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lunedì 4 agosto 2025

SPLENDI COME VITA di M.G. Calandrone || LA STRADA GIOVANE di Antonio Albanese [ recensione audiolibri ]



In questo periodo sto ascoltando diversi audiolibri; attualmente ho in corso Demon Copperhead di Barbara Kingsolver, che mi sta piacendo ma che ascolto con calma, considerata la molte (più di 23 ore di ascolto = 656 pp)

Nel weekend, però, ho avuto voglia di interromperlo temporaneamente per concedermi due ascolti brevi.

La mia duplice scelta, in modo piuttosto istintivo, è ricaduta sui seguenti libri, che hanno la comune caratteristica di essere letti dall'autore stesso.



LA STRADA GIOVANE di Antonio Albanese (Feltrinelli, 128 pp., 2025).


L'esordio dell'attore Antonio Albanese nella narrativa trae ispirazione da una storia familiare, che egli
racconta (e legge) con una grande naturalezza e che, attraverso un linguaggio semplice, arriva al lettore con immediatezza, trascinandolo in un tempo cupo, difficile, doloroso, e trasmettendocene paure, speranze, spaesamento, malinconia e una tenera e commovente voglia di tornare, semplicemente, a casa, al sicuro tra le braccia dei propri cari.

Il protagonista è Nino, un giovane proveniente dalla Sicilia, da una famiglia di fornai, e sposato con la bella Maria Assunta.

Incontriamo Nino quando è passato ormai l'8 settembre, mentre è all'interno di un campo di prigionia in Austria, a patire fame, freddo e paura. 
In quanto internato militare, non ci sono diritti ed è duro sopravvivere giorno per giorno; l'unico conforto viene dal legame di amicizia con Lorenzo, un giovane toscano di Piombino, un tipo socievole e spigliato, con cui lavora nelle cucine governate dal Piemontese, un gigantesco macellaio. 

Insieme, i tre approfittano della confusione durante i festeggiamenti di capodanno del '44 per organizzare la loro fuga. 

Com'è intuibile, la conquista della libertà è contrassegnata da freddo, fame e dalla paura di essere riacciuffati dai tedeschi, andando incontro a una brutta fine.
Non è facile né orientarsi né tanto meno trovare cibo e riparo, anche perché la gente è comprensibilmente terrorizzata, sul chi va là e non esita a sparare per prima al minimo dubbio di essersi imbattuti in eventuali nemici.

Nino deve attraversare tutta la penisola per raggiungere la sua amata Sicilia, che sembra più  irraggiungibile e lontana che mai, ma Nino resiste e macina chilometri, nascondendosi, dormendo ora all'addiaccio ora in ripari di fortuna, sorretto dalla voglia di tornare a casa e dal pensiero dei propri amati.

Il suo viaggio verso casa è un'odissea fatta di pericoli, privazioni, e di numerosi incontri con persone di ogni tipo, tra cui un gruppo di partigiani che lo prende con sé per un po', convinto che egli sia un soldato tedesco in fuga.

La solitudine della fuga rocambolesca toglie la parola al giovane che, terrorizzato e spaurito, non riesce ad articolare suono al cospetto delle persone in cui man mano si imbatte, venendo scambiato ora per uno scemo ora per uno straniero e ora per un italiano probabilmente muto.

Mentre continuano i bombardamenti, attraverso un Sud devastato dall'avanzata, a Nino non resta che il salvagente dei ricordi, il pensiero della bellezza e del calore degli affetti che lui vuol raggiungere a tutti i costi. 
Se chiude gli occhi davanti alle brutture che gli sono intorno, forse riesce a sentire il profumo buono e accogliente del pane appena sfornato dal padre, o quello dolce della vaniglia dei biscotti, e su tutti il calore dei baci di Maria Assunta che, il ragazzo spera, forse lo sta ancora aspettando.


Un libro breve ma che si lascia apprezzare per la sua narrazione fluida, piacevole (come lo è anche la lettura stessa di Albanese, coinvolgente ma misurata e sobria al tempo stesso), per la sensibilità, l'umanità e la tenerezza che caratterizzano il lungo e difficile cammino di un giovane che sta cercando di aggrapparsi alla vita con le unghie e con i denti, senza mai perdere sé stesso, la propria dignità di essere umano, ma anzi custodendola gelosamente anche di fronte a chi, invece, sembra averla persa a causa di una guerra spietata (c'è qualcosa di più disumanizzante della guerra?) e abbrutente.
Ci sembra di essere lì con Nino, di vedere le cose con i suoi occhi, di provare i suoi timori, il freddo e la fame, di osservarlo addormentarsi cullato dai suoi dolci ricordi e di sperare ardentemente che alla fine di quel viaggio di disperata speranza, ci sia casa, che è sinonimo di amore, abbracci, lacrime di felicità, rifugio dal male.

Per me questa prima prova narrativa di Antonio Albanese è promossa.





SPLENDI COME VITA di Maria Grazia Calandrone (Ponte alle grazie, 224 pp., 2021).

Intenso, potente, commovente, delicato e poetico, traboccante di  autenticità nel racconto di aneddoti e momenti di vita vera, capace di trascinare il lettore (o ascoltatore) nella fiumana di emozioni che accompagnano la narrazione; questo romanzo è una lettera d'amore della Calandrone alla propria madre adottiva ed infatti al centro vi è proprio la ricostruzione del complesso e profondo rapporto dell'autrice con Consolazione, sua madre.

La donna, assieme al marito Giacomo Calandrone, hanno adottato la piccola Maria Grazia quando questa aveva solo otto mesi ed era stata abbandonata dai genitori, amanti clandestini in un piccolo paese del Molise (erano gli anni Sessanta, non c’era il divorzio e l’abbandono del tetto coniugale era punibile come reato), morti suicidi.

All'età di (soli) quattro anni, Consolazione (insegnante di professione) fa una scelta che potremmo definire "strana", discutibile...: confessa alla bimba di non essere la loro figlia biologica, ma appunto di essere stata adottata.
Questa amara e dolorosa verità viene recepita meglio dalla figlia (evidentemente troppo piccola per capirne la "reale portata") che dalla madre stessa, la quale da quel momento non riuscirà più a rapportarsi con Maria Grazia in modo naturale e sereno, ma riverserà nel loro legame tutta l'ansia, la paura e l'atroce dubbio che questa verità le avrebbe sicuramente allontanate, creando una frattura insanabile.

Consolazione, infatti, consapevole di non essere la "madre vera", matura la convinzione di non essere amata abbastanza da quella bambina che non ha partorito, e a nulla varranno i tentativi della figlia di rassicurare la genitrice (finta o vera, è l'unica che abbia mai conosciuto, è colei che l'ha scelta, cresciuta, amata) di non essere per lei una madre "di serie B".

Si genera, quindi, una distanza emotiva frutto di un senso di "disamore" nato dalla rivelazione dell'adozione, e ciò darà vita, nel corso del tempo, incomprensioni, silenzi, ferite, comportamenti anche ostili da parte di Consolazione verso quella figlia che cresce, curiosa e vivace, sotto i suoi occhi.

Una figlia che non smette di amare la Madre (nel corso della narrazione, ella si riferisce ai genitori chiamandoli sempre così, "madre", "padre"), di restarle vicina anche quando lei la manda via. 

"Splende la vita. 
Splende come vita
a volte splende quieta come il tuo corpo abbandonato al sonno
a volte sfolgora come il lampo del sorriso
ma la terra non splende
la cenere non splende.
Davvero mamma, non sappiano niente e non siamo che corpo
e non siamo più in nessun luogo dopo
probabilmente
e questo precipizio di parole non è buono a rifare 
neanche una molecola del tuo sorriso.

...faticavo a raggiungerti alla fine
ma eri vita
accessibile
vita dovuta e vita che ho dovuto lasciare andare.

...senza difese
splendi come vita.


In questo libro, la scrittrice e poetessa ci racconta non solo del legame con la madre, ma anche di quello con il padre e, attraverso il ricordo di specifici episodi, di dettagli, di momenti che le sono rimasti dentro, ci avviciniamo un po' al suo mondo, soprattutto a quello interiore, essendo il testo ricco, profondo di riflessioni e memorie, contrassegnato da una scelta sentita e attenta di parole per comunicare le tante e contrastanti emozioni che le si agitano dentro; il finale è struggente, splendidamente toccante e a me ha messo i brividi.

Una scrittura lirica e potente, che anche nel suo raccontare di dolore, smarrimento, perdita, confusione, malattia, tenerezza e freddezza, accoglienza e rifiuto, senso di inadeguatezza, amore e disamore, allontanamento e vicinanza, riesce ad essere luminosa e a regalare questa luce - che ogni vita contiene in sé - al lettore (ascoltatore).

