va alla festa e viene avvicinata da un baldo giovane, tanto ardito quanto bello e dall'eloquio ammaliante: Romeo Montecchi.

La prima volta che Romeo vede Rosalina, se ne innamora all’istante. 
E Rosalina, inesperta e ingenua ma anche bramosa di ricevere attenzioni e di essere corteggiata da un così bel giovanotto, accoglie con entusiasmo ogni parola di lui, ogni complimento, ogni sospiro, ogni promessa.

Ai due freschi innamorati non interessa se le loro famiglie sono in guerra, se quel sentimento travolgente, seppur acerbo, è ritenuto uno scandalo, un oltraggio: i due si lasciano andare alla passione, all'unione di corpi e di cuori, giurandosi amore eterno. 
E quando lui le promette un matrimonio segreto e la fuga, lei cede, anche se questo significa tradire il proprio padre, far arrabbiare l'amato cugino Tebaldo (con cui ha condiviso l'infanzia) e commettere gesti imprudenti e pericolosi che, se fossero scoperti dai suoi famigliari, ne scatenerebbero l'ira più funesta.

Ma si sa, l'amore è cieco e, se le circostanze lo richiedono, diventa pure sordo e cocciuto, ed è così che Rosalina non si accorge..., non vede al di là del proprio giovanile ed inesperto amore di adolescente: chi è davvero Romeo? Dice di amarla e di volerla sposare e portar via a Mantova, ma poi ogni promessa crolla dinanzi a improvvisi ostacoli che rimandano, di notte in notte, il matrimonio in segreto e la fuga d'amore.

Mentire, rubare, tradire...: chi ti ama ti chiede di compiere azioni di questo tipo?
Nel cuore della ragazza si insinua il dubbio: e se Romeo Montecchi non fosse chi dice di essere? 

Diverse sono le voci di coloro che sussurrano al suo orecchio la verità su Romeo: egli è volubile, si innamora oggi di una vergine, la deflora, la inganna con mille e dolci promesse... per poi stancarsi della stessa dopo poco, quando i suoi occhi si posano su un'altra fanciulla da incantare, ammaliare,  e così in un continuo susseguirsi di seduzioni, abbandoni, menzogne e crudeltà.

Col passare dei giorni, il dubbio sulla bontà dei sentimenti di Romeo si fa certezza: non soltanto egli le dichiara di non volerla più sposare, ma confessa di amare un'altra giovane più bella, davanti alla cui bellezza Rosalina sparisce: Giuletta Capuleti.

Sentirsi rifiutata e umiliata, dileggiata e trattata come una scarpa usata e gettata via perché ormai vecchia, è molto doloroso per la povera Rosalina, che si vede non solo abbandonata da colui che credeva essere l'amore della sua vita, ma anche derubata del sogno segreto di fuggire alla vita in convento decisa dal padre.

Ma l'amarezza aumenta quando pensa al fatto che il nuovo bersaglio di Romeo è la sua adoratissima cuginetta Giulietta, di soli tredici anni.
Giulietta è troppo giovane per l'amore e soprattutto è pura ed ingenua, non si rende conto che quel gaglioffo farabutto di Romeo Montecchi fa promesse da marinaio ad ogni porto cui approda..., e che probabilmente anche Giulietta è destinata ad essere una sua vittima.

Rosalina ama troppo la cugina per permettere a quel mostro dalla lingua sciolta e dagli occhi gentili e luminosi, di farle del male.
Anche perché il danno cui andrebbe incontro Giulietta - e a cui lei è scampata per miracolo - vede coinvolti non soltanto il finto innamorato, ma anche altre persone altrettanto malvagie e corrotte.

Nonostante la sofferenza per essere stata presa in giro, Rosalina non cede allo sconforto e il suo dolore si trasforma di rabbia e determinazione, in rivalsa e vendetta, per sé, per Giulietta e per le donne che l’hanno precedute. 
Non ce ne saranno altre e forse non è troppo tardi per salvare Giulietta…


"Romeo e Rosalina" è un piacevole untelling della famosissima tragedia shakespeariana che affida la narrazione degli eventi a un personaggio che nell'opera originaria è sì presente ma al contempo invisibile, perché viene menzionato senza però mai comparire "in scena": Rosalina, appunto, colei di cui il Montecchi è innamorato fino al momento in cui incontra la bella e dolce Giulietta.

Rosalina è una ragazza piena di vita, solare, dalla personalità decisa e ribelle, e un'esistenza chiusa, limitata e lontana dal mondo è impensabile per un uccellino libero e felice qual è lei, ma purtroppo son tempi difficili e la giovinetta non ha alcun potere sulla propria vita: deve obbedire al padre e non disonorarlo ribellandosi.
L'amore arriva inaspettato e travolgente come un fiume in piena; non era pronta ad accoglierlo ma quando irrompe in quel momento della sua vita, ella vi si aggrappa con una gioia disperata, come se fosse l'ultima ancora di salvezza per evitare quel "carcere a vita" che per lei è il convento.
Ma non ha fatto i conti con i lati oscuri, i peccati e le cattive intenzioni che albergano in un cuore che a lei è sembrato buono, sincero, ma che nascondeva il veleno della bugia e della perfidia.

Ferita e arrabbiata, Rosalina tira fuori il suo bel caratterino e si fa paladina delle donne abbindolate dalle mielose dichiarazioni d'amore di un damerino la cui bellezza è solo esteriore, mentre dentro è marcio.
E la sua cara Giulietta non dev'essere toccata da quel marcio, così la battagliera Rosalina farà di tutto per non perdere la cugina e per aprirle gli occhi.

La trama ovviamente non segue pari pari la tragedia così come scritta da Shakespeare, perché il personaggio di Rosalina scombina le carte e l'autrice ha creato, attorno a Romeo e ad altri personaggi, ombre scure, in cui lascivia, corruzione, crudeltà e inganno sono le parole d'ordine.

I personaggi noti - Tebaldo, frate Lorenzo, Paride, Mercuzio, la nutrice di Giulietta... - ci sono e ognuno fa la sua parte nel palcoscenico della Solomons, che ha riscritto la tragica storia svestendola di ogni romanticheria per restituirci un'altra prospettiva, più disincantata, forse anche un tantino cinica e che potrebbe far storcere il naso agli amanti della tragedia, soprattutto per come ne esce Romeo Montecchi (una brutta persona veramente eh) ma che io ho letto con piacere perché la narrazione scorre con fluidità, il linguaggio è consono al periodo di riferimento e c'è un che di moderno in questa rivisitazione, che a mio avviso non stona.

Carino, lo consiglierei a chi ama Romeo e Giulietta e non "teme" di leggere le riscritture di opere celebri.

mercoledì 10 settembre 2025

LA RADICE DEL MALE di Adam Rapp [ RECENSIONE ]


I Larkin sono, a un occhio esterno, una famiglia come tante: gente perbene, rispettabile, di religione cattolica, al cui interno i figli vengono educati con rigore e disciplina.
Ma anche in un contesto così apparentemente rassicurante, e in mezzo a brave persone, può annidarsi il male più nero e abietto.



LA RADICE DEL MALE
di Adam Rapp


NN Editore
trad. M. Martino
544 pp
Tutto ha inizio in un giorno d'estate del 1951 ad Elmira, New York.
La tredicenne Myra Larkin, figlia maggiore di una numerosa famiglia cattolica, sta leggendo con trasporto il suo libro preferito, Il giovane Holden, quando viene avvicinata da un giovanotto sfacciato ma gentile che si dimostra interessato a lei e la riempie di complimenti.

Trasgredendo a una regola materna (Myra deve essere a casa entro una certa ora per aiutare sua madre Ava con il fratellino più piccolo, avendo lei da fare con altri quattro pargoli), la ragazzina - presa da un vortice di emozioni nuove per lei, in un misto di timore, imbarazzo, desiderio di indipendenza, il piacere di essere corteggiata e di attirare sguardi maschili - dà confidenza allo sconosciuto, il quale si presenta col nome di Mickey Mantle, giovane promessa degli Yankees. 

Quel loro incontro sarà il primo e l'ultimo, anche perché quella stessa notte, i vicini di casa di Myra vengono brutalmente assassinati, e i sospetti ricadono su uno sconosciuto dall'abbigliamento e dall'aspetto molto simile al suo nuovo amico. 

L'autore non chiarirà mai in modo esplicito la responsabilità del ragazzo che dice di chiamarsi Mantle ma quel che è certo è che quella tragica notte costituirà una sorta di prologo drammatico a tutta una serie di eventi violenti e cupi che accompagneranno negli anni i membri della famiglia Larkin.

