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domenica 9 febbraio 2025

BAMBINO di Marco Balzano [ RECENSIONE ]



Rabbia e solitudine: questi sentimenti riempiono il cuore del protagonista del presente romanzo - ambientato a Trieste tra la fine del primo conflitto al periodo immediatamente successivo al secondo - e lo accompagnano per tutta la sua esistenza, vissuta seguendo una scia di violenze e sopraffazioni dalla quale sarà difficile uscire illesi.


BAMBINO 
di Marco Balzano

Einaudi
224 pp
Mattia Gregori nasce a Trieste nel 1900, figlio dell'orologiaio Nanni e di sua moglie Tella; ha un fratello maggiore, Adriano, che, quando diventa adulto, parte per l'America in cerca di fortuna.

All'età di diciotto anni, il giovane fa una scoperta che lo lascia di sasso, lo ferisce e apre in lui, nella sua anima, una lacerazione talmente profonda da segnarlo per tutta la vita: la donna
che l'ha cresciuto e che lui ha sempre chiamato mamma non è la stessa che l'ha partorito

Chi è mia madre?

La domanda risuonerà per tutta la vita nelle orecchie e nella testa di Mattia, guidando e condizionando le sue decisioni più importanti perché innesca in lui, sin dal primo momento, un trauma che si traduce in una rabbia violenta e in un'amara solitudine che non smetterà mai di divorarlo dentro.

Ribelle e testardo già di suo, Mattia prende delle decisioni discutibili già da ragazzo, maturando in poco tempo un atteggiamento oppositivo e diffidente verso il mondo in generale e finanche verso il padre, che il lettore imparerà a conoscere come un uomo paziente, gentile, saggio.

Mattia Gregori è sostanzialmente una persona sola e tale sarà sempre, perché la sua solitudine è qualcosa che gli sta appiccicata addosso e che è parte di lui come può esserlo un neo, una voglia sulla pelle, una tratto somatico.

Quando entra tra le file degli squadristi fascisti è come se trovasse il suo habitat naturale, il "luogo" in cui lasciar esplodere la sua personalità ferina, aggressiva, capace di atti feroci, spietati e incapace di manifestare pietà.

Bambino viene soprannominato, a motivo dei suoi tratti fanciulleschi, delicati, che gli conferiranno quell'aria giovanile, acerba, inesperta anche quando sarà un uomo maturo.
Ma di acerbo e inesperto sembra non esserci nulla in lui, che è un ragazzo intelligente e svelto, scaltro, determinato, che ben presto verrà apprezzato dagli squadristi per la sua "cattiveria", il suo agire senza battere ciglio, con quella freddezza necessaria a chi sa di dover compiere azioni brutali senza lasciar spazio alla compassione.
E Mattia è purtroppo a suo agio nell'ostentare una ferocia da boia, in particolare nei confronti degli slavi, considerati degli stranieri che non hanno alcun diritto da vantare sul suolo italiano. Trieste va ripulita dalla presenza slava e con la sua camicia nera egli batte palmo a palmo le terre contese per scacciare questi usurpatori.

Ma non è tanto l'adesione convinta all'ideologia fascista a muoverlo, quanto la speranza di ritrovare quella madre senza nome né volto, da cui molto probabilmente egli ha preso quel suo viso avvenente e tanto delicato. 

Era italiana o slovena, colei che l'ha messo al mondo? Perché suo padre si rifiuta di dirgli il suo nome, di spiegargli chi sia la donna con cui l'ha concepito?

La ricerca ossessiva di una donna mai conosciuta diventa il senso e il fine di tutto, persuadendolo che chissà, aggregandosi alle camicie nere e andando nelle case degli sloveni, forse qualche notizia su di lei riuscirà ad ottenerla.

In questo modo - facendo parte di un branco, che fa della violenza bruta la sua forza e il suo modus operandi - Bambino cerca di placare la propria inquietudine, di sentirsi meno solo, meno fragile.

Eppure suo padre è agli antipodi di ogni forma di prepotenza e sopraffazione, e cerca in ogni modo di distogliere il figlio da quella follia che è il fascismo, ma inutilmente.
Pur volendogli bene, Mattia non può perdonargli l'ostinato silenzio dietro cui il vecchio orologiaio si trincera per non rivelare l'identità della madre biologia di quel figliolo che gli sta regalando solo pene e preoccupazioni. 

Seguiamo, di capitolo in capitolo, in un susseguirsi veloce e fluente di avvenimenti drammatici, di rapine e assalti, l'esistenza di questo protagonista che, credo, facilmente resta impresso nella mente del lettore, anche una volta chiuso il libro, in quanto Mattia è l'antieroe,  protagonista e antagonista insieme, è il "cattivo della situazione", ma l'autore è talmente bravo a catapultarci nella sua vita, a farci scivolare accanto a quest'uomo dalla personalità complessa, imprevedibile, ricca di tante sfaccettature, che si fa fatica a detestarlo nonostante compia, sotto i nostri occhi, tante, troppe azioni turpi, infami, deplorevoli.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale, i nazisti in città, l'occupazione jugoslava di Trieste, le foibe: fatti storici che conosciamo bene e che vengono raccontati tutti d'un fiato, attraverso i quali vediamo Mattia crescere negli anni, passare dall'essere un ragazzo furioso e sciagurato ad un adulto che si ritroverà, a volte anche suo malgrado, al centro di spirali di atrocità, sangue e morte, venendone risucchiato, pagandone in prima persona amare conseguenze, anche quando egli stesso si sforzerà di destarsi da quel torpore che gli ha obnubilato la ragione, il senso della pietà, dell'amore, e proverà a cambiare rotta.

Le sue scelte inevitabilmente metteranno in pericolo la vita sua e di suo padre diverse volte, ma Mattia affronterà ogni problema con quel coraggio quasi folle e avventato che è parte di lui e che lo aiuta a tenere sotto controllo ogni paura e a rispondere con risolutezza, con la testardaggine di chi fa di tutto per non soccombere, per restare sempre in piedi.
  
Il quadro che emerge di Mattia, vi dicevo più su, è molto complesso e pensare di ridurre tutto a giudizi limitati circa la sua condotta e la sua "anima" ("è un uomo cattivo, un essere spregevole, un fascista senza cuore") viene sì spontaneo ma non renderebbe l'idea di chi sia davvero Mattia Gregori, e quale varietà di sentimenti e pensieri attraversino furiosamente la sua mente e il suo cuore.

Non starò qui a dirvi che, in fondo in fondo, Mattia non è un cattivo, che è solo un ragazzo vissuto in un periodo storico complicato e che si è "trovato" inconsapevolmente al fianco dei fascisti; egli sicuramente è padrone delle proprie decisioni, della direzione data alla propria vita, ed è assolutamente in grado di discernere il bene dal male, di comprendere quanto deprecabili siano i propri crimini.

«Ho ucciso e fatto uccidere. Ho sempre cercato di stare dalla parte del più forte e mi sono sempre ritrovato dalla parte sbagliata»

Però va detto: Mattia non è un individuo amorale, non è ovviamente un essere privo di sensibilità, incapace di provare sensi colpa o rimorso; tutt'altro, egli ne prova e, nel corso delle tragiche vicissitudini in cui sarà coinvolto, ci sarà sempre in lui un angolino di ragionevolezza e di cuore in cui ritroverà quell'umanità che gli appartiene (come appartiene ad ogni uomo, anche al "peggiore") e che lo spingerà a riflettere su sé stesso, sui propri sbagli, e a desiderare di riparare gli ingranaggi della propria anima e della propria vita, come suo padre ha passato la propria ad aggiustare vecchi orologi.

Arriverà mai per Mattia Gregori, "Bambino", il bisogno, il desiderio di redimersi, di cambiare vita, di smetterla con sangue, tradimenti, manganellate, caccia allo sloveno o all'ebreo, per provare a far posto al desiderio di una famiglia, di dare e ricevere amore, di vivere in pace con gli altri e, prima ancora, con sé stesso?

Bambino è un romanzo storico appassionante, intenso, dal ritmo incalzante, interessante e accurato nella ricostruzione storica e sociale del periodo di riferimento e dei luoghi in cui le vicende sono collocate.
Mi è piaciuto moltissimo il modo in cui ho imparato a conoscere il protagonista: attraverso i suoi comportamenti, le scelte fatte consapevolmente, il suo riconoscere il male che lo divora dall'interno e attento, nonostante tutto, a non spegnere mai del tutto quel lumicino di umanità che continua a brillare in un angolino del suo cuore, anche quando verrà avvolto dalle tenebre più fitte della disperazione, della solitudine, del dolore.

Molto bello, lo consiglio!


martedì 4 febbraio 2025

STORIA DI CHI FUGGE E DI CHI RESTA di Elena Ferrante - L'amica geniale III [ RECENSIONE ]



Nel terzo volume de L'amica geniale ritroviamo Lila e Lenù, ormai donne e ciascuna impegnata a costruirsi la propria esistenza rispettivamente dentro e fuori dal Rione.
Se piano piano, per Lila (sebbene dopo non poche difficoltà), si aprono prospettive di vita migliori, ad avere un percorso quasi inverso è Elena, che passa dalle gratificazioni ottenute a livello personale e famigliare, a una condizione di crisi e insoddisfazione che la porterà a compiere scelte inattese e discutibili.


