Innocenti e colpevoli, forti e fragili, anziane e giovani, benestanti e miserabili, buone e perfide, vittime e carnefici, assassine e complici, madri e figlie, mogli e nuore...: le donne di questo romanzo storico incarnano tanti ruoli e le più diverse sfaccettature dell'animo umano, ritagliandosi il ruolo di protagoniste all'interno di un contesto sociale che le vorrebbe comparse docili e sottomesse.
LA LEVATRICE DI NAGYRÉVdi Sabrina Zuccato
![]() |
Marsilio Ed. 448 pp |
"Un villaggio sperduto, lontano dal progresso e da ogni assistenza statale. Le nostre voci sono echi sperduti nel nulla, le nostre richieste d’aiuto sassi gettati nell’acqua. Ho notato come ci trattate: alla stregua delle bestie che alleviamo. Non è forse violenza questa? Quale scelta abbiamo quando veniamo derise, violate, vessate, picchiate? Quando dobbiamo procreare come fossimo vacche da monta? Che fine fanno le nostre suppliche quando, dalle nostre famiglie, veniamo costrette a sposarci con uomini che disprezziamo? Chi ci ascolta quando, esauste di tutto questo, se solo proviamo ad alzare la testa ci ritroviamo una catena sui denti?"
È il 1929 e a Nagyrév, un piccolo villaggio sperduto nella pianura ungherese, viene rinvenuto un cadavere sulle sponde del fiume Tibisco.
Si tratta di un'anziana contadina e quella che, a uno sguardo superficiale, potrebbe sembrare una morte accidentale, si rivelerà un omicidio.
I compaesani della vecchia, Julianna Antal, sono convinti che sia stata ammazzata dalla sua stessa figlia, Anna, chiamata "la lurida" a causa del suo aspetto trasandato, dei suoi abiti sporchi, cui si aggiunge un modo di comportarsi cattivo e perfido, soprattutto nei confronti dell'anziana madre, che subiva quotidianamente le percosse e le ingiurie di Anna.
Anna, infatti, provava un profondo odio verso Julianna e non esitava a maltrattarla ed umiliarla in ogni modo possibile.
Che abbia ucciso lei la propria madre, stufa di averla tra i piedi?
Tutti sono straconvinti della sua colpevolezza e incoraggiano il capitano ad andare ad arrestarla, senza indugio, così da liberare tutti loro dalla squallida e malvagia presenza costituita da Anna la lurida e dalla sua stupida figlia Bianka, sicuramente marcia nell'animo come sua madre.
"Sembrava che gli abitanti di Nagyrév si sforzassero strenuamente affinché la morte non rovinasse la quiete del loro piccolo paese: un cadavere era stato lasciato alla mercé delle bestie per un’intera giornata, per essere infine spostato nella stamberga di un disadattato. In quello strano villaggio, perfino la sgradevolezza fisica veniva additata come un marchio..."
A indagare su questo possibile assassinio è il capitano Zsigmond Danielovitz, accompagnato dal giovane sottufficiale Bàlint.
Zsigmond è un uomo sveglio e dotato di un buon intuito e non poca determinazione e, nonostante percepisca sin dai primi momenti dell'indagine, che i gli abitanti di Nagyrév non siano proprio amabili e disponibili a collaborare, non si lascia abbattere e comincia a interrogare coloro che, man mano, si rivelano vicini alla vittima o comunque informati in merito alle circostanze che potrebbero aver portato al suo assassinio.
Ovviamente, la principale sospettata viene immediatamente interrogata con domande incalzanti dal capitano, che ben presto ottiene una drammatica confessione, ma essa sarà soltanto la prima di una serie di storie inquietanti e tristi di cui verrà a conoscenza nel corso della propria permanenza (inizialmente tollerata ma poi apertamente osteggiata dalla comunità) e che gli restituiranno un quadro complessivo di Nagyrév davvero cupo e sinistro.
Dietro agli occhi degli abitanti dell'apparente tranquillo paesino ungherese si cela qualcosa di oscuro che mette i brividi.
