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sabato 9 agosto 2025

[ Recensione ] IL RAGAZZO CON LA KEFIAH ARANCIONE di Alae Al Said



Un palestinese con i capelli arancioni, e con una kefiah dello stesso colore quale accessorio distintivo, non se ne vedono di frequente ma sono i tratti che rendono speciale ed unico il protagonista di questo romanzo, in cui leggiamo una storia di amicizia che si staglia sullo sfondo della storia di un popolo di cui oggi, forse più che mai, sentiamo parlare e leggiamo quotidianamente.



IL RAGAZZO CON LA KEFIAH ARANCIONE
di Alae Al Said




Ponte alle grazie
484 pp
Quando, nel 1994, Loai Qasrawi, palestinese nato e cresciuto ad Al Khalil, in Cisgiordania, si ritrova davanti un giornalista americano venuto per ascoltare la storia della sua fabbrica di kefiah, comincia a parlare di sé, a raccontare la propria storia e quella di un amico carissimo il cui dolce, e insieme amaro, ricordo è strettamente legato a una kefiah arancione. 

Negli anni Sessanta Loai è un ragazzino dai capelli rossi, dalla corporatura minuta e dal carattere timido; portato per lo studio, è uno di quegli studenti che a scuola si distinguono per essere brillanti, attenti, diligenti nei compiti ma non a tutti piace questa sua naturale inclinazione ad essere il primo della classe.

Ad esempio, non piace ad Amir, un compagno di classe che - chissà perché, poi!? - lo detesta con tutto sé stesso, non tanto perché Loai è bravo ma per via dei suoi capelli arancioni.
I suoi capelli fiammeggianti spiccano su quel corpo, agli occhi dei compagni prepotenti, insignificante, e costituiscono una sorta di richiamo perché il tranquillo Loai divenga un facile bersaglio per atti feroci di bullismo.
Non solo, ma ad essere motivo di dileggio sono anche le kefiah realizzate dall'azienda della famiglia di Loai, che produce tra l'altro bellissime e particolari kefiah di colore arancione.

Non passa giorno senza che Loai non venga preso di mira da Amir&co., i quali lo tormentano, lo umiliano e lo rendono oggetto di scherno con i loro comportamenti scorretti e perfidi, che vanno ben oltre i semplici dispetti tra compagni di classe.

E gli adulti attorno - tranne la giovanissima e bella insegnante di Matematica - sembrano non farci caso, declassando tutto a innocenti ragazzate; a casa, se la mamma e il fratello maggiore di Loai danno importanza alla sofferenza del ragazzo (il quale comincia addirittura a odiare la scuola, proprio lui che è sempre stato il tipico secchione), il padre è oltremodo irritato da questi piagnistei ed è convinto che questi episodi che fanno piangere il figlio, in realtà gli torneranno utili in quanto lo renderanno uomo e più pronto ad affrontare la vita, che è dura e aggressiva. 

La consolazione che Loai non riesce a trovare in classe e neppure in casa, la trova casualmente per strada, una mattina in cui ha marinato la scuola, ed ha il nome e il volto di un ragazzino poco più grande di lui: Ahmad.

L’incontro con Ahmad, ragazzo povero ma forte e sicuro di sé, che soffre per una difficile situazione famigliare (che lo porta a stare il più possibile lontano da casa) gli offre una via di fuga e un modo per accettarsi: insieme condividono sogni di riscatto, si aprono, si raccontano, si sfogano e nasce un’amicizia speciale, di quelle che capitano poche volte nella vita e che sembrano davvero destinate a durare per sempre.

La loro amicizia si fa ogni giorno più stretta e vigorosa, è un punto di riferimento per entrambi, aiutandoli ad affrontare con più coraggio i piccoli, grandi problemi della vita, e anche se qualche screzio non mancherà e sembrerà allontanarli, il legame che li avvicina è troppo forte per essere spezzato.

 

" quell’amico gagliardo, fragile, orgoglioso e sognatore, ogni volta si scopriva emozionato al pensiero di rivederlo. Anche se si era trovato dei buoni compagni e la sua vita era cambiata, un’amicizia come quella non gli si ripropose mai più."


Negli anni dopo la scuola, i due si perdono di vista ma le loro strade tornano ad incrociarsi - sempre apparentemente per un puro caso - nel corso di un periodo storico tra i più dolorosi per i palestinesi.

Loai e Ahmad vivono, prima con speranza e poi con angoscia, gli eventi che conducono alla Guerra dei sei giorni, al termine della quale Israele avrà conquistato Cisgiordania, Striscia di Gaza, il Sinai e le Alture del Golan, assumendo il controllo di territori abitati per lo più da arabi palestinesi.  

Si apre una nuova e ancor più drammatica fase dell'occupazione israeliana: la prepotenza e la violenza - proprio come, in piccolo, era successo al giovanissimo Loai negli anni della scuola - si abbattono spietate sui due smarriti amici e sull’intero loro popolo; Loai ha di nuovo Ahmad al suo fianco, ma la realtà in cui vivono è troppo dura e la tragedia è dietro l'angolo, non solo per loro due ma per tutte le famiglie palestinesi che si vedono piombare in casa militari israeliani, che si vedono cacciati dalle loro case, che si vedono puntare addosso fucili, arrestati, maltrattati nel corpo e nell'anima, uccisi.

"Cosa si prende da una casa poco prima di diventare profughi? Cosa si prende con sé poco prima di diventare esuli, di raggiungere una tenda in cui si passerà il resto della propria esistenza, lontano da tutto, anche da sé stessi?"
" Non sarebbero state le foto e neanche tutte quelle cose ammassate dentro le lenzuola a ricondurla alla casa. Sarebbero state le chiavi. Giacché le chiavi riassumono l’essenza di un’abitazione: chiudono e riaprono eternamente la culla della  memoria. Sarebbero tornati, presto sarebbero tornati, si disse. E anche se gli invasori avessero cambiato la serratura, non importava, quelle chiavi avrebbero custodito i ricordi impressi tra quelle mura."

I dolorosi giorni della Nakba (catastrofe) di diciannove anni prima, ancora impressa nella memoria dei palestinesi, sembrano non dover finire mai e tra queste pagine avvertiamo con forza tutta la sofferenza di un popolo costretto a vivere sotto occupazione in casa propria.

Il bullismo subito dal protagonista quando era solo un ragazzino si riflette, in scala maggiore, nella violazione dei diritti del popolo palestinese da parte della potenza occupante, Israele.


Il ragazzo con la kefiah arancione è un romanzo che commuove, emoziona, fa riflettere grazie ai temi presenti e alla genuina intensità con cui vengono trattati: l'amicizia, il bullismo, i legami famigliari, le tradizioni e l'attaccamento alle proprie radici, le ingiustizie, la sumud (perseverare nella resistenza; cosa che ai palestinesi riesce parecchio bene), la resistenza (che inevitabilmente implica la lotta), il perdono, e tutto sullo sfondo di una terra martoriata e di un popolo che nella capacità di resistere ha mostrato la propria forza, rivendicando tenacemente il diritto alla propria terra.

L'autrice è stata molto brava e convincente nella costruzione dei personaggi (principali e secondari), dei quali comprendiamo i caratteri, le aspirazioni, le fragilità, del contesto storico e del periodo di riferimento (dal 1961 al 1994) e dà modo al lettore di ripercorrere alcuni tratti salienti del cosiddetto "conflitto arabo-israeliano".

Toccanti le parole usate da un giovane Ahmad nel riflettere sul significato che cela la trama della kefiah palestinese:

«Guardatela, non vi sembra una recinzione? Il loro progetto (degli israeliani) è rinchiuderci dentro una grande prigione. È già successo con i profughi del Quarantotto, sono isolati e dimenticati. Quindi, la recinzione sulla kefiah potrebbe essere la metafora del dramma palestinese»."

 

La kefiah racconta l’aspirazione alla libertà; indossandola, i palestinesi sentono di appartenere a qualcosa di più grande, affermano semplicemente di esserci, di esistere.

"Ed essere, avere dei diritti, uno stato in cui possano riconoscersi, è l’unica cosa che vuole questo popolo".


Lo consiglio, è un libro che non lascia indifferenti, tanto più che sotto i nostri occhi si sta consumando un genocidio a  danno dei palestinesi.


Citazioni


"la rida, una richiesta di benedizione che i figli fanno ai propri genitori: è un promemoria del desiderio di essere accettati. Erda alay significa ‘accettami per ciò che sono, con i miei errori e le mie debolezze
di figlio’, significa ‘sii grato per ciò che sono, nonostante tutto. Anche se a volte posso sembrare ingrato, distante o assente’. Erda alay è una supplica per l’accettazione e la gratitudine, un invito a trovare pace in un dono divino. È il desiderio umile di un figlio di sentirsi accolto e amato tra le braccia dei propri genitori. Significa ‘perdonami, accettami, concedimi la tua benedizione e chiedi a Dio di benedirmi’.
A questa richiesta, il genitore risponde Allah yerda alek, che significa ‘che Dio ti conceda il perdono e la benedizione, perché io lo farò’. È un momento meraviglioso, perché la preghiera di un genitore a Dio è inappellabile. Erda alay significa anche ‘non andare contro di me, non lamentarti di me davanti a Dio’. Annulla ogni rancore, ogni risentimento."