Il romanzo si presenta come una saga famigliare che copre più generazioni e un periodo di tempo abbastanza lungo (dagli anni Cinquanta ai Duemila); nel corso di questo periodo il lettore "viaggia" da New York a Chicago, dal Kentucky al Mississippi, dal Massachussets al Vermont, da Londra a Los Angeles, accompagnato da una narrazione che, di capitolo in capitolo, si sofferma su un singolo Larkin.

Myra è, come abbiamo detto, la primogenita di Donald ed Ava Larkin; ha tre sorelle - Joan, affetta da ritardo mentale, Lexy e Fiona - e due fratelli minori, Alec ed Archie (quest'ultimo muore quando è ancora molto piccolo).

Benché cresciuti nella stessa casa ed educati dai medesimi genitori - che cercano di dare ai figli dei sani principi di vita - i fratelli sono tutti molto diversi l'un dall'altro e avranno percorsi di vita diametralmente opposti.

Myra è la più equilibrata, saggia e responsabile della famiglia; diventa infermiera pediatrica e ama la sua professione; quando conosce un giovanotto educato e riservato, Denny Happ, se ne innamora, i due si sposano e diventano genitori di Ronan.
Ma l'idillio ha vita breve: quando il bimbo ha solo sei anni, Denny esce di casa, in un giorno di tempesta, e non vi fa più ritorno.
Myra è distrutta, smarrita, perplessa: forse gli è accaduto qualcosa? Ma in tal caso qualcuno, prima o poi, non l'avrebbe contattata per comunicarle notizie di Denny?
La donna si convince che suo marito abbia abbandonato moglie e figlio e questo pensiero è una spina atroce per lei, che la farà soffrire anche negli anni a venire; non dimenticherà mai Denny e non riuscirà mai neppure ad odiarlo, anzi lo cercherà... e lo troverà, scoprendo l'amara verità: egli è vivo ma qualcosa dentro di lui si è "interrotto", si è spezzato, privandolo della voglia di vivere e allontanandolo irreversibilmente dai suoi cari...
Myra trascorre la sua vita facendo moltissimi sacrifici per tirar su Ronan, per farne un ragazzo assennato, con dei valori, che si ponga degli obiettivi nella vita e che provi a raggiungerli.

E Ronan - che sarà anch'egli protagonista di diversi capitoli, andando avanti con la narrazione e con gli anni - si costruirà pian piano il suo futuro e la sua famiglia, nonostante purtroppo lo stesso cupo spettro che ha tormentato il padre farà capolino anche nella sua vita...

Lexy è la Larkin che avrà una sorte più serena e forse per questo è la meno presente nella narrazione; Fiona è la ribelle della famiglia, la Larkin bella ma inquieta, che fa della propria sfrenata indipendenza il lasciapassare per un modo di vivere disordinato, in cui la vedremo affannarsi e amareggiarsi nel cercare di diventare una stella di Broadway.

Ma al centro di tutto, se vogliamo, c'è Alec, il fratello rinnegato e mandato via di casa quand'è solo un ragazzo.

Alec mostra sin dall'infanzia una personalità problematica, una tendenza alla perfidia e al sadismo che avrebbe dovuto accendere delle spie d'allarme nei genitori.
Ma sembra che l'unica ad esaminare e pesare i comportamenti di Alec sia Myra, che infatti è colei che cercherà di tenere sempre un minimo di legame con lui, informandosi su cosa faccia e dove sia.

Alec cresce frequentando la chiesa cattolica vicino a casa, servendo come chierichetto e avendo a che fare con diversi preti...

Ecco, potrei aggiungere qualcosa ma evito per non dire troppo; mi limito a scrivere solo che certe traumatiche esperienze inevitabilmente segnano, creano dei vuoti e delle ferite che, nel caso di Alec, egli ricuce... a modo suo, e non è il modo giusto.

Alec, cacciato di casa, comincia a condurre un'esistenza errabonda, cambiando lavori e città, conoscendo gente poco raccomandabile, divenendo spettatore di episodi violenti e criminali, e tutto ciò che vivrà contribuirà a forgiare la sua personalità che già è complessa e preoccupante di suo...

Solitario, sempre più alienato socialmente, da un certo momento in poi inizia a inviare alla madre doni disgustosi e cartoline incomprensibili ma che racchiudono presagi inquietanti e danno adito a pensieri a dir poco allarmanti.

In cosa si trasforma Alec Larkin con il passare del tempo?

L'autore non ci risparmia il racconto del male oscuro che perseguita e che agguanta ferocemente il cuore e la mente di Alec, infettandolo e guidandone le terribili e deprecabili azioni.

Si creano, tra i membri della famiglia Larkin, numerose e profondo crepe in cui il tempo e la vita, impietosi e crudeli, deporranno non poche rogne e complicazioni di diversa entità e gravità: abusi, malattie gravi, disturbi mentali, solitudine, infelicità, fallimenti, e soprattutto crimini molto, molto gravi.



La radice del male è un romanzo dalle tinte molto fosche, amare, in cui la malvagità e la violenza serpeggiano tra le pagine, infilandosi nell'esistenza di un uomo, Alec, che prima di diventare il pessimo individuo che è da adulto, è stato un ragazzo, dei cui atteggiamenti eccessivamente ribelli, del cui sadismo gratuito, della cui indifferenza emotiva, nessuno si è accorto, fatta eccezione, forse, per Myra, che a modo suo, è l'unica che interverrà per cercare di "salvarlo".

Probabilmente, Myra è la sola che scorge i semi del male nel fratello perché lei ha avuto tempo e modo (per via del suo lavoro) di scrutare negli occhi di uomini depravati, stupratori, serial killer, pedofili..., e di rendersi conto del

"...vuoto nei loro occhi, qualcosa di perduto al centro della pupilla, un’assenza spietata. Lo stesso sguardo dei coyote. Degli squali e delle iene. E dei serpenti velenosi."


Alec ha lo stesso sguardo vacuo, distante, privo di emozioni, di umana pietà, di amore?
È possibile salvarlo, recuperare la sua anima votatasi alla perversione, alla malvagità?

Quanto conta l'essere nati e cresciuti in un contesto famigliare che di per sé, almeno in apparenza, non presenta evidenti o grosse disfunzionalità, se poi comunque in esso possono innestarsi le radici del male?

L'autore, come dicevo più su, tocca tematiche importanti, come i reati sessuali, i disturbi psichiatrici (e la loro componente ereditaria), i legami famigliari, l'educazione religiosa rigida e fredda e i suoi effetti non sempre positivi, e lo fa con uno stile molto asciutto, lucido, consapevole che, lungi dal solleticare quel lato morboso (presente forse, e in diversa misura, in ogni persona) interessato agli aspetti macabri dei reati violenti, racconta e mostra, più che altro, come l'orrore possa insinuarsi non così lontano dalla quotidianità di una famiglia "normale", che si crede al sicuro dietro la propria rispettabile facciata di perbenismo e devozione, e come esso - se non viene individuato e "contenuto" - possa allargarsi come una macchia d'olio, con conseguenze anche devastanti.

Se dovessi trovare un difetto in quest'opera, esso risiederebbe nel ritmo, che in alcuni capitoli rallenta un po', ma nel complesso l'ho letto con interesse e lo ritengo un buon libro, che mi sento di consigliare a chi ama leggere storie di famiglie americane con i loro segreti, peccati e angoli oscuri e inquietanti.

lunedì 8 settembre 2025

LIBRI LETTI AD AGOSTO 2025

 

Buongiorno!!

Eccovi le mie letture di agosto.


