martedì 19 aprile 2022

RECENSIONE ** COME IL VENTO TRA I MANDORLI di Michelle Cohen Corasanti **



Il romanzo d'esordio della scrittrice ebrea americana Michelle Cohen Corasanti ci racconta, attraverso il punto di vista di un ragazzo palestinese nato e cresciuto in una terra devastata e sotto il controllo militare israeliano, una storia di amore ed amicizia, le vicissitudini di una famiglia che va incontro a molti dolori e perdite, e soprattutto la storia di un ragazzo che il lettore vede crescere e diventare un uomo di successo e che imparerà a sue spese quanto alto sia il prezzo dell'odio ma altresì quanto sia forte il potere dell'amore e del perdono.



COME IL VENTO TRA I MANDORLI 
di Michelle Cohen Corasanti 


Feltrinelli
trad. A. Pizzoli
377 pp
Una farfalla vola sotto il cielo di un piccolo paese della Palestina; siamo a metà degli anni cinquanta e la piccola e vivace Amal, che ha solo due anni, rincorre la farfalla sperando di acchiapparla.
Ma è troppo piccola per sapere o per leggere che c'è un cartello vicino casa sua, con la scritta "Vietato l'accesso", superato il quale inizia una zona piena di mine.
Sfuggita alle cure materne, Amal corre felice ma, sotto le urla disperate di Mama e del fratello maggiore Ichmad, il suo povero corpicino salta in aria, smembrandosi, allo scoppio di una mina.

L'incipit di questo romanzo è davvero carico di dolore e tristezza, ma anche di rabbia impotente: non è giusto - pensa Ichmad - che la sua sorellina sia morta a causa di questi israeliani che decidono quando e come possono uscire di casa, mettendo mine attorno alla casa, ordinando loro di restare dentro dopo una certa ora - pena l'arresto o peggio - e, addirittura, venendo con la violenza a cacciarli fuori dalla loro abitazione.

Non fanno in tempo a seppellire ciò che resta di Amal che la sua famiglia, infatti, viene costretta dall'esercito israeliano a trasferirsi in un misero fazzoletto di terra, rallegrato soltanto da una pianta di mandorlo, che diventa una sorta di "amico paziente e silenzioso" e anche un punto privilegiato da cui guardare ciò che accade agli altri, ai vicini di casa israeliani, che possono permettersi acqua pulita, strade nuove, l'elettricità... Diversamente da loro.

A dodici anni Ichmad è un piccolo genio della matematica; il suo idolo è  Albert Einstein, e il suo insegnante, il professor Mohammad, lo esorta con convinzione ed entusiasmo a continuare a studiare perché, col talento naturale che si ritrova, può puntare molto in alto.
Baba - il suo caro, saggio e mite papà - lo incoraggia anch'egli in questo senso: l'uomo sa cosa voglia dire non poter realizzare i propri sogni e desideri a causa di un contesto difficile e proibitivo, in cui bisogna fare scelte dure ma necessarie, come le sta facendo lui, costretto ad accettare di lavorare come muratore per costruttori ebrei; Baba vuole che i suoi figli non si accontentino di sopravvivere, ma che investano sulle proprie capacità per farsi strada nella vita, perché nel mondo c'è spazio anche per un palestinese e, se lo vorrà, Ichmad ne sarà la dimostrazione evidente.

Ma purtroppo il destino gioca un brutto scherzo al ragazzino e ai suoi cari, e la violenza e la paura tornano a sfondare la loro porta.
A causa di circostanze non previste e di una decisione obbligata e presa nell'innocenza dei suoi dodici anni, la polizia irrompe in casa Hamid e arresta Baba con l'accusa (ingiusta ma da cui è impossibile difendersi) di essere un terrorista.
Da quel momento la situazione precipita e vivere diventa ogni giorno più complicato: con il padre in prigione (sottoposto a costanti torture, percosse, umiliazioni), Ichmad diventa l'ometto di casa.
Casa...: si fa per dire, visto che i soldati israeliani danno fuoco alla loro casa (con un'ulteriore drammatica perdita per la famiglia Hamid) e Mama e i suoi figli son costretti a cercarsi un'altra sistemazione di fortuna; non solo, ma è necessario andare a lavorare per portare cibo a casa: assieme ad Ichmad ci sono fratelli e sorelle, tra cui il piccolo Abbas, molto legato al fratello maggiore.

Il ragazzo decide di farsi carico della famiglia e di andare a lavorare, con sommo dispiacere del professore Mohammad, che desidererebbe che il suo pupillo pensasse a studiare. Ma come si fa? Una soluzione va trovata e certo non possono morire di fame.