Al di là del suggestivo e accogliente odore di legna arsa, del calore rassicurante del sole che inonda di luce i tetti e le strade, ciò che si palesa alla vista del capitano, col passare dei giorni, è una realtà rurale oltremodo povera, lontana da ogni forma di benessere; in luoghi come questo, l’esistenza umana si svolge a stretto contatto con il fiume e l’agricoltura, la vita della maggioranza è modesta, scandita dal duro lavoro artigianale o nei campi, ma ciò su cui l'Autrice ci induce a soffermarci è, in particolare, la quotidianità delle donne di Nagyrév.
Quando Zsigmond intuisce che la morte violenta di Julianna è solo un anello di una lunga catena di scomparse, incidenti e morti "strane", capisce anche che per individuare l'origine della catena e la causa di tutto, deve entrare nel microcosmo femminile del piccolo villaggio.
E, in special modo, deve arrivare alla figura principale, attorno alla quale agiscono le donne: la levatrice di Nagyrév, Zsuzsanna Fazekas.
Ostetrica, guaritrice, strega, fattucchiera...: zia Zsuzsi è odiata e amata dai compaesani, che la disprezzano e la temono, la guardano con disapprovazione e scherno ma, quando ella passa in mezzo a loro, non si azzardano ad urlarle dietro ingiurie per paura che la levatrice lanci loro addosso una maledizione, un maleficio.
"E così le sue conoscenze erboristiche, unite a certe maldicenze che da sempre circolavano sul conto delle ostetriche, avevano contribuito a renderla una donna diversa dalle altre: una guaritrice, quando gli abitanti erano benevoli; una strega, quando invece l’invidia e la calunnia soverchiavano ogni giudizio."
È un contesto in cui la superstizione serpeggia tra gli uomini e le donne, che non esitano ad etichettare la donna come un essere con poteri straordinari, per lo più malefici, in grado quindi di attirarsi la condanna divina, la stessa inflitta al diavolo.
Ma nella realtà, quando poi serve, tutti mandano a chiamare la levatrice, perché non sempre è possibile interpellare il medico (per ragioni di tempo o economiche...), e lei è - a dispetto dei pregiudizi e dell'ignoranza - esperta in ciò che fa, nelle soluzioni e negli aiuti che offre.
L’ostetrica, infatti, studia seriamente e a fondo i malati che le vengono affidati, distinguendo tra coloro che possono ricevere e beneficiare di una guarigione e quanti invece sono ormai agli sgoccioli e vanno aiutati ad andarsene "dolcemente".
Ma non è solo per motivazioni legate alla salute fisica di un famigliare o alla gravidanza, che tante donne accorrono da Zsuzsanna, bensì per situazioni personali e famigliari particolari e fonte di disagio, dolore, angoscia.
Violenze, miseria e soprusi sono i compagni tristemente fedeli di queste povere donne (vecchie o giovani, poverissime o ricche, belle o brutte...), le cui singole vite si incrociano in questo affresco rurale tetro, dove gli uomini (padri, mariti, suoceri...) dispongono delle loro donne come e quando vogliono, sottomettendole (nel corpo, nella mente, nella volontà) ai propri appetiti e frustrazioni.
Non c'è alcuna sensibilità per i bisogni delle donne, chiamate a servire, sgobbare, crescere i figli e prendersi cura di marito, prole e casa senza fiatare, senza lamentarsi; le regole patriarcali della comunità magiara e le meschinità dell’animo umano si uniscono per dare vita a condizioni di vita insostenibili e a sofferenze ingiustificabili per decine di mogli e figlie, di anziane e ragazze.
Ed è in uno scenario di tal sorta che si inserisce lei, la strega, l'esperta in erbe medicinali, colei che ha la soluzione a ogni problema: Zsuzsanna Fazekas.
"Lei conosceva bene anche la natura umana e sapeva guardare dentro le persone, riuscendo a scandagliare la loro anima Forse era per questo che le donne del villaggio le chiedevano udienza così spesso. E probabilmente era questo il motivo per cui, così frequentemente e generosamente, offriva consigli ed elargiva i più intimi insegnamenti. Per loro lei non era solo la levatrice di Nagyrév. Non era solo la guaritrice. Era molto di più: un’amica, un’insegnante, una confidente. Lei era zia Zsuzsi, e aveva una soluzione per tutto."