STORIA DI CHI FUGGE E DI CHI RESTA 
di Elena Ferrante



Ed. E/O
384 pp

Abbiamo lasciato Elena, nel secondo volume, mentre presentava il proprio romanzo a Milano; l'abbiamo vista, però, in serie difficoltà nel cercare di difendere il proprio esordio in letteratura: lei per prima non riusciva a tirar fuori argomentazioni sensate per far comprendere ai presenti i pregi del proprio romanzo.
Finché dal fondo della stanza non ha udito una voce conosciuta che si è alzata tonante per elogiare l' opera prima della signorina Elena Greco: Nino Sarratore.
Proprio lui: l'amore della sua infanzia, dell'adolescenza... e continua ad esserlo anche nell'età adulta, benché entrambi abbiano preso strade lontane l'una dall'altro.

Ed è così che Nino comincia a far capolino nell'esistenza di Elena, che non ha mai smesso di sognarlo e desiderarlo, anche quando Lila "se l'era preso".

Ma adesso Elena è fidanzata con Pietro Airota, colto e serio studioso e, nonostante la giovane età, già professore universitario; tra i due fidanzati c'è un abisso a separarli: Lenù viene dal sud Italia e oltre tutto da un quartiere di gente povera, ignorante, mentre gli Airota sono persone importanti, benestanti, altolocate e molto colte, con le idee ben precise nelle questioni politiche come in quelle letterarie e non solo.

Entrare in questa nuova famiglia è esaltante e preoccupante insieme, per Lenuccia: è consapevole di essere troppo distante da loro, per esperienze, retroterra culturale, ambizioni, retaggio famigliare (la sola idea di far conoscere gli Airota ai propri genitori e fratelli la mette in grandissimo imbarazzo), ma al contempo lei ha bisogno di sentirsi unita a "questa gente che conta", raffinata, che ha tante conoscenze importanti e che potrebbero aiutarla a ritagliarsi il suo posto come scrittrice.
Ed infatti la suocera, Adele Airota, diventerà un punto di riferimento per lei, che è intenzionata a sfondare nel mondo della scrittura. 

Passiamo dal racconto dei tentativi di Elena di emergere come scrittrice - sempre in ansia per i pareri e le recensioni "degli addetti ai lavori" sul suo libro, per il modo in cui ne esce la sua persona (una giovane, acerba ma promettente stella della narrativa? Una ragazza dalle umili origini che cerca di spiccare e farsi notare in ambienti prestigiosi, frequentati da letterati? O una ragazza ribelle, pseudofemminista cui basta parlare di sesso, scrivere scene scabrose per credere di dar voce alle voglie di indipendenza delle donne?), impegnata ad imporre le proprie scelte alla famiglia, a contrapporsi con sicurezza alle lamentele (anche violente) della burbera madre, preoccupata che il fidanzato Pietro sia accettato dai famigliari - a quelle più drammatiche di Lila, che deve fare i conti con le mille difficoltà quotidiane di una vita fatta di duro lavoro in fabbrica, gli obblighi verso Gennaro (che sta crescendo meno bene di quanto vorrebbe), il rispetto per quel pezzo di pane di Enzo, amico fedele e paziente, e la necessità di tener lontana da sé la mentalità gretta e limitata del Rione, pur facendone sempre parte.

La fragilità di Lila si manifesta in malesseri profondi (e spesso indefinibili) nel corpo e nella mente, che sembrano scavare in lei, fisicamente e psicologicamente, delle voragini buie che da un momento all'altro rischiano di ingoiarla, di scaraventarla in un buco nero in cui ella perde lucidità, controllo di sé e della propria esistenza, dalla quale dipende quella del figlio Gennarino.

A questa situazione già complessa si aggiungono i problemi che a un certo punto le dà il movimento dei lavoratori, che incalza per averla tra le proprie file affinché faccia valere i diritti della categoria degli operai sfruttati e mal pagati; ma questo porterà non poche grane sul lavoro a Lila, sia con Soccavo che con i  dipendenti.

Nonostante passino mesi senza vedersi e, a volte, anche senza sentirsi per telefono, tra Lila e Lenù c'è un filo invisibile ma forte che continua a tenerle unite, e quando Lila ha bisogno di aiuto, Lenù c'è sempre.

Malgrado siano donne di trent'anni, le dinamiche che da sempre connotano il loro rapporto permangono: Elena è conscia della propria subalternità rispetto a Lila e si odia e la odia per questo perché, pur riconoscendole intelligenza e capacità, non accetta di sentirsi inferiore all'amica, soprattutto in virtù del fatto che lei la propria intelligenza l'ha nutrita, coltivata, e attraverso lo studio e l'impegno è riuscita a ottenere dei risultati, che però non tutti le riconoscono. 

In particolare, non le vengono riconosciuti da quelle persone il cui parere è per Elena importante, come la professoressa Galiani, che sembra vittima del fascino oscuro e inspiegabile di Lila e che snobba l' alunna modello sotto gli occhi sprezzanti dell'altra.

Lila, nel suo essere arguta e perspicace, vede benissimo quanto e come Elena fatichi per farsi accettare e considerare dai professori di cui si circonda, e quasi la prende in giro per questo, non comprendendo come possa la sua amica tenerci tanto alle opinioni e alla stima di quelle scimmie ammaestrate che parlano in un linguaggio forbito di tante cose e raramente concludono alcunché.

A sua volta, Elena si lascia travolgere da sentimenti contrastanti verso la Cerullo: continua a volerle sempre più bene, corre se lei fa un cenno,  prende con sé Gennarino per settimane se Lila glielo chiede, ma c'è una parte di sé che sembra detestarla, quasi desidera che lei muoia, che scompaia, che smetta di essere l'eterna pietra di paragone contro cui Lenuccia finisce per sfracellarsi ogni volta, consapevole di non riuscire a brillare come lei, che custodisce in sé, già dall'infanzia, "qualcosa di inafferrabile che seduceva e insieme allarmava, una potenza di sirena".

Non mancheranno gli scontri tra le due su diverse questioni: la salute di Lila, la vita matrimoniale e le gravidanze di Elena, i successivi (fallimentari) tentativi di proseguire nella scrittura, le decisioni che Lila prenderà in merito al proprio lavoro e che vedono coinvolti i Solara, fino ad arrivare a ciò che farà Elena quando il suo matrimonio comincerà a subire, e a non sopportare più, troppe scosse...

Anche in questo romanzo non possiamo non farci trascinare da quella lava incandescente che è la penna della Ferrante, che continua a rendere sempre più appassionanti le vicissitudini esistenziali di queste due indimenticabili e complesse protagoniste.

In modi differenti, entrambe hanno provato a spezzare le sbarre che le imprigionavano nel rione e a quel destino di miseria, ignoranza e sottomissione che lo caratterizza.
Ora che sono adulte, attraversano gli anni Settanta riflettendone speranze e incertezze, tensioni e sfide fino ad allora impensabili, e il tempo e lo spazio non bastano a separarle mai definitivamente, anzi, il loro legame fortissimo e ambivalente sembra uscirne ogni volta rafforzato.

Lenù odia la crudele e cinica franchezza con cui Lila sa metterla davanti alle proprie debolezze, ai propri errori, alle proprie mancanze, ma allo stesso tempo non può farne a meno, pretende che l'amica le dica sempre la verità, anche quando sa che le farà male.

Dal canto suo, Lila tratta spesso con sufficienza Lenù e non risparmia critiche aspre ai racconti che l'amica scrive e che le fa leggere; nondimeno, continua a stimare Elena Greco e a ritenerla più che capace di brillare, di tirar fuori il meglio da tutto lo studio su cui ha speso anni, perché Lila crede ancora che la sua Lenuccia possa aspirare a grandi obiettivi e vivere una vita bellissima anche per lei.

Si approfondisce, in questo libro, il personaggio di Pietro, anch'esso non privo di contraddizioni: è una brava persona, gentile, educata, paziente, seria, coerente, eppure c'è nel suo modo di ragionare così ordinato, razionale ed equilibrato, qualcosa che lo rende limitato, "ottuso", come lo definisce la stessa Elena, che più volte andrà in crisi perché Pietro - a dispetto dell'apertura mentale che la tanta cultura dovrebbe donargli - non è diverso da tanti uomini che si aspettano che la moglie badi alla casa, ai figli, che sia sempre disponibile e attenta ai bisogni del marito, rinunciando alle proprie ambizioni, se necessario.

E poi c'è lui...: l'unico, inimitabile Nino Sarratore.
L'essere più vanesio, egoriferito, narcisista, subdolo, arrogante, ECCETERA ECCETERA, che mi è capitato di incontrare in letteratura.



Sarò scontata, ma non mi resta che consigliarvi di iniziare e/o proseguire questa serie.



domenica 2 febbraio 2025

LIBRI LETTI A GENNAIO 2025



Buon pomeriggio, cari lettori!

Eccomi con il recap del primo mese dell'anno.