“Nella prosperità la scelta è difficile. Nelle avversità non si può scegliere”.


Trova lavoro in un cantiere, accanto a operai israeliani; benché troppo giovane, il testardo Abbas lo accompagna e i due vengono presi entrambi; anche al lavoro le angherie non mancano e, con esse, un'ennesima tragedia, che questa volta toccherà Abbas.

Non sarà facile per il povero Ichmad sfamare da solo la famiglia, col pensiero di quel povero ed innocente padre in prigione, che però, nonostante tutto, continua ad essere per lui un prezioso punto di riferimento, un porto sicuro cui tornare quando non sa che decisione prendere e quando ha bisogno di sentirsi incoraggiato,  sostenuto nelle proprie scelte (sostegno che non sempre trova nei fratelli e nella madre, i quali sono troppo amareggiati ed arrabbiati a motivo delle tante, troppe ingiustizie subite ogni giorno, per riuscire a provare, verso Israele, qualcosa di diverso dall'odio) e indirizzato verso il bene.

"Un uomo non è nessuno se non combatte per la propria famiglia. Promettimi che farai qualcosa della tua vita. Non farti risucchiare da questa lotta. Rendimi fiero di te, non lasciare che la mia prigionia ti rovini l’esistenza. Devi trovare il modo migliore per aiutare tua madre: non è in grado di cavarsela da sola. Adesso sei tu il capofamiglia.”

“Nella storia i conquistatori si sono sempre comportati allo stesso modo con i conquistati. Hanno bisogno di crederci inferiori per giustificare il modo in cui ci trattano: se solo si rendessero conto che siamo tutti uguali…”

"La gente odia perché ha paura di ciò che non conosce: se solo le persone avessero l’occasione di conoscere coloro che odiano, di trovare degli interessi comuni, potrebbero superare l’avversione.”


E mentre Abbas si lascia lacerare dall'odio e dal desiderio di vendetta verso i persecutori del proprio popolo, rifiutando qualsiasi rapporto di amicizia con qualunque ebreo, la vita offre a Ichmad una grande opportunità di riscatto da quella che sembra essere un'esistenza disgraziata ormai già scritta: partecipa ad un concorso di matematica per entrare all'università ebraica di Gerusalemme, lo vince lasciando tutti a bocca aperta per le sue abilità e da quel momento sembra avere inizio un nuovo, entusiasmante capitolo della sua esistenza di studioso e aspirante ricercatore.

Ma, ancora una volta, la strada è in salita perché anche in quell'ambiente colto serpeggiano pregiudizi e ostilità; in particolare, a detestarlo è il suo professore di Fisica, Menachem Sharon, che pare quasi irritato dall'acuta intelligenza di quello studente vestito molto modestamente e che proviene da un piccolo paese della Palestina.
Il disprezzo che ha per Ichmad è palese ma questo non ferma il giovane, che si sforza di non farsi sopraffare da sentimenti negativi, memore delle parole di Baba:

"...prima di giudicare una persona, prova a immaginare come ti sentiresti se anche tu avessi vissuto le stesse cose."

Molto intenso il passaggio in cui Ichmad e Sharon si confrontano, finalmente faccia a faccia e senza reticenze, su ciò che li divide, e il ragazzo prova a capire come mai quell'insegnante ebreo sembri odiare tanto i palestinesi.

Lo stesso professore non può continuare ad ignorare il grosso potenziale che costituisce quell'arabo dalla mente brillante, e il loro comune amore per la ricerca scientifica diventa il punto d'incontro tra due uomini avveduti, che - proprio grazie al confronto e lavorando fianco a fianco - si rendono conto che è possibile superare le diversità, i pregiudizi, e lavorare insieme per qualcosa di bello e di cotruttivo.

Meno semplice sarà farlo capire ad Abbas, che disapprova con foga il comportamento del fratello, giudicandolo un traditore che si allea col nemico, che tanto dolore ha portato e porta alla loro famiglia e al loro popolo.


“Se ci vendichiamo delle loro azioni, saremo come loro, ma se li perdoniamo, allora saremo migliori.” Di nuovo, citai Baba.
“Li odio.”
“Odiare è come autopunirsi."