  1. BUTTERFLY di M. Kaukonen_ thriller psicologico - romanzo corale che ci mette
    all'ascolto di più voci e prospettive narrative, tra cui spiccano quella della psicologa e della sua paziente serial killer (4.5/5). COINVOLGENTE, NON MANCANO I COLPI DI SCENA.
  2. IL MISTERO DI ANNA di S. Lo Iacono: narrativa italiana - una bambina povera e curiosa di imparare incontra una scrittrice famosa (4.5/5). PER CHI VUOL LASCIARSI TRAVOLGERE DAL FASCINO E DAL POTERE DELLE PAROLE.
  3. RITORNO A CASA di K. Morton: mystery - giornalista dei nostri giorni indaga su una misteriosa tragedia famigliare avvenuta in Australia nel 1959. Salteranno fuori non pochi segreti che riguardano lei e i suoi cari (4,5/5). RITMO PACATO, AMBIENTAZIONE AFFASCINANTE, STORIA DENSA E CORPOSA.
  4. YARA GAMBIRASIO. UN CASO IRRISOLTO di F. Liguori: saggio documentaristico su un noto caso di cronaca nera italiano. Bossetti, condannato all'ergastolo per l'omicidio di Yara, è colpevole oltre ogni ragionevole dubbio? (5/5). PER CHI VUOLE CONOSCERE O RIPERCORRERE LE TAPPE DI QUESTO CASO.
  5. IL CANTO DEGLI INNOCENTI di P. Pulixi: noir - primo libro in cui compare Vito Strega, impegnato a risolvere non solo una serie di omicidi commessi da teenager, ma anche i propri problemi personali (5/5). LEGGILO SE AMI O NON HAI MAI LETTO PULIXI, SE AMI IL GENERE.
  6. NEVER FLINCH. LA LOTTERIA DEGLI INNOCENTI di S. King: thriller - un serial killer sta assassinando innocenti per vendicare l'ingiusta condanna e morte di un altro innocente. Sulle sue tracce Holly Gibney, nelle vesti anche di bodyguard impegnata a proteggere un'infervorata femminista da uno stalker (3.5/5). TRAMA BUONA, RITMO LENTO CHE SI RIPRENDE NELL'ULTIMA PARTE DEL ROMANZO.
  7. SPLENDI COME VITA di M.G. Calandrone: narrativa autobiografica - la lettera d'amore della Calandrone alla propria madre adottiva (4,5/5). COMMOVENTE, INTENSO, VERO.
  8. LA STRADA GIOVANE di A. Albanese: narrativa storica - il viaggio di un giovane ex-prigioniero dei tedeschi, durante la II g.m., verso casa (4/5). INTERESSANTE ESORDIO NELLA NARRATIVA DELL'ATTORE E REGISTA.



READING CHALLENGE 


Per la sfida letteraria, nel mese di agosto gli obiettivi erano i seguenti:


- LIBRO PUBBLICATO NEL 2025
- STORIA INCENTRATA SU BUGIA/INGANNO
- CLASSICO LETTERATURA INGLESE
- UNA CASA ALLA FINE DEL MONDO (M. Cunnigham)


Io ho scelto un obiettivo di giugno, LIBRO AMBIENTATO IN MEDIORIENTE:

9. IL RAGAZZO CON LA KEFIAH ARANCIONE di A. Al Said: narrativa contemporanea - la storia di una forte e sincera amicizia sullo sfondo del conflitto in Palestina (5/5). SE HAI VOGLIA DI UNA STORIA RICCA DI EMOZIONI E CON QUESTO GENERE DI CONTESTO.

sabato 6 settembre 2025

[ RECENSIONE ] IL SOLDATO PERDUTO di Gilles Marchand



Con una prosa delicata e poetica, l'autore di questo romanzo racconta al lettore la storia di un amore appassionato, fervente, che sfida la separazione, il dolore, la solitudine dettate da un conflitto mondiale che ha dilaniato innumerevoli vite, ma che non ha ucciso la dolcezza di un sentimento profondo.


IL SOLDATO PERDUTO
di Gilles Marchand



Neri Pozza
trad. S. Folin
176 pp

Siamo a Parigi, nel 1925, ed un uomo - di cui non sapremo mai il nome - , entra in un ristorante accompagnato da un abbigliamento e da un aspetto non proprio raffinati.
L'uomo è un ex soldato sopravvissuto alla Grande Guerra, durante la quale ha perso la mano... e gli affetti più cari.

Come altri ex combattenti, la guerra, feroce e tremenda, gli è rimasta attaccata addosso, come una seconda pelle di cui non si libererà mai del tutto.


"Io non ero partito a cuor leggero, come si dice, con un fiore nel fucile. Non conosco nessuno, del resto, che l’abbia vissuta in quel modo. Certo era una bella immagine, ma non rispecchiava la realtà. Non immaginavamo che il conflitto andasse così per le lunghe, ovviamente. Nessuno poteva prevederlo. Pensavamo di passare l’estate sotto le armi e di tornare entro l’autunno, con l’Alsazia e la Lorena in saccoccia."


Adesso è in quel locale per incontrare una donna, che lo attende seduta al tavolo con una questione urgente da sottoporgli: suo figlio non è mai tornato dal fronte e, sebbene siano trascorsi nove anni dalla battaglia di Verdun, Madame Joplain è graniticamente certa che il suo caro figlio Émile sia ancora vivo. 

Il nostro ex soldato vorrebbe poterle dire che forse è il caso di rassegnarsi e che quasi sicuramente Émile è deceduto; sa bene come sia difficile accettarlo, a maggior ragione quando non c'è neppure un corpo su cui piangere, ma alimentare quella folle speranza non fa che aggiungere dolore su dolore.

L'uomo ha cercato altre volte le tracce di tanti soldati spazzati via e definitivamente dal conflitto, e finora non ne ha mai trovato uno in vita, per cui la triste signora è invitata caldamente a non farsi illusioni di sorta. 

Lo stesso protagonista (e narratore) ha combattuto, ormai dieci anni fa, e ha perso una mano per colpa del nemico tedesco, invalidità che gli ha permesso di lasciare il combattimento attivo; ma egli non è mai uscito completamente dalle trincee e da anni ormai si occupa delle tragedie che la guerra ha lasciato dietro di sé, cercando un modo per fare ammenda, per perdonare a sé stesso di essere ancora tra i vivi.

"Una volta che l’hai assaggiata, la guerra ce l’hai in corpo, sotto la pelle. Puoi vomitare, grattarti fino a sanguinare, non se ne andrà mai. È dentro di te. Allora io ci  tornavo. C’era ancora odore di cenere e di polvere da sparo. Distese di croci all’infinito. E io indagavo, instancabilmente. Per tutti gli anni Venti e buona parte degli anni Trenta ho fatto quello strano mestiere di investigatore."

Per questa intima ragione accetta l’incarico e si mette alla ricerca di Émile su campi di battaglia ormai freddi, fra ex soldati e testimoni che vorrebbero solo dimenticare e guardare al futuro.

Il nostro milite ignoto si butta anima e corpo in questa missione disperata, e per lui essa diventa un'ossessione che lo spingerà a perlustrare luoghi e a fare domande a diversi testimoni ed ex-soldati, imbattendosi in tantissime storie di dolore e sangue ma anche di amore e speranza.

"Servono a questo le storie, a rendere la vita migliore. Avevamo già i piedi pesanti, ci imponevamo di non appesantire troppo il cuore. Se avessimo aggiunto le lacrime alla pioggia saremmo affogati. E bisognava avanzare. Rimettevamo in spalla gli zaini che riempivamo con le storie d’amore prese un po’ da tutti, potevano sempre ritornare utili. L’amore è facile da condividere, ne prendi un pezzetto e altrettanto ne resta a chi te l’ha raccontato. Era facile essere generosi."

Certo, per riuscire a sapere cosa n'è stato di Émile sarebbe utile capire, ad esempio, dove fosse - e quando - l'ultima volta che ha dato una traccia di sè, magari con una lettera o una cartolina.
La signora Joplain afferma con testarda convinzione di essere stata l'unico amore della vita del suo ragazzo, il quale sicuramente non aveva una fidanzata.

Ma è davvero così?

Man mano che la sua ricerca procede, egli scopre che in verità il suo "soldato perduto" aveva un'innamorata: Lucie Himmel, una giovane alsaziana che lavorava per la famiglia Joplain.

L'indagine si sdoppia e trovare informazioni su Lucie (o magari lei in persona) diventa altrettanto importante per ricostruire ciò che n'è stato di Émile, e questo porta inevitabilmente alla luce racconti di guerra e leggende che circolavano tra i soldati, in special modo la suggestiva storia di una figura quasi sovrannaturale conosciuta come la "Figlia della Luna", una donna tanto bellissima quanto misteriosa che si aggirava nella terra di nessuno tra i due schieramenti in cerca dell’amato perduto, apparendo ai soldati come una visione eterea e ultraterrena.

Ma la storia più incredibile e toccante resta quella centrale, che sta succhiando ogni energia del nostro ex-soldato: il folle e tenace amore vissuto da Émile e Lucie, che si staglia sullo sfondo tragico di una guerra passata - ma i cui dolorosi effetti si fanno ancora sentire - e di una futura, di cui si cominciano a sentire i primi venti (nel libro, verso la fine, si accenna all'ascesa del nazismo).

È la storia dei due innamorati divisi dall'orrore di un conflitto sanguinoso, una storia dolce, commovente e le ultime pagine toccano alte vette di struggente tenerezza, fino al colpo di scena finale.

