venerdì 5 dicembre 2014

Oriente dal leggere: "La lanterna delle peonie"



Ancora un Autore che entra nel nostro "harem" di scrittori orientali!

narratori dell'est

LA LANTERNA DELLE PEONIE
di Encho San'yutei


La lanterna delle peonie
Ed. Marsilio
Trad. M. Mastrangelo
pp. 296, 1° ed.
Euro 18,00
2012
Sinossi

Kaidan botando-ro- (La lanterna delle peonie. Storia di fantasmi), titolo del repertorio delle narrazioni orali di San'yu-tei Encho-, narra di fantasmi che appaiono tra gli uomini per amore e per vendetta, mettendo in luce quanto i secondi siano più temibili dei primi. 
Ma chi ha davvero paura dei fantasmi? Coloro che hanno qualcosa di irrisolto e di sospeso, sia nella propria vita sia nel proprio karma, così come colui la cui razionalità tenta una negazione del mondo fantastico. 
Questa la risposta di Encho- nella sua opera, primo testo dei racconti orali giapponesi trascritto e consegnato alla storia della letteratura.


L'autore.
Encho San'yutei (1839-1900), uno dei declamatori più rappresentativi del Novecento giapponese, si devono famose storie umoristiche e di fantasmi, alcune originali e altre elaborate partendo da antiche leggende giapponesi e cinesi. Sulle orme del padre, comincia a calcare la scena fin dai sei anni sperimentando diverse modalità e generi di narrazione teatrale. Negli ultimi anni della carriera si dedica ad adattamenti di trame occidentali firmando testi come Meijin kurabe. nishiki no maiginu (Maestri a confronto. Il vestito da ballo di seta, 1894), che deriva da La Tosca di Victorien Sardou, a lui raccontata dal giornalista e scrittore di teatro Fukuchi Ochi, e per un caso elaborata prima di Tosca di Puccini, con il quale non ci furono mai contatti
.

giovedì 4 dicembre 2014

Frammento da "Oceano mare" (Baricco)



Tratto da OCEANO MARE di Baricco.

"Poi non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada. Così... Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo... salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l'onestà, essere buoni, essere giusti. No. sono i desideri che salvano. Sono l'unica cosa vera. Tu stai con loro e ti salverai."

 

Le cover di "Il cavaliere d'inverno"



Le cover de "Il cavaliere d'inverno".
Che ne pensate?
Quale preferite?

Quella italiana mi piace molto, ma anche la seconda.

83144
Paperback, 656 pages
Published April 2001 
by HarperCollins

6323104
Paperback, 810 pages
Published September 2009
by William Morrow





















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Paperback, 636 pages
Published September 2009
by HarperCollins

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697 pages
2009 by Biblioteca Univ. Rizzoli





















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4 dicembre 1575: nasceva la monaca di Monza




Manzoni la chiama Gertrude nel suo celebre romanzo "I Promessi Sposi", ma la storia ci dice che la monaca di Monza si chiamava suor Virginia Maria, al secolo Marianna de Leyva y Marino (nata il 4 dicembre 1575 – 1650), che divenne famosa a motivo di  uno scandalo che sconvolse Monza agli inizi del XVII secolo.

Figlia di un nobile, il conte di Monza Martino de Leyva y de la Cueva-Cabrera, fu da lui costretta a entrare nell'Ordine di San Benedetto, diventando la monaca Suor Virginia a soli 16 anni. 
A dare scandalo fu la sua relazione (quasi dieci anni) con un uomo, il conte Gian Paolo Osio, con il quale ebbe due figli (dopo due aborti), una femmina (allevata dal padre) e un maschietto. 
Conobbe l'uomo perchè questi abitava in un palazzotto attiguo al convinto e questa relazione fu coperta anche tramite l'appoggio di altre converse e di un prete (Paolo Arrigoni).
L'amante di Suor Virginia era avvezzo all'assassinio: quando già su di lui pendeva una condanna per omicidio, si macchiò di altri delitti e uccise tre persone per nascondere la tresca; fu scoperto, condannato a morte in contumacia e poi assassinato da un uomo ritenuto suo amico. 

La Signora di Monza dipinto
di Giuseppe Molteni (1847),
 basato sul personaggio dei  I promessi sposi
di Alessandro Manzoni.
Anche la monaca fu processata, per volere dell'arcivescovo Federico Borromeo, e condannata a essere "murata viva" ("carcere duro") per 13 anni al Ritiro di Santa Valeria. Sopravvissuta alla pena, rimase a Santa Valeria fino alla morte.