E così, mentre la Storia fa il suo corso,la carriera di Ichmad, ormai adulto, decolla ed egli riesce a emigrare negli Stati Uniti nonostante l'opposizione della famiglia.
In America conosce una ragazza bellissima, Nora, un'attivista che si batte per i diritti umani, ha a cuore la causa palestinese ed è intenzionata a recarsi a Gaza. I due si innamorano ma il loro legame non viene visto di buon occhio né dalla famiglia di lui né da quella di lei, in quanto la ragazza è ebrea.

Tante cose accadranno ad Ichmad, che godrà del successo nell'ambito professionale, ma in quello privato andrà incontro anche al lutto e a perdite importanti e dolorose.
Tuttavia ogni difficoltà, piccola o grande, non farà che temprarlo e renderlo un uomo sempre più consapevole di cosa vuol fare nella vita e perché, tenendo sempre presente quali siano le proprie radici e la sofferenza della propria gente, davanti alla quale nessuno - né il singolo né la collettività - può e deve restare indifferente.

"Come il vento tra i mandorli" è la storia travolgente e indimenticabile di un giovane nato e cresciuto in un contesto che è totalmente contro di lui: non ci sono presupposti positivi da cui partire e che possano fare da trampolino per un'esistenza, se non di successo, quanto meno serena.
Le uniche sue risorse sono il suo innato talento per tutto ciò che ha a che fare con formule e numeri e - variabile imprescindibile - i saggi e lodevoli insegnamenti ricevuti dal padre, Baba, che non ha mai smesso di credere nelle capacità e nella lungimiranza del suo primogenito, e ha saputo insegnargli ad andare oltre la fosca coltre di violenza, sopraffazione, ostilità... di coloro che, a buon diritto, potevano essere additati come nemici da detestare e combattere.
Non è facile scrollarsi di dosso e da dentro i semi dell'odio e della rabbia, quando sin da piccoli l'aria che si è respirata è stata infettata e condizionata dai soprusi, dalla crudeltà, dalle privazioni dei propri diritti; Abbas ne è una dimostrazione e il lettore fa fatica ad addossargliene tutte le colpe perché, immedesimandosi in lui, viene da chiedersi: cosa proverei io verso l'occupante, se vivessi nelle medesime condizioni di Ichmad e degli altri palestinesi? Se vedessi morire, imprigionare, impedire un visto, le cure sanitarie, l'istruzione ecc... da coloro che mi hanno già sottratto casa, terre, beni...?

Viene istintivo e spontaneo nutrire un grande risentimento verso chi ti sta rendendo la vita impossibile; non farsi dominare da questo sentimento e scegliere di non farsi logorare dall'odio richiede davvero un grande lavoro su stessi ed è ciò che fa il protagonista.

Ichmad fa tesoro della saggezza paterna e, pur tra non pochi conflitti, sia interiori, sia con i famigliari - che non sempre condivideranno le sue scelte, nel corso degli anni -, saprà dare alla propria vita una direzione nobile, costruttiva, consapevole che ciascuno deve poter dare il proprio contributo per costruire "un mondo in cui ci si elevi al di sopra delle divisioni razziali e religiose, e di ogni altro motivo di discordia, per trovare un obiettivo più alto."

È un romanzo davvero molto bello, intenso, che ha come tematica di fondo la drammatica e logorante situazione presente nella terra di Palestina, cui l'autrice - che, vi rammento, è israeliana, e non è un particolare irrilevante, a mio avviso - dà voce attraverso la storia potente di Ichmad Hamid, il quale ricorda ai lettori che, per comprendere quello che è noto come "conflitto israelo-palestinese", vanno ascoltate entrambe le narrative e che la pace può divenire un obiettivo realizzabile solo se c'è giustizia, che si basa sulla verità e sull'ammissione che ai palestinesi va riconosciuto tutto ciò che hanno sofferto e soffrono.
Non si può essere liberi quando si opprime un altro popolo.


Il discorso finale, che Ichmad tiene in occasione di un evento fondamentale nella propria vita, commuove, spinge a molte riflessioni e ad aprire gli occhi su ciò che accade in questa striscia di terra, da troppi anni martoriata da scontri, bombe e violazioni di diritti: l’istruzione, dice il protagonista di questo libro, può costituire un'ancora di salvezza per offrire ai giovani palestinesi una via per elevarsi al di sopra delle circostanze in cui vivono:

“L’istruzione è un diritto fondamentale di ogni bambino. (...) Gaza è terreno fertile per futuri terroristi. Le loro speranze e i loro sogni sono stati mandati in frantumi. L’istruzione, ancora di salvezza per gli oppressi, è stata resa praticamente impossibile. Gli israeliani (...) non permettono l’ingresso di libri, materiale scolastico o da costruzione. Non possiamo vivere in pace quando altri sono immersi nella povertà e nell’iniquità."