" a volte i sogni più belli li conserviamo nei luoghi più lugubri, inaspettati. Perché non ci crediamo abbastanza, perché ci sembrano impossibili."

" Ché non si muore mica quando si smette di respirare, si muore quando qualcuno ti strappa di dosso la dignità."

"se non si è liberi, non si può vagheggiare. Che la libertà è la chiave dei sogni, che solo una volta raggiunta si può pensare a sé stessi."

"Come era possibile che tutto stesse accadendo come diciannove anni prima? Non aveva vissuto la Nakba, eppure la Catastrofe era così nitidamente impressa nella sua memoria. Non quella personale, ma quella collettiva arrivata fino a lui. Alcune esperienze, alcuni momenti storici restano indelebili, sono così traumatizzanti che inglobano, si mangiano, tutti gli altri ricordi. Divengono il pilastro, la rappresentazione che  abbiamo di noi stessi, le nostre radici, l’essenza di cui ci nutriamo e di cui si nutre la comunità. L’esilio forzato, il racconto della Nakba, tramandato da nonno a nipote, e di casa in casa, era divenuto l’elemento caratterizzante dell’identità di ogni palestinese. Anche chi non l’aveva vissuta poteva rammentarla, sentire quella ferita. Si dice che il vagito di un neonato palestinese sia più forte di quello degli altri bambini della terra; forse perché lo strappo dall’utero materno gli ricorda lo strappo dei suoi avi dalla terra natia.
Assorbiamo la storia del nostro popolo dal cordone ombelicale, mentre ci nutriamo della sostanza di nostra madre. Quella sostanza impregna in noi pezzetti di memoria collettiva, e non appena nasciamo, li ricongiungiamo alla realtà divenendo testimoni di un’ingiustizia epocale. Un bambino palestinese è un racconto che grida, che vuole essere narrato."


lunedì 4 agosto 2025

SPLENDI COME VITA di M.G. Calandrone || LA STRADA GIOVANE di Antonio Albanese [ recensione audiolibri ]



In questo periodo sto ascoltando diversi audiolibri; attualmente ho in corso Demon Copperhead di Barbara Kingsolver, che mi sta piacendo ma che ascolto con calma, considerata la molte (più di 23 ore di ascolto = 656 pp)

Nel weekend, però, ho avuto voglia di interromperlo temporaneamente per concedermi due ascolti brevi.

La mia duplice scelta, in modo piuttosto istintivo, è ricaduta sui seguenti libri, che hanno la comune caratteristica di essere letti dall'autore stesso.



LA STRADA GIOVANE di Antonio Albanese (Feltrinelli, 128 pp., 2025).


L'esordio dell'attore Antonio Albanese nella narrativa trae ispirazione da una storia familiare, che egli
racconta (e legge) con una grande naturalezza e che, attraverso un linguaggio semplice, arriva al lettore con immediatezza, trascinandolo in un tempo cupo, difficile, doloroso, e trasmettendocene paure, speranze, spaesamento, malinconia e una tenera e commovente voglia di tornare, semplicemente, a casa, al sicuro tra le braccia dei propri cari.

Il protagonista è Nino, un giovane proveniente dalla Sicilia, da una famiglia di fornai, e sposato con la bella Maria Assunta.

Incontriamo Nino quando è passato ormai l'8 settembre, mentre è all'interno di un campo di prigionia in Austria, a patire fame, freddo e paura. 
In quanto internato militare, non ci sono diritti ed è duro sopravvivere giorno per giorno; l'unico conforto viene dal legame di amicizia con Lorenzo, un giovane toscano di Piombino, un tipo socievole e spigliato, con cui lavora nelle cucine governate dal Piemontese, un gigantesco macellaio. 

Insieme, i tre approfittano della confusione durante i festeggiamenti di capodanno del '44 per organizzare la loro fuga. 

Com'è intuibile, la conquista della libertà è contrassegnata da freddo, fame e dalla paura di essere riacciuffati dai tedeschi, andando incontro a una brutta fine.
Non è facile né orientarsi né tanto meno trovare cibo e riparo, anche perché la gente è comprensibilmente terrorizzata, sul chi va là e non esita a sparare per prima al minimo dubbio di essersi imbattuti in eventuali nemici.

Nino deve attraversare tutta la penisola per raggiungere la sua amata Sicilia, che sembra più  irraggiungibile e lontana che mai, ma Nino resiste e macina chilometri, nascondendosi, dormendo ora all'addiaccio ora in ripari di fortuna, sorretto dalla voglia di tornare a casa e dal pensiero dei propri amati.

Il suo viaggio verso casa è un'odissea fatta di pericoli, privazioni, e di numerosi incontri con persone di ogni tipo, tra cui un gruppo di partigiani che lo prende con sé per un po', convinto che egli sia un soldato tedesco in fuga.

La solitudine della fuga rocambolesca toglie la parola al giovane che, terrorizzato e spaurito, non riesce ad articolare suono al cospetto delle persone in cui man mano si imbatte, venendo scambiato ora per uno scemo ora per uno straniero e ora per un italiano probabilmente muto.

Mentre continuano i bombardamenti, attraverso un Sud devastato dall'avanzata, a Nino non resta che il salvagente dei ricordi, il pensiero della bellezza e del calore degli affetti che lui vuol raggiungere a tutti i costi. 
Se chiude gli occhi davanti alle brutture che gli sono intorno, forse riesce a sentire il profumo buono e accogliente del pane appena sfornato dal padre, o quello dolce della vaniglia dei biscotti, e su tutti il calore dei baci di Maria Assunta che, il ragazzo spera, forse lo sta ancora aspettando.


Un libro breve ma che si lascia apprezzare per la sua narrazione fluida, piacevole (come lo è anche la lettura stessa di Albanese, coinvolgente ma misurata e sobria al tempo stesso), per la sensibilità, l'umanità e la tenerezza che caratterizzano il lungo e difficile cammino di un giovane che sta cercando di aggrapparsi alla vita con le unghie e con i denti, senza mai perdere sé stesso, la propria dignità di essere umano, ma anzi custodendola gelosamente anche di fronte a chi, invece, sembra averla persa a causa di una guerra spietata (c'è qualcosa di più disumanizzante della guerra?) e abbrutente.
Ci sembra di essere lì con Nino, di vedere le cose con i suoi occhi, di provare i suoi timori, il freddo e la fame, di osservarlo addormentarsi cullato dai suoi dolci ricordi e di sperare ardentemente che alla fine di quel viaggio di disperata speranza, ci sia casa, che è sinonimo di amore, abbracci, lacrime di felicità, rifugio dal male.

Per me questa prima prova narrativa di Antonio Albanese è promossa.





SPLENDI COME VITA di Maria Grazia Calandrone (Ponte alle grazie, 224 pp., 2021).

Intenso, potente, commovente, delicato e poetico, traboccante di  autenticità nel racconto di aneddoti e momenti di vita vera, capace di trascinare il lettore (o ascoltatore) nella fiumana di emozioni che accompagnano la narrazione; questo romanzo è una lettera d'amore della Calandrone alla propria madre adottiva ed infatti al centro vi è proprio la ricostruzione del complesso e profondo rapporto dell'autrice con Consolazione, sua madre.

La donna, assieme al marito Giacomo Calandrone, hanno adottato la piccola Maria Grazia quando questa aveva solo otto mesi ed era stata abbandonata dai genitori, amanti clandestini in un piccolo paese del Molise (erano gli anni Sessanta, non c’era il divorzio e l’abbandono del tetto coniugale era punibile come reato), morti suicidi.

All'età di (soli) quattro anni, Consolazione (insegnante di professione) fa una scelta che potremmo definire "strana", discutibile...: confessa alla bimba di non essere la loro figlia biologica, ma appunto di essere stata adottata.
Questa amara e dolorosa verità viene recepita meglio dalla figlia (evidentemente troppo piccola per capirne la "reale portata") che dalla madre stessa, la quale da quel momento non riuscirà più a rapportarsi con Maria Grazia in modo naturale e sereno, ma riverserà nel loro legame tutta l'ansia, la paura e l'atroce dubbio che questa verità le avrebbe sicuramente allontanate, creando una frattura insanabile.

Consolazione, infatti, consapevole di non essere la "madre vera", matura la convinzione di non essere amata abbastanza da quella bambina che non ha partorito, e a nulla varranno i tentativi della figlia di rassicurare la genitrice (finta o vera, è l'unica che abbia mai conosciuto, è colei che l'ha scelta, cresciuta, amata) di non essere per lei una madre "di serie B".

Si genera, quindi, una distanza emotiva frutto di un senso di "disamore" nato dalla rivelazione dell'adozione, e ciò darà vita, nel corso del tempo, incomprensioni, silenzi, ferite, comportamenti anche ostili da parte di Consolazione verso quella figlia che cresce, curiosa e vivace, sotto i suoi occhi.

Una figlia che non smette di amare la Madre (nel corso della narrazione, ella si riferisce ai genitori chiamandoli sempre così, "madre", "padre"), di restarle vicina anche quando lei la manda via. 

"Splende la vita. 
Splende come vita
a volte splende quieta come il tuo corpo abbandonato al sonno
a volte sfolgora come il lampo del sorriso
ma la terra non splende
la cenere non splende.
Davvero mamma, non sappiano niente e non siamo che corpo
e non siamo più in nessun luogo dopo
probabilmente
e questo precipizio di parole non è buono a rifare 
neanche una molecola del tuo sorriso.