Una lettura che consiglio perché è emotivamente trascinante, scritta magistralmente (e letta altrettanto bene, considerato che l'ascoltiamo dalla viva voce dell'autrice), che coinvolge e commuove perché la Calandrone ci cattura con la sua ammirevole capacità di osservare e descrivere - il mondo, le persone, i legami, i sentimenti... - con lo sguardo sensibile, spontaneo, penetrante e vero dei poeti.


lunedì 6 gennaio 2025

RECENSIONE - ELEGIA AMERICANA di J.D. Vance



L'autobiografia genuina e onesta del senatore e attualmente vice-presidente degli USA: la sua infanzia, la sua famiglia, l'educazione e i valori ricevuti, la formazione culturale, sociale e accademica, arricchita da un ritratto accurato e realistico del contesto politico e socio-economico relativo alla zona in cui egli è nato e cresciuto (Middletown, Ohio).



ELEGIA AMERICANA
di J.D. Vance



Garzanti
trad. R. Merlini
272 pp
"Quanta parte della nostra vita, buona o cattiva che sia, dovremmo attribuire alle nostre decisioni personali e quanta parte è solo il retaggio della nostra cultura, delle nostre famiglie e di genitori che hanno tradito i loro figli?"

James David "J.D." Vance è cresciuto in una povera città della Rust Belt, in una famiglia che definire vivace è un eufemismo.

I suoi amatissimi nonni erano poveri e innamorati quando emigrarono giovanissimi dalle regioni dei monti Appalachi verso l’Ohio nella speranza di una vita migliore. 

Il famoso "sogno americano", avete presente?

Ma tra sogno e realtà c'è spesso (sempre?) un abisso e le speranze di costruirsi un'esistenza di benessere e riscatto sociale viene solo sfiorato, perché la realtà in cui si ritrovano a vivere essi, e i figli i nipoti dopo di loro, è dura, complicata e tanto difficile.

Leggendo questo memoir veniamo trascinati in un contesto sociale e famigliare disfunzionale, disagiato, in cui fanno da padrone problemi gravi come la miseria, la violenza domestica, le discriminazioni, le dipendenze, e i traumi che ti segneranno a vita sono all'ordine del giorno.

Basta dire che la madre ha avuto sin da giovane problemi di tossicodipendenza, ha portato in casa una serie di compagni pigri e nullafacenti, che si sono susseguiti uno dopo l’altro caratterizzando l'infanzia dei figli Lindsay e James in termini di precarietà e instabilità emotiva e psicologica, oltre che finanziaria.

E con i vicini di casa non andava necessariamente meglio, visto che tanti di essi erano alcolisti impegnati unicamente a cercare di sopravvivere attraverso i sussidi, per poi passare il tempo a lamentarsi del governo per la disoccupazione dilagante e  per le scarsissime (se non nulle) opportunità scolastiche e lavorative offerte in quella parte di mondo miserabile.

Un disastro, insomma.
Eppure quella che J.D. Vance racconta senza applicare sconti ma, allo stesso tempo, con un amorevole orgoglio di appartenenza, è una storia non solo personale e famigliare, ma di un Paese intero, di quel proletariato bianco degli Stati Uniti che nelle recenti elezioni presidenziali ha espresso la sua frustrazione portando alla vittoria Donald Trump.

In Elegia americana il politico celebra un’America silenziosa popolata da famiglie e individui dimenticati (i "bianchi poveri") e dà voce. attraverso il racconto vivace e piacevole della propria storia personale, a questa classe operaia scontenta, frustrata, piena di difficoltà quotidiane per sbarcare il lunario, arrabbiata.

Le memorie personali sono mescolate all'analisi critica sociologica, economica e politica, e Vance approfondisce temi riguardanti povertà, dinamiche familiari complesse, dipendenze e disintegrazione delle comunità nell'America rurale; in questo modo il lettore è portato a riflettere insieme a lui sui valori della cultura in cui egli è cresciuto - lealtà, resilienza, orgoglio, forte senso di appartenenza alle proprie radici, amore per la famiglia, l'importanza di non adagiarsi rassegnati nel clima di incertezza e frustrazione che ci circonda, ma di investire su se stessi e sulle proprie capacità... - ma anche sui tanti e profondi meccanismi distruttivi di disfunzione e declino sociale che hanno colpito molte persone in quell'area.

J.D. non manca mai di sottolineare il ruolo fondamentale della sorella Lindsay (responsabile, equilibrata, premurosa, un pezzo insostituibile della sua vita) e dei nonni, in primis della nonna materna, un pilastro, una roccia, la vera madre che lo ha allevato e ha fortemente contribuito a renderlo l'uomo che è. E lui è un povero, nato e cresciuto in un ambiente che nulla di buono aveva da offrire, che invece ce l'ha fatta. Il sogno americano è stato per lui una realtà concreta.


Ammetto di aver scelto questo libro "a scatola chiusa": non mi sono minimamente preoccupata di sapere chi fosse l'autore ma l'ho iniziato volutamente senza cercare info prima, spinta dal titolo.
Quando mi sono resa conto che a narrare è uno che lavora nel governo Trump stavo per mollarlo ma poi ho deciso di godermi il libro pensando solo a ciò che è: l'autobiografia di uno sconosciuto, tra l'altro esposta con una prosa efficace, brillante, ironica, mai patetica e sorprendentemente piacevole.
Ho proseguito mettendo da parte eventuali pregiudizi (di natura politica) e mi sento di aver fatto bene, perché il libro mi è piaciuto e mi sentirei anche di consigliarlo.

(N.B.: libro terminato nel 2024)



venerdì 5 luglio 2024

RECENSIONE * LA CERIMONIA DELL'ADDIO di Roberto Cotroneo *



La cerimonia dell'addio è una storia che racconta di una perdita e di come chi resta si sforzi di trovare delle ragioni per andare avanti nonostante l'assenza di chi non c'è più pesi sul cuore ogni giorno e per anni.


LA CERIMONIA DELL'ADDIO
di Roberto Cotroneo



Mondadori
164 pp
La storia è ambientata negli anni '70 in una città di provincia come tante: Anna è sposata con Amos e i due sono molto innamorati, hanno due bambine e, inseguendo la loro passione per le storie e la poesia, hanno aperto una libreria. 
In una domenica come tante, mentre la coppia sta facendo colazione, di punto e in bianco Amos  all’improvviso, appare smarrito, incapace di rispondere a domande semplicissime e, soprattutto, non riconosce più Anna, sembra aver dimenticato tutto, persino di avere due figlie; eppure, solo pochi minuti prima aveva citato una poesia a memoria... ed ora non sa più nemmeno chi è. 

Un episodio di amnesia? Dovuto a cosa?

Pochi attimi dopo, l'uomo torna in sé ma con Anna decidono di andare a Roma per consultare uno specialista; a un certo punto, egli insiste per uscire da solo a fare due passi: “Non preoccuparti, sto bene, arrivo a Trinità dei Monti e rientro”.

Ma da quella passeggiata non farà mai più ritorno e di lui si perderà ogni traccia.

Passano i minuti, le ore, e poi i giorni...; tutti sono preoccupati: cosa gli è successo? Ha avuto un’altra amnesia e si è perso? 
Anna è spaventata e confusa e, tra le mille comprensibili domande, ce ne sono altre più insidiose, come: "E se avesse deciso di andarsene, abbandonando volutamente lei e le bambine?".

Questo genere di domande accompagneranno Anna per tutti gli anni a venire; sì, perché Amos non tornerà più e ciò che resta alla moglie sono solo l'amore provato e vissuto e i ricordi, oltre ai tanti interrogativi che resteranno senza risposta.

Anna negli anni continua a non darsi pace, a non capacitarsi di come un uomo possa essere scomparso senza che nessuno lo abbia visto, lo abbia eventualmente aiutato a tornare a casa, a contattare parenti e amici, o mandato a lei una comunicazione anonima per dirle: "Guarda, tuo marito s'è rifatto un'altra vita, non cercarlo e non pensarci più."

Niente di niente, invece, ed è proprio il non sapere a struggere la donna, che si sente ancora sì moglie, ma di un fantasma, e di certo non accetta l'ipotesi di essere vedova, se (e finché) Amos non viene ritrovato morto.

Diversi anni dopo, quando le figlie Emma e Cecilia sono ormai adulte e indipendenti (erano piccoline, in età da asilo, quando il papà - che infatti a malapena ricordano - è sparito), giungerà una lettera che le farà conoscere dei dettagli del passato di Amos da lei ignorati.
Informazioni che forse, in parte, le permetteranno di azzardare delle ipotesi circa suo marito, se non nel senso di capire cosa gli è accaduto da quando l'ha lasciata, per lo meno nel senso di immaginare che genere di problematiche celava dentro di sé.

