In un mix tra finzione e realtà, questo libro prende spunto dal personaggio, realmente esistito, del boia più famoso dello Stato Pontificio prima dell'unità d'Italia, arricchendo la sua persona e il suo non proprio rassicurante lavoro attraverso i racconti vivaci e minuziosi di colui che lo ha affiancato per anni in qualità di garzone.
IL GARZONE DEL BOIA
di Simone Censi
Elison Publishing 3.99 euro LINK IBS |
Come immaginiamo possa essere un uomo che per mestiere fa il carnefice? Un uomo la cui missione nella vita è impiccare i delinquenti, staccarne la testa ed esporla pubblicamente (come monito e avvertimento per chi volesse darsi alla criminalità) e infine squartarne il corpo come si fa con i maiali?
Non so voi, ma di getto mi verrebbe da pensare che un individuo che decide di darsi a questo tipo di esistenza fatta di sangue, bestemmie, corpi da sventrare, folla urlante e impazzita, condannati il più delle volte impenitenti e arroganti fino a prima di perdere la testa, deve quanto meno avere un temperamento o violento o indifferente al male e al vedere morire decine e decine di persone sotto gli occhi e per la propria mano.
Eppure non è il ritratto di un uomo cattivo e cinico che riceviamo di Mastro Titta in queste pagine, che intervallano la finzione alla realtà; le parti romanzate, infatti, si mescolano con gli appunti di Mastro Titta circa le sue esecuzioni e i casi umani con cui ha avuto a che fare in vita.
Il garzone, narratore e co-protagonista di questo romanzo storico, è solo un bambino quando viene venduto dal padre a Mastro Titta, che lo prende con sè per insegnargli il proprio lavoro e avere qualcuno che lo porti avanti dopo di lui.
A dire il vero, Mastro Titta era un ombrellaro di professione ma la professione ufficiale, per cui la Storia l'ha ricordato e per cui i suoi contemporanei lo scansavano, temevano e disprezzavano, era sicuramente quella del boia, appunto; ma il suo aiutante, che ha avuto modo di conoscerlo da vicino e vivere per anni con lui, ci dice che quest'uomo taciturno e riservato era in realtà dotato di una dirittura morale ammirabile.
"... ero il garzone del boia, il più temuto e famoso di tutto lo Stato Pontificio allora e il più celebrato in seguito, tanto che divenne col tempo leggenda fino a entrare nell’immaginario collettivo. Chi ebbe la fortuna come me di conoscerlo bene, se lo può ricordare come un uomo buono, devoto e suonerà strano a dirlo in questa situazione, ma era sempre solo sia per indole sia a causa delle contingenze, ma d’altra parte non troverò nessuno nemmeno a confutarmi e quindi ciò mi lascia abbastanza tranquillo."
Il carnefice non godeva nell'ammazzare gente, pur adempiendo al proprio triste ufficio con sollecitudine e molta serietà, cosa che non gli impediva però di provare, molto probabilmente, turbamenti nell'animo, che ben si guardava dal condividere apertamente con altri esseri umani.
"Era strano quell’uomo che avevo di fronte ed ero spaventato (...) Lui di fronte a me, uomo truce e feroce, aveva latente nell’animo un angolo dove aveva celato le proprie fragilità, i propri dubbi e incertezze. Uomo sincero e devoto cercava nel conforto dell’Altissimo le giustificazioni al proprio ufficio, come se gli incarichi ricevuti direttamente dagli alti vertici della Chiesa non fossero sufficienti a sollevargli l’anima."
Non ci vien detto il nome del nostro narratore, che racconta gli episodi di cui è stato spettatore in prima persona a distanza di molti anni, quando ormai è vecchio e ricco e la sua vita ha preso ben altra direzione rispetto a quella cui sembrava destinata; il perché non ci venga svelata la sua identità è alla base del libro stesso e l'Autore la spiega brevemente alla fine del libro (non vi resta che leggerlo, se siete curiosi ^_-).