Ne consiglio vivamente la lettura, la storia di Ichmad resta nel cuore per le vicende umane cui va incontro e che, pur essendo fittizie, appassionano ed emozionano per il loro essere realistiche ed ancorate al drammatico contesto di riferimento, inducendo il lettore ad interessarsi ad esso.

A tal proposito, vi consiglio di visitare il sito dedicato al romanzo, dove troverete diverse informazioni e spunti interessanti per approfondire l'argomento Israele/Palestina.
 
✤✤  THE ALMOND TREE  ✤✤



ALCUNE CITAZIONI

"Il professor Sharon si alzò. “Il vostro popolo ha una rivendicazione legittima su questa terra.” Alzai gli occhi e lo fissai a bocca aperta. “Non creda che io sia così stupido.” Andò alla finestra. “Non avevamo scelta. L’Olocausto è stata la prova che gli ebrei non potevano più esistere come una minoranza all’interno di altre nazioni. Avevamo bisogno di una patria nostra.”

"Non può esserci libertà senza lotta. È ora che gli israeliani capiscano: se ci mettono in gabbia, ne pagheranno il prezzo. Posso solo decidere come morire."

"Non permettere al senso di colpa di entrarti nel cuore, perché è una malattia, è come il cancro, e ti divorerà finché di te non resterà più niente"

"Il coraggio, capii, non era la mancanza di paura: era l’assenza di egoismo, era mettere il bene di qualcun altro prima del proprio."

“Avere successo non vuol dire non sbagliare mai, ma piuttosto rialzarsi dopo ogni caduta.”

"Nella vita, se si vuole fare qualcosa di grande, bisogna accettare di fare sacrifici, e di chiedergli anche a chi ci ama".

"...solo rischiando di fallire si può raggiungere la grandezza".

“Nella vita, il successo non si misura con il numero delle volte che abbiamo fallito, ma in base a come abbiamo reagito a tali fallimenti."

"Se resti neutrale in situazioni di ingiustizia, allora hai scelto la parte dell’oppressore” (Desmond Tutu). 

domenica 17 aprile 2022

EGLI NON È QUI. È RISORTO!




"...e se Cristo non è stato risuscitato, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati.Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini. Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti."

Prima lettera ai Corinzi 15:17, 19‭-‬20


I primi cristiani erano soliti salutarsi con la frase “Cristo è risorto”, alla quale l'altro avrebbe risposto: "È veramente risorto!".

Gesù Cristo è davvero risorto dalla tomba!

Il fatto che Gesù sia risorto significa che Egli è esattamente chi ha affermato di essere: il Figlio di Dio, che il Padre ha mandato nel mondo affinché potessimo avere il perdono. 

La resurrezione significa che 
    
        Dio ha accettato la morte di Gesù al nostro posto sulla croce. 
        
        Gesù è stato vittorioso sul peccato, sulla morte, sull'inferno e sulla tomba e poiché Gesù è vivo, abbiamo una grande speranza in Lui! 

La Bibbia dice: «Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha fatti rinascere a una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti» (1 Pietro 1:3). E quella speranza è «un'àncora dell'anima» (Ebrei 6:19).




❤❤ BUONA PASQUA ❤❤


sabato 16 aprile 2022

Due anni fa ci lasciava Luis Sepúlveda

 

Due anni fa, esattamente in questo giorno, ci lasciava uno scrittore (oltre che regista, sceneggiatore, poeta, attivista politico e giornalista) molto amato da adulti e bambini: Luis Sepúlveda.

  • Nato ad Ovalle, nel nord del Cile, il 4 ottobre 1949, cresce in una famiglia di matrice anarchica. Suo nonno, Gerardo Sepúlveda Tapia - conosciuto anche con il nome di battaglia "Ricardo Blanco"- era un anarchico andaluso che fuggì in America del Sud per evitare la condanna a morte che pendeva sulla sua testa.  
    ,