Il capitano non si accontenta di mettere in prigione Anna la lurida per l'omicidio della madre, ma va oltre e individua nella levatrice il fulcro, il personaggio chiave per capire a fondo le storie di donne come Katalin, Krisztina, Klaudia, Maria, Rosalia...: non sono solo nomi che ci scorrono davanti agli occhi, ma storie di vita di esseri umani che, a un certo punto della propria esistenza, alzano la testa per dire basta a inganni, stupri e sottomissioni, e per "risolvere il guaio" che hanno in casa chiedono aiuto a lei, a "zia Zsuzsi",
Le indagini condotte dal tenace e determinato Zsigmond si svolgono nel 1929 e lo vedono totalmente immerso nella cittadina di Nagyrév, impegnato a grattare oltre la superficie del singolo omicidio per cercare di scoprire cosa collega questa ed altre morti precedenti alla levatrice Fazekas.
«Ci uccisero proprio coloro che ci avrebbero dovuto amare di più.»
Queste parole sibilline e misteriose convincono Zsigmond che a Nagyrév sono sepolti orribili segreti e lui è intenzionato a portarli alla luce, anche se ciò significa mettersi contro tutto il villaggio, il magistrato, le donne e la stessa Zsuzsanna.
Ma non ha fatto i conti con il carisma feroce di questa donna straordinaria, che emana una forza e una sicurezza che intimidiscono anche un uomo come lui, sopravvissuto alla guerra e che ha visto la morte in faccia più di una volta. Ella sa come stordirlo, fargli perdere lucidità: lo attrae e lo respinge, egli vorrebbe restare razionale ma davanti agli occhi di fuoco di lei si sente indifeso, nudo, come se la donna potesse leggergli dentro e guardare, come nessuno ha mai fatto, nella sua mente e nel suo cuore, scorgendone i demoni, le paure, i pensieri inconfessati, i turbamenti che non gli danno tregua.
Il romanzo della Zuccato prende avvio da un fatto di cronaca realmente avvenuto tra le due guerre mondiali, un episodio che sconvolse l’Europa non solo per l’efferatezza dei crimini, ma anche per un inedito capovolgimento dei ruoli: le donne, da vittime, si fanno carnefici.
È un romanzo corale e diverse sono le voci femminili che intervengono e si intersecano - anche attraverso gli anni: 1910, 1917/'18, 1929 - per narrarci ciascuna la propria storia, il dramma intimo e personale che si svolgeva tra le mura della propria casa, per comunicarci le sofferenze, le umiliazioni, la stanchezza fisica e morale, l'indifferenza subita, la solitudine, il dolore per non essere capita, amata, accolta, aiutata... se non da lei, dalla strega-levatrice.
Picchiate, minacciate, derise crudelmente, stuprate...: le donne che ci raccontano il proprio vissuto ci lasciano entrare nel loro quotidiano mostrandoci gli orrori che può nascondere la vita domestica quando a dominare sono le sopraffazioni e le mortificazioni.
In che modo Zsuzsanna Fazekas aiutava queste "sorelle" con cui poi si stabiliva inevitabilmente un legame segreto, fatto di lealtà assoluta e gratitudine?
Riuscirà il capitano Danielovitz a venire a capo dell'intricata rete di misteriosi, inquietanti e luttuosi eventi che hanno colpito, negli anni, Nagyrév, e individuare le responsabilità di Zsuzsanna, donna dal passato fumoso, dalla personalità granitica, dallo spirito indipendente?
Ho letto questo romanzo con vivo interesse, apprezzandone l'accuratezza storica, l'ambientazione, la scrittura immersiva, dettagliata e coinvolgente, la caratterizzazione efficace dei personaggi, le tematiche che emergono e che sono purtroppo attuali anche ai nostri giorni (per dirne solo una: la violenza di genere, ma le riflessioni che scaturiscono dalla lettura sono tante); molto interessante l'appendice, in cui l'Autrice ci dice quali sono i fatti realmente accaduti cui si è ispirata.
Se vi piace il romanzo storico, reso ancora più appassionante da una intrigante componente gialla, questo libro non potete perdervelo.
Molto bello, assolutamente consigliato.
La povertà che si respirava a Nagyrév sembrava essere parte integrante del luogo, una condizione che probabilmente lo caratterizzava già prima della guerra