Il garzone del boia ci fornisce, dunque, una visione nuova e a volte in contrasto con quella del proprio Maestro, che vede il proprio mestiere come una vocazione, qualcosa da svolgere con cura, dedizione, addirittura fede, mentre per il buon garzone è solamente una scelta obbligata dalla quale, chissà!, fuggire alla prima occasione.
Alternando quindi resoconti del Bugatti a quelli del garzone, veniamo a conoscenza di tante storie di vita, di esecuzioni di assassini e di ciò che ovviamente si nascondeva dietro le vicende personali dei protagonisti, spesso raccontate dal popolino sotto la forca.
Il giovane assistente cresce insieme a quest'uomo duro ma in fondo buono, che lo inizia anche alla lettura e alla scrittura, così che il romanzo presenta una doppia stesura.
La prima è contraddistinta dal corsivo e dall'uso di un linguaggio spesso forte e colorito, in dialetto romanesco; la seconda scrittura è redatta quando oramai lo stesso è avanti con l’età, su consiglio del suo analista, che lo incoraggia a riprendere in mano questa storia per fuggire dai fantasmi che ancora lo perseguitano.
Sì perchè seguire il proprio padrone non è mai stata una passeggiata per il giovanotto, che questo mestiere sanguinario e cupo non l'ha mai amato, anzi; i propri sentimenti non gli hanno comunque impedito di imparare ad impiccare gente, tutt'altro, e del resto non sarebbe potuto accadere il contrario perché Mastro Titta pretendeva la perfezione da sé stesso come dal proprio garzone, un po' impacciato e qualche volta combinaguai.
La narrazione è sempre molto vivace, ricca di particolari circa i vari episodi coinvolgenti tanto lui e il suo Maestro quanto i disgraziati appesi alla forca; si tratta di racconti che mettono in luce tutta la meschinità e la miseria presente nell'uomo, di qualsiasi estrazione sociale, religione, sesso: donne infuriate e divenute assassine dell'amato che le ha prese in giro, uomini presi dal dèmone della gelosia, che per questo hanno commesso omicidi; ladri e furfanti ossessionati dalla brama di danaro; poveracci che si son trovati in situazioni più grandi di loro, preti lascivi...
E mentre ci porta tra le strade di varie cittadine italiane e tra locande frequentate da uomini spesso col gomito alzato (garzone compreso, che alla fiaschetta non rinuncia mai), il narratore non manca di riflettere sul carattere di quest'uomo forte e solitario, guardato di volta in volta, dai paesani dei luoghi in cui giungeva, con cattiveria e disprezzo, e che per lui è stata la figura più vicina a un padre che abbia mai avuto.
Leggendo, ci facciamo non soltanto un'idea del Bugatti, di cosa era chiamato a fare per ottemperare ai propri doveri, del tipo di persone che si trovava a dover giustiziare, della folla spesso inferocita che puntualmente accorreva sotto al palco, pronta ad assistere al macabro spettacolo, ma dello stesso garzone, un giovanotto intelligente, acuto osservatore, rispettoso del proprio padrone, all'occorrenza coraggioso e di certo non indifferente alle variegate vicende umane con cui veniva ogni giorno a contatto.
Cosa deciderà di fare, con il passare degli anni, il garzone del boia? Si arrenderà al destino di essere anch'egli un esecutore di morte da parte dello Stato Pontificio, o la sua vita prenderà una piega lontana da tutto questo?
L'occasione per fuggire da quell'aura mortifera che lo avvolge da bambino, in compagnia di Mastro Titta, e che gli dà il tormento, potrebbe arrivargli in maniera inaspettata... Saprà coglierla?
"Il garzone del boia" è un romanzo storico scorrevole e interessante, a mio avviso, sia perchè al centro vi è un personaggio reale, per molti versi inquietante e sinistro, che qui ci viene restituito in modo molto "umano", grazie alla scelta dell'Autore di presentarci fatti accaduti davvero (che il boia appuntava con attenzione sul proprio taccuino) attraverso la "voce" di questo giovane assistente, impreparato e sorpreso di fronte a ciò che gli capitava di vedere, attraverso i cui occhi ci affacciamo ad una galleria di storie spesso incredibili, raccontate a volte con una vena d'ironia e altre con un pizzico di tristezza e malinconia; storie di uomini e donne travolti da emozioni impetuose e dalle più diverse circostanze che ne hanno fatto degli assassini.