...faticavo a raggiungerti alla fine
ma eri vita
accessibile
vita dovuta e vita che ho dovuto lasciare andare.

...senza difese
splendi come vita.


In questo libro, la scrittrice e poetessa ci racconta non solo del legame con la madre, ma anche di quello con il padre e, attraverso il ricordo di specifici episodi, di dettagli, di momenti che le sono rimasti dentro, ci avviciniamo un po' al suo mondo, soprattutto a quello interiore, essendo il testo ricco, profondo di riflessioni e memorie, contrassegnato da una scelta sentita e attenta di parole per comunicare le tante e contrastanti emozioni che le si agitano dentro; il finale è struggente, splendidamente toccante e a me ha messo i brividi.

Una scrittura lirica e potente, che anche nel suo raccontare di dolore, smarrimento, perdita, confusione, malattia, tenerezza e freddezza, accoglienza e rifiuto, senso di inadeguatezza, amore e disamore, allontanamento e vicinanza, riesce ad essere luminosa e a regalare questa luce - che ogni vita contiene in sé - al lettore (ascoltatore).

Una lettura che consiglio perché è emotivamente trascinante, scritta magistralmente (e letta altrettanto bene, considerato che l'ascoltiamo dalla viva voce dell'autrice), che coinvolge e commuove perché la Calandrone ci cattura con la sua ammirevole capacità di osservare e descrivere - il mondo, le persone, i legami, i sentimenti... - con lo sguardo sensibile, spontaneo, penetrante e vero dei poeti.


giovedì 31 luglio 2025

IL CERCHIO DI PIETRE di Diana Gabaldon (Outlander #4) [ RECENSIONE ]



Cosa è accaduto dopo la sanguinosa battaglia di Culloden, avvenuta nell'aprile 1746?
Mentre l'highlander Jamie Fraser deve rimettere in sesto la propria vita dopo la disfatta e in una condizione di prigionia - sostenuto solo dalla speranza di tornare a casa, a Lallybroch, e da quella di aver fatto bene a mandar via Claire e il bimbo che portava in grembo -, nel maggio del 1968, a Inverness, Claire Beuchamp Randall (Fraser) sta cercando di scoprire se l'unico amore della sua vita sia sopravvissuto al disastro di Culloden e cosa ne sia stato di lui dopo.




IL CERCHIO DI PIETRE
di Diana Gabaldon



Corbaccio
trad. V. Galassi
589 pp
"« Lo sai che cosa significa vivere vent'anni senza un cuore? Vivere come un uomo a metà, abituarti a campare con il pezzetto che ti è rimasto, stuccando le crepe con qualsiasi genere di malta ti capiti a tiro?»".


Nel terzo capitolo della saga fantasy/romance/storica, abbiamo lasciato Jamie e Claire divisi dagli eventi storici che entrambi sapevano si sarebbero verificati a Culloden.
Hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per evitare quella battaglia - sapendone gli esiti drammatici per gli scozzesi - ma la Storia ha fatto il proprio corso senza deviare di un millimetro.

Claire, spinta dal marito, ha lasciato il 1746 per ritornare nel suo presente, quindi nel 1948, da Frank Randall, il quale - seppur decisamente perplesso, sgomento, incredulo, ferito - ha accolto non solo la moglie, tornata spaesata dal suo soggiorno di tre anni con le fate (?!?!), ma anche il figlio che portava in grembo.
Ma a dispetto di una paternità non sua, Frank ha amato follemente, dal primo momento, quel frugoletto coi capelli rossi chiamata Brianna (in omaggio al padre di Jamie), la quale è cresciuta adorando quel padre gentile ed elegante, fine storico dalla mente brillante, e cercando di captare i segreti celati dietro gli occhi sognanti di quella madre medico eppure a volte così "svagata", come se vivesse a Boston ma con la mente fosse altrove.

Sì, ma altrove... dove?

Il momento della verità è giunto anche per la bella e impetuosa Brianna: Claire ha raccontato la verità alla figlia, dicendole che il suo cuore è rimasto in Scozia, nelle mani dell'uomo amato, che poi è il vero padre della ragazza; la rivelazione aveva ovviamente scioccato sia Bree che lo storico e amico Roger MacKenzie Wakefield.
Ma, passato lo shock e capito che Claire non è una pazza bugiarda, Bree e Roger decidono di aiutare la donna a scoprire cosa ne sia stato di James Alexander Malconm MacKenzie Fraser dopo Culloden, scoprendo la prigionia e, soprattutto, che vent'anni dopo l'uomo fosse ancora in vita e che facesse il tipografo ad Edimburgo.

In un costante andare e venire dal passato al presente, seguiamo le avventure di Jamie, la sua prigionia ad Ardsmuir, la singolare ed acerba amicizia con il maggiore John William Grey, il trasferimento nella tenuta di un nobiluomo e tutto ciò che ne consegue; ma a un certo punto le strade dei due innamorati tornano ad incrociarsi in quanto Claire, incoraggiata dalla figlia, decide di tornare a Craigh na Dun e attraversare le pietre, sperando di ritrovarsi nella Edimburgo del 1766.

"Ero viva, comunque. Viva e con una piccola sensazione di certezza simile a una minuscolo sole che mi ardeva sotto le costole. Lui era qui. Lo sapevo adesso, pur non avendolo saputo al momento di attraversare le pietre: quello era stato un salto di fede. Ma avevo gettato il mio pensiero per Jamie come un'ancora di salvataggio in un torrente impetuoso: il cavo che stringevo tra le mani si era fatto teso e mi aveva trattato in salvo. (...) Mi trovavo qui, e in qualche punto di quello strano territorio del passato c'era l'uomo che cercavo. I ricordi di angoscia e terrore andavano svanendo via via che mi rendevo conto che il dado era tratto. Non potevo tornare indietro: un viaggio di ritorno sarebbe stato quasi sicuramente fatale. (...) Non c'era altro da fare che andare avanti... e trovarlo".

E lo trova, il suo Jamie, chiaramente più maturo ma sempre vigoroso, affascinante, intraprendente, determinato e pericolosamente con le mani in pasta in affari non proprio tranquilli.

"Sollevai il mento per guardarlo. « P-pensavo che fossi morto». Pur avendo voluto infondere un tono leggero a quelle parole, la voce mi tradì. Le lacrime presero a scorrermi lungo le guance per poi inzuppargli la stoffa grezza della camicia quando lui mi trasse con forza a sé. 
Che impiegai qualche tempo prima di accorgermi che tremava anche lui e per lo stesso motivo. Non so quanto a lungo restammo seduti su quel pavimento polveroso, a piangere l'uno tra le braccia dell'altra tutta la nostalgia provata nei vent'anni di separazione".

Il loro incontro, dopo vent'anni di lontananza, vissuti nell'amara e dolorosa certezza di aver definitivamente perso l'altro/a, è emozionante ma, com'è tipico di Jamie e Claire quando sono insieme, mai del tutto quieto.
Da subito, infatti, Claire si immerge mani e piedi nel quotidiano movimentato e spericolato a cui è abituato il marito, andando incontro a pericoli, correndo e nascondendosi per le strade sporche e fangose di una città tanto suggestiva quanto rumorosa e caotica, conoscendo uomini e donne di malaffare, ma non c'è in Claire mai, in nessun momento, il benché minimo pentimento per aver lasciato il tranquillo e rassicurante 1968 per infilarsi in un periodo e in un contesto più irrequieti e non privi di insidie.

Se c'è lui al suo fianco, Claire può smettere di aver paura.
Jamie è il suo faro, la sua roccia, il suo punto di riferimento e si fida di lui adesso come si fidava di lui due decenni prima.

Ma rivedersi dopo molti anni, cambiati nel corpo e nella testa - non nel cuore, dove l'amore reciproco non ha mai smesso di essere vivo e forte -, non può non creare momenti di imbarazzo, di disagio, e i due si sentono a volte come degli adolescenti al primo appuntamento.

Ma il loro legame è così solido che ritornare ad essere l'affiata coppia di un tempo non è così difficile.
Certo, hanno tanto da dirsi.

Claire è ansiosa di mostrargli le foto della loro Brianna, di parlargli di quanto gli somigli, e vuol sapere tutto di Jamie, di come e cosa ha vissuto in sua assenza.

E Jamie, pian piano, sembra aprirsi un po'..., se non fosse che decide di nascondere qualche "dettaglio" della propria vita alla moglie, decisione che innescherà litigi e conflitti quando, tornati a casa, a Lallybroch (da una diffidente Jenny), la verità taciuta emergerà creando non pochi scompigli.

Claire non può non chiedersi se tornare indietro sia stata davvero una buona idea: cosa si aspettava di trovare, dopo tanti anni d'assenza accanto al proprio uomo? Credeva forse che il mondo di Jamie si fosse fermato, che fosse rimasto sospeso e immobile nel momento in cui lei aveva varcato le pietre?
È ovvio che lui sia andato avanti a vivere la propria vita e che essa si sia arricchita di altre persone, legami, affari, problemi...

E problemi è stata, è e resterà la parola d'ordine dei coniugi Fraser, che si ritroveranno ancora una volta davanti a nuove sfide, nuove gatte da pelare, e il libro si chiude infatti con una situazione amara che vede marito e moglie molto preoccupati e in procinto di infilarsi in una nuova impresa piena di incertezze.