  • Trascorre l'infanzia nel quartiere proletario di Valparaiso, con il nonno paterno e uno zio, che gli trasmettono l'amore per i romanzi di avventura (Salgari, Conrad, Melville). La vocazione letteraria si manifesta presto e lo spinge a scrivere racconti e poesie per il giornalino d'istituto.
  • Ha soltanto 15 anni quando aderisce alla Gioventù comunista.
  • A 17 anni inizia a lavorare come redattore del quotidiano Clarìn e poi in radio. Nel 1969 vince il Premio Casa de las Americas per il suo primo libro di racconti, "Crònicas de Pedro Nadie".
  • All’inizio degli Anni 70 milita nell’Esercito di Liberazione Nazionale in Bolivia.
  • Torna in Cile e si iscrive al Partito Socialista, divenendo membro della guardia personale dell'allora presidente Salvador Allende. 
  • Intanto, conseguito il diploma di regista teatrale, continua a scrivere racconti e lavora ad allestimenti teatrali e alla radio.
  • In quanto fervente oppositore del regime di Augusto Pinochet, viene arrestato e torturato; trascorre sette mesi rinchiuso in una cella minuscola in cui era impossibile stare sdraiati o in piedi; viene rilasciato (in regime però di arresti domiciliari) in seguito alle pressioni esercitate da Amnesty International.
  • Ricomincia a fare teatro, sempre ispirato dalle proprie convinzioni politiche, cosa che gli costa un secondo arresto, ma anche in questo caso - grazie ad un'altra campagna a suo favore da parte dell'ong -, la condanna (28 anni di reclusione) è modificata in otto anni di esilio.
  • Nel 1977 lascia il Cile per andare in Svezia (il governo gli aveva concesso asilo politico) per insegnare letteratura spagnola ma, al primo scalo a Buenos Aires, fugge e viaggia per l'America Latina fondando compagnie teatrali in Ecuador, Perù e Colombia.
  • In Ecuador lavora come giornalista in un progetto sponsorizzato dall'UNESCO e vive per un anno con gli indigeni Shuar in Amazzonia; in Nicaragua combatte con i sandinisti nicaraguensi, che hanno poi rovesciato la dittatura allora in vigore.
  • Nel 1982 aderisce a Greenpeace quale membro dell'equipaggio su una delle navi dell’ong.
  • Ottenuto l'asilo politico in Germania, vive ad Amburgo per dieci anni, prima di trasferirsi in Francia.
  • Dal 1996 si trasferisce in Spagna, nelle Asturie con la moglie Carmen Yáñez, una poetessa che era stata torturata sotto Pinochet.
  • Nel febbraio 2020 contrae l'infezione da Covid-19 e muore nell'ospedale di Oviedo il 16 aprile 2020, a 71 anni.
Luis e Carmen
Inevitabilmente, molti dei suoi libri hanno tratto ispirazione dalla sua vita avventurosa e molto movimentata, a cominciare dal suo primo romanzo, "Il vecchio che leggeva romanzi d'amore"  (pubblicato in Italia nel 1993), in cui il protagonista (il vecchio Antonio José Bolívar) vive ai margini della foresta amazzonica ecuadoriana ed ha vissuto dentro la grande foresta, insieme agli indios shuar, come è successo a lui.

"Il mondo alla fine del mondo” (1994) si ispira agli anni trascorsi sulla nave di Greenpeace; il diario di viaggio “Patagonia express. Appunti dal sud del mondo” e la raccolta di racconti “La frontiera scomparsa” nascono dal ricordo della sua fuga, quando attraversò l'America del Sud. 

Ha scritto molti libri (anche) per bambini, tra cui il celeberrimo "Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare" (una gabbiana morente affida il proprio uovo al gatto di porto Zorba, che se ne prende cura e il pulcino diverrà una gabbianella a cui insegnerà a volare), "Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà" (ambientata tra i nativi americani, più precisamente nella tribù dei Mapuche), "Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa", in cui è centrale il tema della salvaguardia dell'ambiente.

Il suo ultimo romanzo pubblicato in Italia è “La fine della storia”, dove non mancano ancora riferimento autobiografici: il protagonista (Juan Belmonte), infatti, è un uomo che ha combattuto al fianco di Salvador Allende e ora vive tranquillo in una casa sul mare nell’estremo sud del Cile, insieme alla sua compagna Verónica, che non si è mai completamente ripresa dopo le torture subite all’epoca della dittatura. Il passato torna a fargli visita quando i servizi segreti russi, che lo conoscono in quanto esperto di guerra, hanno bisogno di lui. Sul fronte opposto c’è un gruppo di nostalgici di stirpe cosacca deciso a liberare dal carcere Miguel Krassnoff, ufficiale dell’esercito cileno durante la dittatura militare e, al momento, in carcere con l'accusa di aver perpetrato crimini contro l’umanità. 
E Belmonte ha un ottimo motivo per odiare «il cosacco», un motivo strettamente personale...