 

"Il soldato perduto" è un romanzo breve ed è un piccolo gioiellino letterario, a mio avviso, che si lascia apprezzare per la fluidità e armoniosità di linguaggio, per il connubio di sfumature nostalgiche e dolcemente ironiche, per la sensibilità dell'autore nel narrarci, attraverso gli occhi del protagonista senza nome - che potrebbe rappresentare tutti quei soldati dispersi in guerra -, tante piccole storie intrecciate e collocate in un periodo storico umanamente terribile; sono storie di dolore, separazioni, affanni e preoccupazioni, disperazione, resistenza, rimpianti, paure, resilienza, storie che ci ricordano - se mai ce ne fosse bisogno - di quanto e quale carico di orrore, distruzione, odio, follia... è portatrice ogni guerra, in qualsiasi momento e luogo.

Molto bello, ricco di umanità, potente e delicato.
Consigliato!

Amore mio
Ho pensato a te, oggi
Come ieri. Come l’altro ieri.
Come domani, se sarò vivo.

Tu mi popoli.
Amore mio,
è passato un anno. Un anno che ci è stato rubato.
Un anno perduto per sempre.
Amore mio,
Sono mitragliato dalla nostalgia.
Fa male.

Amore mio, amore mio
Ripeto queste parole nella notte
Le dirò alla fine della mia vita
Forse sarà domani
Forse sarà qui

Amore mio
Se tu muori io muoio
Se tu parti io parto.
Se non mi ami più io ti amerò ancora.
Amore mio
(...) I tedeschi non sanno
Che le frecce possono colpirmi soltanto
Al cuore.
Amore mio
Se sei morta portami con te.

mercoledì 3 settembre 2025

Recensione || BUTTERFLY di Martta Kaukonen



Un thriller scandito da sedute psicoterapeutiche, deliri ad occhi aperti e pensieri ossessivi che trascinano il lettore in un vortice di parole, disegni oscuri e bugie.
Nulla è come sembra e distinguere tra chi dice la verità e chi mente non è così scontato. 


BUTTERFLY
di Martta Kaukonen



Longanesi
trad. D. Sessa
320 pp
Ira è una ragazza complicata, il corpo segnato da un'anoressia che la consuma e una mente occupata da ossessioni che la divorano e che mettono in pericolo lei e gli altri.
Il lettore fa il suo primo incontro con lei in un momento decisamente drammatico: Ira sta commettendo un omicidio con un sadismo che sa di diabolico.

Non è il primo sanguinoso delitto che commette ma lei sa che prima o poi la polizia potrebbe mettersi sulle sue tracce.
E allora perché non cercare una psicologa con cui iniziare un percorso psicologico che, un domani, se dovesse essercene bisogno, potrebbe contribuire a scagionarla dalle sue colpe?
Il piano di Ira è quello di stabilire un rapporto di totale fiducia con una psicologa che veda in lei una personalità fragile, disturbata, che commette omicidi perché "ha qualcosa che non va", così da sfruttare la diagnosi in un eventuale futuro processo.

E per i suoi scopi serve la terapeuta giusta e lei sente di averla trovata: Clarissa Virtanem. 

Clarissa è una psicologa affermata, famosa in tutta la Finlandia, una star dei talk show dove compare in tailleur griffato e tacco dodici, affascinante e solo all'apparenza "leggera", ma in realtà competente e professionale nel proprio lavoro; in particolare, si occupa di persone vittime di abusi sessuali e tutti la ritengono un'ottima psicologa.

È a lei che Ira si rivolge per chiedere aiuto. 
Clarissa non sa che cosa ha in mente la sua nuova paziente, verso la quale prova da subito un'incredibile empatia e la voglia impellente di "salvarla", di aiutarla ad uscire dalle sue ossessioni, individuando la causa dei suoi tormenti e traumi.

Clarissa crede moltissimo nelle proprie competenze e capacità, perché lei è una di quelle psicoterapeute che non sbagliano un colpo con i loro problematici pazienti.

Beh, quasi mai, per lo meno.
Perché un brutto "errore" c'è nella carriera della donna ed ha il nome e il volto di un quindicenne, Riku.
Riku è una ferita aperta nel cuore di Clarissa e rappresenta il suo più grande fallimento professionale, nonostante ella cerchi mille modi per giustificarsi...

Quando si trova davanti la cupa, ombrosa, taciturna ed enigmatica Ira, Clarissa è convinta di poter fare breccia dentro di lei, di riuscire a conquistare la sua fiducia ed aiutarla.
Certo, non può immaginare di aver davanti un’assassina seriale, una spietata killer di uomini in cerca solo di un alibi e di eventuali attenuanti qualora venisse arrestata. 

D’altra parte, nemmeno Ira immagina cosa si nasconde dietro l’aspetto impeccabile di Clarissa e l'unica cosa che le interessa è manipolarla affinché faccia ciò per cui è andata nel suo studio.

Ira non crede nella psicologia, nelle tecniche che i terapeuti usano per far parlare i loro pazienti e per cercare di analizzare le origini dei malesseri interiori e psichici; non crede nell'ipnosi, nella psicanalisi, nei testi di personalità..., per lei ogni seduta è una enorme messinscena in cui lei finge di voler guarire, di tirare fuori, a colpi di chiacchiere sui divanetti, tutti i suoi traumi infantili.
E si rende conto di come Clarissa non veda l'ora di conoscere questi traumi per poterla guidare verso la luce, affinché la giovane Ira torni a vivere, a stare meglio, a scacciare i brutti pensieri.

Quei pensieri che possono indurre una persona che sta male a volersi togliere la vita, e Clarissa è intenzionata ad impedire alla sua nuova ed amata paziente di arrivare a fare un gesto estremo come il suicidio.

Ogni seduta assume, agli occhi del lettore, i contorni di un atto teatrale in cui le due parti in causa rivestono un ruolo, entrambe convinte di interpretarlo bene e di poter manipolare l'altra persona, di comprenderne i silenzi, gli sguardi, di saperne decifrare i segreti, individuando ogni possibile menzogna.


Tanto Ira quanto Clarissa  - che indossano una maschera nel rapporto dottore-paziente - sembrano invece sincere rispetto al terzo incomodo delle loro sedute: il lettore.
Esse si rivolgono al lettore, sfidandolo a stare al loro gioco, a individuare verità e inganni nelle loro parole, nel vortice impetuoso dei loro pensieri ed egli le segue credendo - almeno sino a un certo punto - di aver ben chiaro ruoli, responsabilità, di aver compreso chi ha di fronte e quali obiettivi si stiano ambedue ponendo nella relazione instaurata.

In questo spiegare a turno il proprio punto di vista - in cui ognuna si sente vincitrice sull'altra, imbattibile, più scaltra e di certo non manipolabile - ci sono altre due voci che si intromettono nel dialogo tra Ira, Clarissa e il lettore.

Arto è un giornalista fallito; rimasto vedovo dell'amata moglie Marja, non riesce a risalire dal buco nero in cui si trova e si è convinto che ottenere una bella intervista con una persona famosa, possa fargli riacquistare credito presso il suo capo.
E la persona famosa che ha intenzione di sbattere in prima pagina è Clarissa; purtroppo, è risaputo che la psicologa sia sì generosa nel concedere interviste, carismatica e glamour, socievole e affabile, ma solo quando si tratta di parlare di tutto ciò che esula dalla propria vita privata, sulla quale è abbottonatissima.
Ma per avere uno scoop sensazionale, Arto ha bisogno di far sbottonare Clarissa, e l'unico modo per farlo potrebbe essere quello di giocare sul suo tallone d'Achille (un vizietto che ha purtroppo lo stesso Arto).

Arto sembrerebbe un personaggio secondario, in un primo momento, la cui presenza quasi stona rispetto ad Ira e Clarissa, ma il suo ruolo ci verrà chiarito andando avanti con la lettura.

Un altro personaggio che si staglia sullo sfondo ma che offre al lettore una prospettiva esterna e, all'apparenza, più razionale e lucida è Pekka, il marito di Clarissa.
I due danno l'impressione di essere una coppia felice ed affiatata ma tra di loro ci sono tante bugie, segreti inconfessati che, ciascuno per ragioni proprie, non vuole che vengano fuori...

Pekka capisce che quella tra la moglie ed Ira sembra andare oltre i confini della relazione terapeutica e che sua moglie tiene particolarmente a quella ragazza, della quale l'uomo riesce a sbirciare i disegni mostrati dalla stessa Ira durante le sessioni di terapia.

Disegni oscuri, spaventosi, da film horror, che parlano di esperienze terribili, dolorose, traumatiche.
Forse quegli schizzi sono la chiave per accedere agli angoli più nascosti della psiche di Ira e che possono spiegare a Clarissa e al lettore chi sia davvero la ragazza e di quali azioni si sia realmente macchiata?