Il lettore segue Anna nei suoi pensieri, mentre si tiene stretta al sentiero dei ricordi, provando a trovare segnali, indizi, crepe che le consentano di comprendere di più il passato di quel marito che, in fondo, non ha avuto chissà quanto tempo per conoscere bene.

Il pensiero di lui è una costante che non l'abbandona mai, inducendola così a rimandare di anno in anno la decisione interiore di dirgli addio, di lasciar andare il ricordo di un uomo che semplicemente e senza spiegazioni, a un certo punto, è uscito via dall'esistenza sua e delle bambine, a loro volta cresciute all'interno di questo tempo sospeso - il tempo dell’abbandono, della continua e straziante attesa (per molto tempo, Anna verserà il caffè anche per lui, a tavola, terrà le sue cose nell'armadio nel caso tornasse...) di qualcosa (risposte, ad es.) che potrebbe non arrivare mai.

Il dolore dovuto all'assenza incolmabile di questo marito - che resta sullo sfondo pur essendo molto presente, apparendoci come una figura adombrata di mistero - scandisce l'esistenza della protagonista, costretta a confrontarsi con il proprio mondo interiore, le proprie insicurezze, le mancanze ma anche le risorse emotive a sua disposizione,necessarie per continuare ad andare avanti nonostante tutto; emerge, tra queste pagine, il grande potere della memoria e la capacità dei ricordi di tener vivo un amore.

Siamo davanti a un romanzo delicatissimo e profondo, intriso di una struggente malinconia, che esplora il tema del lutto, della perdita, dell'abbandono, dell'attesa e il modo che la protagonista ha di elaborare il tutto; una lettura commovente, piena di passaggi molto belli e significativi, scritti con uno stile poetico ed evocativo, che sa emozionare il lettore.

Bello.


martedì 2 luglio 2024

TUTTO SU DI NOI di Romana Petri ✓ RECENSIONE ✓



Marzia nasce e cresce in una famiglia che si può definire, senza tema di smentita, disfunzionale: una famiglia che non è nido d'amore, rifugio accogliente, porto sicuro e riparo dalle tempeste.
Tutt'altro.
In casa Marziali si respira cinismo, egoismo, puerilità da parte degli adulti, tradimenti, piccole e grandi perfidie che possono far male e davanti alle quali non resta che difendersi e, all'occorrenza, magari anche attaccare.


TUTTO SU DI NOI
di Romana Petri


Mondadori 
216 pp
Marzia Marziali ha un nome che è tutto un programma e che si riflette nel suo modo di essere: cammina con un'andatura marziale e ama uno sport come la lotta greco-romana.

Non solo, ma in lei c'è qualcosa di "marziale" nel senso di battagliero, intrepido ed è con questo atteggiamento che ci racconta la storia sua e della sua famiglia.

Marzia si sbottona con furia, violenza, spudoratezza, ci lascia entrare dentro casa, nello spazio soffocante condiviso con il padre, la madre e il fratello.

La sua è una famiglia malata, in cui si passa dall'indifferenza e dall'anaffettività alla cattiveria gratuita più tremenda.

Se dovessimo sintetizzare i caratteri dei tre famigliari di Marzia, potremmo descriverli così: il cattivo (il padre), la sottomessa (la moglie) e il menefreghista (il fratello).

Cresciuta nella periferia di Roma, Marzia ha avuto un'infanzia non propriamente infelice, perché in fondo ci sono storie e famiglie ben peggiori, ma di certo non ha avuto dei genitori esemplari.

Al centro della sofferenza di tutti c'è lui, il capo famiglia: un uomo fisicamente tozzo, tarchiato, sgradevole, chiamato da Marzia "il nano dalle gambe corte", la cui brutta fisicità è lo specchio di un'anima altrettanto penosa.

Un padre crudele e codardo, capace di atti di pura malvagità contro moglie e figlia; un fedifrago seriale che non nascondeva i tradimenti, anzi, li sbatteva in faccia a moglie e figlia con un godimento disgustoso; ferire, umiliare, schernire, ridere delle lacrime e del dolore da lui stesso provocati, era motivo di grasse risate da parte sua.
Un genitore incapace di amare, di lasciarsi andare a parole e gesti d'affetto.
Come vieni su con un padre così?

E la madre?
Lei è sempre e solo stata moglie, la coniuge devota e fedele al marito infedele e str****, che avrebbe meritato di essere cacciato a pedate da casa.
E invece più lui la tradiva e umiliava, più lei gli si attaccava come una cozza, aspettando, come un cagnolino smarrito, briciole di attenzioni, che poi non erano mai affettuose ma solo fisiche, per sfogare le bramosie sessuali di lui.

Il racconto di Marzia mi ha travolto perché è duro, verace, forte, dice "pane al pane e vino al vino", senza mai rinunciare a una certa dose di ironia e autoironia, descrivendo la famiglia e le diverse e bizzarre situazioni vissute con schiettezza, con la ormai serena rassegnazione di chi per quel caos vi è passato, l'ha attraversato..., ok, forse non indenne ma è sopravvissuta.

Nel conoscere i molteplici aneddoti tramite i quali la protagonista ci presenta i suoi, mi sembrava di esserle accanto e di poter guardare le cose con i suoi occhi disincantati, realisti, tanto è l'abilità narrativa dell'autrice di immergere totalmente il lettore nella storia.

Marzia non risparmia nessuno, neppure sé stessa, dai giudizi impietosi sui Marziali, e si rende conto che essere cresciuta senza impazzire già è stato un miracolo.

Mentre suo fratello ha scelto la strada dell'estraniazione, dell'alienazione (cuffie nelle orecchie sempre, in ogni momento; lui non sente e neppure vuol guardare, sapere, dire la sua: nulla, un'ombra che cerca di restare sullo sfondo di quella famiglia matta), lei invece ha vissuto il marcio in casa affondandovi mani e piedi, ma del resto non poteva fare altrimenti perché i suoi genitori l'hanno sempre coinvolta nei loro "affari", nei loro problemi di coppia, trattandola come una pari, dimenticandosi volutamente che Marzia era una ragazzina ed era figlia, non compagna e confidente.
Andava protetta e non trascinata con forza in una relazione di coppia tra due adulti sciagurati.

E come fare a non soccombere in un contesto fagocitante ed egoistico oltre misura?
Rafforzandosi, nel corpo e - si spera - nello spirito, attraverso uno sport "da maschio", molto fisico, con cui acquisire disciplina, sacrificio, impegno; Marzia educa e allena il proprio corpo, imparando a mettere fra sé e il mondo la barriera di un fisico scolpito, asciutto.

Un fisico poco sensuale e femminile... Forse un modo (inconscio) per sfuggire alle attenzioni di uomini predatori e fissati per il sesso come suo padre?

Certo, questo non impedisce a Marzia - al di là della durezza e della franchezza spiazzante che la caratterizzano - di individuare le proprie debolezze e fragilità, i propri bisogni di dare e ricevere quell'amore che in casa manca.

Lei non desiste dal sognare e desiderare la perfezione, anche in amore; il suo cuore non dimenticherà per molti anni un ragazzo (chiamato, nella sua immaginazione, "l'uomo perfetto"), con cui ha avuto una breve avventura ma il cui pensiero continuerà a seguirla per molto tempo, perché lui è quanto di più lontano ci sia dalla figura paterna.
Malgrado la famiglia strampalata che le è capitata, il cuore di Marzia è capace di voler bene senza limiti, e lo dimostra soprattutto nel rapporto con Kore, un cagnolino randagio che lei "adotta"; Kore le vuol bene per ciò che è, non la giudica, non ride di lei, anzi la segue gioioso e scodinzolante, pronto a farla sentire importante e altrettanto fa lei con l'animale.

Purtroppo, la cattiveria paterna si estenderà sino a Kore provocando a Marzia il dolore più grande della sua vita; da quel momento in poi, ella svilupperà e nutrirà un odio talmente grande verso il padre da desiderare di ucciderlo.

Seguiamo la protagonista negli anni, la vediamo crescere, proseguire con le competizioni sportive, impegnata in relazioni sentimentali che non la soddisfano, e sempre lì a barcamenarsi tra quei due genitori infantili, nell'inutile attesa che finalmente maturino e smettano di pensare unicamente a loro stessi.

Rabbia, rimpianti, delusione, tristezza, paura di essere sbagliata, di non saper dare amore per non averlo ricevuto...: a Marzia nulla è stato risparmiato e lei stessa non risparmia nulla ai lettori, che leggono la sua storia sperando che, crescendo, ella provi ad essere felice, a buttarsi alle spalle la zavorra di questa famiglia anomala e disordinata, che si conceda un amore (o qualcosa che gli assomigli) senza farsi troppe paranoie, che riesca a perdonare, se non quel nano malefico che l'ha generata, almeno quella madre che ha vissuto un'esistenza all'ombra di un uomo che ha fatto di tutto per farsi detestare.