"La felicità è un diritto umano. Allo stesso modo in cui ho combattuto, più che per l'idea di libertà, per non dimenticare che sono un uomo libero: quando difendo il diritto alla felicità, lo faccio per non dimenticare che io sono stato e sono immensamente felice”.





Fonti consultate:

https://www.sapere.it/
https://www.comune.lecco.it/
https://www.theguardian.com/

giovedì 14 aprile 2022

📖 SEGNALAZIONI EDITORIALI (narrativa, noir, racconti) 📖.

 

Buongiorno, lettori.
Oggi desidero condividere con voi alcune novità editoriali.

Parto da un romanzo edito da Panesi Edizioni: "Nonostante tutto" di Francesca Lizzio (genere narrativa, 151 pagine, 2021).

Sinossi

Cristina è una ragazza segnata da un

passato ingombrante che ha cambiato la vita anche alle sue sorelle, Su ed Emma. Ora si ritrova a fare i conti con la fine di un amore e con le sue conseguenze.
Proprio quando ha il cuore a pezzi, la vita le riserva un imprevisto che la porterà a ripensare alle sue radici e al rapporto complicato con le sorelle.
Scoprirà così che soltanto ripercorrendo le ferite del passato potrà rinascere, libera dal peso di ciò che è stato.

Disponibile in formato e-book e cartaceo su tutti gli store online, oltre che ordinabile presso qualsiasi libreria e acquistabile sul sito della casa editrice che per ogni ordine ricevuto omaggia di un e-book a scelta da tutto il catalogo.

Link Amazon:  amazon.it/dp/ 8831449133
Link sito casa editrice: panesiedizioni.it/richiesta-libri/
Link kobo: www.kobo.com/it/it/search?query=francesca%20lizzio&fcsearchfield=Author
Link IBS :  www.ibs.it/ebook/autori/francesca-lizzio

Qui www.youtube.com/watch?v=-dEf0m-nwLQ è possibile ascoltare un brano tratto dal romanzo, letto da Sofia Ponente.

Biografia
Francesca Lizzio nasce a Catania il 22 Aprile del 1992. Fermamente convinta che il meglio di un libro si trovi tra le righe e che valga anche per le persone.
Data la sua passione per la biblioteconomia, l’archivistica e l’editoria, scrivere è stata una conseguenza naturale.
Nel 2015 ha aperto un blog, cuore di cactus, dove si racconta a lettori sparsi per tutta l’Italia.
Con Panesi Edizioni ha preso parte all’antologia Oltre i media – Raccontalo con un film o una canzone col racconto breve Giorni (2016), ha pubblicato il suo romanzo d’esordio Fiore di cactus (2017)e il romanzo Nonostante tutto (2021).
Bestsellerista, Onorificenza (2022).

Contatti
Blog: www.cuoredicactus.wordpress.com
Profilo Instagram: www.instagram.com/francesca.lizzio
Profilo Facebook: www.facebook.com/fra.cactus
Pagina Facebook: www.facebook.com/effe.cuoredicactus


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La seconda segnalazione è una raccolta di racconti / poesie / frasi / dialoghi / amore / romance, in cui è presente il racconto di Ilaria Vecchietti (blog Buona lettura),  "Sogno o realtà?", ispirato al prequel "Un capodanno da ricordare" di Diletta Nicastro, pubblicato nella raccolta "Le più belle frasi d'amore" (Editore: M&L, 0,99€).

Il racconto ha vinto al concorso "Le più

belle frasi d'amore" edizione X 2022, nella categoria fan fiction.

Sinossi

‘Le più belle frasi d’amore’ raccoglie le poesie e le opere vincitrici dell’omonimo concorso organizzato dal 2012 con cadenza annuale da ‘Il mondo di Mauro & Lisi’, la saga d’amore e d’avventura di Diletta Nicastro incentrata sul Patrimonio Unesco.
Il concorso è suddiviso nelle sezioni Amore Classico e Fan Fiction. La prima ha come fulcro centrale l’amore con la A maiuscola, verso il proprio innamorato, la vita, il creato o Dio. La seconda invita alla stesura di poesie o frasi d’amore con protagonisti i personaggi principali della saga, avendo la possibilità di utilizzare coppie già formatosi nel corso dei romanzi o di crearne di nuove tra due personaggi esistenti, ma non innamorati.