Questo thriller psicologico è come una vertiginosa psicoterapia a cui il lettore ha il privilegio di assistere mentre cerca di districarsi nel fiume di pensieri ansiosi, istinti omicidi e suicidi, sensi di colpa, rimorsi, ricordi intrisi di dolore e lacrime, paure per il proprio futuro, manipolazione della realtà, disturbi psichiatrici gravi, legami famigliari (di coppia e tra genitori-figli) che hanno subito molti, troppi colpi difficili da parare, e in tutti questo gradualmente, attraverso piccoli colpi di scena, chi legge arriva a capire chi realmente mente e chi è vittima di allucinazioni o convinzioni distorte.

Chi è il mostro, il carnefice, e chi è la vittima?

È un thriller che mantiene costantemente un buon ritmo, più si prosegue e più si ha voglia di chiarire ogni dubbio e di individuare colui o colei che è effettivamente pericoloso.

Mi è piaciuto, è un romanzo che sfiora argomenti seri, come le malattie della psiche e della personalità (ansia, ossessioni, disturbi alimentari, schizofrenia...), la pedofilia, il suicidio, quei confini, nella relazione medico.paziente, che non vanno superati; interessanti i personaggi, tutti interconnessi tra loro per vie che ci vengono chiarite gradualmente; intrigante il contesto delle sedute psicologiche.

Consigliato!


Citazioni 

"Il senso di colpa corrode l'anima senza pietà, che sia più o meno fondato".

"Voi non mi conoscete. Per voi io non sono altro che parole su carta. Potrei essere tanto il personaggio di un romanzo quanto una persona reale. (...) Per voi sono parole, ma ogni parola, no, ogni pensiero riapre la mia ferita. Cosa ci guadagno a raccontarvi tutto? Più racconto è più mi credete, forse?"

domenica 24 agosto 2025

[ Recensione ] RITORNO A CASA di Kate Morton



In un caldo pomeriggio estivo, i quattro membri di una famiglia sono stesi sul prato; hanno l'aria di essere serenamente addormentati e, a vederli, la scena è così perfettamente immobile da sembrare un  dipinto.
Ma se si osserva con attenzione, si può notare che tutta quell'immobilità è troppo strana, tanto da risultare sospetta ed infatti quelle persone (una donna con i suoi tre figli) sono morti.
Che cosa è successo? Perché un normalissimo picnic è finito in tragedia?
Decenni dopo, una donna - appartenente a quella famiglia - si proporrà di capire cosa sia davvero successo.


RITORNO A CASA 
di Kate Morton

HarperCollinsIt
trad. R.Zuppet
592 pp
Adelaide Hills, Australia Meridionale, 1959. Quando il fattorino Percy Summer si avvicina alla bellissima tenuta di campagna, chiamata Halcyon dai padroni di casa, vede una donna e i suoi bambini appisolati, nel corso di un picnic.
La donna è Isabel Turner e i tre sono i suoi figli Matilda, Evie e John, che hanno evidentemente deciso di trascorrere il pomeriggio della vigilia di Natale del 1959 a fare merenda sul prato e forse a fare una nuotata.
Eppure, agli occhi di Percy c'è qualcosa in quella che sembra una scena tranquilla e bucolica, che stona terribilmente.

"La scena sotto il salice trasmetteva una certa intimità, una certa vulnerabilità. Ecco una famiglia riunita che dormiva, con le tracce del pranzo ancora disposte a casaccio sulla coperta: piatti e tazze, croste di pane e briciole di torta. 
Fu allora che l'immobilità della scena lo colpì. Era quasi innaturale. (...) Qualcosa si muoveva sul polso della bambina più piccola, notò. Si avvicinò cautamente. E fu allora che vide la fila di formiche strisciare sul suo corpo, lungo il braccio e verso gli avanzi del picnic. Tutto il resto era statico, silenzioso. I lineamenti non si contraevano nel sonno. Nessuno sbadigliava o cambiava posizione (...). Nessuno alzava o abbassava il petto".

In un misto di sorpresa e terrore, Mr Summers si rende conto che i quattro... sono morti!

Senza indugio, ed evitando di farsi domande che in quel momento resterebbero prive di risposta, monta sul proprio cavallo e va a cercare aiuto.

Partono immediatamente le indagini per capire cosa sia accaduto ai Turner: come sono morti? Si tratta di un incidente o è un pluriomicidio? 
La piccola e tranqueilla città di Tambilla sprofonda in uno dei casi di omicidio più sconvolgenti della storia dell’Australia Meridionale e ad incrementare il livello di angoscia e di shock ci pensa un altro agghiacciante particolare: Percy, preso dalla paura, non si era accorto di un elemento importantissimo e che però si palesa, agli occhi della polizia, quando questa giunge sulla scena della tragedia (o del delitto?), vale a dire che appesa a un ramo c'è una cesta in cui doveva esserci la piccola Thea, l'ultimogenita della signora Isabel.
Dov'è finita la piccola, che ha solo pochi mesi? Chi l'ha presa e perché?

Percy Summers è sconvolto e quella maledetta scena che gli si è presentata davanti non la dimenticherà più, anzi assumerà i contorni di un incubo che continuerà a perseguitarlo e tormentarlo negli anni a venire.

Ovviamente, la polizia deve battere tutte le piste possibili ma è tutto molto misterioso in quanto i corpi non presentano alcun segno che faccia pensare ad un'aggressione da parte di qualcuno....

Come sono morti i Turner? E se sono stati assassinati, da chi? Chi poteva avere interesse a uccidere tre minori e una signora bella e gentile proveniente dalla lontana Inghilterra, sposata con un uomo rispettabile (purtroppo spesso via per lavoro)?

La narrazione si divide in due piani temporali: il 1959, appunto, e il 2018 e per capire nel dettaglio cosa sia accaduto in quel torrido 24 dicembre del 1959, il lettore farà molti salti da un anno all'altro e sarà nel 2018 che una donna - legata per parentela ai Turner - farà di tutto per capire cosa sia accaduto in quel drammatico pomeriggio e  per sciogliere ogni piccolo dubbio su colpe e responsabilità.

Questa donna è Jess Turner-Bridges, che nel 2018 è vicina ai quarant'anni; vive a Londra, ha da poco chiuso una relazione importante ed è stata pure licenziata, per cui è alla disperata ricerca di un lavoro come giornalista; ad aumentare il carico di ansia e disperazione ci pensa una telefonata dall'Australia (la sua terra natia) che avrebbe preferito ricevere il più tardi possibile: la sua cara e amata nonna Nora è ricoverata in ospedale in seguito a una caduta e, quando Jess va a trovarla, sembra non sia rimasto nulla della donna coraggiosa che conosceva.

L'anziana è immobile in un letto d'ospedale, per lo più dorme ma, in quei rari momenti in cui riesce ad articolare suoni, mormora parole incomprensibili e misteriose in cui è evidente come la nonna abbia paura..., paura che qualcuno voglia rubarle la sua bambina...

D quale bambina sta parlando? Di Jess o della propria figlia Polly (la madre di Jess)?

Jess non capisce cosa turbi la donna e, in più, viene a sapere che Nora è caduta mentre cercava di andare su in soffitta, quella stessa soffitta che a Jess, da bambina, era stata severamente proibita.
Ovviamente, proibire qualcosa a una bimba vivace e curiosa come Jess era come invitarla a disobbedire, ed infatti ella ha costantemente frequentato di nascosto la vecchia soffitta a Darling House, la bella casa di Nora, in cui Jess ha trascorso gran parte della propria vita e a cui sono legati tantissimi cari ricordi.

Certo, questi ricordi sono meno cari quando Jess pensa alla madre Polly, verso la quale nutre non pochi rancori: Polly, infatti (ragazza madre e -pare - abbandonata dal padre di Jess), a un certo punto prese la decisione di lasciare la figlioletta (allora decenne) a Darling House, con Nora; nonostante avesse promesso di andare a riprenderla e portarla con sé, non l'aveva mai fatto e questa distanza fisica ne aveva creata una emotiva, così da deteriorare il legame madre-figlia.

Nora ha fatto da madre a Jess, c'è sempre stata per lei, non ha fatto che incoraggiarla ad essere una ragazza determinata, vincente, a non arrendersi davanti agli ostacoli ma a porsi degli obiettivi e a lavorare sodo per raggiungerli.
Jess ama sua nonna teneramente e il pensiero che potrebbe morire in quell'asettica stanza d'ospedale, la fa star male.
Ma cosa ancora più urgente, Jess vuole scoprire cosa angosciava Nora tanto da spingerla a rischiare di prendere la scala e salire in soffitta: cosa cercava in quell'angolo della casa? Cosa la turbava tanto nei giorni precedenti la caduta?