Ho ascoltato il libro su Audible, scegliendolo a istinto e mi è piaciuto davvero molto!

domenica 23 giugno 2024

X di Valentina Mira [ RECENSIONE ]



Come si racconta di aver subito uno stupro?
E per raccontarlo a chi, poi?
La protagonista di questo romanzo trova il modo di parlarne attraverso una lettera che forse il destinatario non leggerà mai: lui è suo fratello ed è assente da anni dalla sua vita, ma è proprio a lui che Valentina sente il bisogno di palesare l'uragano di pensieri ed emozioni che le si agita dentro dal giorno in cui il suo corpo e la sua anima sono stati violati.



X
di Valentina Mira



Fandango Libri
176 pp
Valentina è un fiume inarrestabile di parole; parole che si è tenuta dentro per troppo tempo ma che finalmente hanno trovato un'apertura da cui uscire.
Adesso è arrivato il momento di dire ciò che sente, pensa, ciò che l'ha fatta soffrire.

X è una lunga lettera scritta per Fabio, il suo fratellino.

Con Fabio non hanno relazioni da anni, né lei né i genitori; il ragazzo, infatti, ha preso una strada lontana dalla famiglia per unirsi ad amicizie legate agli ambienti neofascisti.

Di recente suo fratello, in realtà, s'è fatto vivo ma nel peggiore dei modi: è entrato in casa dei suoi e ha commesso un atto tanto stupido quanto aggressivo, una sorta di "dispetto" a quei genitori con cui non ha più rapporti.

Ed è a questo fratello che Valentina scrive per raccontargli con dovizia di particolari la sua vita di oggi, i sacrifici fatti per arrivare ad essere ciò che è - una giornalista - e soprattutto tutto quello che non ha avuto la forza di dirgli in passato.

C'è un momento specifico del passato che ha segnato un punto di rottura per lei perché è legato ad un evento terribile avvenuto una sera d'estate del 2010 - l’anno della sua maturità -, in occasione di una festa piena di musica e alcol; un evento che determinerà da quel momento in poi un prima e un dopo nella sua vita.

A quella festa Valentina si lascia andare a baci ed effusioni con un ragazzo che è amico suo e del fratello: G., un ottimo studente della scuola cattolica.
Ma quella sera il bravo ragazzo diventa uno stupratore; l'amico simpatico si trasforma in un mostro che non ha la faccia né da mostro né da stupratore, e che vive in un quartiere normale di un paese normale.

A quel ragazzo Valentina quella sera dice NO, e non una volta soltanto; sì, è vero, aveva bevuto un po' ma lei ricorda tutto e sa che non era ubriaca; sa benissimo di aver respinto G. con fermezza.

Ma lui le fa violenza sessuale, con tanto di lividi e sangue sulle lenzuola.

Valentina non denuncia e, anche se proverà a farlo e a "minacciare" lui di farlo, non lo farà.

Esattamente come il novanta per cento delle donne che subiscono violenza, quel danno resta taciuto per anni. 
Sua madre nota che, nei giorni successivi a quella maledetta sera, la figlia è strana, distante, triste, ma a lei, cattolica fervente e convinta, che ritiene il sesso un argomento tabù, Valentina non riuscirà a confidare lo stupro subito.
C'è una persona con cui si sfoga: Fabio.
Ma Fabio sceglie - con doloroso stupore da parte di Valentina - di credere al'amico, non crede alla sorella, anzi, si allontana da lei e rimane amico di G., lo stupratore.

Dieci anni dopo, Valentina si sente più forte, tanto da decidere di riprendersi la propria storia spezzando quelle maledette catene fatte di paura, vergogna, omertà, consapevole che se c'è qualcuno che deve vergognarsi non è lei, non sono le donne violentate, ma è il "suo" violentatore, sono i violentatori delle tante donne che hanno la sfortuna di incontrarli.

Valentina Mira dà il proprio nome alla protagonista (e voce narrante), le dà un'identità precisa perché le vittime di stupro non sono delle donne anonime, senza un volto, un vissuto...: sono persone, che hanno subito una violenza carnale e che, oltre e dopo questa, si sentono ancora violentate da una società e da un modo di pensare che attacca e stigmatizza chi invece va difeso, protetto, creduto, aiutato a denunciare. 

Non è stato facile continuare la propria vita dopo quella notte; la sofferenza di aver subito uno stupro, tutta la valanga di emozioni contrastanti ad esso collegate, l'allontanamento dell'amato fratello (il loro è sempre stato un legame fortissimo) e le sue scelte di vita discutibili, e poi la precarietà del lavoro anche dopo la laurea, le umiliazioni affrontate per cercare di non perdere quel po' che s'era costruita negli anni, la solitudine, la paura di non farcela, di dover continuare a consegnare pizze per sempre abbandonando il sogno di fare la giornalista...: Valentina infila tutto in questa lettera decisiva e definitiva, la prima e forse l'ultima e l'unica che scriverà mai a qualcuno vomitando in essa tutto.

Scrivere diventa una necessità per sopravvivere, per aggrapparsi a qualcosa, per denunciare come la violenza non sia solo quella di dieci anni prima con G., ma sia all'interno dei più differenti contesti e si esprima in diversi modi.

Si può essere violati anche per altre vie, che non contemplano necessariamente un bruto col ghigno che ti prende in un angolo buio e ti strappa gli slip: la violenza può risiedere anche in un datore di lavoro che, con voce melliflua e sorriso sornione, ti fa capire che se vuoi mantenere un posto di lavoro..., hai capito, sì?

Ma sul corpo ferito di Valentina ormai c'è una indelebile X che vuol dire NO, e il no è no, senza se e senza ma.

Il romanzo (autobiografico) di Valentina Mira è spiazzante perché schietto, diretto, feroce; la voce della protagonista è potente, è un grido di dolore e di rabbia, in cui c'è tutto il bisogno e il diritto di urlare che non è lei quella sbagliata, che no, non se l'è cercata quella sera, che una donna stuprata non deve sentirsi mettere in dubbio ciò che racconta e, anzi, va aiutata a sapere cosa deve fare per poter denunciare il suo stupratore

Ho ascoltato questo libro su Audible e mi ha colpito tanto, l'ho trovato disarmante nel suo essere onesto, lucido, e il modo di narrare dell'autrice mi ha smosso molte emozioni, dalla commozione alla rabbia, dall'empatia all'indignazione.

È un libro potente, come vi dicevo, che dà voce con vigore e franchezza alle donne che hanno vissuto, loro malgrado, un'esperienza drammatica come la violenza sessuale, e induce a mettersi al loro fianco non certo per giudicarle ma per unirsi alla denuncia di quello che poi è tutto un sistema, un modo di pensare intriso di misoginia; i concetti di vergogna, pudore, colpa, responsabilità vanno ribaltati, devono "passare" dalla vittima al violentatore, e la stessa vittima ha diritto (ma anche il dovere verso sé stessa) di non vedersi per sempre in questa "veste" - come la vittima di una violenza -, quanto piuttosto di dare spazio a un atteggiamento di resistenza, individuale e collettiva, una resistenza che implica la rivendicazione del proprio diritto di esistere.

Dolorosamente bello. Consigliato!!  


martedì 26 marzo 2024

🐦RECENSIONE 🎻 LE AVVENTURE DI NUVOLA E ANTONIUS di Germana Quadrini

 

Le fiabe musicali che oggi vi presento hanno in comune due speciali protagonisti giovani e inesperti che trovano il coraggio di sognare in grande e di provare a realizzare i loro sogni andando oltre limiti e insicurezze, sfidando timori e insuccessi.




LE AVVENTURE DI NUVOLA E ANTONIUS
 - DUE FIABE DI GERMANA QUADRINI - 




Queen Kristianka Edizioni
Musiche originali di Loreto Gismondi

Le avventure dell’uccellino Nuvola (Durata 11’:44’’)
Antonius, il sogno di un violino (Durata 18’:23’’)

6,00 euro
Voce narrante: David Duszynski
AUDIOLIBRO DIGITALE
FORMATO MP3, scaricabile dalle piattaforme
 IlNarratore, Kobo, Google Play


Nella storia "Le avventure dell’uccellino Nuvola", il passerottino Nuvola è chiamato così per la sua abitudine ad aver sempre il becco rivolto verso il cielo.

Vispo e curioso, ama giocare con tutti gli animali della valle e sogna di volare in alto come un'aquila.

Gli amici, inizialmente, non capiscono come Nuvola possa avere desideri troppo  ambiziosi, ma poi il loro affetto per il passerotto ha la meglio e decidono di aiutarlo nella difficile impresa.

Nuvola è un passerotto con il becco rivolto sempre verso il cielo.
Vispo e curioso, ama giocare con tutti gli animali della valle e sogna di volare in alto come un'aquila.