Mi sono gustata la lettura di questo romanzo tornando molto volentieri in Scozia, accanto al guerriero dai capelli rossi, che sopravvive a battaglie, prigionie, ferite profonde, esecuzioni che vengono annullate per il rotto della cuffia, e che continua a vivere costantemente all'insegna di sempre più vivaci peripezie, pronto a condurre gli affari con audacia, in un mix di sicurezza ed incoscienza, incurante dei rischi, o meglio, consapevole che ce ne siano e disponibile ad affrontarli.

Claire è sempre lei: amorevole e testarda, appassionata e leale, coraggiosa e intrepida come sa che dev'essere la compagna di vita di uno come Jamie Fraser.

Per me leggerli è come per i protagonisti tornare a Lallybroch: avere la sensazione di essere in un luogo famigliare, ritrovarsi con cari amici di vecchia data e sedersi con loro davanti al caminetto, ad ascoltare col fiato sospeso le loro eccitanti avventure.

Procedere col prossimo libro non potrà che essere un piacere.




LIBRI DELLA SAGA

1. Outlander
    1.La straniera

2. Dragonfly in Amber
    2. L'amuleto d'ambra
    3. Il ritorno

3. Voyager
    4. Il cerchio di pietre
    5. La collina delle fate

4. Drums of Autumn
     6. Tamburi d'autunno
    7. Passione oltre il tempo

5. The Fiery Cross
    8. La croce di fuoco
    9. Vessilli di guerra

6. A Breath of Snow and Ashes
    10. Nevi infuocate
    11. Cannoni per la libertà

7. An Echo in the Bone
    12. Destini incrociati
    13. Il prezzo della vittoria

8. Written in My Own Heart's Blood
    14. Legami di sangue
    15. Prigioniero di nessuno

9. Go Tell the Bees That I Am Gone
    16. Quando accadrà dillo alle api

martedì 29 luglio 2025

Recensione || LA SPOSA GITANA di Carmen Mola



Un duplice, efferato e crudo omicidio scuote Madrid: due giovani sorelle, a distanza di alcuni anni, vengono assassinate nel medesimo modo e a pochi giorni dal matrimonio.
Se l'assassino del primo omicidio è in galera, chi ha commesso il secondo?
L'ispettrice Elena Blanco, affiancata dal suo efficiente team, indaga.



LA SPOSA GITANA
Il primo caso dell'ispettrice Elena Blanco
di Carmen Mola


Salani Ed.
trad. S.Cavarero
416 pp
In un luogo e in un tempo che (inizialmente) non ci vengono chiariti, un bambino è chiuso in un posto buio, dal quale non può scappare; affamato, sporco e spaventato, il bambino ha come unica compagnia un cane... e una colonia di vermiciattoli in cerca di cibo...

Chi è questo bambino e perché è stato lasciato solo?

Per la risposta a questa domanda ci sarà da attendere, anche perché a richiamare la nostra attenzione è un'altra persona, e anch'essa è sola e in balia di un destino che più perfido non potrebbe essere.

Dopo un'allegra serata trascorsa in compagnia delle amiche per festeggiare il proprio addio al nubilato, la bella Susana Macaya torna a casa, ma qualcuno l'aspetta nel buio per toglierle la vita.
Il suo assassino è attento, meticoloso, preciso, cauto e ha un piano da portare a termine; un piano diabolico, che prevede l'uccisione della ragazza secondo modalità a dir poco crudeli, disgustose e decisamente inumane, in cui la vittima va incontro ad una lenta e atroce sofferenza fisica e psicologica.

Quando il suo povero cadavere viene rinvenuto, due giorni dopo l'addio al nubilato, Susana ha addosso il vestito della festa e la scena che si presenta agli occhi della polizia mette alla prova i nervi e lo stomaco anche di chi, per mestiere, dovrebbe essere abituato a scene di sadismo.

Essendo un caso di omicidio molto particolare, esso passa dalla polizia alla BAC, la Brigada de Análisis de Casos, capeggiata dalla brava ispettrice Elena Blanco, affiancata dalla sua eccellente squadra.

Uno dei primi poliziotti ad arrivare sul posto è Zàrate, che non accetta di essere estromesso dal caso così cerca in tutti i modi di entrare nelle grazie di Elena e poter seguire le indagini di quello che sarebbe il suo primo omicidio.

Le indagini partono immediatamente sotto le direttive della Blanco e vengono ascoltate tutte le persone che conoscevano la vittima e che avevano con lei dei legami molto forti, a partire dal fidanzato, l'amica del cuore, i genitori.

Questi ultimi sono una coppia "mista", nel senso che il marito/padre (Moses) è un gitano, mentre sue moglie Sonia non lo è; quest'aspetto assume, sin dai primi momenti, grande rilevanza, in quanto - nel parlare con i genitori di Susana - Elena capisce quanto il padre non condividesse le scelte della figlia di vivere "da non gitana", come del resto non aveva condiviso le stesse scelte da parte della primogenita, Lara.

La cosa più drammatica e assurda è che anche Lara, sette anni prima, era stata assassinata poco prima del matrimonio e il modus operandi della sua morte è praticamente identico a quello di Susana.

Sette anni prima il colpevole fu arrestato e condannato: si trattava di Miguel Vista, di professione fotografo, assoldato da Moses Macaya per lavorare per lui nella sua agenzia che si occupa di organizzazione di eventi.

Ma se Miguel - che s'è sempre professato innocente ed estraneo all'omicidio - è dietro le sbarre, chi ha ammazzato Susanna? 

Si tratta forse di un emulatore, di un killer che ha voluto imitare la modalità terribile con cui Vista ha torturato e tolto la vita alla povera Lara?

Ma poi perché accanirsi contro questa famiglia?
Non basta che Sonia a Moses hanno dovuto seppellire il corpo seviziato della prima figlia, adesso devono fare la stessa cosa pure col cadavere della figlia che era loro rimasta...

Anche per un "osso duro" come Elena Blanco è una prova difficile dover dire ai Macaya in che condizioni è stato rinvenuto il corpo di Susana, ma certo non può esimersi dal farlo.

Entrando sempre più nella vita della vittima, raccogliendo informazioni su lei e su chi le era intorno, Blanco&co. capiscono che l'appartenenza dei Macaya alla cultura gitana è un fattore che ha il proprio peso: in famiglia, non si respirava un'aria serena in quanto Moses non faceva che litigare con Susana (e con Lara, prima) perché non rispettava le proprie radici e abitudini culturali, e anche con Sonia, per averlo convinto a crescere le loro figlie come delle "paya" (non gitane, appunto).

Inoltre, a rendere Moses ancora più arrabbiato era stata la scoperta che Susana avesse una doppia vita, fatta di condotte che l'uomo reputava disonorevoli, indecenti e vergognose.

Il dubbio è prepotente: può un padre arrivare ad uccidere la propria figlia, se non ne condivide lo stile di vita o se la ritiene ribelle?

Blanco sa che, purtroppo, la risposta può essere sì, può arrivare a farlo e la cronaca nera ce ne dà triste conferma.
Ma può arrivare a togliere la vita a una figlia (comunque amata) nel modo barbaro e truce in cui è avvenuto l'omicidio?

Cosa e chi c'è dietro la violenta (e comune) morte di Lara e Susana? 

La ricerca affannosa e complicata della mano assassina succhia ogni energia agli agenti della BAC e allo stesso Zàrate, che si lascia coinvolgere dal caso non solo per imparare da chi è più esperto di lui ad acciuffare serial killer, ma anche per una ragione più personale e che ha a che fare con una persona a lui cara: Salvador Santos.

Salvador è un poliziotto ormai in pensione, attualmente vittima dell'Alzheimer, patologia sempre più aggressiva che sta rubando ricordi, pensieri, capacità dalla mente del pover'uomo, che è stato il mentore di Zàrate, il quale infatti gli è affezionato come un figlio.

Al tempo dell'omicidio di Lara Macaya, fu proprio Santos ad occuparsi del caso, a interrogare Moses, Vista ed altri, e ad accusare il fotografo di omicidio, riuscendo a sbatterlo dentro.

Proprio in virtù del fatto che anche Susana sia stata uccisa nel medesimo modo della sorella, Blanco si chiede giustamente se l'assassino non sia lo stesso e, di conseguenza, se Miguel Vista non sia in effetti innocente.
C'è la possibilità che Salvador Santos non abbia condotto bene le indagini o che, addirittura, abbia volutamente preso decisioni discutibili per risolvere un caso spinoso?

Certo, parlare con lui ed ottenere risposte alle tante domande non sarà semplice, vista la sua malattia, ma Blanco e la sua squadra sono decisi a fare di tutto per districare ogni nodo, per sondare ogni possibile pista, per fare i collegamenti giusti, dubitando anche di chi sembra pulito ed estraneo ed invece nasconde lati oscuri.

La stessa Blanco ha i suoi personalissimi demoni che la ossessionano da otto anni, cioè da quando il suo unico figlio, Lucas, scomparve nel nulla.
Lucas, a quel tempo, aveva solo cinque anni e dal drammatico giorno in cui del bimbo si persero le tracce, Elena ha fatto installare una fotocamera davanti al portone del suo palazzo, convinta che il responsabile della scomparsa di Lucas (il suo cuore di mamma le sussurra che questi è vivo e che è stato rapito) prima o poi si farà vivo...