LETTURE DI GENNAIO


  1. L'ISOLA DEGLI ALBERI SCOMPARSI di E. Shafak: romanzo di formazione in cui un'adolescente cresciuta a Londra apprende il passato dei propri genitori, legato indissolubilmente alla loro terra d'origine, Cipro, e ai conflitti che l'hanno dilaniata negli anni Settanta (4,5/5). SE CERCHI UN ROMANZO INTENSO, PROFONDO E STIMOLANTE.
  2. TUTTI GLI INDIRIZZI PERDUTI di L. Imai Messina: romanzo
    pinterest

    ambientato in un'isola del Giappone che ci ricorda il potere curativo della scrittura (4/5). DELICATO E POETICO.
  3. LETTERE AL DI LÀ DEL MURO di S.Apuzzo – S. Baldini – B. Archetti: le testimonianze scritte, sotto forma di lettera, di cosa voglia dire nascere e crescere nei campi profughi palestinesi (4/5).  PER CHI VUOL "VEDERE" OLTRE I MURI DEI PREGIUDIZI.
  4. LA VILLA DELLE STOFFE di A. Jacobs: primo volume della saga storica famigliare con al centro una famiglia tedesca imprenditrice. Amori e segreti nella Germania del primo ventennio del Novecento (4/5). PER CHI HA VOGLIA DI AFFEZIONARSI A UNA FAMIGLIA VIVACE.
  5. STORIA DEL NUOVO COGNOME di E. Ferrante: secondo volume de L'amica geniale. Prosegue l'amicizia tra Lenù e Lila, tra alti e bassi, tra gratificazioni e delusioni (5/5). PER CHI NON PUÒ FARE A MENO DI STARE AL RIONE CON LE DUE AMICHE.
  6. MICIO CUPIDO di I. Carioti: romance contemporaneo con un pizzico di fantasy. Un gatto scorbutico contribuisce a far innamorare un cantante caduto nel dimenticatoio e una veterinaria sfortunata in amore (3/5). PER CHI DESIDERA UNA STORIA D'AMORE RACCONTATA CON IRONIA.
  7. OSSESSIONI di G. Dondi: romanzo storico incentrato sul rapporto tra Giuda Iscariota e il Maestro (3.5/5), secondo una prospettiva diversa dal solito. ADATTO A CHI PRIVILEGIA LA NARRATIVA STORICA.
  8. NON AVRAI ALTRA DONNA ALL'INFUORI DI ME di A. Chirico: giallo storico giudiziario che riporta fatti di cronaca ispirati a vicende realmente accadute in Puglia negli anni Venti del secolo scorso (3.5/5). PER GLI AMANTI DEL GENERE.
  9. CZESLAWA di M. Costa: l'ultima settimana di vita di una 14enne polacca, uccisa ad Auschwitz (4/5). PER NON DIMENTICARE.
  10. STORIA DI CHI FUGGE E DI CHI RESTA di E. Ferrante: terzo volume de L'amica geniale. Mentre Lila cerca e trova una propria stabilità nel Rione, Lenù fa i conti con la propria infelicità famigliare (4.5/5). 


READING CHALLENGE

Per la RC di quest'anno, lo schema ripercorre la sfida letteraria del 2024: alle categorie fisse - cui si può attingere durante tutto l'anno e più di una volta - si aggiungono di volta in volta gli obiettivi specifici di ogni mese; a gennaio gli obiettivi sono i seguenti:

- Un romanzo che parli di incidenti sul lavoro;
- Un libro finalista/vincitore di un premio letterario internazionale (Nobel, Book Prize, Strega europeo, National Book Award, Goncourt);
- un romanzo che tratti di una storia di vendetta o tradimento;
- "Cose da salvare in caso di incendio" di Haley Tanner.


Io ho scelto il secondo obiettivo con 
11. PRIMO SANGUE di A. Nothomb: biografia del diplomatico belga Patrick Nothomb, padre di Amèlie. Vincitore del Premio Strega europeo 2022 (4/5). SE CERCHI IL RITRATTO BREVE, VIVACE E PIACEVOLE DI UN PERSONAGGIO REALMENTE ESISTITO.



SERIE TV


L'ho iniziata e devo finire di vederla: IL CONTE DI MONTECRISTO su Rai Uno, che mi sta piacendo, anche se confesso che, avendo letto il romanzo diversi anni or sono, molti dettagli mi sfuggono.

SAVE ME: serie tv coreana, ho guardato la prima stagione su Prime e mi ha presa moltissimo. 
Detta in poche frasi: una ragazza di sedici anni si trasferisce da Seul in una cittadina con la propria famiglia; a scuola suo fratello subisce atti gravi di bullismo e da questi episodi si scatena una serie di fatti drammatici sempre più inquietanti la tensione crescerà a ogni puntata.
Questa povera famiglia - segnata e sconvolta da una tragedia che la colpirà - finirà nelle mani di una setta pseudo-cristiana (???) guidata da un santone che definire folle è un complimento. Quattro ragazzi cercheranno di salvare la fanciulla dalle grinfie della setta.

Ho visto anche la seconda stagione di SQUID GAME e pure questa mi ha convinta; l'ho praticamente divorata e aspetterò il seguito con molta curiosità.

Spero di riuscire a parlarvi di queste due serie coreane in un post a esse dedicato.

venerdì 31 gennaio 2025

L'ISOLA DEGLI ALBERI SCOMPARSI di Elif Shafak [ RECENSIONE ]



Un romanzo delicato e potente in cui leggiamo d'amore, dolore, distruzione, separazioni, guerre, ostilità tra popoli, in una cornice che, nel mettere al centro la natura con la sua multiforme e splendente bellezza, sembra riconciliare l'uomo con questa vita piena di tribolazioni ma allietata altresì da colori luminosi e profumi d'erbe, dal battere delle ali di uccelli di ogni piumaggio, dai frutti gustosi degli alberi.


L'ISOLA DEGLI ALBERI SCOMPARSI
di Elif Shafak



Ed. Rizzoli
trad. D. A. GewurzI. Zani
368 pp
"I piccoli miracoli avvengono. 
Come la speranza può scaturire dalle profondità della disperazione o la pace germogliare tra le rovine della guerra."


Ada Kazantzakis è un'adolescente di sedici anni nata e cresciuta a Londra; sua madre Defne è morta e lei vive col suo amato papà Kostas, uomo taciturno e dedito alle piante e, in generale, alla natura.

Del passato dei suoi genitori, Ada non sa praticamente nulla e questo per volere esplicito di Defne, che ha sempre desiderato lasciar fuori l'amata figlia dal tumultuoso e doloroso passato che lei e Kostas condividono.

I due, infatti, vengono entrambi da Cipro ma da due "rive" contrapposte: greco e cristiano lui, turca e musulmana lei.

Il loro amore nasce nella meravigliosa e assolata Nicosia, a Cipro, in quell'isola favolosa di acque turchine e profumo di gardenie, all'ombra rassicurante di un grande albero di fico. 

Sono gli anni Settanta, i due adolescenti innamorati si incontrano di nascosto in una taverna ("Al fico allegro")  dalle cui travi annerite pendono ghirlande d'aglio e peperoncini e che appartiene a due uomini buoni e gentili (Yusuf e Yiorgos), che diventeranno due cari amici della coppia.

Al centro di quella taverna, testimone dei loro incontri amorosi, svetta fiero e imponente un albero di fico, che assiste non solo allo sbocciare di quel sentimento innocente e puro, ma anche allo scoppio dell'eterno conflitto dell'isola (sempre più sanguinoso), spaccata in due lungo la «linea verde».

Sull’isola i due gruppi etnici - i turchi ciprioti, favorevoli alla divisione di Cipro in due Stati sovrani, e i greci-ciprioti, che rivendicano l’annessione di Cipro alla Grecia - vivono in uno stato di aperta ostilità; in entrambe le fazioni nascono gruppi armati che, attraverso azioni di guerriglia, cercano di esercitare pressioni politiche ciascuna in base ai propri fini.
Inevitabili saranno gli episodi di violenza che causeranno centinaia di vittime da ambo i lati e porteranno al tracciamento della famigerata Linea Verde, volta a separare la comunità turco-cipriota da quella greco-cipriota; il territorio e la stessa capitale Nicosia vengono così divisi.

In un contesto del genere, dove le parole d'ordine sono odio, ostilità, vendette, come può crescere l'amore tra due ragazzi che non dovrebbero neanche immaginare di potersi unire tra loro?
Per le famiglie sarebbe un dolore e un'infamia venire a sapere di questo amore clandestino e proibito.

"L’amore è una spavalda affermazione di speranza, e quando comandano morte e distruzione non si abbraccia la speranza  Non si regala il cuore quando ogni cuore deve restare sigillato, e soprattutto non a quelli che non  credono nella nostra religione, non parlano la nostra lingua, non sono del nostro sangue. Non ci s’innamora a Cipro nell’estate del 1974. Non qui, non ora. E invece eccoli là, quei due."

 
Defne e Kostas si amano davvero, ciò che li unisce non è un sentimento temporaneo ed effimero, eppure la guerra e gli scontri che devastano la loro bellissima e adorata terra, riusciranno a separarli, seppur non per sempre, visto che sappiamo dell'esistenza di Ada.

Per oltre vent'anni i due amanti saranno separati e in questo lungo lasso di tempo si annideranno in loro tanti sentimenti e pensieri contrastanti: senso di abbandono, solitudine, risentimenti, sfiducia, amarezza.

Una volta ritrovatisi, crescere Ada lontano da quella triste fetta del loro passato, sarà una necessità per Defne e Kostas, per voltare pagina e provare a vivere lontani con il corpo e con la mente dalle atrocità di cui è portatrice la guerra, ogni guerra.


La storia, come si intuisce, si snoda intervallando due piani temporali e spaziali: il Duemiladieci a Londra, dove Ada è una ragazza che cova dentro di sé sofferenza, disagi, malesseri emotivi cui non sa dare un nome, mentre Kostas è un padre maturo, che si è dedicato anima e corpo alla famiglia ma anche alle sue piante; e gli anni Settanta, in cui assistiamo alla nascita dell'amore tra i due ciprioti in un momento storico-politico complicato e sanguinoso.
Questi due piani narrativi prevedono un narratore esterno, che però diventa interno quando a raccontare è la pianta di fico.