Alessandro Manzoni si ispirò alla storia di questo scandalo, romanzando però gli eventi, cambiando ad esempio la composizione della famiglia, la cronologia, particolari delle vicende biografiche e il nome stesso degli amanti che diverranno Suor Gertrude ed Egidio.

 Dopo dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti, si trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripetè, e fu monaca per sempre.

 Tra l'altre distinzioni e privilegi che le erano stati concessi, per compensarla di non poter esser badessa, c'era anche quello di stare in un quartiere a parte. Quel lato del monastero era contiguo a una casa abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de' tanti, che, in que' tempi, e co' loro sgherri, e con l'alleanze d'altri scellerati, potevano, fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar del casato. Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar 1ì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall'empietà dell'impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose.         In que' primi momenti, provò una contentezza, non schietta al certo, ma viva. Nel vòto uggioso dell'animo suo s'era venuta a infondere un'occupazione forte, continua e, direi quasi, una vita potente; ma quella contentezza era simile alla bevanda ristorativa che la crudeltà ingegnosa degli antichi mesceva al condannato, per dargli forza a sostenere i tormenti. 


Frammenti da "Il cavaliere d'inverno" (P. Simons)



Teneri passaggi tratti dal bellissimo romance "Il cavaliere d'inverno" (sul blog trovate la recensione!!).

Alexander le prese il viso minuscolo tra le sue mani massicce.
“Sei... spaventata?”
“Terrorizzata.”
“No, per favore, non aver paura di me.” Le baciò la bocca con una tale
passione, un tale amore che Tatiana sentì divampare il desiderio dentro di sé.
Vacillò, perdendo l’equilibrio. “Tatiasha, perché sei così bella? Perché?”
“Sono uno straccio. Tu sei bello.”
La abbracciò. “Sei un dono di Dio. Lui ti ha mandata per darmi la fede.” Le
prese le mani. “Sei un miracolo, lo sai, vero?” Si fermò. 
“Lui ti ha mandata per
redimermi, per confortarmi, per guarirmi..."



"Soldato, lascia che ti accarezzi il viso e baci le tue labbra, lasciami urlare attraverso i mari e sussurrare attraverso i prati ghiacciati della Russia quello che sento per te...

Luga, Ladoga, Leningrado, Lazarevo... Alexander, un tempo tu mi hai portata e io ora porto te. Nella mia eternità ora io porto te.
Attraverso la Finlandia, attraverso la Svezia, fino in America con le mani tese, mi ergerò e mi farò avanti, destriero nero che galoppa senza cavaliere nella notte.
Il tuo cuore, il tuo fucile mi conforteranno, saranno la mia culla, la mia tomba.
Lazarevo stilla il tuo essere nel mio cuore, goccia d'alba al chiaro di luna, goccia del fiume Kama.
Quando mi cerchi, cercami là, perchè là sarò tutti i giorni della mia vita."

mercoledì 3 dicembre 2014

Cito e canto: "Ci vorrebbe il mare".



Tratto da "Oceano Mare".

Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un'orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. E' come se non fosse mai passato nessuno. E' come se noi non fossimo mai esistiti. Se c'è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. non è vita falsa, non è vita vera. E' tempo. Tempo che passa. E basta.

Canzone che mi viene in mente...:

CI VORREBBE IL MARE
(Marco Masini)

Parole d'Autore prima che la storia abbia inizio ("La tregua")



Ed ecco le parole che introducono il libro "La tregua" di Primo Levi.


Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
Tornare; mangiare; raccontare.
Finché suonava breve sommesso
Il comando dell’alba:
«Wstawaç»;
E si spezzava in petto il cuore.
Ora abbiamo ritrovato la casa,
Il nostro ventre è sazio,
Abbiamo finito di raccontare.
È tempo.
Presto udremo ancora
Il comando straniero:
«Wstawaç».

11 gennaio 1946.


Il significato del termine epigrafe al quale mi rifaccio
 è quello dato dalla Treccani.it "Iscrizione in fronte a un libro o scritto qualsiasi,
per dedica o ricordo; più particolarm., citazione di un passo d’autore
o di opera illustre che si pone in testa a uno scritto

per confermare con parole autorevoli quanto si sta per dire".
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