E a proposito di bambini, non dimenticate il ragazzino al chiuso e in compagnia del cane: scopriremo anche la sua identità.


"La sposa gitana" per me è stata una lettura appassionante, che mi ha tenuta incollata sino alla fine, via via sempre più curiosa di mettere al posto giusto ogni tessera e di risolvere ogni enigma: c'è tanta carne al fuoco, si toccano tematiche importanti, come gli effetti dolorosi del decadimento cognitivo dovuto all'Alzheimer, i rapporti tra culture differenti, le relazioni genitori-figli, la linea rossa che separa un poliziotto integerrimo da uno che, all'occorrenza, l'attraversa per convenienza o necessità, ma soprattutto - disclaimer - è un romanzo che non lesina su dettagli crudi e raccapriccianti quando si descrivono scene particolarmente angoscianti, e le descrizioni vivide e dettagliate possono davvero dar fastidio a chi è molto sensibile.

Mi è piaciuta l'ispettrice Blanco che, dietro i suoi modi ruvidi e scontrosi, non è affatto priva di empatia e custodisce la grande pena di essere una madre privata del suo bene più caro.
Il finale è aperto e costituisce un bel colpo di scena che conduce dritto dritto al secondo volume della serie (La rete porpora).

Mi sono imbattuta in diverse recensioni molto negative del libro, però io ammetto di averlo apprezzato, come già mi era successo con La Bestia, sempre di Carmen Mola.



Gli autori.
Carmen Mola è lo pseudonimo di tre scrittori e sceneggiatori spagnoli Jorge Díaz, Antonio Mercero e Agustín Martínez, La sposa gitana è il primo libro di una serie che ruota attorno all'ispettrice Elena Blanco; i successivi sono La rete porpora, La bambina senza nome, Las Madres, El clan Hanno scritto anche due thriller storici: La Bestia (recensione) e Infierno.


martedì 22 luglio 2025

Recensione: RIMOZIONE FORZATA di Emma Black



Partecipare a feste rumorose e affollate non è mai stato il passatempo preferito di Alice, la protagonista di questo paranormal romance, tanto meno a quelle in stile gotico.
Ma le basta andarvi una volta sola per fare un incontro che le stravolgerà la vita come mai avrebbe 
immaginato...


RIMOZIONE FORZATA
di Emma Black



504 pp

Alice Cooper è una giovane donna bella ma poco consapevole di esserlo; ama passare il tempo libero con le amiche del cuore ma resta, in fondo in fondo, una tipa piuttosto pantofolaia e inesperta in fatto di uomini.

È ancora vergine, per dirne una.

Una sera le sue amiche insistono per portarla ad un party a tema gotico e lì incontra Bill, un uomo affascinante e misterioso, oltre che bello e sexy da mozzare il fiato. 

Che sia finalmente giunto il momento di dire bye bye alla propria verginità?

Bill scatena in lei pensieri audaci e voglie travolgenti di lasciarsi andare al godimento dei sensi più sfrenato; l'attrazione è ricambiata ed infatti tra i due scoppia in pochi minuti una passione impetuosa che li porta diritti dritti in albergo, pronti a dare sfogo ai propri istinti.

Alice è convinta di poter trascorrere la notte con Bill senza troppe conseguenze.

Ma quella notte segnerà l'inizio di un cambio radicale della propria esistenza.

Lui, infatti, non è chi dice di essere, a partire dal nome: non si chiama Bill, ma Tom Fabius Buteo e non è un uomo, ma un vampiro millenario, un Centurione della Decima Legione, la preferita di Giulio Cesare.

Alice viene scaraventata a forza in un mondo parallelo, e fino a quel momento sconosciuto e reputato fantasioso, che non le appartiene e molto lontano dalle romanticherie alla Twilight.

La società vampiresca cui appartiene Tom ha una struttura complessa, articolata, regolamentata da un rigido codice di leggi e comportamenti, di tradizioni e costumi, di gerarchie, che sgomenta Alice ma al quale ella, che lo voglia o meno, dovrà adattarsi.

Anche perché comunque non potrà più tornare alla sua vecchia vita, alla sua casa, al suo lavoro, alle sue amiche, alle sue abitudini.
Tom, possessivo ed egoista, ha fatto in modo che tra lui e la ragazza si stabilisse (in quella stessa notte) un legame intimo e praticamente indistruttibile, ma lo fa senza curarsi di ciò che desidera Alice, che quindi prende molto male questa prepotenza da parte di un uomo che, alla fine, è un perfetto sconosciuto.

Alice entra pian piano nella realtà paranormale che circonda Tom, conoscendo i suoi più stretti e fidati amici e collaboratori, tra cui il simpatico e disponibile Doc, che da subito prende in simpatia l'umana divenendo per lei, in breve tempo, un grande amico e un rassicurante punto di riferimento.

Il rapporto con Tom, invece, sembra peggiorare ad ogni occasione che passano insieme: i due fanno scintille in tutti i sensi.

Se da una parte, infatti, non fanno che scontrarsi, litigare, urlarsi contro, rinfacciarsi di tutto, accusarsi, giurarsi di odiarsi a vicenda, dall'altra la forza attrattiva, che li fa sentire intimamente uniti, è innegabile.

Alice, suo malgrado, deve fare i conti con la consapevolezza di essere legata a lui anima e corpo,  anche quando Tom è odioso e la tratta male, anche quando la sminuisce o la ignora, anche quando usa le proprie capacità sovrannaturali per "usarla" come un burattino...

Lui, insomma, non fa molto per farsi amare, anzi, ed infatti Alice vorrebbe che quel legame, che la unisce al vampiro, potesse essere sciolto, ma quando un vampiro si unisce (sebbene non ancora carnalmente) ad una donna (umana o vampira che sia), non è affatto semplice rompere questa unione.

Stando in mezzo ai vampiri, Alice viene messa davanti a un mondo irto di sfide, pericoli, vendette, brame di potere, corruzione, crudeltà, e anche davanti alla sconcertante scoperta che c'è qualcosa di molto personale ed ancestrale che la lega ai vampiri a prescindere da Tom.

La protagonista si vedrà spesso al centro di esperienze avventurose, dolorose e scoperte inquietanti attraverso le quali avrà modo di dimostrare a sé stessa, a Tom e a chiunque di non essere un fiorellino delicato, una verginella da proteggere, bensì di possedere la tempra di una guerriera.

Il legame con Tom subirà gli inevitabili alti e bassi dovuti ai tentativi, spesso fallimentari, da parte di entrambi di accettarsi per come sono, con pregi e difetti; l'autrice dà molta importanza al tratteggio delle personalità dei protagonisti, alle loro paure più segrete, a quelle cose che li avvicinano o li separano, e la loro relazione sentimentale sarà molto turbolenta ma avrà anche modo di evolvere e maturare.


Rimozione forzata è il primo libro della serie Legio X e mescola la passione infuocata del romance con l'avventura e il dinamismo del paranormal a tema vampiri.
Io non amo particolarmente il genere, tanto meno i vampiri (anche se in passato ho avuto modo di farmi coinvolgere dai baldi guerrieri della Confraternita del Pugnale Nero di J.R. Ward), ma devo dire che questo romanzo è piacevole nello stile, vivace sia per via dei numerosi personaggi (ben caratterizzati) che delle dinamiche in cui essi si muovono, molto movimentate e descritte vividamente.

Non so, onestamente, se proseguirò con la serie ma sicuramente essa può piacere agli amanti del genere paranormal fantasy/romance.

mercoledì 16 luglio 2025

[ RECENSIONE ] IL DIO CHE HAI SCELTO PER ME di Martina Pucciarelli



La protagonista di questo romanzo ci racconta, con sincerità e coinvolgimento, com'è stato nascere e crescere in una famiglia appartenente alla comunità religiosa dei Testimoni di Geova.
Rinuncia, sottomissione, studio biblico, riunioni settimanali, predicazioni, devozione, fedeltà, ubbidienza...: queste sono alcune delle condizioni che hanno caratterizzato l'infanzia, l'adolescenza e parte della vita adulta di Alessandra che, nel seguire Geova - il dio che altri hanno scelto per lei - sentiva, ogni giorno, di perdere pezzi importanti di sé.

Come fare per recuperare sé stessa e conquistare la propria libertà? Voltare completamente le spalle a quel mondo oppressivo e controllante? 
Certo, ma anche a costo di allontanarsi dai propri cari?



IL DIO CHE HAI SCELTO PER ME
di Martina Pucciarelli


HarperCollinsIt
233 pp
Alessandra Morelli ha 29 anni quando prende una decisione che cambierà irreversibilmente il suo modo di vivere.

È una scelta che sa di abbandono e libertà, di dolore e liberazione, di rimpianti e nuove consapevolezze, di rinunce e conquiste.
Di ferite, mai completamente rimarginate.

Una scelta fatta - finalmente! - in totale libertà ed autonomia, senza condizionamenti e che però, inevitabilmente, porta con sé strappi, cicatrici, sofferenza, lacrime.
Perché non c'è decisione radicale che sia facile e indolore, e anche l'uscita di Alessandra dall'organizzazione religiosa dei Testimoni di Geova (da qui in poi TdG) non può che essere difficile e sofferta.
Ma altresì necessaria, per sé e per le creature che più ama al mondo.