Le opere all’interno del libro portano la firma di Jessica Baldassarre, Alessandra Bassolino, Luisa Cagnassi, Alessandro Canfora, Piera Castrianni, Donatella Cerboni, Laxman Chapagain, Tommaso Coatti, Davide Rocco Colacrai, Patrizia Cromi, Antonio D’Auria, Tiziano Dall’Omo, Giulia De Gasperi, Mena Del Deo, Maria Di Bari, Francesca Di Giuseppe, Leonardo Donelli, Alessandra Ferlini, Francesca Ferri, Irma Kurti, Rocco Lanatà, Claudia Liberatore, Gianfranco Maiuri, Andreina Mexea, Rebecca N., Elisa Navarra, Francesca Opri, Denise Prencipe, Giuseppe Rossi, Massimo Rossi, Simona Sisca, Viola Tamburini, Ilaria Vecchietti, Arianna Venturino, Serena Vicidomini, Daniela Zagarola, Eva Zarpellon. Prefazione di Diletta Nicastro.

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“La magia del Natale“ e “12 anni 8 mesi 16 giorni“ sono due racconti anch'essi scritti da Ilaria Vecchietti e contenuti nella  raccolta: "In mille parole" ( Editore: self publishing Amazon, 117 pp, ebook: 2,99€) comprendenti 36 racconti di autori vari, e il cui ricavato è devoluto all’associazione Fondazione per leggere.

Un’antologia, una raccolta di racconti capace di accompagnare il lettore nell’arco di un intero anno, per tematiche ed emozioni che rispondono al mood del periodo. Caratteri che seguono le stagioni, i ricordi che ogni mese e ogni tema portano con sé.
Un’opera dunque per ridere, divertirsi, ma anche lasciar sfuggire una lacrima, sentire il cuore in pezzi, lo stomaco in subbuglio, per poi concludere la lettura con un sorriso.

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Termino con un noir Fratelli Frilli

Editori: I DIAVOLI DI BARGAGLI di Ippolito Edmondo Ferrario, che si svolge tra Milano, Genova,
Albissola, Bargagli e Framura.

Raoul Sforza, banchiere milanese, è un personaggio eccentrico e sprezzante, amante del lusso, dell’arte e della musica. Specializzato nell’ordire intrighi finanziari e nel ricattare uomini che ricoprono ruoli chiave nelle istituzioni dello Stato, Raoul conduce una vita lontano dai riflettori, dividendosi fra la sua antica dimora milanese che sorge nel cuore di Brera e l’amata Bonassola. La sua presenza non passerà inosservata quando sarà costretto, suo malgrado, a far luce su una lunga scia di misteriosi omicidi che dal 1945 insanguina Bargagli, borgo dell’alta Val Bisagno, nell’entroterra genovese. Aiutato da Diego Casazza, spiantato giornalista di cronaca locale, Sforza affronterà la cosiddetta vicenda del “mostro di Bargagli” che per decenni ha terrorizzato un’intera comunità. 

Forte di un innato cinismo, indifferente ad ogni tipo di morale, il “banchiere nero” sarà in grado di far emergere, dopo più di cinquant’anni di omertà e di silenzi, verità inconfessabili.

L'autore.
Ippolito Edmondo Ferrario, classe 1976, è uno scrittore milanese. Si è occupato dello studio e della divulgazione della Milano sotterranea attraverso numerosi saggi. Ha scritto libri sull’epopea dei mercenari italiani nelle guerre post-coloniali e biografie inerenti agli anni di piombo. Ha pubblicato per Ugo Mursia Editore, Castelvecchi Editore, Newton Compton Editori, Ritter e Ferrogallico. Con Il banchiere di Milano (Fratelli Frilli Editori, 2021) ha dato vita al personaggio del “banchiere nero” Raoul Sforza, protagonista di una serie di romanzi. Per Fratelli Frilli Editori ha scritto: La Gorgone di Milano (a quattro mani con Gianluca Padovan) e Ultimo tango a Milano.



lunedì 11 aprile 2022

[[ RECENSIONE ]] ** E POI SAREMO SALVI di Alessandra Carati **

 

Sincero e commovente, il romanzo di Alessandra Carati narra la tragedia di un popolo, di una famiglia e dei suoi singoli membri, e lo fa attraverso gli occhi - smarriti, sgomenti, speranzosi, a volte arrabbiati altre impauriti, e troppo spesso pieni di sofferenza - di una bambina di sei anni, costretta a lasciare la propria casa, la propria gente, il proprio villaggio, per evitare la morte (e, prima di essa, tutto il carico disumano di torture e soprusi da parte del nemico) e per cercare di mettersi in salvo in un paese straniero, dove provare a ricominciare daccapo.
Ma anche se è possibile lasciarsi alle spalle macerie e catastrofi, certe rovine te le porti dietro per sempre, ti segnano, creano voragini, divisioni, silenzi, risentimenti, fratture non facilmente sanabili, strappi che, per essere ricuciti, spesso richiedono un prezzo alto: altro dolore e altre lacrime.