Jess inizia a scavare nella polvere di Darling House e, grazie alla lettura di un testo - un libro-inchiesta scritto in una forma romanzata -, "Come se dormissero" del giornalista americano Daniel Miller, apprenderà una tragica verità sul passato dei Turner: c'è stato un terribile omicidio il giorno della Vigilia di Natale del 1959, un cold case rimasto irrisolto e che ha inquietanti collegamenti con la stessa Jess, che si appassiona tanto alla lettura del libro da non riuscire a staccarsene: lei deve assolutamente capire cosa effettivamente sia accaduto a Isabel, a John, a Matilda, ad Evie...
E poi c'è la questione della neonata rapita, Thea, anche se vent'anni dopo (quindi nel 1979), un tristissimo ritrovamento (non distante dal luogo del tragico picnic) farà ritenere chiusa almeno quella parte del mistero.

Il romanzo ha una trama davvero molto articolata e complessa, composta da numerosi personaggi, dislocata in un arco di tempo che va dal 1959 (con "fermate" nel 1978-'79) al 2018; l'autrice unisce il passato al presente attraverso una narrazione a più livelli, per cui alla prospettiva di Jess (nel presente) si aggiunge quella offerta dall'autore del saggio "Come se dormissero" (il reporter  Miller), letto dalla stessa Jess ("libro nel libro", in pratica) e che   occupa non poco spazio, permettendo tanto alla protagonista quanto al lettore di immergersi totalmente nella vita della famiglia Turner all' interno dell' affascinante tenuta Halcyon, sbirciando nel privato di Isabel, dei suoi figli, ma anche dei Summers e degli altri abitanti di Tambilla, così da sentirsi coinvolti emotivamente dalla brutta faccenda riguardante la morte dei quattro sfortunati nel corso del picnic.

La ricerca della verità conduce Jess ad aprire un baule (letteralmente e metaforicamente) pieno zeppo di segreti, di cose non dette, di verità taciute per paura o egoismo, di bugie e inganni che però pian piano verranno tutti a galla e questo permetterà a Jess di dare un senso a quel suo tornare a casa - in generale, in Australia, e a Darling House nello specifico - per comprendere meglio, con chiarezza e senza più ombre e nebbie, le proprie origini, la storia della propria famiglia, per guardare da vicino e ad ascoltare con attenzione un lungo e doloroso racconto che parla di donne forti ma anche sole, di madri che hanno dovuto fare delle scelte difficili e sofferte, di figli molto desiderati ed amati, di azioni incoscienti dalle conseguenze atroci.

Ricco di descrizioni suggestive delle due case in cui i personaggi si muovono (Darling House ma soprattutto Halcyon), il romanzo ha per lo più un ritmo pacato, dilatato, in cui io personalmente ho avuto modo di gustarmi ogni particolare, ogni descrizione (di persone, ambienti naturali, di pensieri e stati d'animo dei personaggi...) senza sentirmi mai annoiata, ma anzi accogliendo questa calma come coerente con l'impianto narrativo, fatto di attese lunghe decenni.

Forse qualche pagina in meno non avrebbe guastato, senza dubbio il romanzo soffre di un po' di lentezza, ma io ho amato molto la storia, i luoghi, i piccoli colpi di scena, l'intreccio fitto di misteri e graduali scoperte che girano attorno al picnic, alla morte dei Turner, alle origini di Jess, a ciò che successe alla bimba scomparsa dalla cesta.

Un racconto corale molto ricco, quindi, di tanti elementi e dettagli, in cui il concetto di casa, di sentirsi a casa, lì dove si è al sicuro e accolti e amati per ciò che si è, accompagna Jess e il lettore dall'inizio alla fine, e dove la conoscenza della verità e del passato sono necessarie per capire chi si è.

"Casa, aveva capito, non era un luogo, un tempo o una persona, benché potesse essere tutte queste cose insieme. Casa era una sensazione, un senso di completezza. Il contrario di casa non era lontananza, bensì solitudine. Quando qualcuno diceva: <Voglio andare a casa> in realtà intendeva che non voleva più sentirsi solo".

A me è piaciuto molto; per i miei gusti letterari, la Morton si conferma una bravissima narratrice e ho amato questo romanzo dalle atmosfere inevitabilmente malinconiche, nostalgiche, decadenti, come lo sono, di sovente, le grandi case di campagna quando, dopo anni in cui sono state abitate e riempite di voci, risate, giochi e scherzi tra bambini, vengono  poi abbandonate, lasciate all'incuria crudele del tempo, diventando tristemente silenziose ma pur sempre cariche di ricordi e storie da scoprire.

"Le persone che sono vissute nelle vecchie case arrivano a capire che gli edifici hanno un carattere. Che hanno ricordi e segreti da raccontare. Bisogna solo imparare ad ascoltare e poi a comprendere, come con qualsiasi lingua."

Consigliato a chi ama i libri che si concentrano su vicende famigliari e misteri da risolvere.


Alcune citazioni

"Eppure c'erano momenti in cui provava terrore per la propria desolazione, per la sensazione tormentosa di aver perso qualcosa a cui non sapeva dare un nome e che dunque non poteva sperare di ritrovare".

"...all'interno delle copertine c'erano mondi interi, pieni di persone e luoghi, di avventure e umorismo, che aspettavano solo che lui vi prendesse parte".

"...la paura è la porta dell'opportunità. E posso assicurarti, tesoro, che ogni cosa bella che mi è successa da allora è arrivata quando ho agito nonostante le mie paure".

"Le cose brutte succedono anche alle persone migliori e non possiamo lasciarci sopraffare. La vita non va sempre come l'abbiamo pianificata, ma alla fine le cose si risolvono".

"Le parole (...) sapevano essere insidiose quanto le persone: sembravano dire una cosa, mentre sotto la superficie si nascondeva un altro significato segreto".

"La lettura plasma le persone. Il paesaggio dei libri è più reale, per certi versi, di quello fuori dalla finestra".

"La casa è dove si trova il cuore, e il cuore può essere un luogo oscuro e danneggiato ".




giovedì 21 agosto 2025

Recensione || YARA GAMBIRASIO. UN CASO IRRISOLTO di Federico Liguori

 

Il 26 febbraio 2011 il corpo senza vita di una ragazzina viene ritrovato in un campo a Chignolo d'Isola: si tratta della tredicenne Yara Gambirasio, scomparsa dal novembre 2010, dopo essere uscita dal centro sportivo di Brembate di Sopra, da lei abitualmente frequentato.
L'omicidio della piccola Yara assume da subito una notevole rilevanza mediatica per diverse ragioni, tra cui quella riguardante la ricerca dell'assassino, individuato in Massimo Giuseppe Bossetti, sulla cui colpevolezza l'opinione pubblica si divise (e si divide ancora oggi), come spesso accade nei casi di cronaca particolarmente complessi, in frange innocentiste e colpevoliste.


YARA GAMBIRASIO. UN CASO IRRISOLTO 
di Federico Liguori


Giraldi Ed.
278 pp
18 euro
Il presente saggio documentaristico è ad opera di un giovane molto preparato che personalmente seguo su YouTube da quando ha aperto il canale >> QUI <<.

Federico Liguori mostra una sincera passione e un genuino interesse per l'omicidio di Yara, che lo hanno indotto a documentarsi con molta cura e serietà su questo doloroso e drammatico fatto di cronaca nera che, benché ufficialmente risolto, custodisce in realtà numerosi interrogativi e perplessità che tre sentenze di condanna non sono riusciti a placare in chi - se anche non volesse mettere in dubbio la colpevolezza di colui che sta scontando l'ergastolo per l'omicidio di Yara - trova che comunque le indagini siano state condotte in modo lacunoso e che forse la colpevolezza di Bossetti non sia stata provata oltre ogni ragionevole dubbio.

"Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli 
al di là di ogni ragionevole dubbio." 
(art. 533 del Codice di Procedura Penale)


Federico parte da un giusto e importante presupposto: quando si vuol parlare di delitti bisogna analizzare i fatti ed attenersi a ricostruzioni verificabili e plausibili.
Ed è ciò che egli, nel suo piccolo e con i mezzi e le capacità di cui dispone, ha provato a fare, partendo dalla lettura e dallo studio di tutto il materiale cui ha avuto accesso, per poi recarsi nei luoghi in cui si è consumata la tragedia, vedere con i propri occhi quei posti e collocare ipotesi e ricostruzioni nel loro contesto reale.