Ma partiamo dall'inizio.

Alessandra nasce a Livorno ed è la seconda di cinque figli; i suoi genitori sono dei ferventi e convinti TdG, hanno conosciuto la Verità pochi anni prima e vi si sono aggrappati con tutte le forze, con tutti i desideri (repressi), i sogni (riposti ben bene nel cassetto), lo spirito e l'anima, consacrati al loro dio.

E come ci si aspetta da due genitori devoti a Geova e agli insegnamenti della Torre di Guardia*, educano la prole "nella disciplina e nella norma mentale (= istruzione) di Geova" (Lettera agli Efesini 6:4)**

Il fratello maggiore, Riccardo, è per la piccola Alessandra un po' il suo modello, il suo punto di riferimento, e questo sentimento resterà vivo in lei anche negli anni successivi, quando la vita li separerà.
Riccardo è diverso da lei da molti punti di vista, uno su tutti: è un ribelle, uno che non esita a sfidare apertamente i genitori e a disubbidire loro con sfacciataggine per dimostrare a tutti di non essere un figlio docile e sottomesso ma una persona che sa e vuol pensare con la propria testa, che non accetta supinamente ordini e regole che non condivide.
Sarà proprio questo spirito sovversivo e indipendente a portarlo a comportamenti non solo indisciplinati, ma ritenuti imperdonabili dalla famiglia, dalla comunità dei TdG e, ancor peggio, da Geova stesso, che vuole i suoi fedeli umili e ubbidienti.

Alessandra, al contrario, viene su come una bimba pacata, silenziosa, disciplinata, che asseconda il volere dei genitori e li segue in questa via che li porta da casa alla Sala del Regno, e da questa alle strade per predicare il Vangelo a "quelli del mondo" e fare proseliti.

“Sei sempre stata un faro per la nostra famiglia”, le ha sempre ripetuto sua madre e Alessandra cresce con quest'idea di dover continuare ad essere questa luce per i suoi, che s'aspettano assoluta devozione a Geova Dio.

E Geova è un padre controllante, che esige fedeltà, coerenza, obbedienza assolute e non ammette "sgarri".

Sua madre e Geova quasi si confondono agli occhi della ragazzina, che vive con l'ansia di dover soddisfare le attese dei genitori e di non creare problemi. 

E così Alessandra impara a proprie spese quanto costi essere una TdG: sin da piccola, sa quali sono le cose che non deve fare per non far dispiacere mamma, papà e Geova: niente feste di compleanno, niente Natale, Pasqua o Capodanno, niente lavoretti a scuola che rimandino a festività pagane; stretto controllo sulla musica ("del mondo") da ascoltare e quella che va evitata, stessa cosa per libri, film, modo di vestire...

Non c'è un ambito dell'esistenza quotidiana che non sia sottoposto al vaglio della Bibbia e di ciò che essa dice (o meglio, aggiungo io, di ciò che vogliamo farle dire).

Per non parlare delle amicizie e degli eventuali primi amori: associarsi con gli increduli è peccato, ci si può sposare soltanto all'interno della congregazione dei TdG.

Avanzando nella lettura ci scorrono davanti gli anni vissuti da Alessandra accanto a un padre affettuoso sì ma molto rigido, severo, che pretende dai figli cieca obbedienza, che si impegnino nelle attività legate alla loro religione (frequentare le adunanze, uscire a predicare e distribuire opuscoli e riviste, preghiera, studio della Bibbia e delle pubblicazioni dei TdG...), che diano buona testimonianza agli occhi della fratellanza spirituale  e del mondo che li osserva.
Che non dispiacciano a Geova, i cui occhi sono sempre aperti per guardare e giudicare le azioni, i pensieri, le parole dei suoi fedeli.

Vediamo Alessandra cercare nella madre quell'amore che la genitrice fatica ad esprimere con carezze, baci, parole incoraggianti; quello con la mamma è un rapporto conflittuale perché la donna riversa tutte le proprie fragilità, i malesseri interiori irrisolti, le frustrazioni, le insicurezze, nelle relazioni con i figli ed in particolare su Alessandra.

Leggiamo di come la protagonista si senta dentro una tempesta emotiva ricca di contraddizioni, il che è inevitabile perché ad essere schizofrenica è la realtà stessa (famigliare e spirituale) in cui sta crescendo, che le impedisce di maturare autonomia di pensieri, indipendenza dai genitori, spirito critico, libertà di operare le proprie scelte, di sperimentare relazioni al di fuori del nido famigliare e della congregazione, di rapportarsi a persone, opinioni, credenze ecc... diverse dalle proprie.

Alessandra non sa nulla di cosa voglia dire stare al mondo perché è abituata a starsene con "quelli come lei".

Anche i famigliari - se non sono TdG - vengono tenuti un po' a distanza, come i nonni materni e paterni, che non condividono l'adesione a quella religione ma che negli anni cercano di mantenere i rapporti almeno con Riccardo ed Alessandra, forse perché ne intravedono la sensibilità e la fragilità.

Per chi è a digiuno rispetto ai TdG probabilmente leggere di come e quanto appartenere a questa organizzazione religiosa influenzi fortemente ogni settore della vita dei suoi adepti, può apparire fin troppo strano, forse esagerato, e si potrebbe essere indotti a pensare che uscirne "quando non se ne può più" non sia poi così complicato, ma c'è da tenere presente, tra le tante cose, l'amara consapevolezza che precede chi medita di abbandonare la congregazione: l'isolamento, l'esclusione, l'allontanamento dai propri cari che continuano a seguire quella religione e che, se sei un apostata, ti considereranno come morto.

Proprio quando Alessandra si vedrà giunta a un punto della vita in cui la stretta morsa della sottomissione a Geova e al capo-famiglia (prima il padre, poi il marito) si fa sempre più soffocante, rendendola infelice, qualcosa comincia a scattare dentro di lei, fino alla decisione più importante, dopo la quale non potrà più tornare indietro.

È un libro potente, una storia "forte", che tiene incollato il lettore perché sono fatti ispirati alla realtà (l'autrice un'ex-TdG) e perché fa riflettere sul potere psicologico che certe organizzazioni religiose possono avere sui loro membri.
Ogni capitolo termina con una parola-chiave (ad es., abbandono, riscatto, libertà...) che ovviamente è collegata di volta in volta a ciò che viene narrato.

Il Dio che hai scelto per me è una storia intima, intrisa di dolore, che narra di privazioni, abusi e violenza, ma anche di forza e di coraggio perché al centro vi è una donna che ha  affrontato la lacerazione - conseguenza di volontario allontanamento - per ricostruirsi, per riappropriarsi di sé stessa, della propria libertà e di farlo in nome dell'amore.

Mi è piaciuto, mi ha scossa e mi ha portato indietro nel tempo...***

Lo consiglio, come consigliai, non molte settimane fa, L’educazione di Tara Westover.




Note

* La Torre di Guardia è, insieme a Svegliatevi!, una delle due riviste edite e pubblicate da TdG; essa "si propone di spiegare gli insegnamenti della Bibbia, in particolare ciò che le Scritture insegnano riguardo al Regno di Dio. Viene pubblicata ininterrottamente dal 1879. 
Svegliatevi! tratta argomenti di carattere generale, ad esempio temi legati al mondo naturale e alla scienza, prefiggendosi di aiutare i lettori a riporre fede nel Creatore. Sottolinea inoltre il valore pratico della Bibbia nella vita quotidiana." (fonte)

** Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture, Revisione 1987.


*** Ho avuto modo di frequentare i TdG in un passato ormai piuttosto lontanuccio, avendo partecipato a una serie di studi biblici in casa in periodi diversi, verso i 9-10 anni, e soprattutto dopo, tra i 16 e i 18 anni, quando ne seguii regole, incontri e insegnamenti dottrinali con quella (parziale...? ancora in formazione...?) consapevolezza che si può avere da adolescente. Conosco e ho riconosciuto, quindi, nel racconto della Pucciarelli, tutto ciò che ho vissuto in quegli anni, anche se ovviamente io non ero così dentro mani e piedi, sia perché era una scelta mia non supportata dalla famiglia, cosa che me la faceva vivere con un senso di incertezza e anche di solitudine (per essere additata, in qualche modo, come una pecora nera), e sia perché non sono mai stata completamente convinta della verità e giustezza di tutti gli insegnamenti che mi venivano propinati. Però, ecco, è una realtà che ho conosciuto, seppur solo brevemente, per cui leggendo ho provato una fortissima empatia con la protagonista.


lunedì 14 luglio 2025

Recensione // LA SPIA DELLA REGINA di Clare Marchant



Essere, tornare, sentirsi a casa: è un po' il cuore di questo romanzo storico che, svolgendosi su un doppio piano temporale, ha come protagonisti un uomo e una donna alla ricerca di un luogo da chiamare casa, in cui trovare finalmente pace, stabilità, radici.
E una famiglia.



LA SPIA DELLA REGINA 
di Clare Marchant 



Ed. HarperCollins It.
trad. M. Cerato
384 pp
Tom Lutton
è un giovane erborista sordomuto che, nel 1584, ha lasciato la Francia per approdare in Inghilterra in cerca di fortuna.
Il ragazzo è consapevole di come la propria disabilità sia un grosso limite nei suoi rapporti col prossimo e nella stessa ricerca di un'occupazione, ma quello che è in effetti un handicap si rivelerà una risorsa insospettabile.