Ad unire i due periodi e le due tracce narrative c'è appunto essa, la pianta di fico che cresceva florida e frondosa nella locanda di Yusuf e Yiorgos: Kostas è riuscito a portar con sé qualcosa di quella pianta e a farla rinascere e ripiantarla a partire da una talea; ora cresce nel giardino dietro la casa di Ada e continua ad essere l'unico, misterioso e concreto legame con una terra dilaniata e sconosciuta, con quelle radici inesplorate che, cercando di districare un tempo lunghissimo fatto di segreti, violente separazioni e ombrosità, lei ha bisogno di trovare e toccare, per poter crescere e risolvere quei conflitti interiori che le tolgono serenità.

Ad aiutarla in questo processo di avvicinamento alle proprie radici, ci pensa una zia particolare ed estrosa: Meryem, sorella maggiore di Defne, di cui Ada non sa nulla, come non sa nulla in generale delle famiglie d'origine del propri genitori.

Il romanzo di Elif Shafak è molto bello, affianca passaggi tristi con altri malinconici, poetici e struggenti; è denso di avvenimenti drammatici ed emotivamente coinvolgenti, ricco di umanità - di cui ci presenta tanto la capacità di fare il bene, di amare, di perdonare, di andare oltre le differenze, quanto quella di operare il male, di odiare, di alimentare divisioni e discriminazioni.
Il contesto ambientale, geografico, storico e politico è molto ben descritto e il lettore viene portato in quest'isola meravigliosa e affascinante, dalla natura variegata e splendida (la natura ha un posto d'onore tra queste pagine, ci sono descrizioni anche tecniche di uccelli e piante) ma dilaniata dalla stupidità dell'uomo.

"Ma su un’isola afflitta da anni di violenza interetnica e atrocità inaudite non furono solo le persone a soffrire: è toccato anche a noi piante, e pure gli animali hanno patito stenti e dolori man mano che sparivano i loro habitat. Solo che di cosa è successo a noi non glien’è mai importato niente a nessuno."

I personaggi principali sono molto ben tratteggiati psicologicamente e non solo, ed è bello come essi ci vengano mostrati nel loro agire, con tutte le fragilità, insicurezze ed esigenze che li caratterizzano.

La storia di Cipro ci ricorda una verità che è purtroppo quotidianamente sotto i nostri occhi: 
"...ovunque ci sia guerra e dolorosa spartizione, non ci sono vincitori. Né umani, né d’altro genere."

È un romanzo (anche) di formazione perché la giovane protagonista, Ada, ha modo di evolvere, conoscere e comprendere informazioni importanti della propria famiglia, del paese in cui sarebbe nata se le cose fossero andate diversamente, che inevitabilmente le appartengono e contribuiscono a renderla la persona che è.

In questo libro si affrontano tante tematiche fondamentali per il vivere umano: i legami famigliari, l'amore di coppia, tra genitori e figli, tra sorelle, l'amore proibito da vivere di nascosto, i malesseri dell'anima e della mente, il legame profondo con la natura che ci circonda e la responsabilità, da parte dell'Uomo, di rispettarla e amarla; l'odio interetnico, le discriminazioni, le ostilità che conducono a guerre fratricide tra popoli vicini, che potrebbero vivere e convivere come amici e invece si vedono come nemici; l'importanza delle proprie radici e origini, del passato, a condizione che questi non ci strangolino, impedendoci di guardare al futuro.

Molto bello, ve lo consiglio, la Shafak ha una penna poetica e piena di fascino.



Citazioni

"Dolore, quanto dolore c’era in tutti, e dappertutto. L’unica differenza era tra quelli che riuscivano a nasconderlo e quelli che non ce la facevano più".

"Il luogo dove siamo nati è la forma della nostra vita, anche quando ne siamo lontani, anzi specialmente in quel caso."

"...quando lasciamo casa nostra per lidi sconosciuti, non andiamo semplicemente avanti come prima. Qualcosa dentro di noi muore, in modo che qualcos’altro possa ricominciare da capo."

"Perché il corpo dell’innamorato è una terra senza confini: la si scopre non tutta d’un colpo, bensì un passo ansioso dopo l’altro, perdendo la strada e l’orientamento, percorrendone le valli assolate e i campi ondulati, trovandolo caldo e accogliente e poi imbattendosi, celate in angoli quieti, in caverne invisibili e inattese, trappole in cui si inciampa e ci si taglia."

«Perché il passato è uno specchio oscuro, deformante, che se ci guardi dentro vedi solo il tuo dolore, e che non lascia spazio al dolore di nessun altro.»

"Penso che il mio Paese sei tu. Ti pare una stranezza? Senza di te io non ho una casa; sono un albero abbattuto, dalle radici mozzate; basta un dito a ribaltarmi."

"La verità è un rizoma, uno stelo sotterraneo che germoglia di lato. Per raggiungerla bisogna scavare parecchio e, una volta scoperta, va trattata con rispetto."

"La mente umana è un posto stranissimo, patria ed esilio al tempo stesso. Come faceva a trattenere qualcosa di sfuggente e intangibile come un profumo quando era in grado di demolire pezzi interi del passato, mattone per mattone?"

"...una volta che ce l’hai in testa, che siano i ricordi tuoi, o dei tuoi genitori, o dei tuoi nonni, questo cazzo di dolore ti penetra anche nella carne. Ti resta dentro e ti segna per sempre. Ti incasina i pensieri e cambia il modo in cui vedi te stesso e gli altri."



mercoledì 29 gennaio 2025

TUTTI GLI INDIRIZZI PERDUTI di Laura Imai Messina [ RECENSIONE ]



Ci sono, custoditi tra le pagine di questo romanzo, una poesia, una delicatezza e un incanto che lo rendono quasi una favola, un racconto che fa bene al cuore e che ci ricorda quanto possa essere potente la scrittura e quanto bene faccia sentirsi liberi di raccontarsi, di aprire gli argini del proprio cuore senza il timore di venir giudicati.



TUTTI GLI INDIRIZZI PERDUTI
di Laura Imai Messina


Einaudi
240 pp
Io non lo sapevo ma... esiste davvero: il Missing Post Office, sulla piccola isola di Awashima, situata nel mare interno di Seto; con la sua forma ad elica, conta poche centinaia di anime. 

In questo posticino ameno, quasi magico, c'è il cosiddetto «Ufficio Postale alla Deriva», qualcosa di originale, insolito e, a modo suo, speciale.

In questo minuscolo ufficio vengono conservate tutte le lettere spedite a un destinatario che però è irraggiungibile, vuoi perché non c'è il nome, vuoi perché manca proprio l'indirizzo. Missive mai recapitate, insomma.

Coloro a cui sono destinate lettere e cartoline possono essere destinatari di vario genere, anche i più bizzarri: dall'amore perduto e mai dimenticato all'inventore del fon, dal giocattolo preferito nell'infanzia e smarrito per sempre alla povera lucertola cui, da bambini, si è tagliata la coda.

Sono delle lettere particolari, lunghe o brevi, che non arriveranno mai nelle mani della persona/animale/ricordo/oggetto alla quale sarebbero destinati, e questo le rende preziose perché in esse c'è il cuore di chi le ha scritte, ci sono le sue lacrime, i suoi sorrisi, i sospiri e le risate, le malinconie e i rimpianti.
Ci sono frammenti di vite, a volte anche vite intere, tra quelle righe.
Ci sono le parole pensate e mai dette, per paura, per imbarazzo o vergogna, perché il tempo è sempre il solito tiranno, per tante ragioni diverse.

"Alla deriva", sì, perché queste lettere somigliano a quei suggestivi e romantici messaggi nelle bottiglie, affidate al mare, al caso, al tempo..., che vanno alla deriva, come naufraghi.

A me ricordano anche un po' un diario segreto che non faremo mai leggere a nessun altro, forse noi per primi difficilmente ne ripercorreremo le pagine, per tenere lontane quelle emozioni, quei ricordi troppo forti, travolgenti, che per i più disparati motivi (e bisogni) preferiamo allontanare da noi.
Parole che, in fondo, sono destinate praticamente a  noi stessi e che mettiamo su carta perché scrivere fa bene, può curare, ci fa compagnia, ci aiuta a decifrare il mondo e, ancor prima, a capire la nostra stessa anima.

La protagonista è una ragazza dolcissima e gentile: Risa, che sbarca ad Awashima in un mattino freddo di primavera, portando con sé una sacca misteriosa gonfia di buste. 

«Awashima è l’indirizzo che ha preso in carica tutti gli indirizzi perduti della terra». 

È sbarcata in quest'isoletta giapponese per lavorare nell’Ufficio postale alla deriva e catalogare le tantissime lettere arrivate in dieci anni.

L'isola è incantevole ma si sta spopolando; dopo un iniziale atteggiamento di diffidenza verso questa giovane donna, gli abitanti si abituano alla sua presenza e imparano man mano a volerle bene, anche perché l'incombenza che s'è presa non è da poco: mettere in ordine la corrispondenza è un lavoro enorme e nessuno capisce perché una signorina laureata debba rintanarsi in quel luogo dimenticato da tutti per svolgere un lavoro davvero singolare.