Gli amici, inizialmente, non capiscono come Nuvola possa avere una tale ambizione, ma poi l'affetto per il passerotto ha la meglio e decidono di aiutarlo nella difficile impresa.

Nuvola dovrà affrontare le proprie paure per ottenere ciò che desidera e volare sempre più su, là dove neanche lui era sicuro di poter arrivare.

Questo simpatico uccellino non si accontenta semplicemente di ciò che conosce ma aspira a qualcosa di più grande ed è desideroso di andare alla scoperta del mondo e della libertà.


"...il cielo è così infinito che appartiene a tutti. 
Trova il tuo pezzo di cielo."


*******

Nella seconda fiaba sonora, "Antonius, il sogno di un violino", conosciamo un vivace e curioso violino che coltiva nel cuore il desiderio far emozionare le persone con la bellezza della sua musica. 

Il liutaio Samuel costruisce con tanto amore pregiati violini, viole e violoncelli; per lui sono come delle creature, dei figli, un po' come Pinocchio per il buon mastro Geppetto; ad esse, l'anziano dà anche dei nomi e il violino della nostra storia si chiama, appunto, Antonius.

Antonius capisce sin da subito che lui e gli altri strumenti di Samuel sono speciali e il suo sogno è poter andare in giro per il mondo nelle mani di un musicista bravo che non lo abbandonerà mai e che lo "userà" per suonare melodie bellissime ed emozionanti.

La sua incredibile voglia di ritrovarsi nelle talentuose mani di un violinista lo spinge, però, a intraprendere dei passi incauti e frettolosi.

Ma per ogni cosa c'è il suo tempo, e come gli esseri viventi crescono attraversando delle tappe e fasi, così è per i violini di questa storia e Antonius lo imparerà molto presto.

Aver fretta di fare ciò per cui non si è ancora pronti e maturi non è una buona idea perché si rischia di fallire e di dover fare i conti con il timore di deludere gli altri e di non essere all'altezza delle aspettative.

Ce la farà Antonius a realizzare il sogno di essere "uno strumento dell'anima" capace di produrre musiche meravigliose nelle mani di un sensibile violinista?


Entrambi i racconti ci ricordano, con molta dolcezza e un pizzico di magia, che ci vuol coraggio e una sana fiducia in sé stessi per raggiungere i propri obiettivi, e che tutti noi possiamo realizzare i nostri sogni, anche dopo qualche errore o insuccesso.


Il linguaggio adoperato è semplice e adatto ad ascoltatori anche molto piccoli; l'ascolto è oltremodo piacevole, sia perché il narratore ha una voce calda, avvolgente e la lettura è espressiva e in grado di coinvolgere l'ascoltatore, sia per la presenza della musica che, lungi dall'essere un semplice "sottofondo", è anzi un elemento centrale, che dà corpo alla costruzione della fiaba stessa, accompagnando sapientemente di volta in volta i personaggi nei loro vissuti e accordandosi alle loro emozioni.

È una tipologia di fiaba ideale da proporre ai bambini in quanto ha tutte le caratteristiche per stimolare la creatività, l'immaginazione, favorire l'espressione di sentimenti ed emozioni, introdurre al meraviglioso mondo della musica e tiene accesa l'attenzione di chi ascolta grazie alla varietà di strumenti musicali, di melodie e ritmi che contribuiscono a far percepire la storia e i personaggi come esseri vivi e con una loro specifica identità.

Un audiolibro, quindi, composto da due fiabe davvero belle, delicate e magiche, con messaggi positivi e che ben si presta ad essere impiegata in ambito educativo.

lunedì 12 febbraio 2024

RECENSIONE 👨‍👩‍👧‍👦 UNA FAMIGLIA AMERICANA di Joyce Carol Oates



Questa è la storia di una famiglia borghese benestante che negli anni Settanta vive in una fattoria da fiaba, tra cavalli e mici, in un'atmosfera famigliare serena, gioiosa.
I Mulvaney destano invidia in quasi tutti coloro che li conoscono.
Fino al giorno infausto in cui accade una cosa che colpisce uno di loro e, di conseguenza, tutta la famiglia. Un evento drammatico da cui parte il "disfacimento" dei Mulvaney, tanto a livello sociale che privato.


UNA FAMIGLIA AMERICANA
di Joyce Carol Oates



Ed. Il Saggiatore
trad. V. Curtoni
512 pp

I Mulvaney, se li conosci, li ami.
O li invidi.
Sì, perché sembrano perfetti, felici, affiatati, sereni, moderatamente cristiani, sempre educati e corretti, di un'esuberanza e di un'allegria sane, floride.
A far da sfondo a quest'allegra combriccola - composta da Micheal Sr, mamma Corinne e i quattro figli, Patrick, Mike, Marianne e Judd - c'è la loro dimora: High Point Farm, una bella e grande fattoria nel Nord dello stato di New York dove gli umani convivono pacificamente con cavalli, gattini e altre bestiole.

I Mulvaney si sono guadagnati il rispetto di tutti quelli che li conoscono: lui, il capofamiglia, ha un’impresa edile ben avviata ed è un rispettato membro del Country Club; Corinne è una donna attiva, profondamente religiosa e con la passione per l’antiquariato e la politica. 
Anche i figli fanno la loro bella figura: Mike junior è un campione di football, Patrick uno scienziato in erba (intelligentissimo e colto, dà del filo da torcere a chiunque incappi in una conversazione "filosofica" con lui, che ha sempre la risposta e le argomentazioni pronte); il piccolo Judd è la mascotte della squadra; la femminuccia di casa - la dolce Marianne - è una studentessa modello, altruista, comprensiva, sempre attenta agli altri, una sedicenne brava e obbediente che mai si sognerebbe di infilarsi volontariamente in qualche guaio né di commettere cattive azioni.

L'unica "colpa" di Marianne è essere una Mulvaney di sedici anni, ingenua.

La vita idilliaca di questo nucleo famigliare si spezza nel giorno di san Valentino del 1976: c'è il ballo della scuola, a conclusione del quale accade qualcosa di terribile alla povera Marianne. 
Quello che le accade, in famiglia verrà chiamato sempre l'«incidente», cercando di evitare accuratamente altri termini più adatti a descrivere il tipo di violenza subita dalla ragazza ad opera di un compagno di scuola, tale Zachary Lundt.

"L'incidente" diventa un fattaccio da non nominare più con nessuno e in nessun caso; Marianne sviluppa tanti e sbagliati sensi di colpa, che la inducono a tenersi tutto dentro e non voler rendere noto "il fattaccio".

A casa, quando la cosa si viene a sapere, tutti ne restano addolorati, sconvolti, arrabbiati.
Se Judd e Mike cercano "semplicemente" di evitare l'argomento doloroso per Marianne e per i genitori, Patrick matura dentro di sé un'enorme e cieca rabbia verso il farabutto che s'è approfittato della sua sorellina.
Corinne è distrutta, non accetta l'idea di non essersene accorta immediatamente e vorrebbe proteggere la sua bambina da tutto, compresi i pettegolezzi cattivi e ingiusti di chi non sa e parla alle spalle, addossando colpe a chi non ne ha e scagionando chi le ha.
E poi c'è lui, il padre: Micheal Sr è anch'egli dilaniato e vorrebbe spaccare la faccia a tutti gli ipocriti che si sono già schierati dalla parte del figlio di papà, contro cui nessuno ha intenzione di mettersi.

"...i Mulvaney erano una famiglia nella quale tutto ciò che accadeva era prezioso e tutto ciò che era prezioso era immagazzinato nel ricordo e tutti avevano una storia. Per questo molti di voi ci invidiavano, credo. Prima degli eventi del 1976, quando tutto per noi andò in pezzi e non venne mai più ricomposto nello stesso identico modo".

La serenità della casa è ormai annientata; in un attimo la famiglia perfetta non esiste più: ciascuno combatte la propria lotta in nome della giustizia, della vendetta o del perdono, tutti si trasformano e si allontanano, sia col cuore che fisicamente. 

Ogni Mulvaney prende la propria strada, prendendo le distanze dalla fiabesca fattoria in cui hanno vissuto la felicità e l'unione, per percorrere cammini differenti, distanti l'un dall'altro; per dimenticare, per non litigare, per non riversare rancori e ira su chi si ama, per cercare di andare avanti, ingoiando il boccone amaro dell'ingiustizia.

Da amati e ammirati a reietti: i Mulvaney diventano, all'interno della cerchia di amicizie (di adulti e ragazzi) degli appestati, gente da cui è meglio stare alla larga perché son capaci di combinare pasticci.

Attorno ai membri di casa Mulvaney si forma la cosiddetta "terra bruciata", un'opera meschina di isolamento e allontanamento da parte di coloro che, fino a una settimana prima, erano amici.