Tom, grazie alla propria esperienza (per la quale deve ringraziare la madre) nell'uso delle erbe e piante officinali a scopo medico, trova subito lavoro come assistente di Hugh, speziale di corte, incominciando a coltivare piante "nuove" (come la vaniglia, che viene immediatamente apprezzata da S.M. la regina Elisabetta I) e dimostrando tutta la sua perizia nell'alleviare dolori e risolvere malanni di varia natura per messo dei suoi miracolosi e naturali "intrugli".

La sua abilità non passa inosservata e si ritrova, per una serie di circostanze fortuite, ad entrare nelle grazie della sovrana. 

Donna di acuta intelligenza, Elisabetta I intuisce subito quanto possa rivelarsi utile un servitore con quelle caratteristiche fisiche: oltre ad essere un uomo dalle fattezze molto comuni e a non saltare quindi all'occhio, Tom è impossibilitato sia a parlare che a sentire, e tuttavia riesce a capire ciò che si dice attorno a lui leggendo il labiale...
In breve, la regina - supportata da tutta una formidabile rete di spie ai suoi ordini, capeggiate da sir Francis Walsingham - lo trasforma nella sua spia personale. 

Lutton viene quindi convocato, poco e spesso, da Walsingham per seguire, spiare, captare conversazioni segrete, appuntamenti e incontri di gente che sta tramando per eliminare la sovrana (protestante) e mettere sul trono la sua rivale, la cattolica Maria di Scozia; ed effettivamente, mai spia si rivelerà più efficace in quanto Tom è davvero bravo a cogliere le informazioni e a sventare tradimenti, proprio perché sa come capire ciò che le persone dicono guardando le loro labbra, riuscendo a non farsi notare, essendo lui un semplice domestico vestito modestamente e dall'aspetto di per sé insignificante.

Eppure non per tutti quel volto buono è insignificante: a corte, Tom incontra una donna - che vive lì, presso la Regina, essendo una delle tante dame di compagnia - di nome Isabel, vedova e benestante, con cui nasce, sin dai primi momenti in cui i loro occhi si incrociano, un'affinità sincera e forte.
Inizialmente tra i due ci sono sguardi timidi, rossori e sorrisi appena accennati e Tom vorrebbe avere la voce e il coraggio per farsi avanti, ma sa che non sarebbe opportuno: appartengono a due ceti sociali troppo diversi e distanti, per cui lui rischierebbe la prigione, se non la vita, se si sapesse che corteggia una nobildonna, e pure Isabel passerebbe un brutto quarto d'ora, se certe voci giungessero alle orecchie della rigida e severa Regina.

Ma certi sentimenti sono così puri e sinceri da resistere alle difficoltà e non possono essere soppressi, così i due - nonostante i problemi, tra cui quelli dovuti alla disabilità di Tom - riescono ad approfondire la conoscenza reciproca.

Purtroppo la vita di corte nasconde mille insidie, e Tom dovrà fare di tutto per proteggere se stesso e la donna che ama.

Una cosa è certa: venire in Inghilterra è stata la decisione migliore della sua vita perché, nonostante abbia lasciato la propria terra per farsi strada da solo in un luogo ignoto, per di più tra gente ricca, spietata e senza scrupoli, grazie all'amore di e con Isabel il suo cuore sente che potrebbe aver finalmente trovato casa, un posto in cui stare, riposare, essere felice, gioire delle bellezze che la vita e il buon Dio hanno in serbo per un uomo semplice come lui.

Nel 2021, la giovane fotoreporter francese di origini libanesi, Mathilde, scopre di aver ricevuto un'eredità inaspettata.

Cresciuta con una madre girovaga, segnata nella mente e nel cuore dalla tragedia di guerre e bombardamenti nel proprio paese d'origine, Mathilde non ha mai avuto un posto da chiamare casa, in cui sentirsi al sicuro, in cui mettere radici.

A parte sua madre, non ha mai avuto una famiglia.

È dunque con enorme sorpresa che apprende come suo padre - che lei credeva morto da molti anni ma in realtà è deceduto di recente - le ha lasciato in eredità un'antica tenuta nel Norfolk.

La ragazza non immagina cosa l'aspetta in Inghilterra ma di una cosa sembra essere certa: non si fermerà in quel posto, venderà la casa avuta in eredità e riprenderà la propria vita vagabonda a bordo del proprio rassicurante e solitario furgoncino.

Ciò che non s'aspetta è ciò che invece accadrà: troverà ad accoglierla una sorella minore con la figlioletta, Rachel e Fleur.

Le due sorelle si avvicinano l'una all'altra con un legittimo mix di diffidenza e voglia di conoscersi; Mathilde viene a sapere la verità su ciò che è successo a suo padre e comincia a insinuarsi in lei il rimpianto per un tipo di esistenza che le è stata negata: una vita "normale" in una famiglia, con una sorella, un padre, una nipotina, degli zii.

Un posto al quale sentirsi intimamente legata.
Ma Lutton Hall, per quanto legalmente sia sua adesso, non le appartiene, non la sente sua.
Eppure, la curiosità di visitare quella tenuta, di conoscerne ogni anfratto, sentiero, di entrare nella cappella di famiglia, di appurare come anche lì ci sia stato qualcuno che - come lei - ha amato coltivare le piante aromatiche, è sempre più forte e la porta ad abbattere, pian piano, ogni muro che la separa da un passato, recente e non solo, che comunque le appartiene e che lei ha il diritto e il desiderio di conoscere.

In particolare, nella cappella farà delle scoperte entusiasmanti e criptiche, che le faranno capire come in quella dimora antica siano custoditi dei segreti, i quali non solo potrebbero gettare una nuova luce sul passato della famiglia Lutton, ma anche su vicende importanti che hanno segnato il regno di Elisabetta I.

A testimonianza di ciò, ci sono oggetti che Mathilde trova e che molto probabilmente sono appartenuti a un suo antenato, forse proprio il primo proprietario della villa.
Per levarsi ogni dubbio e capire il valore e l'autenticità dei piccoli "tesori" di famiglia conservati nella cappella, Rachel interpella un critico d'arte: un giovanotto di nome Oliver, bello, simpatico e molto preparato.

Mentre osserva, sfiora, ammira tutto ciò che di antico ed enigmatico scopre - ad es, un trittico tanto affascinante nei contenuti e nelle pennellate, quanto misterioso e inquietante - e discute con Rachel e Oliver, Mathilde sente che quelle vecchie e polverose mura le stanno parlando, sembrano essere vive e comunicarle qualcosa di importante.

Qualcosa che la spinga non a fuggire ancora, ma anzi a restare, a fermarsi, a stabilirsi definitivamente, a sentirsi finalmente al sicuro, in un luogo da poter chiamare casa.

Man mano che passano giorni e settimane, i rapporti con la sorella e la nipote crescono, maturano, si approfondiscono, e anche quello con Oliver, verso cui comincia a provare un nuovo, inaspettato e travolgente sentimento.

La spia della regina è un romanzo storico che ho apprezzato per il suo stile scorrevole e per questo duplice livello temporale in cui trovano spazio due protagonisti, due storie con i relativi intrecci e dinamiche, e ho trovato tutto molto interessante e ben raccontato.

Mi è piaciuto il filone narrativo legato al 1584, ho trovato intrigante vedere la vita di corte, i complotti di palazzo, le congiure da individuare e sventare, attraverso gli occhi non di un uomo che spicca per prestanza fisica o la favella ammaliante, ma al contrario quelli dii un giovane umile, gentile, mansueto, desideroso solo di vivere una vita serena ma costretto, per sopravvivere, a districarsi fra trame oscure, dove proprio lui - così tranquillo - deve vestire i panni scomodi di una spia, armandosi quindi di coraggio, intraprendenza e un pizzico di incoscienza e temerarietà, e per di più essendo un sordomuto!

Anche il 2021 mi ha catturato, soprattutto grazie alla villa, un posto affascinante le cui mura bisbigliano segreti, drammi, perdite e rinascite, storie di resilienza, di dolore.
Storie di famiglia, quella  famiglia di cui entrambi i protagonisti - pur divisi da secoli di distanza - sentono il disperato bisogno.

Un romanzo molto piacevole, lo consiglio a chi, in special modo, ama autrici come Lucinda Riley o Kate Morton, dove la trama si dipana lungo periodi storici diversi, in cui si mescola fantasia e realtà, dove sono importanti i legami famigliari, le storie dei propri avi e dove c'è una casa tanto grande quanto piena di segreti da scoprire.



lunedì 7 luglio 2025

STORIA DELLA BAMBINA PERDUTA di Elena Ferrante - L'amica geniale IV [ RECENSIONE ]

 

Ed eccomi giunta all'ultimo, toccante capitolo della serie L'amica geniale, che si conferma essere un'opera di narrativa ricca di intensità, densa di personaggi e passaggi indimenticabili, ambientata in un periodo di tempo vivacizzato da numerosi ed importanti cambiamenti sociali, politici, culturali e sullo sfondo c'è sempre il Rione, questo quartiere che non è solo un groviglio di palazzi, stradine e botteghe, ma un piccolo universo vivo più che mai, il cuore pulsante di un legame d'amicizia che resiste al logorio del tempo che scorre, che vola oltre le divergenze caratteriali e d'opinione e che continua a tenere vicine, per sempre, due donne tanto diverse tra loro eppure unite così profondamente.