Ciò che essi non sanno è che Risa ha più di una ragione per essere lì: anzitutto, suo padre è un postino e ha lavorato tutta la vita con serietà e sollecitudine affinché neppure una lettera andasse perduta.  
E Risa è un po' come il suo amato papà: tenace, desiderosa di prendere le cose sul serio, di trattarle con delicatezza, e queste lettere - in cui ci sono istanti, pensieri, sentimenti, ricordi intimi e importanti delle persone - sono un tesoro da rispettare, meritano attenzione e cura.

E poi c'è un'altra motivazione, anch'essa molto personale: la sua defunta madre. 

La sua è stata una madre presente, sì, ma in modo intermittente e sicuramente diverso da quello che ci si aspetta da una mamma; Risa la ricorda come una persona che viveva costantemente in un mondo interiore tutto suo, in cui conosceva parole magiche per evocare creature del bosco e in cui era totalmente immersa, dimentica della realtà vera, circostante.

Quella madre particolare le ha insegnato la poesia e la curiosità verso ciò che è estraneo, perché «è dall’incontro con gli sconosciuti che può nascere lo straordinario»

E se proprio sua madre le avesse lasciato un messaggio che è finito lì, nell'Ufficio alla Deriva? Non sarebbe un modo per tenerla ancora un po' con sé, vicina al cuore, per sentirne la voce attraverso le sue parole scritte?

Nel suo soggiorno sull'isoletta, Risa farà incontri speciali, che le faranno bene e che le insegneranno a guardarsi dentro, a non fuggire dalle proprie emozioni, a mettere a fuoco ricordi, desideri, speranze, timori e quel legittimo bisogno di amore che si scontra con la paura di lasciarsi andare e di soffrire.

Avrà anche modo di ricordare un episodio dell'infanzia (quando aveva solo tre anni) che aveva sepolto nei recessi della propria memoria e, riaffiorando, la riempirà di quell'inspiegabile gioia che si prova quando si riesce a recuperare qualcosa di importante che pareva smarrito per sempre.


"Tutti gli indirizzi perduti" è un romanzo che mi ha ammaliata con la sua atmosfera quasi da sogno, con una storia deliziosa che, nella sua semplicità, emana poesia, incanto, umanità, dolce malinconia, tenerezza; la protagonista mi ha conquistata per la sua personalità sensibile, buona, riflessiva, per le sue fragilità e insicurezze; particolare l'ambientazione che, pur essendo reale, sembra quasi fantastica, irreale, forse per quel carattere esotico, ricco di fascino e suggestione che l'Oriente esercita.

Una lettura molto introspettiva, delicata e profonda, che tocca, con un linguaggio immediato e diretto, temi universali, come i legami famigliari, l'amore, le paure che ci bloccano, i sentimenti segreti e intimi mai espressi a voce alta, e tutta quella sfaccettata  e meravigliosa galleria di emozioni che connota e dà senso alla vita di ogni essere umano.

Consigliato!!



Awashima


Missing post Office
(qui)


martedì 28 gennaio 2025

LETTERE AL DI LÀ DEL MURO di Stefano Apuzzo – Serena Baldini – Barbara Archetti [ RECENSIONE ]

 

LETTERE AL DI LÀ DEL MURO di Stefano Apuzzo – Serena Baldini – Barbara Archetti è una raccolta di lettere e pensieri di alcuni bambini palestinesi che vivono nei campi profughi gestiti dall'UNRWA alle porte di Gerusalemme. 

Il libro è diviso in due parti: se nella seconda (arricchita da fotografie di bambini palestinesi) è possibile
Stampa Alternativa
165 pp

leggere le lettere dei protagonisti, nella prima gli autori riassumono la situazione in cui versa la Palestina, andando a ritroso nel tempo, sin da quando nel 1948 è stato fondato lo Stato di Israele e migliaia di famiglie furono espulse a suon di fucilate, terrore e massacri, dai propri villaggi e case.

Quello fu l'inizio della Nakba ("catastrofe") e della massiccia colonizzazione delle terre arabe in Palestina; ancora oggi centinaia di migliaia di palestinesi vivono da profughi in campi che sono luoghi in cui crescere, vivere, realizzare sogni... è davvero difficile.

“Cadono le foglie dagli alberi sulla terra e da lontano viene il vento per raccoglierle, ma il loro grido di aiuto cade nel vuoto, perché sono rinchiuse dentro queste mura che si chiamano campo profughi” (Marah, 9 anni).


Cosa significa per dei bambini nascere e vivere tra rifiuti e macerie, ingabbiati da un muro di cemento alto 9 metri, senza la possibilità di uscire dai campi, a meno che non si abbia la "carta blu"?

Cosa significa vivere in quella parte di muro dove ogni scelta è condizionata dai checkpoint, dal coprifuoco, dalle incursioni militari? 

Come cresce, con che pensieri, sentimenti, prospettive per il futuro..., un bambino che è figlio o nipote di rifugiati, che ha sentito i tristi e dolorosi racconti della Nakba e che tocca con mano ogni giorno le innumerevoli difficoltà di vivere sotto occupazione?
L’occupazione militare israeliana influenza ogni ambito dell’esistenza dei palestinesi e nelle lettere scritte dai bambini ai loro coetanei italiani emergono i numerosi problemi che essi incontrano nella quotidianità della vita nei campi profughi.

Un aspetto importante che emerge sin dalle prime pagine di questo testo è la necessità che ciascuno di noi (occidentali) ha di andare oltre stereotipi e pregiudizi; troppo spesso siamo vittime di un meccanismo di disumanizzazione del “nemico”: bollandolo in maniera semplicistica con l'etichetta "arabo=terrorista", lo rendiamo crudele, malvagio, un mostro che agisce e uccide senza pietà degli innocenti, e così diventa molto più semplice giustificare ogni sorta di negazione, di violazione e di sopruso nei suoi confronti.

"L’intento di Lettere al di là del Muro è di restituire ai palestinesi, soprattutto ai bambini palestinesi, la più reale immagine di esseri umani, simili a noi. Sono lettere di bambini che scrivono ad altri bambini".

L'iniziativa nasce nel 2003, ad opera di una Onlus di Milano, Vento di Terra, che da allora organizza uno scambio con una delegazione di bambini palestinesi dal campo profughi di Shu’fat, Gerusalemme est, e dal campo di Qalandia, nei pressi di Ramallah.

I bambini sono ospitati per due settimane dalla struttura di accoglienza della Parrocchia Ognissanti di Rozzano e condividono con i ragazzi dell’oratorio le attività del centro estivo.

Sono occasioni di condivisione, di arricchimento, di scambio interculturale e soprattutto umano; offrono ai bambini palestinesi la preziosa occasione di sperimentare l’esistenza di un mondo fuori dal campo che non è solo ostilità, privazioni, persecuzione, bombe e morte.

"È ora di sottrarre i bambini alla firma delle bombe, perché tornino a giocare e a colorare il mondo con sorrisi di pace".

Leggendo le parole semplici, schiette e sincere dei bambini che scrivono, abbiamo modo di vedere le cose con i loro occhi, di capire quali sono le cose importanti per loro, quello che vorrebbero cambiare, eliminare o costruire: il ruolo fondamentale della scuola e dell'istruzione ("L’istruzione è l’arma della libertà, un’arma per battere l’ignoranza” - Rasha, 11 anni), la scarsa salubrità dell'ambiente in cui vivono, a causa delle strade piene di rifiuti, delle fogne a cielo aperto, delle case attaccate le une alle altre, dell'aria malsana, la disoccupazione, il sovraffollamento, l'assenza di spazi in cui giocare liberamente (centri per bambini, parco-giochi...), quel muro di separazione che impedisce ai profughi di sentirsi liberi, di vedersi rispettati nelle proprie esigenze di spostarsi (per motivi di lavoro, di salute ecc...).

In molti racconti è chiaro e commovente il forte attaccamento dei bambini alla propria terra, la solidarietà, le amicizie e, in generale, i legami che si creano nel campo profughi che, pur essendo pieno di criticità e aspetti negativi, resta la loro "casa".

"Sogno di vivere in una casa grande, dove posso avere la mia stanza da sola, dove nessuno mi disturba e dove posso tranquillamente giocare e dormire. Sogno che la gente mi rispetti nella città e nei villaggi, perché quando esco dal campo sento che per me c’è meno rispetto. Io non ho nessuna colpa, perché sono stata cacciata dal mio villaggio" (Marah, 12 anni).

 
È una raccolta molto significativa, interessante e stimolante, perché induce a informarsi su come vivono i palestinesi nei Territori Occupati, a riflettere, ad eliminare o affinare o modificare opinioni dettate da preconcetti o "prese di posizioni" acritiche (che riducono la "questione palestinese" a un parteggiare per una "tifoseria" piuttosto che per l'altra) e non da reali e accurate conoscenze; e poi può rivelarsi un valido strumento per quegli adulti coinvolti in prima linea in ambito educativo perché sentono il desiderio di raccogliere la sfida urgente di educare le nuove generazioni, al rispetto, alla tolleranza, alla solidarietà, alla pace

lunedì 27 gennaio 2025

CZESLAWA di Marco Costa [ GIORNATA DELLA MEMORIA ]




"Mi chiamo Czesława Kwoka, ho quattordici anni e sono nata nel paese di Wolka Zlojecka, di religione cattolica."