Pur amandosi, i due genitori e i quattro figli non sanno più interagire tra loro; a separarli c'è quel muro creato dall'incidente occorso a Marianne, ed è lei la prima che va allontanata in quanto la sua presenza ricorda troppo tutto il dolore, l'impotenza, la rabbia.

La storia ci viene narrata in retrospettiva dal piccolo di casa, Judd, attraverso il cui racconto entriamo in questa famiglia e, già dopo poche pagine, ci sembra di conoscerli e riconoscerli come se facessimo parte di loro.

"Narrando questa storia dei Mulvaney, dei quali mi trovo a essere il figlio più giovane ma anche, spero, un osservatore neutrale, o almeno qualcuno le cui emozioni sono state purgate ed esorcizzate dal tempo, io voglio scrivere ciò che è vero. (...) Molto si basa su ricordi e su conversazioni con membri della famiglia su cose che non ho vissuto in prima persona e che non potrei mai conoscere, se non seguendo le vie del cuore. Come diceva papà (...) «Noi Mulvaney siamo legati dal cuore»."

Ci fanno sorridere i nomignoli affettuosi affibbiati a tutti - umani e no -, i piccoli e simpatici aneddoti legati all'infanzia che, quando si ricordano da adulti, sembrano sempre più divertenti e buffi; li vediamo cambiare da un giorno all'altro dopo l'incidente, condividendo con ciascuno la sua tempesta emotiva; di alcuni comprendiamo le scelte, di altri meno, ma negli anni impariamo a capirli, a scusarli, e a me personalmente tutti hanno suscitato tenerezza per motivi diversi, nonostante qualcuno (come papà Michael) abbia preso una strada peggiore degli altri. 

Nell'arco di 14 anni, i Mulvaney non si allontanano mai del tutto ma ognuno di essi intraprende un cammino personale importante, imparando a liberarsi dall’obbligo sociale di incarnare la perfezione,di comportarsi secondo delle etichette, di essere per forza  accettati dagli altri per contare qualcosa, e scegliendo di diventare semplicemente se stesso.

"Quali sono le parole giuste per riassumere una vita, tanta affollata confusa felicità che si conclude con un atroce dolore al rallentatore?"

Già, lettori, quali sono le parole giuste per parlare dei Mulvaney?
Di Micheal senior: l'aitante, il gioviale, il burlone, il ricco e carismatico padre, marito, amico e imprenditore o l'uomo solo, arrabbiato col mondo e con i propri cari, ridotto a una larva che trova piacere soltanto nel bere?
Di Corinne, la madre e moglie cristiana, fervente, saggia, entusiasta, o della "seconda Corinne" che vede il proprio nido casalingo disfarsi sotto i propri occhi?
Di Marianne, debole, indifesa, bisognosa di amore, di essere accolta, accettata per ciò che è e per quella macchia sul suo passato.
Di Patrick, la cui razionalità non basta per calmare i fiumi di furore e vendetta che lo lacerano dentro.

La Oates ha saputo magistralmente raccontarci le vicende di questa famiglia, di come l'ossessione per l'ingiustizia subita da una di loro abbia pesato sulle loro vite, singole e in quanto membri del medesimo nucleo famigliare.

Il tratteggio umano che emerge da queste pagine mi ha soddisfatta appieno, la penna della scrittrice americana scorre senza intoppi e facendo crescere, di capitolo in capitolo, l'interesse e la partecipazione affettivo-emotiva ai fatti narrati e ai personaggi coinvolti.

Si fa il tifo per loro, per i cari Mulvaney.
Vi prego, ritrovatevi. Basta un abbraccio e una sincera pacca sulla spalla per spazzare via le nubi.


Un romanzo che mi è piaciuto davvero molto e che vi consiglio, se amate la narrativa americana contemporanea e le saghe famigliari.

sabato 27 gennaio 2024

"IL SEGNALIBRO DELLA MEMORIA"





AUDIOFICTION


LA SIGNORA DEI TULIPANI di Mauro Ruggiero

Un'anziana e taciturna signora dai capelli bianchi vende fiori in una strada di Praga tra l'indifferenza dei 


passanti. Ad accorgersi di lei sembra essere solo un giovane giornalista che, spinto dal desiderio di aiutarla, compra spesso quell'unico mazzetto di tulipani che la donna offre.
Presto, però, il giovane scoprirà che dietro quegli occhi azzurri e assenti, la "Signora dei tulipani" nasconde una storia incredibile e toccante iniziata al tempo dell’occupazione nazista della Cecoslovacchia e della Shoah.



L'uomo incapace di sorridere di Giancarlo Villa

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Londra, 28 Novembre 1962. È una piovosa serata di fine autunno, gelida e cupa.
Due giovani avventori del locale "The Star" si stanno godendo gli ultimi minuti di una serata blues. Il chitarrista del gruppo è un tipo strano, cupo, eccentrico.
La sua terribile storia è una storia di sopravvivenza estrema contro il male; la Storia di un sopravvissuto al campo di sterminio di Mauthausen.

Pur essendo due fiction, quindi con personaggi fittizi, di fantasia, ciò che viene narrato rispecchia vicende assolutamente realistiche; sono racconti brevi ma aventi una loro intensità, che coinvolgono emotivamente l'ascoltatore spingendolo a riflettere sui concetti di bene e di male, e di come questi siano presenti entrambi nel profondo dell'animo umano; in particolare nel secondo audiolibro, il personaggio principale è sopravvissuto all'Olocausto per cui la sua esperienza è ovviamente (e tristemente) fedele alla realtà.
In entrambi i casi l'ascolto è stato gradevole grazie all'espressività dei narratori espressivi.



BIOGRAFICO

Il comandante Franz Ziereis di Giancarlo Villa.
,

Al centro vi è la figura del massimo comandante di Mauthausen, 
il campo di concentramento dove venivano deportati principalmente gli intellettuali polacchi e i prigionieri di guerra sovietici.
Dopo esser entrato nella polizia tedesca, Ziereis scala gli ordini gerarchici fino a ottenere il comando del campo, dove si trasferì con la propria famiglia e risiedette per tutta la durata del suo ruolo.
 
Passato alla storia come uno dei più spietati e crudeli gerarchi, incapace di pentirsi persino in punto di morte, Ziereis era noto per la sua ossessione di sparare dalla sua abitazione, davanti al figlio undicenne, a qualsiasi prigioniero tentasse di scappare.

In questa breve ed essenziale biografia l'ascoltatore apprende come sia stata l'infanzia di Ziereis a Monaco, che era un bambino timido e vittima di bullismo da parte dei coetanei, fino ad arrivare agli orrori commessi da comandante nazista, nell'angolo di secolo più buio per l'umanità.
Interessante, permette di conoscere un altro personaggio meschino che ha contribuito a scrivere una pagina nerissima della storia.


TESTIMONIANZE

Le storie di Stanka e Maria: Il campo di concentramento di Gonars e la deportazione dei rom e dei sinti in Friuli Venezia Giulia durante la Seconda guerra mondiale di Andrea Giuseppini


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Nel campo di concentramento fascista di Gonars, un paese in provincia di Udine, furono internate decine di migliaia di civili sloveni e croati. Il campo rimase in funzione dalla primavera del 1942 fino all’8 settembre del 1943. Si calcola che in questo periodo, all’interno del campo, morirono di fame e di malattie circa 500 persone.

Stanka è un’anziana donna rom, nata nella provincia di Lubiana e deportata nel 1942 nel campo di Gonars. Nei ricordi di Stanka, raccolti in questo audio documentario, ci sono la terribile fame, il gran freddo, e le morti, tra cui quella di una piccola bambina rom.

Maria è invece una sinta italiana, nata nel 1929 a Trieste. Per fuggire ai pericoli dei bombardamenti, Maria e la sua famiglia si rifugiano nelle campagne friulane. Qui, dopo l’8 settembre del 1943 e l’occupazione tedesca, incontrano i rom sloveni deportati a Gonars.

Nei mesi successivi, la madre e un fratello di Stanka, il fratello di Maria e altri giovani rom saranno catturati dai tedeschi e deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
Solo in pochi faranno ritorno.

Nell’audiolibro, oltre alle voci di Stanka e Maria, si possono ascoltare quelle della storica Alessandra Kersevan, della partigiana Rosa Cantoni e dello scrittore Boris Pahor.

Testimonianze che vanno ascoltate, conosciute perché sono storie vere, drammatiche, dolorose, che escono direttamente dalla bocca di chi le ha vissute sulla propria pelle, di chi ha sofferto la fame, il freddo, la paura di essere picchiato, ucciso per il solo fatto di essere rom.
Storie che per molto tempo sono state ignorate, non considerate, storie di crimini per i quali i colpevoli non sempre hanno pagato.