Ringrazio l'autore, Simone Censi, per avermi dato modo di conoscere questo suo libro, la cui lettura vi consiglio, in special modo se vi piace il genere storico.
Il giovane assistente cresce insieme a quest'uomo duro ma in fondo buono, che lo inizia anche alla lettura e alla scrittura, così che il romanzo presenta una doppia stesura.
La prima è contraddistinta dal corsivo e dall'uso di un linguaggio spesso forte e colorito, in dialetto romanesco; la seconda scrittura è redatta quando oramai lo stesso è avanti con l’età, su consiglio del suo analista, che lo incoraggia a riprendere in mano questa storia per fuggire dai fantasmi che ancora lo perseguitano.
Sì perchè seguire il proprio padrone non è mai stata una passeggiata per il giovanotto, che questo mestiere sanguinario e cupo non l'ha mai amato, anzi; i propri sentimenti non gli hanno comunque impedito di imparare ad impiccare gente, tutt'altro, e del resto non sarebbe potuto accadere il contrario perché Mastro Titta pretendeva la perfezione da sé stesso come dal proprio garzone, un po' impacciato e qualche volta combinaguai.
La narrazione è sempre molto vivace, ricca di particolari circa i vari episodi coinvolgenti tanto lui e il suo Maestro quanto i disgraziati appesi alla forca; si tratta di racconti che mettono in luce tutta la meschinità e la miseria presente nell'uomo, di qualsiasi estrazione sociale, religione, sesso: donne infuriate e divenute assassine dell'amato che le ha prese in giro, uomini presi dal dèmone della gelosia, che per questo hanno commesso omicidi; ladri e furfanti ossessionati dalla brama di danaro; poveracci che si son trovati in situazioni più grandi di loro, preti lascivi...
"Per Mastro Titta invece era tutto quanto normale, niente sembrava riuscire a turbare la sua tranquillità, seduto in un angolo al lume di una candela tirava fuori il vecchio taccuino rivestito di pelle nera e con solerzia scriveva e scriveva."
Leggendo, ci facciamo non soltanto un'idea del Bugatti, di cosa era chiamato a fare per ottemperare ai propri doveri, del tipo di persone che si trovava a dover giustiziare, della folla spesso inferocita che puntualmente accorreva sotto al palco, pronta ad assistere al macabro spettacolo, ma dello stesso garzone, un giovanotto intelligente, acuto osservatore, rispettoso del proprio padrone, all'occorrenza coraggioso e di certo non indifferente alle variegate vicende umane con cui veniva ogni giorno a contatto.
Cosa deciderà di fare, con il passare degli anni, il garzone del boia? Si arrenderà al destino di essere anch'egli un esecutore di morte da parte dello Stato Pontificio, o la sua vita prenderà una piega lontana da tutto questo?
L'occasione per fuggire da quell'aura mortifera che lo avvolge da bambino, in compagnia di Mastro Titta, e che gli dà il tormento, potrebbe arrivargli in maniera inaspettata... Saprà coglierla?
"Il garzone del boia" è un romanzo storico scorrevole e interessante, a mio avviso, sia perchè al centro vi è un personaggio reale, per molti versi inquietante e sinistro, che qui ci viene restituito in modo molto "umano", grazie alla scelta dell'Autore di presentarci fatti accaduti davvero (che il boia appuntava con attenzione sul proprio taccuino) attraverso la "voce" di questo giovane assistente, impreparato e sorpreso di fronte a ciò che gli capitava di vedere, attraverso i cui occhi ci affacciamo ad una galleria di storie spesso incredibili, raccontate a volte con una vena d'ironia e altre con un pizzico di tristezza e malinconia; storie di uomini e donne travolti da emozioni impetuose e dalle più diverse circostanze che ne hanno fatto degli assassini.
Ringrazio l'autore, Simone Censi, per avermi dato modo di conoscere questo suo libro, la cui lettura vi consiglio, in special modo se vi piace il genere storico.