Czeslawa: Memoria di Auschwitz - Racconto sugli ultimi giorni di Czeslawa Kwoka è il breve e commovente racconto, scritto da Marco Costa, che ci fa

conoscere l'ultimo triste periodo della giovanissima vita di una ragazzina polacca morta nel campo di concentramento di Auschwitz, dove - solo lì - morirono un milione e mezzo di persone.

L'autore scrive in prima persona, dando così voce a Czeslawa, che ci racconta dell'arrivo in quel luogo di disperazione e morte: era il 13 dicembre 1941, il gelo era atroce, sferzante, e le trecento donne che scendevano dal treno erano stremate, affamate, assetate e tanto, tanto impaurite.

Com'era la vita nei campi?
Le giornate di Czeslawa e delle altre detenute erano contrassegnate da duro lavoro diviso in due turni, penuria di cibo (quell'odiosa, acquosa e disgustosa minestra di rape), freddo, stanchezza, la paura quotidiana nell'assistere ad esecuzioni sommarie da parte delle SS, che torturavano, picchiavano e uccidevano per divertimento, con una mostruosa leggerezza.

"...ci marchiano con un tatuaggio sul braccio, un numero che da quel momento in poi ci rappresenta e a cui dovremo rispondere. Un dolore che dura poco ma ti ustiona dentro. 26947 è il mio numero."

Czeslawa arriva ad Auschwitz con sua madre Katarzyna e mamma e figlia cercano, come possono, di trarre forza l'una dall'altra; la madre incoraggia la figlia a resistere, a cercare di non farsi notare da Kapò e soldati, a sopravvivere giorno dopo giorno.

Dovrà pur finire quest'inferno, no?

È un racconto corto ma, come potete immaginare, dolorosamente intenso, che riesce a trasportare, con l'immaginazione, il lettore in quel campo di lavoro: ci sembra di vedere quelle povere donne, magre, col volto scavato, mentre si stringono addosso gli stracci leggeri che coprono il loro corpo intirizzito; le vediamo farsi forza a vicenda, provare a sorridersi e a incoraggiarsi nonostante tutto.

Le ultime pagine stringono il cuore, come pure guardare le fotografie (fatte nel campo) che ritraggono Czeslawa e Katarzyna Kwoka, prigioniere innocenti e testimoni silenziose di una pagina della storia terribile e disumana.

Czesława Kwoka fu una dei circa 230.000 bambini e ragazzi di età inferiore ai diciotto anni che furono deportati ad Auschwitz-Birkenau tra il 1940 e il 1945.

I polacchi, considerati inferiori dai tedeschi, furono da essi perseguitati negli anni della seconda guerra mondiale.
L'obiettivo di Hitler era “germanizzare” la Polonia operando una pulizia etnica quindi sostituendo la popolazione polacca con coloni tedeschi. 
Fatta eccezione per un numero limitato di polacchi da sfruttare come manodopera per i lavori fondamentali, il resto della popolazione doveva essere cacciato o eliminato.

Più di 500.000 tedeschi si insediarono nella zona del Governatorato Generale; nel 1942–43, circa 100.000 civili polacchi - compresi 30.000 bambini - abitanti nella regione di Zamość, furono deportati; le famiglie vennero separate e inviate nei campi di concentramento o ai lavori forzati; in totale più di 20.000 furono i bambini spediti nel Reich perché considerati idonei alla "germanizzazione". 

Dal 1939 al 1945 i tedeschi hanno ucciso tra 1,8 e 1,9 milioni di civili polacchi non Ebrei e almeno 3 milioni di cittadini polacchi Ebrei.* 





* United States Holocaust Memorial Museum. "Le vittime polacche". https://encyclopedia.ushmm.org/content/it/article/polish-victims

sabato 25 gennaio 2025

LA VILLA DELLE STOFFE di Anne Jacobs [ RECENSIONE ]



Nel primo volume della saga storica e famigliare di Anne Jacobs, conosciamo la giovanissima Marie Hofgartner mentre si appresta a fare il suo ingresso nella grande Villa delle Stoffe, di proprietà della ricca famiglia Melzer.
La sua vita, fino a quel momento all'insegna della povertà e degli stenti, comincerà a prendere una piega decisamente inaspettata.



LA VILLA DELLE STOFFE
di Anne Jacobs



Giunti Ed.
trad.L. Ferrantini
576 pp

Siamo in Germania, qualche anno prima che scoppi la Grande Guerra, più precisamente ad Augusta nel 1913. 

Marie è una ragazza di diciotto anni quando è costretta a lasciare l'orfanotrofio in cui è cresciuta e in cui ha vissuto un'infanzia costellata dalla penuria di cibi, vestiti e soprattutto di amore e premure, per vivere nel mondo esterno.
Per sopravvivere, dovrà ovviamente lavorare e la direttrice dell'istituto le ha trovato un impiego come sguattera presso la Villa delle Stoffe (non è un caso che l'abbiano scelta).

Quando la giovane si trova per la prima volta davanti alla maestosa dimora, ne rimane affascinata e intimorita: l’imponente palazzo della famiglia Melzer, proprietaria della più grande fabbrica di tessuti bavarese, svetta come un castello fatato in un immenso parco. 

Certo, ci sarà da lavorare, ma almeno avrà dei vestiti caldi, un letto, dei pasti..., insomma, sarà sempre di gran lunga migliore della vita in orfanotrofio!

"Chiunque lavorasse alla Villa delle Stoffe doveva considerare quell’impiego un privilegio, da guadagnare a suon di virtù: correttezza, zelo, discrezione e fedeltà."

Fin da subito, però, Marie deve fare i conti con le ostilità e le gelosie dei suoi "colleghi di lavoro", vale a dire dello stuolo di camerieri e domestici imbellettati che la guardano con sospetto e invidia.

Sì, perché nonostante Marie sia una povera orfanella, non ne ha né l'aria né il portamento, tutt'altro: ha una grazia e un'eleganza innate, è intelligente, assennata, determinata, sa come interagire con chi le è di fronte e non si lascia intimidire facilmente da nessuno, uomo o donna, padrone o cuoca che sia.

«Hai degli occhi bellissimi. Dentro, c’è la tua anima. Pieni di dolore, desiderio, fame di felicità. Stanchezza e allo stesso tempo un’incredibile forza.»


Marie è una protagonista che attira immediatamente le simpatie del lettore perché non è un tipo che si piange addosso ma anzi è attiva e laboriosa e, come emerge man mano, piena di grinta e coraggio.

Non si lascia buttare giù dai tanti rimproveri della governante o delle altre domestiche "più anziane", dalle parole sprezzanti della cameriera personale della signora Alicia Melzer; non ha paura neanche di rivolgersi al padrone, il burbero e sempre nervoso signor Johann Melzer, o di parlare con le signorine Elizabeth e Kitty.
Solo al cospetto del signorino, Paul, il primogenito dei Melzer, si sente più a disagio.
Sarà perché nota come il giovanotto sia troppo gentile con lei, che è una semplice sguattera?

Tra Marie e Paul, sin dai primi momenti, si affaccia un'intesa che entrambi, per ovvie ragioni legate al diverso ceto sociale, farebbero bene a soffocare.
A differenza di quanto potrebbero pensare il signor Melzer e qualcun altro in casa, Marie non è affatto una arrampicatrice sociale o un'opportunista, non è neanche una ragazza che si lascia andare alla passione amorosa senza pensarci su, tutt'altro: è una fanciulla dai sani principi,  dignitosa, con un alto senso del rispetto di se stessa e degli altri.


La vita in casa Melzer è sempre ricca di cose da fare e di sorprese, e ben presto la bella e talentuosa Marie viene notata dalla signorina Kitty, la figlia più giovane dei Melzer, appassionata d’arte, che arriva a chiederle di posare per lei come modella da ritrarre. La signorina si renderà ben presto conto di come Marie non sia solo un'ottima modella ma ancor più una bravissima artista, con un gran talento nel disegno.

Tra le due coetanee nasce una sorprendente complicità, con sommo disappunto del capofamiglia, che prova verso Marie sentimenti contrastanti.
Da una parte, è contento di averle dato lavoro perché sa che era la cosa giusta da fare; dall'altra, teme che quella ragazza - così simile alla sua defunta madre - possa portare problemi in casa.

Johann ha conosciuto Luise, la mamma di Marie, ma è molto restio a confessare tale importante dettaglio alla ragazza perché questo significherebbe confessare la verità sui propri errori, su come egli abbia contribuito a fare di Marie un'orfanella...

C'è, quindi, un segreto che unisce i Melzer a Marie, e il lettore ne conoscerà i particolari progredendo nella lettura, che scorre con sufficiente fluidità, fatta eccezione per alcuni passaggi un po' più lenti.

Oltre al segreto custodito da Johann e che riguarda il passato di Marie, ci saranno altre vicende che smuoveranno le acque: Kitty ha un bel caratterino tutto pepe e farà l'errore di seguire l'amore per un baldo giovanotto, infilandosi in una situazione compromettente da cui dovrà essere tirata fuori.

Alla fabbrica dei Melzer, i problemi non mancano, tra scioperi degli operai, incidenti sul lavoro e macchinari che si rompono...: tutti eventi che mandano in crisi Melzer senior, il quale però potrà fare  affidamento - con sua grande sorpresa - su quel figlio maschio di cui non si è mai fidato.
Paul, infatti, futuro erede dell’impero, fino a quel momento, aveva vissuto come un dandy abituato a sperperare i soldi del padre: adesso, finalmente, si affianca al padre e riesce, con maestria e saggezza, a gestire molte delle difficoltà all'interno della fabbrica.