Tutte storie da ricordare per il Giorno della Memoria ma affinché questa ricorrenza - che è giustissimo celebrare, non solo il 27 gennaio, ma sempre - non perda il suo valore e il suo fine, è necessario, a mio avviso, denunciare ogni sopruso, violenza, crimine di guerra, tentativi di pulizia etnica/sterminio ecc... che ancora oggi purtroppo avvengono.
Il fatto che ad oggi in tante parti del mondo i diritti di tanti uomini, donne, bambini... vengano costantemente violati non deve far cadere nell'errore di credere che il Giorno della Memoria abbia perso significato, che sia pura retorica e che quindi non serva più ascoltare ancora le testimonianze dei sopravvissuti (il cui numero, ovviamente, si fa sempre più esiguo), leggere libri/articoli o  guardare film/documentari a tema...; nondimeno, proprio per onorare con onestà e in una logica inclusiva questa giornata, nessuna vittima di azioni criminali a scopo di sterminio, di negazione dei diritti umani, va ignorata, sminuita, dimenticata, altrimenti la memoria di ciò che è accaduto durante la seconda guerra mondiale non sarà mai un ricordo, se poi sotto i nostri occhi continuano a verificarsi ingiustizie simili davanti alle quali si tende a girare la testa dall'altra parte e quasi a considerarle "di serie B".


"...se la storia e la memoria pubblica sono un antidoto dovremmo chiedercelo sempre, dove eravamo e dove siamo. Per provare a non correre il rischio di finire in quel maledetto scantinato stantio, a rifugiarsi nello studio, mentre i bambini gridano nella notte. “La memoria della Shoah è di tutti”, ha sostenuto sul sito di “Gariwo” la storica Anna Foa, e ha ragione: è anche delle donne e dei bambini intrappolati a Gaza o nei campi profughi di tutto il Medio Oriente. Sempre che sopravvivano.

Forse, chissà, un giorno succederà quello che immagina Elie Duprey (“Contretemps”, 23 dicembre 2023):

"La situazione non lascia spazio all'ottimismo. In Palestina, innanzitutto e prima di tutto, dove il sostegno incondizionato dato a Israele dalle potenze occidentali rende difficile immaginare qualcosa di diverso dall'approfondimento delle dinamiche attuali: pulizia etnica, apartheid, fascistizzazione sempre più spinta della società israeliana, indignazione generale – da parte dell'Occidente – di fronte alle esplosioni di violenza più spettacolari, indifferenza generale – da parte dell'Occidente – di fronte alla violenza quotidiana della colonizzazione. La storia degli Stati Uniti dimostra che certi processi coloniali possono trionfare e certi popoli scomparire. Forse un giorno qualche turista entrando in un casinò di Gaza verserà una lacrima in memoria dei crimini passati, prima di tornare a godere dei benefici della civiltà. Forse no".

Forse sarà così, forse no – in ogni caso decine di migliaia di persone non ci sono più. Dipende anche da noi, dal poco – pochissimo – che contano le nostre voci. Se non le alzeremo abbastanza, e se non verremo ascoltati, chissà, può essere che un giorno qualcuno ci verrà a cercare, sempre che non sia già troppo tardi. Quando busserà alla nostra porta chiedendoci se davvero non sentivamo, non vedevamo, non parlavamo, noi, o almeno io, probabilmente non sapremo cosa dire."


(stralcio di un articolo di Carlo Greppi presente su Gariwo)

sabato 6 gennaio 2024

⌛ RECENSIONE ⌛ IL SENSO DI UNA FINE di Julian Barnes



Un romanzo breve ma che, attraverso numerosi flashback e ricordi da parte del protagonista, con intensità e con una scrittura raffinata, colta e coinvolgente, induce a riflettere sul senso dell'esistenza, dello scorrere del tempo e sugli inganni della memoria.


IL SENSO DI UNA FINE 
di Julian Barnes 



Einaudi Ed.
trad. S. Basso
161 pp
"Con quale frequenza raccontiamo la storia della nostra vita? Aggiustandola, migliorandola, applicandovi tagli strategici? 
E più avanti si va negli anni, meno corriamo il rischio che qualcuno intorno a noi ci possa contestare quella versione dei fatti, ricordandoci che la nostra vita non è la nostra vita, 
ma solo la storia che ne abbiamo raccontato. 
Agli altri, ma soprattutto a noi stessi."


Ricevere un'eredità a sorpresa, senza che il beneficiario se lo aspetti, è sicuramente un evento che fa piacere, a prescindere poi dall'entità materiale del lascito.

È ciò che succede a Tony Webster, un uomo in là con gli anni al quale giunge una lettera da parte di un avvocato che gli annuncia un’inattesa quanto enigmatica eredità.
Ad avergliela lasciata è una certa Mrs Sarah Ford, deceduta da qualche mese. 

Chi è Sarah Ford?

No, non è una quasi sconosciuta zia zitella che lo ha nominato unico erede dei propri beni, bensì una persona che sbuca dal lontano passato di Tony e che egli ha visto una sola volta nella propria vita (e ben 40 anni fa!), vale a dire quando era uno studente universitario ed aveva una relazione con la figlia di Sarah, Veronica.

Con Veronica non è durata molto eppure quel fidanzamento ha avuto la sua importanza per Tony (per diverse ragioni, di cui una in particolare e che coinvolge un'altra persona vicina a lui), che trascorse anche una notte a casa dei genitori di lei, unica occasione in cui conobbe Sarah Ford.

L'eredità lasciatagli dalla mancata suocera è accompagnata da un'informazione che stupisce Tony e lo riporta con virulenza indietro nel tempo, facendo riaffiorare tanti ricordi di gioventù e non pochi turbamenti, sensi di colpa, indefiniti rimpianti: oltre a ricevere dei soldi, a Tony spetta anche la copia originale del diario di Adrian Finn.

Chi è Adrian Finn?

Adrian è stato un carissimo amico di Tony negli anni della scuola; assieme ad altri due compagni, formavano un quartetto di inseparabili, tra i quali Adrian spiccava e si distingueva per essere il più colto tra loro, il più intelligente, quello che si lasciava andare a disquisizioni filosofiche con la stessa facilità e dimestichezza con cui gli altri parlavano di ragazze, a ragionamenti su argomenti importanti ed esistenzialistici, insomma non era un giovanotto vanesio ma, anzi, un tipo intellettuale che prometteva una bella e onorata carriera in qualsiasi ambito avesse scelto di lavorare.

Adrian era suo amico anche nel breve periodo in cui Tony aveva frequentato Veronica ed ha smesso di esserlo quando, lasciato da Veronica, il giovane Webster era stato informato dallo stesso Finn del proprio fidanzamento... con Veronica.

Veronica e Adrian insieme?

Per Tony è stato un colpo, una sorta di doppio tradimento: Veronica ha mollato lui per mettersi con quel noioso di Adrian? Inconcepibile!! E lui che era praticamente il suo migliore amico che fa? Si mette con la sua ex?

Il legame d'amicizia tra i due ragazzi si spezza e dopo non molto Tony apprende, con grande turbamento e dispiacere, una spiacevole notizia riguardante Adrian..

La narrazione è un continuo andare dal passato al presente, un flusso di ricordi tramite i quali il protagonista ci porta con sé negli anni in cui era uno studente, raccontandoci il suo rapporto con i coetanei, le esperienze che hanno caratterizzato la propria educazione morale, sentimentale e sessuale, le delusioni, il senso di inadeguatezza e quella fastidiosa consapevolezza che sin da giovane l'ha accompagnato, per non abbandonarlo neppure nella senilità: l'essere un individuo dalla natura così... piatta, il suo essere "grigio", mai brillante, privo di qualsiasi guizzo o dinamicità che lo inducessero mai a primeggiare, a porsi obiettivi ambiziosi.

Tony Webster è sempre stato un uomo privo di grosse qualità, mediocre in tutto: nel lavoro, negli studi, nei rapporti interpersonali, in amore, come marito e padre.
Lui si definisce tranquillo e pacifico ma Veronica era convinta - già da quando erano giovani - che egli fosse un codardo, uno che teneva lontano il rischio, che non si faceva domande "pericolose" che potessero scuoterlo e minare le sue scarse certezze; uno che "ristagnava", privo di nerbo, di verve.

Nel presente, Tony ci racconta del proprio matrimonio e di come esso sia finito in un divorzio; con l'ex - Margareth - ha mantenuto ottimi rapporti ed infatti a lei l'uomo confida insicurezze, pensieri, dubbi, perplessità in merito a tutto ciò che lo tormenta: la singolare decisione di questa emerita (quasi) sconosciuta, il ricordo di Veronica, della loro fugace storia d'amore, i problemi riscontrati in quella breve relazione, l'amicizia (interrotta) con Adrian.