STORIA DELLA BAMBINA PERDUTA
di Elena Ferrante

Ed. E/O
451 pp
Nel terzo libro, abbiamo lasciato Elena Greco completamente in balia del proprio folle e appassionato amore per Nino Sarratore, ricomparso nella sua vita e pronto a stravolgergliela.

Volata assieme a lui a Montpellier, Elena resta via da casa per cinque giorni, scappando da un Pietro ferito e furioso, e da Dede ed Elsa smarrite di fronte ai litigi dei genitori e alla fuga materna. 

L'ebbrezza, frutto del folle gesto d'amore, fa sì che Elena tenga a bada i sensi di colpa verso le figlie, se non fosse che l'amica Lila, saputa la decisione presa da Lenù di lasciare il marito, la mette in guardia dalle certe scelte che potrebbero far del male alle bambine.

Sullo sfondo romantico di questa relazione con l'uomo amato dall'infanzia, le parole di Lila sono sgradevolmente giudicanti ed Elena cerca di non darvi troppo peso.

Ma già durante i pur incantevoli giorni in Francia, nascono in Elena i primi dubbi su Nino, sciupafemmine e dongiovanni nell'animo. 

La verità è che, nonostante lei ami Nino e lui giuri di amare solo lei, al fianco di quest'uomo ritornano  a galla tutte le insicurezze di Elena, che si sente messa in ombra dalla personalità carismatica e accentratrice di Nino, di cui noi lettori (tutti, vero?) conosciamo (e disprezziamo) l'ambiguità, il suo essere così naturalmente subdolo, il viscidume che lo contraddistingue; in fondo, è degno figlio di suo padre Donato (Elena ricorda a sé stessa e a noi lo squallido amplesso avuto con l'uomo sulla spiaggia ad Ischia. Come dimenticarlo, del resto...?).

Accanto a Nino, Lenù si sente insicura perché sa quanto a lui piaccia piacere ed essere adulato e vezzeggiato da tutti, in particolare dalle donne. 

Intanto, ella continua a cercare di tracciare la propria definitiva strada nel mondo della letteratura e, dopo i soliti suoi tentennamenti, riesce a costruirsi, a fatica e non senza i bastoni tra le ruote da parte dell'ex-suocera, una carriera di scrittrice affermata, cercando allo stesso tempo di trovare un equilibrio tra questa professione - che inevitabilmente le sottrae molto tempo da passare con le figlie, le quali crescono incamerando non poco rancore verso questa madre assente, che le lascia prima con la nonna paterna e poi con "zia Lila" -, la relazione con lo sfuggente e inaffidabile Sarratore (che prosegue con la sua attività da intellettuale e uomo di cultura e poi di politica) e il sempre presente ed enigmatico rapporto con Lila.

Ad un certo punto, Lenù decide di trasferirsi con le figlie a Napoli, decisione che inizialmente verrà presa malissimo dalle bambine, che si vedono di colpo catapultate in una realtà grezza, sciatta, miserabile, abituate com'erano ad ambienti decisamente più educati e raffinati.
Nel tornare a Napoli, la Greco cerca di non farsi risucchiare dal Rione, dai vecchi conoscenti, dalle loro chiacchiere e pettegolezzi, da quella rozzezza dalla quale era fuggita anni prima, ma è impossibile. 

Dopotutto, per quanto si senta ormai un pesce fuori d'acqua, Elena Greco viene da lì, da quel posto rumoroso, caotico, pericoloso, dove per vivere ogni giorno devi intraprendere un qualche tipo di lotta con coloro che, da sempre ormai, spadroneggiano e fanno il bello e il cattivo tempo in quello sputo di mondo.

Ritroviamo, quindi, i fratelli Solara (Michele e Marcello), Carmen Peluso, la famiglia stessa di Elena, Gigliola e tutte le altre donne che hanno caratterizzato l'infanzia e l'adolescenza di Elena, e soprattutto Lila ed Enzo, assieme al figlio di lei, Gennaro (Rino).

Lila, dal Rione, non solo non se n'è andata, ma ha messo radici, costruendosi con Enzo una vita stabile e un lavoro solido grazie alla loro piccola azienda informatica.
Al cospetto dell'amica di sempre, Elena continua a soffrirne la soverchiante personalità, quella sicurezza  che desta ammirazione e invidia, quella capacità che la Cerullo ha di sedurre, catalizzare su di sé ogni attenzione, di riuscire a parlare di qualcosa con convinzione e fascino pur non avendo proseguito con gli studi.

Lila è l'amica intelligentissima, intuitiva, magnetica, decisa e con un gran senso pratico e per gli affari, una donna che sa il fatto suo, capace di ottenere risultati invidiabili a dispetto del postaccio in cui vive, e questa amara consapevolezza ha accompagnato Elena da quando le due erano bambine, influenzando il loro legame.
Per ogni decisione importante presa, Elena (che, per certi versi, è ancora l'adolescente che è stata, vale a dire costantemente bisognosa di conferme) si chiede cosa ne penserà l'arguta e schietta Lila, ma contemporaneamente ne rifugge il parere sapendo che lei la farà sentire sciocca e sbagliata. 

Una delle rare occasioni in cui Lenù si sente importante per Lila e  si scopre più forte di lei, è quello che vede le due amiche atterrite in occasione del forte terremoto del 1980: c'è un momento in cui Lila,  forse per la prima ed unica volta, apre davvero il proprio cuore ad Elena ammettendo le proprie debolezze, la propria vulnerabilità e chiedendole di non abbandonarla mai, neanche quando le dirà cose brutte.

E Lila ha quest'abitudine di essere spessissimo brusca con l'amica, di scagliarle addosso le sue opinioni, il suo modo di vedere le cose e di giudicare le scelte di Elena (circa il matrimonio con Pietro, la relazione con Nino, l'educazione delle figlie...) senza filtri, senza chiedersi mai (non prima, almeno) se ciò che dirà ad Elena la potrebbe ferire o offendere.

In questo ultimo capitolo della serie, si chiudono necessariamente molti cerchi, ma altri resteranno drammaticamente aperti.

Ad esempio, il rapporto conflittuale con Immacolata si rasserena almeno un po' durante la malattia della donna.
Anche con Nino si arriva ad un punto fermo e la conoscenza che il lettore ha di questo individuo gli permette di immaginare in che senso la storia tra lui ed Elena potrebbe evolvere...

Ma ci sono cose che resteranno sospese e che non troveranno soluzione.
Vi è un evento centrale e devastante che coinvolge Lila e che, da un certo momento in poi, diviene il fulcro attorno a cui ruoteranno molte delle vicende successive e che indirizzerà drammaticamente l'esistenza della Cerullo, fermandola, lasciandola come spezzata, interrotta, irrisolta.


L'ascolto dell'audiolibro è stato appassionante e non mi aspettavo nulla di diverso: seguire le storie personali di Lenù e Lila, il modo in cui evolvono i fatti, i rapporti con i personaggi e la loro stessa importante amicizia, mi ha molto coinvolta.
È stato naturale, ancora una volta - e per l'ultima - lasciarmi prendere dal loro legame così viscerale, sincero e ricco di contraddizioni (e per questo così vero), pormi al loro fianco e vederle interagire come amiche che sono tali da quand'erano piccole, e che continuano ad esserlo nell'età matura; è stato emozionante "vederle" cercarsi, darsi supporto a vicenda, oscillare tra momenti di vicinanza intensa e periodi di allontanamento.

Sempre avvincente l'intreccio con gli altri personaggi del Rione, alcuni dei quali crescono, cambiano mentre altri restano intrappolati nelle dinamiche che conosciamo, in alcuni casi subendole e divenendo vittime di certi modi di fare ed essere violenti e intimidatori che, purtroppo, non cambiano col tempo. 

Attraverso gli occhi della protagonista, il lettore si confronta con diverse tematiche, come il ruolo della donna in famiglia, nella società e nel mondo del lavoro, la maternità, la malattia, specifici fatti di natura politica, le trasformazioni sociali che scuotono l'Italia non soltanto dagli anni '70 ma anche dopo, sino ai primi anni 2000.

La scrittura immersiva e potente della Ferrante mi ha irretita e affascinata, in tanti frangenti mi ha commossa e mi ha trasmesso le emozioni e i tormenti delle due donne in modo forte;  ho amato la profondità e la naturalezza con cui l'autrice racconta di legami umani ad ogni livello (di coppia, genitori-figli, amicale, fraterno, con il luogo d'origine...), confermo il mio parere sulla serie e non posso che ribadire anche il consiglio di leggerla perché è una tetralogia che merita, alla quale ci si affeziona di libro in libro.

Confesso che, giunta alla fine, ho sentito immediatamente una sensazione di malinconia e so che ancora per un po' sentirò la mancanza di Lila ed Elena, così agli antipodi, e spesso in conflitto l'una con l'altra, da essere l'una speculare all'altra.

Ciascuna è l'amica geniale agli occhi dell'altra e, al netto delle simpatie/antipatie che di volta in volta ambedue mi hanno suscitata, entrambe lo sono ai miei occhi, in modi e momenti differenti.



Le recensioni dei volumi precedenti

L'AMICA GENIALE
STORIA DEL NUOVO COGNOME
STORIA DI CHI FUGGE E DI CHI RESTA







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