"La villa della stoffe" è il primo volume di una saga storica famigliare che si preannuncia piena di intrighi, amori e colpi di scena, in cui il punto di vista narrativo è affidato "ai piani bassi", ai domestici della Villa delle Stoffe, che inevitabilmente conoscono ogni segreto dei propri padroni, li servono con devozione più o meno sincera, ne invidiano la vita sfarzosa ed eccitante.

Lettura piacevolissima, vien voglia di proseguire, ed infatti ho iniziato il secondo libro, Le ragazze della Villa delle Stoffe.


giovedì 23 gennaio 2025

STORIA DEL NUOVO COGNOME. L'amica geniale vol.2, di Elena Ferrante [ RECENSIONE ]

 

Nel secondo volume della serie L'amica geniale, ritroviamo le due protagoniste - amiche sin dall'infanzia, Lila ed Elena, il loro rapporto di amore e odio, l’intreccio inestricabile di dipendenza e volontà di autoaffermazione.




STORIA DEL NUOVO COGNOME. 
(L'amica geniale vol.2)
di Elena Ferrante


Ed. E/O
480 pp
Lina Cerullo ed Elena Greco sono nel pieno dell'adolescenza e le loro strade, pur avendo solo sedici anni e vivendo ancora nel rione, hanno già cominciato a dividersi e a prendere direzioni opposte.
Ciò che le accomuna, al di là delle diverse decisioni prese, è la sensazione di essere in un vicolo cieco.

Lila si è appena sposata con Stefano Carracci e la sua esistenza è solo apparentemente migliorata: suo marito è un giovane e ambizioso uomo d'affari, non le fa mancare nulla e Lina può godere di una casa tutta sua e di una disponibilità economica che di certo prima non aveva. 

Ma prendere il cognome di Stefano ha significato anche, per lei, perdere un po' sé stessa: l'uomo la ritiene e la tratta come se fosse una sua proprietà.
Dice di volerle tanto bene, si sforza di assecondarla e di avere pazienza, perché lo sa com'è fatta la giovane moglie (capricciosa, testarda, ribelle, indipendente...) ma al contempo è evidente che si crede di essere il suo proprietario e, in quanto tale, ha il diritto e dovere di "raddrizzarla", pure con le mazzate, se necessarie.

Dal canto suo, Elena è ormai una studentessa modello ma, proprio durante il matrimonio dell’amica, ha scoperto che non sta bene né nel rione né fuori.

Cerca in tutti i modi di distinguersi a scuola ma diversi fattori interverranno per far sì che il suo rendimento scolastico, a un certo punto, diventi altalenante.
E questo la manderà un po' in crisi: lo studio, la scuola, la possibilità di proseguire e andare all'università prendendo ottimi voti al liceo, sono le uniche cose cui può ambire. Non può permettersi di fallire.

La sua famiglia è un fardello pesante da portare, in particolare lo è Immacolata, sua madre, che non fa altro che rimproverarla e rinfacciarle i sacrifici fatti per farla studiare, pretende che la figlia porti i soldi a casa, che "faccia i mestieri domestici", badi ai fratelli piccoli, e mette pure bocca sulla relazione tra la Lenuccia e Antonio.

Antonio, a sua volta, è motivo di amarezza e delusione per Elena, che in realtà non ne è davvero innamorata ma sta con lui per non essere sola, soprattutto perché attorno a lei tutte si fidanzano e Lila s'è pure maritata.

Come sempre accadrà nel legame tra le due ragazze, negli anni esse si avvicineranno, diverranno intime confidenti, per poi allontanarsi nuovamente, e questo modo di fare caratterizzerà sempre la loro pur sincera amicizia.

In questo romanzo, il rione è ancora il cuore pulsante di tutto, lo sfondo che accoglie e condiziona le vite delle protagoniste, che lo percepiscono sempre più come una odiosa trappola per chi, come loro, vuole allontanarsene, scrollarsi di dosso la triste eredità di quella realtà fatta di pettegolezzi, botte, urla, miseria, sopraffazione dei potenti versi i più poveracci, strozzinaggio, vendette in stile mafioso e tanta, tanta ignoranza a tutti i livelli.

Proseguendo nella lettura, attraverso gli occhi di Lenù, conosciamo in modo intimo le vicissitudini dei numerosi personaggi: le non facili ambizioni scolastiche di Elena e i suoi momenti di scoraggiamento, il suo sogno nel cassetto di diventare qualcuno attraverso la scrittura; la vita matrimoniale di Lila, contrassegnata da prepotenze e violenze, cui lei non si sottomette (anche se talvolta mostrerà di calmarsi, ma il suo spirito indomito è tutt'altro che piegato o spezzato dagli schiaffoni), il suo fiuto negli affari, che la rendono speciale agli occhi sia di Stefano che di Rino (fratello di Lila) e soprattutto dei prepotenti Solara - Marcello e Michele -, e in special modo quest'ultimo non ha smesso di essere ossessionato da Lila e di sperare che lei passi dall'essere di un Carracci all'essere una proprietà sua; le dinamiche messe in moto dal ritorno in scena di Nino Sarratore, ormai giovane uomo avviato verso una brillante carriera universitaria grazie alla quale può manifestare al mondo la sua intelligenza, la sua cultura, il suo sapere, la dialettica nel disquisire di argomenti vari, dall'economia alla politica alla letteratura.

Nino ha un posto privilegiato nel cuore di Elena, da sempre segretamente innamorata di lui e folle di gelosia nell'apprendere come egli preferisca fare il filo a chi non deve e continuare a considerare lei, Elena, solo una buona amica con cui sfogare le proprie pene d'amore.

Che sia in merito all'amore per/di Nino o in merito ai risultati scolastici e al raggiungimento di obiettivi, il cruccio principale di Lenù è e sarà sempre l'amica del rione, Lila: possibile che la signora Lila Carracci, intelligente sì ma senza cultura, strafottente e sprezzante verso chiunque sia più acculturato di lei, secca come un'acciuga, con quello sguardo che trasmette perfidia, cattiveria... possa piacere tanto agli uomini, disposti a fare pazzie pur di averla?
E Nino Sarratore potrebbe rientrare nella schiera di coloro che soccombono al misterioso fascino di Lina Cerullo?

Galeotta sarà un'emozionante vacanza estiva a Ischia, che porterà non poco scompiglio.

Ovviamente, attorno alle due si svolgono altre dinamiche, che le più o meno riguardano direttamente e che vedono di volta in volta coinvolti gli altri abitanti del Rione: Pinuccia e Rino, Gigliola, Antonio e la sua famiglia, Bruno Soccavo (amico di Nino, che ritroviamo a Ischia), Pasquale ed altri.

La penna profonda e acuta, sensibile e mordace, intrisa di schietto realismo, di Ferrante è capace di trasportarti con forza nel rione, così da viverlo a 360° insieme a Lila e Lenù.
Tutto, nella narrazione, è viscerale, forte, prepotente, in alcuni momenti pure disturbante, e si insinua nelle pieghe della mente e della pelle del lettore, che ne viene risucchiato divenendo anch'egli un abitante del quartiere.

Dalle pagine prendono forma, voce, corpo tutti i personaggi con le loro caratteristiche fisiche e di personalità.

➤La sgradevolezza dei Solara, la loro boria che li spinge a credersi i padroni del mondo (o quanto meno del rione).

➤ La grettezza di personaggi come Rino, il signor Greco, con il loro essere mediocri, apatici, senza spina dorsale.

➤ La sciocca superficialità delle tante donne del rione, le classiche pettegole di quartiere.

➤ La debolezza e l'inferiorità di Stefano Carracci rispetto a Lila, che lo spingono ad imporsi con l'aggressività e la violenza fisica e verbale non potendo rispondere all'acume e alla furbizia della moglie ad armi pari.

➤ La straordinaria intelligenza (cognitiva, emotiva, pratica) di Lila Cerullo, la cui sagacia, la capacità manipolatoria, il saper scrutare nell'animo di Lenuccia e non solo, la sua determinazione nell'agire come desidera senza condizionamenti e sottomissioni, cosa che fa arrabbiare chi le è attorno e, al contempo, la rendono unica e degna di rispetto. 

Lila è così: respingente in quanto dura, cinica, crudelmente schietta, e attraente al tempo stesso perché innegabilmente forte, determinata, onesta, libera. È la strega ma anche la fata, la si detesta e la si ammira.

➤ L'incapacità di Elena di trovare una collocazione nel mondo, di tracciare la propria strada attraverso le proprie capacità e i propri sogni.
Ella sa solo che non vuole restare nel rione e desidera essere al passo con Lila (se proprio non può superarla), di cui invece finisce per essere sempre all'ombra, a volte accanto ma, per la maggior parte, dietro.

Elena e Lila sono due protagoniste che entrano nel cuore e che regalano molte emozioni; leggendo, mi rendevo conto di come mi riuscisse difficile provare empatia più con una che con l'altra o viceversa; piuttosto, in base a ciò che di loro apprendevo, finivo per provare più o meno simpatia ora per Lila, ora per Lenù, detestando o amando certi loro modi di fare, certe decisioni prese, certe parole pronunciate.

A volte ho odiato Lila quando ostentava sicurezza, tracotanza e un'aria di incomprensibile superiorità verso Lenuccia e quel mondo di intellettuali che ciarlano di cose che concretamente non è detto conoscano; li disprezza apertamente ma forse questo nasconde un complesso di inferiorità e la consapevolezza che, nonostante le proprie doti intellettive, lei non farà mai parte di quel mondo altolocato e la cosa la indigna e la incattivisce anche verso la sua migliore amica, che invece lo frequenta.