A Margareth Tony non nasconde nulla perché lei è sempre stata un punto di riferimento solido, un porto sicuro: lei così serena, imperturbabile, comprensiva, ascoltatrice empatica, paziente e soprattutto limpida, trasparente, onesta, priva di zone d'ombra.
Margareth non è mai stata una donna misteriosa, al contrario di Veronica, furba, enigmatica, circondata da un alone di mistero che inevitabilmente le conferiva un certo fascino.

E Veronica ricompare anch'ella nel presente, portandosi dietro il suo essere complicata, difficile da capire e con cui Tony ha sempre avuto problemi a rapportarsi, essendo lui fin troppo banale e semplice nei confronti di tutti e di ogni cosa.

Ricordate il diario di Adrian che Mrs Ford ha lasciato scritto debba andare a Tony Webster? Ebbene, è nelle mani di Veronica, che non ha alcuna intenzione di darlo a quell'ex che, da 40 anni a questa parte, non è cambiato per niente.
Per lei, Tony Webster non capiva niente prima e non capisce niente neppure adesso; gli sfugge ogni dettaglio importante, lo si deve imboccare come fosse un ragazzino a cui spiegare tutto.

Perché Veronica si rifiuta di separarsi da quel diario? E perché Tony ci tiene tanto ad averlo, cosa crede (o spera) di trovarvi scritto e che sia, in qualche modo, "dedicato a lui"?

"Il senso di una fine" esplora con grande finezza psicologica e una notevole fluidità la vita con i suoi dolori inesplorati, i segreti, i rimorsi che fanno male ("significa morsicato due volte: ed è questa la sensazione che si prova"), la fallacia che emerge quando si raccontano episodi del passato illudendosi di farlo in maniera oggettiva quando invece la memoria è fragile, è costellata di "buchi" e inganni, intaccata da cose non dette, dalla mancanza della giusta ed esatta "documentazione storica" e quindi delle informazioni sufficienti.

Quanti errori di valutazione si commettono perché crediamo che l'evento x sia conseguenza dell'evento y, ma non sapevamo in realtà che c'erano di mezzo altri fattori a complicare il tutto?

Leggiamo di suicidi e delle possibili e razionali ragioni di chi sceglie di porre fine alla propria vita, di rapporti umani (amicizia, amore), dell'influenza della filosofia su alcune menti più brillanti di altre, di reminiscenze inaffidabili, di spiegazioni sbagliate che ci si è dati di fatti che invece si conoscevano poco o per niente, di parole atroci dette e che ormai è impossibile rimangiarsi, della tristezza provata nel rendersi conto di quanto inetti si è stati in certi momenti e in certe azioni, di come si sarebbe potuto affrontare determinate fasi della vita con più coraggio e non con quella mollezza che dà un senso di illusoria tranquillità.

Come spesso accade alle storie in cui il filo della memoria lega il racconto del presente con il passato, ho avvertito durante la lettura delle note malinconiche e nostalgiche, a volte struggenti, figlie della consapevolezza di come non ci resti unicamente che la possibilità di pensare a ciò che è stato senza potervi intervenire per modificarlo, per correggere il tiro, per chiedere scusa a chi si è ferito, per rimediare agli errori commessi.

Un libro che mi è piaciuto per lo stile e le tematiche presenti.

Cercherò altro di questo autore.


ALCUNE CITAZIONI


"Che ne sapevo io della vita, io che ero sempre vissuto con tanta cautela? Che non avevo mai vinto né perso, ma avevo lasciato che la vita mi succedesse? Io che avevo avuto le ambizioni di tanti, ma che mi ero ben presto rassegnato a non vederle realizzate? Che avevo evitato il dolore e l’avevo chiamato attitudine alla sopravvivenza?"

"...sono comunque gli occhi che continuiamo a guardare, no? È negli occhi che abbiamo incontrato l’altro ed è lì che ancora lo troviamo. Gli stessi occhi nella stessa faccia di quando ci siamo conosciuti, abbiamo fatto l’amore, ci siamo sposati..."

"All’improvviso mi sembra che una delle differenze tra la gioventù e la vecchiaia potrebbe essere questa: da giovani, ci inventiamo un futuro diverso per noi stessi; da vecchi, un passato diverso per gli altri."

"Il tempo però… ah, come può trascinarci alla deriva e confonderci le idee. Credevamo di aver raggiunto la maturità quando ci eravamo soltanto messi in salvo, al sicuro. Fantasticavamo sul nostro senso di responsabilità, non riconoscendolo per quello che era, e cioè vigliaccheria. Ciò che abbiamo chiamato realismo si è rivelato un modo per evitare le cose, ben più che affrontarle. Già, il tempo ci riserva… il tempo necessario a farci percepire le nostre più salde risoluzioni come traballanti, le nostre certezze come capricci momentanei."

"La vita non è solo fatta di somme e sottrazioni. C’è anche l’accumulo, la moltiplicazione delle perdite, dei fallimenti."

"Certe volte penso che lo scopo dell’esistenza sia quello di riconciliarci, per sfinimento, con la sua perdita finale, dimostrandoci che, indipendentemente dal tempo che ci vorrà, la vita non è affatto all’altezza della propria fama."

venerdì 15 dicembre 2023

☪ RECENSIONE ☪ LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE di Joseph Roth



Pubblicato postumo nel 1939, La leggenda del santo bevitore può essere considerato, per molti versi, il testamento di Joseph Roth: breve e poetico, questo racconto ha al centro un clochard che, nella sua semplicità e generosità, come nella sua dipendenza dall'alcool, incarna il bisogno di redenzione che si scontra, però, con le debolezze umane e con una serie di bizzarre coincidenze che lo deviano dal suo più grande e segreto desiderio: pagare il debito contratto con una santa.



LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE
di Joseph Roth


Adelphi Ed.
trad. C. Colli Staude
77 pp
Andreas Kartak vive sotto i ponti della Senna, tirando avanti con i pochi cenci che ha addosso, con le carte di giornali come coperte e qualche goccio di alcool rimediato come può.
Una notte fa un incontro che cambierà, in un certo senso, la sua vita perché da quel momento si susseguiranno diversi eventi, e alcuni personaggi - vecchi e nuovi - faranno capolino nelle sue misere giornate.
Uno sconosciuto avanti negli anni e dall'aspetto gentile vuol fargli un dono in denaro: duecento franchi. 
Il clochard, che sarà pure straccione e poveraccio ma ha un senso inscalfibile dell’onore, in un primo momento non vuole accettare: sono davvero troppi per lui, che si accontenterebbe di una ventina di franchi!
E poi Andreas sa bene che non è in grado di restituire quei soldi, per cui preferisce non contrarre debiti.

Ma lo sconosciuto insiste e gli suggerisce di restituirli, quando potrà, alla «piccola santa Teresa» nella chiesa di Santa Maria di Batignolles. 

Da quel momento il pensiero di pagare il debito portando il denaro a Santa Teresa diventa il dolce segreto nonché il pensiero fisso dell'uomo, che però comincia a vivere una serie di piccole avventure che alternano "momenti di miracoli" (in cui Andreas trova il modo di racimolare soldi senza che si renda conto neanche lui di come ciò sia potuto accadere) con altri in cui purtroppo egli stesso li sperpera, che sia da solo o in compagnia.
Il destino, infatti, mette sul suo cammino uomini e donne (alcune di queste persone hanno fatto parte del suo passato) che lo distraggono dal nobile obiettivo di restituire il debito alla giovane santa e lo inducono, in qualche modo, a spendere i soldi che man mano si ritrova in mano, o in tasca, in pernod, alberghetti di basso livello e compagnie femminili.

Seguiamo le vicende di Andreas con un misto di divertita curiosità e una tenera simpatia perché capiamo che quest'uomo, nonostante il vizio del bere, è una persona buona e generosa, che non sa dire di no a un amico che gli chiede aiuto (pur avendo egli per primo dei mezzi limitati) e che desidera davvero, con tutto il cuore, visitare la santa e mantenere la promessa fatta qualche settimana prima allo sconosciuto altruista. 
Riuscirà Andreas a portare le fatidiche 200 euro in chiesa in onore di santa Teresa?

La vita è burlona ed egli, un po' come un bambino ingenuo in balia di eventi più grandi di lui e poco controllabili, si lascia influenzare, deviare, distrarre.
Per dirla prendendo a prestito un noto proverbio, la strada per la redenzione è lastricata di buone intenzioni, le quali però troppo facilmente vengono abbandonate durante il cammino.

Un libro molto breve cui mi sono accostata per curiosità su Audible (un po' per il titolo e un po' perchè avevo voglia di una cosetta veloce), l'ascolto è stato molto piacevole grazie alla versione drammatizzata, arricchita da ambientazioni e sound design.

Ha il sapore di una favola malinconica e un po' triste.
A me è piaciuto e lo consiglio, in questo periodo mi pare ci stia ancor più bene.
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