Liguori si fa domande, molte domande, e tutte legittime, ed esse prendono vita non da posizioni "complottiste" bensì da dubbi che nascono spontaneamente quando ci si accosta al caso senza pregiudizi ma con la sola voglia di capire se ci siano o meno dei punti rimasti oscuri nonostante i tre gradi di giudizio.

Partendo dall'inizio e contestualizzando fatti e persone, Federico riassume con cura e doviziosamente gli eventi che hanno preceduto e quelli che sono susseguiti alla scomparsa della povera Yara, a partire dalle piste investigative iniziali, e quindi il modo in cui i giornali italiani hanno scelto, da subito, di narrare di volta in volta i fatti e le novità che man mano emergevano, i tentativi per trovare la "pista giusta" e le "cantonate" prese dagli inquirenti, le speranze, i sospetti, il panico di chi viveva a Brembate e aveva ragione di credere che tra loro vi fosse un mostro che rapiva minorenni.

E poi c'è lui, il muratore di Mapello, l'uomo smilzo dagli occhi di un azzurro ghiaccio e la barbetta ossigenata, con tutto il carico di informazioni e congetture che su di lui (e sui famigliari maggiormente coinvolti: la moglie Marita, la madre Ester Arzuffi, il padre biologico Giuseppe Guerinoni...) è stato possibile tirar fuori, vero o falso che fosse.

Attraverso Federico, il lettore ripercorre ogni tappa delle indagini, ricordandoci dei cani molecolari che fiutarono qualcosa nel cantiere o del primissimo sospettato (Fikri): il terribile caso di cronaca esplose con prepotenza su tutte le prime pagine dei giornali per prendersi spazio su carta, in tv, ovunque sui media. 

Il ritrovamento del corpo della piccola è l'inizio di un mistero che durerà per ben otto anni, passando per l'arresto di Bossetti (avvenuto in modo quasi "cinematografico", a favor di telecamera) nel 2014 per arrivare al 12 ottobre 2018, quando la Corte di Cassazione condanna con sentenza definitiva l'uomo ritenuto colpevole del delitto.

Ergastolo. 

Bossetti: un uomo qualsiasi, un muratore incensurato dalla vita normale, un padre amorevole, sposato dal 1999 con la sua Marita, con la quale il matrimonio procedeva, seppur tra alti e bassi come in ogni coppia. 
Su Bossetti i media si fiondano come avvoltoi sui cadaveri, scavando nella vita sua e dei suoi cari, magari tirando fuori anche questioni che col processo in sé non avevano a che fare (vedi i tradimenti della moglie), ma tutto con lo scopo di sbattere il mostro in prima pagina, poi che importa se tante notizie date per certe e per assodate non fossero state neanche minimamente verificate!

Massimo Bossetti è stato giudicato per tre volte colpevole; contro di lui una serie di prove indiziarie ma una su tutte, per gli inquirenti, è quella che lo inchioderebbe con le spalle al muro e senza se e senza ma: la prova granitica della traccia di DNA ritrovata sugli indumenti intimi della tredicenne.

Ignoto 1.
Chi non ha sentito nominare, e non una volta sola, questo sconosciuto individuo ritenuto, senza ombra di dubbio, l'assassino?
Così come sicuramente tutti ricordiamo la straordinaria indagine che ha permesso, attraverso la raccolta di un numero notevole di campioni di DNA nella zona e tra i frequentatori dei luoghi chiave, di arrivare al padre biologico di Ignoto 1, alla madre biologica dello stesso e, quindi, a lui: Massimo Giuseppe Bossetti.

I giudici non hanno avuto dubbi e il caso è stato chiuso, con Bossetti dietro le sbarre a vita.

Ma è davvero risolto questo terribile caso che ha travolto e cambiato per sempre la povera famiglia Gambirasio e scosso l'Italia intera?

Dopo tanti anni, questo libro si propone di ricapitolare, analizzare con estrema chiarezza e mettere in fila tutte le domande senza risposta, i punti oscuri che aleggiano su questa tragica vicenda: nessun movente, nessun testimone, nessuna arma del delitto, nessuna confessione. 

L'autore ha un approccio al caso umile, proprio di chi vuol davvero capire e trovare risposte, senza pretendere di avere delle verità in tasca, ma usando la logica e il buon senso per cercare di seguire il percorso fatto dagli inquirenti per arrivare alla certezza della colpevolezza, individuandone le lacune, le ambiguità, e soprattutto mettendosi al fianco della difesa di Bossetti, che tenacemente non ha mai smesso, neanche dopo la condanna in Cassazione, di combattere affinché al loro assistito fosse garantito davvero il diritto di difendersi attraverso l'analisi dei reperti e del materiale genetico (oggetti e vestiti di Yara, le tracce di DNA ritrovate e appartenenti a più soggetti mai individuati...).

Diciassette sono i ragionevoli dubbi che Liguori espone ragionando sulle dinamiche dell'omicidio, tenendo conto degli orari, di celle agganciate, di furgoni (veri o presunti) che girano attorno alla palestra, di quanto le strade "incriminate" fossero più o meno trafficate nell'ora interessata, di quanto fosse più o meno facilmente praticabile il campo in cui il corpo della giovanissima vittima è stato rinvenuto, della reale ed effettiva possibilità che esso sia stato lì per tre mesi oppure no, del tempo che avrebbe impiegato l'assassino per fare ciò che ha fatto, ed altri interrogativi fondamentali.

A fine lettura, il dilemma resta: in carcere c’è l’assassino o un innocente che è rimasto intrappolato in un meccanismo infernale? 

Per l'autore, il caso è ben lontano dall’essere risolto “oltre ogni ragionevole dubbio”, a fronte delle non poche ed evidenti mancanze e delle sospette superficialità da parte di chi ha indagato, del pauroso sciacallaggio mediatico ("questo caso mi ha mostrato il volto più squallido del giornalismo"), di tutte le assurde supposizioni e delle bugie...

Cerca di essere lucido, analitico ed imparziale, Federico Liguori, e io credo che ci riesca perché ho intravisto, tra queste pagine, il suo sincero sforzo di raccontare i fatti con ordine e razionalità, mettendo da parte pregiudizi o presunte certezze già acquisite, cercando di mettere nero su bianco  quello che è stato scritto e detto su Yara, Bossetti, DNA e tutto ciò che ruota attorno al caso che, non dobbiamo dimenticarlo, vede come vittima una ragazzina di tredici anni che, dietro quel sorriso e quegli occhi vivaci che tutti abbiamo imparato a conoscere e anche a voler bene - come se fossero di nostra figlia, cugina, nipote, amica... -, custodiva e coltivava dei sogni, che un criminale ha spezzato con sadismo e crudeltà.

Un'altra cosa che mi è piaciuta molto è l'empatia che Federico manifesta nell'accennare a Yara, come anche alla sua famiglia e a quella di Bossetti, anch'essa innocente e finita in un tritacarne mediatico aberrante.

E se anche Bossetti fosse da annoverare tra le vittime di questa triste vicenda?

"Questa è la storia di un lupo travestito da agnello o di un agnello a cui è stato cucito addosso il vestito di un lupo?  Questa è la storia di un'indagine straordinaria e senza pari nella storia italiana o di una serie di elementi dati per scontato e poi sommati fino a diventare una certezza che nessuno poteva più mettere in discussione? Ignoto 1 è davvero l'assassino della piccola Yara? Massimo Bossetti ha subito un giusto processo?".

Come dicevo, Federico si pone e guida anche il lettore a porsi un sacco di interrogativi, nessuno di essi fantasioso o campato in aria, anzi.
E l'assenza di risposte definitive potrebbe indurvi a chiedervi: "possiamo fidarci di questa giustizia? Possiamo fidarci dei media?"

Consigliato a chi è interessato a questo atroce fatto di cronaca italiana e a chi vuol avvicinarsi ad esso con l'atteggiamento aperto e curioso di chi non smette di farsi domande e di mettere in discussione ciò che crede di sapere con certezza.





lunedì 18 agosto 2025

Recensione || NEVER FLINCH. LA LOTTERIA DEGLI INNOCENTI di Stephen King



Un uomo, accusato ingiustamente di un reato che non ha commesso, viene ucciso in carcere; un serial killer decide di vendicarne la morte uccidendo un certo numero di innocenti.
L'investigatrice privata Holly Gibney dà il proprio prezioso contributo alla polizia per individuare l'assassino ma questi non sarà l'unico uomo a cui darà la caccia: una femminista, che ha assunto Holly  come guardia del corpo, sta ricevendo pericolose minacce da uno stalker mosso da uno spirito religioso decisamente fanatico.