Elena spesso mi ha innervosita in quanto troppo insicura, sempre bisognosa di ricevere gratificazione e lodi, di sentirsi apprezzata dagli altri (ad es. da coloro che ritiene dotti e sapienti, vedi la professoressa Galiani e tutto il mondo intellettualoide cui appartiene o Adele Airota), di dover dimostrare capacità, intelligenza e bravura; per non parlare di quel suo cercare continuamente l'approvazione di Lila e Nino, verso cui è tanto debole e patetica.

Seppur mosse da motivazioni e desideri differenti, Lila e Lenù vedono Nino come colui che può elevarle e liberarle dal rione, in cui regnano ignoranza, maleducazione, mediocrità, grettezza mentale e culturale, perché ambedue in fondo disprezzano il contesto da cui vengono, che per loro è un'eredità pesante di cui vorrebbero liberarsi per spiccare il volo verso una reale indipendenza, per potersi affermare e realizzare.


Che dirvi ancora?

La verità è che su questa saga ci sarebbero tante cose da dire, tante considerazioni da fare (ad es. sul contesto storico-politico, sugli anni in cui ci troviamo - gli anni Sessanta - sui ruoli e i rapporti uomo-donna dentro e fuori dal rione, sulla scrittura stessa della Ferrante...) ma la cosa migliore che posso fare è consigliare, a chi ancora non l'ha fatto, di immergersi totalmente in queste pagine, dalle quali è facile venire assorbiti e coinvolti grazie a una narrazione appassionante, dinamica, che punta tanto sulle relazioni umane e su un'egregia caratterizzazione dei personaggi. 

Lenù e Lila diverranno due amiche che sarà difficile lasciare.
Io ho cominciato il terzo volume subito, proprio perché mi mancavano.


mercoledì 22 gennaio 2025

MICIO CUPIDO di Ilaria Carioti [ RECENSIONE IN ANTEPRIMA ]


Lui è una ex-rockstar che da tempo non sa più cosa sia il successo; lei è una veterinaria con una vita sentimentale "sfigata".
In comune sembrano non aver nulla, se non fosse che entrambi hanno un gatto in casa cui sono molto affezionati.
Non solo, ma sia lui che lei sono delusi, sfiduciati, non cercano una relazione amorosa, ma il dio dell'amore non ha smesso di scoccare le proprie frecce.

MICIO CUPIDO
di Ilaria Carioti


 
290 pp

Quando il lettore incontra Adriel per la prima volta, ha di fronte a sé un giovane cantante talentuoso, il frontman di una rock-band, The Bats, all'apice della fama, che riempie stadi e manda in deliquio stuoli di fans inferocite e innamorate dei suoi pettorali, oltre che della sua voce graffiante e carismatica.

Ma il successo, si sa, sa essere trascinante quanto impalpabile come carta velina, e basta poco perché dalla cima ti ritrovi a terra, e più in alto eri, più la caduta risulta rovinosa.

Per Adriel è così: da lì a pochi anni più tardi, la gloria è solo un lontano e malinconico ricordo.
Del bellissimo e affascinante rockettaro non resta che un uomo che vive nell'ombra, che vorrebbe non essere neppure riconosciuto dalle fans di una volta, che preferisce la solitudine a tutto il resto.

Ma la sua vita solitaria viene presto interrotta quando prende in affitto un appartamentino in mansarda e lì vi trova già un inquilino: un gattino.

All'inizio vorrebbe liberarsene, ma poi qualcosa lo spinge a prendersene cura, dandogli anche un nome: Schizzo.
Avendo la bestiola come unica compagnia, Adriel esprime inconsapevolmente un desiderio di per sé impossibile: poter parlare con il suo amico peloso.
Un desiderio formulato con la leggerezza di chi sa di pronunciarne uno irrealizzabile.
Ma... Schizzo incredibilmente riesce a comunicare con lui, a farsi capire e a rispondere al suo padrone.
Spaventato e disorientato all'idea che un gatto "parli", Adriel si reca in una clinica veterinaria, temendo che Schizzo sia vittima di una strana malattia.
Lì i due conoscono Cristiana, giovane veterinaria che da poco si è trasferita a Roma da Orvieto; la ragazza è sempre stata una fan accanita dei The Bats e follemente invaghita del bellissimo Adriel.
 
Dal canto suo, Schizzo sta benone e, anzi, come se non gli bastasse l'uso della parola, rivela di avere un bel caratterino: è logorroico e ipocondriaco, tende a lamentarsi e a pretendere attenzioni esclusive e crocchette di buona qualità.
Ed è poco socievole.
 
Tant'è che quando si vedono fiondare in casa la ragazza che abita al piano di sotto e la sua gattina Minù, Schizzo non la prende benissimo: lui vorrebbe starsene in pace con il suo amico umano, non ha alcuna voglia di socializzare né con l'umana - che, guarda caso, è la veterinaria che l'ha visitato e che ha gli occhi a cuoricino in presenza di Adriel - né tanto meno con la sua sciocca e insistente gattina, che gli si struscia addosso dal primo momento.
 
Quando Cristiana scopre che non solo ha avuto modo di visitare il gatto del suo cantante preferito ma che questi vive nella mansarda del palazzo in cui si è appena trasferita, stenta a credere che una tale fortuna possa essere capitata proprio a lei, che pare avere la sfiga attaccata addosso.
 
La ragazza è da poco uscita da una relazione che le ha procurato non poche lacrime: quando viveva ad Orvieto (lavorando come veterinaria in una clinica), ha commesso l'errore di innamorarsi e iniziare una relazione con un uomo sposato il quale, nonostante le tante promesse e il dichiarato amore, si rivela essere un codardo, incapace di prendere decisioni scomode, per cui preferisce interrompere la relazione con Cristiana, che si ritrova single e senza lavoro.
 
Adesso che è a Roma, non ha alcuna intenzione di mettere a rischio il proprio cuore con un nuovo amore che possa illuderla e deluderla, anche se si tratta nientemeno che del suo idolo, che col passare degli anni non ha fatto che migliorare, assumendo un fascino più maturo, tormentato e misterioso.
I due iniziano a frequentarsi, non per scelta di Adriel o di Schizzo - entrambi asociali - ma a causa dell’invadenza proprio di Cristiana, che entra nelle loro vite insieme alla sua gatta Minù, portando un po' di solarità nelle grigie giornate dell'ex cantante.
 
In prima battuta, Schizzo è infastidito dalle due femmine insistenti e ciarliere, e cerca in tutti i modi di scoraggiare Adriel dal frequentarle, ma Cupido ha già iniziato a muoversi tra loro e a tessere le proprie trame e Schizzo avrà l'occasione di decidere se dare o meno una svolta decisiva al rapporto fra l'artista e la veterinaria.
 
Mentre l'amicizia sincera tra i due si va consolidando, la vita comincia a porli davanti a nuove possibilità ma anche nuovi e vecchi dilemmi.
 
Sarà possibile per Adriel ritornare a cantare e a suonare con la sua band? Cristiana, nella sua innocente schiettezza, è convinta di sì - il talento non ha di certo abbandonato il ragazzo -, ma non basta la sua positività. C'è bisogno di una reale e concreta offerta a tornare sulle scene.
Arriverà mai quest'ultimo treno?
 
A sua volta, Cristiana si ritrova a dover fronteggiare una situazione famigliare complicata, che le darà non pochi turbamenti e preoccupazioni, ma la sua amicizia con Adriel potrebbe rivelarsi un'ancora di salvezza.
 
Ma c'è davvero solo amicizia tra i due?

 
"Micio cupido" è un romance contemporaneo con un elemento fantastico (il gatto parlante), dai toni ironici e ricco di passaggi e dialoghi divertenti, grazie in particolare al gatto Schizzo, che riesce a comunicare con il suo padrone, divenendo per lui un vero e proprio compagno di avventure, un consigliere a volte saggio, altre volte un po' lamentoso, ma di certo un amico prezioso.
 
La narrazione procede fluida e con un ritmo vivace, anche grazie all'alternarsi dei punti di vista di Cristiana e Adriel; è una lettura che sa intrattenere in modo simpatico e che sicuramente piacerà non solo a chi ricerca letture romantiche ma anche a quanti amano spassionatamente i gatti.
 

Il romanzo è in uscita oggi, 22 gennaio.  >> LINK AMAZON  <<

 
L' autrice.
Ilaria Carioti, nata a Nettuno (RM) il 1978, ha avuto sin da bambina una propensione per le arti creative e ha continuato a leggere, scrivere e dipingere nel tempo libero. Negli ultimi anni ha pubblicato diversi romanzi: “Il cuore non dimentica mai”, "E se invece fosse amore”, "L'amore non era previsto", "Amore senza esclusione di colpi", "Un imprevisto da favola", favola moderna ispirata a La bella e la bestia; “Rotta verso l’amore”, “Io e te oltre le nuvole”, una storia di rinascita e di speranza, l’amore impossibile tra uno spirito libero e una donna alla ricerca di se stessa; “Nemici del cuore”, “Un imprevisto da favola”, “La mia favola da le mille e una notte”, romantic suspense, retelling della celebre cornice di raccolta di novelle Le mille e una notte. A maggio 2023 esce “Cose dell’altro mondo”.
 
 
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