NEVER FLINCH. LA LOTTERIA DEGLI INNOCENTI
di Stephen King


Sperling&Kupfer
trad. L. Briasco
512 pp
Quando l'ispettrice Izzy Jaynes e tutto il dipartimento di polizia di Buckeye si vede recapitare una lettera in cui un certo Bill Wilson (nome sicuramente falso) minaccia una diabolica missione di espiazione, capiscono sin da subito di essere di fronte ad un'indagine oscura e pericolosa. 
Tale Wilson promette vendetta: ha intenzione, infatti, di uccidere tredici innocenti e un colpevole come riscatto per «l'inutile morte di un innocente».
L'innocente cui fa riferimento il killer è Alan Duffrey, accusato e condannato per possesso di materiale pedopornografico; l'uomo è stato ucciso in prigione e della sua morte - frutto di un clamoroso errore giudiziario - qualcuno deve rendere conto e pagare lo scotto.
Il "signor Wilson" non toglierà la vita a chi materialmente ha contribuito a condannare ingiustamente un innocente, bensì si vendicherà a sua volta su degli innocenti.

"Quando avrà finito, il mondo intero saprà che se un innocente muore, altri innocenti devono morire insieme a lui. È l’unica espiazione davvero perfetta.
«Perché i colpevoli soffriranno»"

Purtroppo, come avremo modo di constatare nel corso della lettura, il killer sceglie a caso le proprie vittime; esse non hanno alcun collegamento né con Duffrey né con il vero colpevole del reato contestato a Duffrey (e che ha deciso di confessare per ragioni egoistiche e perché è in una condizione in cui "non ha più nulla da perdere"...) né con il giudice o la giuria che ha emesso sentenza.

Il nome vero del serial killer lo conosceremo molto più in là, ma ciò che ci viene detto è che spesso - in taluni contesti, come durante le riunioni degli Alcolisti Anonimi cui partecipa - si fa chiamare Trig.
 
Ovviamente - proprio come Bill Wilson - anche Trig è un soprannome per cui Izzy e la sua amica detective Holly Gibney devono assolutamente individuare l'identità che si cela dietro questi pseudonimi; non solo, ma devono capire come si muove, se c'è un minimo di criterio nella scelta delle vittime innocenti e, soprattutto, perché lo sta facendo.
Sì, certo, la motivazione ufficiale e dichiarata è vendicare Duffrey... Ma perché l'assassino ha così a cuore il caso? È forse un parente o un amico di Duffrey? Cosa lo lega all'ingiusta condanna di cui quell'uomo è stata vittima?

Parallelamente, seguiamo le vicende turbolente di Kate McKay, attivista dal notevole carisma, simbolo di una nuova ondata di femminismo, che tiene numerose ed affollatissime conferenze in diversi stati, "predicando" con fervore soprattutto sul diritto delle donne di poter decidere della propria vita e del proprio corpo, ad es. in merito all'aborto. 

Le sale in cui Kate - seguita ed assistita dalla sua stretta e fedele collaboratrice, la giovane Corrie Anderson - va ad urlare con passione e convinzione "Potere alle donne!", si riempiono ovviamente di sostenitori ed estimatori dell'attivista ma anche di detrattori ed in particolare di frange di cristiani estremisti che la ritengono un'assassina di feti e, di conseguenza, una donna pericolosa, portatrice di messaggi diabolici e contrari alla fede cristiana.
Tra questi cristiani si acquatta, nell'ombra degli angoli meno illuminati delle sale, qualcuno più fanatico di altri che è intenzionato a mettere a tacere la McKay, costi quel che costi. 
All'inizio si tratta solo di piccoli sabotaggi, ma presto il pericolo si fa reale e proprio Holly viene chiamata da Kate per proteggerla facendole da bodyguard.

La Gibney, quindi, si muove tra due casi che viaggiano su due binari distinti e distanti ma che, a un certo punto, si incroceranno: da una parte, Holly vuole essere d'aiuto all'amica Izzy, cercando di ragionare con lei su come arrivare a capire chi si celi dietro il nomignolo Trig, dall'altra deve fare i conti con una datrice di lavoro - Kate - che è bella tosta, una donna altamente sicura di sé, che quasi si sente imbattibile e inaffondabile, ma che dovrà accettare, suo malgrado, come il suo stalker sia tenace e determinato almeno quanto lei, e che quelli che, inizialmente, erano solo dei dispettucci (per quanto comunque già sgradevoli e, in una certa misura, pericolosi), man mano diventano dei reati che mettono a rischio la vita sua, di Corrie, della stessa Holly e del fiume di gente che va ad ascoltare (per osannarla o insultarla) la McKay.

La narrazione segue la prospettiva dei numerosi personaggi che, in vari modi e per diverse ragioni, sono coinvolti nelle vicende riguardanti i due casi (Trig/Kate), compresa quella del criminale che ha architettato questa sanguinosa "lotteria degli innocenti".

Trigg è una persona intelligente, scaltra, che, nell'organizzare la sua malvagia missione omicida, si sforza di stare attento a non lasciare tracce del proprio passaggio sulle varie (e, il più delle volte, estemporanee) scene del crimine, ma ha un enorme problema: è una personalità disturbata e in ogni momento (tanto più in quelli cruciali) sente la voce sprezzante di suo padre (morto) che lo prende in giro o lo rimprovera, fatto che lo manda in ansia e che innesca rabbia e frustrazione, così da porlo in una condizione di estrema violenza ma anche di vulnerabilità.

E quando si è vulnerabili, è più facile commettere errori e sviste, e se poi sulle tracce del serial killer c'è una riflessiva Holly, che non smette di rimuginare su particolari e dettagli ambigui fino a quando non le si accende la lampadina, c'è da star certi che presto o tardi si arriverà al colpevole.

C'è solo da sperare di non arrivare troppo tardi e che il serial killer non finisca per portare a termine il proprio malefico piano criminale...

Cosa dire di questo romanzo?

Premessa n.1: non ho letto molti libri di King, anzi, ne ho letti decisamente meno di quanto avrei voluto, il che non mi rende un'esperta della produzione letteraria kinghiana.
Premessa n.2: so che Holly è presente in altri romanzi precedenti a questo, e così pure altri personaggi che compaiono qui, ma io non ho mai letto null'altro, prima, con Holly Gibney.

Detto questo, onestamente mi tocca ammettere che per almeno metà libro mi sono quasi... annoiata; ho trovato il ritmo lento, troppo dilatato, ciò che veniva raccontato - nonostante ci fosse questo serial killer  in giro ad ammazzare gente a caso - non mi coinvolgeva, non mi dava suspense, non mi sembrava proprio granché, ecco, forse perché mi sono accostata a questo romanzo con l'idea che, essendo scritto dal maestro dell'horror (lo so che Never flinch non è horror e non mi aspettavo lo fosse), risultasse appassionante, con personaggi che mi inchiodassero al testo e che fossero, se non malvagi sino al diabolico, quanto meno interessanti, impattanti.

Ora, riconosco che Holly non è male come personaggio principale: una donna over 50, coi capelli brizzolati, minuta e tanto, tanto insicura, con numerose fragilità e con una bassa autostima, che però riesce a tirar fuori intuizioni importanti per risolvere i casi ai quali lavora. Mi è sembrato un personaggio complesso, ben costruito e questo mi è piaciuto.

Trig, invece, che comunque è principale anch'egli in questo thriller (poco "thrilleroso", ahimè), mi ha convinto poco, l'ho trovato piatto e privo di mordente, artificioso, insomma non mi ha stupito né in bene né in male.

L'idea di base è carina, un po' meno interessante la storia parallela della femminista invasata (al pari dei fanatici religiosi che la vogliono morta) e che va in giro urlando in nome del potere alle donne; anche lo stalker che la pedina (di cui conosceremo la storia personale) non mi ha conquistata.

Insomma, nel complesso devo dire che questo romanzo non mi ha entusiasmata, l'ho trovato debole su molti fronti, privo di tensione per la maggior parte della trama; si salva nelle ultime cento pagine, in cui il ritmo si fa più dinamico, si sente l'adrenalina dovuta alla corsa contro il tempo per fermare Trig e verso la fine, infatti, la mia attenzione ha avuto un picco verso l'alto.
Finale criptico e, per questo, positivo.

Salvo il romanzo per l'ultima parte, che mi ha coinvolta maggiormente; purtroppo per 2/3 non mi ha presa, come dicevo, e non ho mollato per testardaggine mia.

Ultima confessione: mentre leggevo, spesso mi son ritrovata a chiedermi: ma l'ha scritto davvero Stephen King?????

Senza infamia e senza lode.
Non lo consiglio spassionatamente, ma solo a chi ama King a prescindere.




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