E POI SAREMO SALVI
di Alessandra Carati

Mondadori
276 pp
La piccola Aida vive con la propria famiglia (papà e mamma, che è incinta) in un piccolo villaggio bosniaco; una vita semplice, una casa modesta non lontana dal bosco, da dove si vedono distese di frutteti che si arrampicano sulla montagna. 
Oltre quei confini non c’era nessun altro mondo dove avrebbe potuto e desiderato vivere.

Ma un triste presagio spezza la tranquillità della vita al villaggio:
"«Ci sarà la guerra e ce ne andremo tutti». 
Non sapevamo che cosa fosse la guerra, per noi era una parola sussurrata che aveva il potere di rendere gli adulti insicuri e cattivi."

Aida non ci crede e si affida alle parole, seppur poco convincenti, di sua madre, che le dice che no, non arriverà mai la guerra da loro.

Ma gli adulti possono sbagliarsi e Aida farà i conti con questa verità infinite volte, da quel momento in poi.

È l'aprile del 1992 e non è più possibile restare in Bosnia, bisogna scappare prima che arrivino i soldati, portando il terrore, gli spari, la morte.

Suo padre Damir provvede alla fuga della moglie Fatima e della piccola Aida; dopo giorni e notti difficili e di paura, arrivano a Milano e là per loro inizia un nuovo capitolo dell'esistenza. 

Nella casa in cui vengono fatti alloggiare ci sono altre famiglie che, come loro, son fuggite dalla guerra prima che fosse troppo tardi; ci sono pure zio Tarik, zia Mejra e il cugino Samir.

Integrarsi non è facile, non solo perché ci si trova in una città straniera, dove si parla una lingua sconosciuta e dove la vita ha ritmi e abitudini differenti, ma ancor più perché la guerra, con tutte le sue atrocità, continua e nel villaggio ci sono ancora parenti (come i nonni, che non vogliono lasciare la propria casa) ed amici, le notizie che arrivano per telefono sono drammatiche, preoccupano babo e mamma, il cui pensiero è sempre là, dove hanno lasciato gli affetti e dove continuano a desiderare di tornare, a guerra finita.

Intanto, nasce il fratellino, Ibro, ma neppure il suo arrivo riesce a rimettere in ordine le cose: il padre è sempre sfuggente, irritato, silenzioso, non accetta che gli si risponda e ci si ribelli ai suoi ordini; la madre è chiusa in sé stessa, è depressa, infelice, nervosa. 
Da loro Aida raramente riesce ad avere un gesto affettuoso, una parola rassicurante, un abbraccio consolante; mentre pian piano quel fratellino diventa amatissimo e, con la sua vivacità incontenibile, conquista tutti, la ragazzina cresce, matura, e se è vero che diventare grandi è difficile per chiunque e ovunque, per una bambina sradicata bruscamente dal proprio contesto e inserita in un altro - in cui si sente un'estranea, sola, smarrita - lo è ancora di più.

A dare una notevole mano (sotto diversi punti di vista, anche economico) alla famiglia di Aida è una coppia di coniugi senza figli, Emilia e Franco, i quali si affezionano da subito a Fatima e ai bambini, in particolare ad Aida; Emilia, infatti, è molto materna nei suoi confronti, la invita a casa sua, cerca di riempirla di attenzioni ed è felice di occuparsi di lei, di aiutarla nei compiti, di regalarle ciò di cui ha bisogno.
Questo genera inevitabilmente malumori e gelosia nei genitori della bambina, che vedono queste cure amorevoli come un subdolo tentativo di "prendersi" Aida, allontanandola da loro.
La ragazzina percepisce questi sentimenti e lei stessa si sente confusa: da una parte desidera che Emilia le dia quelle attenzioni e quell'affetto che sua madre è, per carattere, restia ad elargire e dimostrare - una freddezza, questa, che l'ha sempre fatta soffrire, facendole provare emozioni contrastanti verso la mamma: amore e desiderio viscerale di essere amata e considerata, ma anche risentimento nel constatare come questo non avvenisse -, dall'altra una sorta di diffidenza (Emilia le vuol bene perché è lei  o semplicemente perché vede in Aida la figlia che non ha mai avuto?) mista alla paura di dare un dispiacere ai genitori, che potrebbero sentirsi messi da parte e rimpiazzati da questi due italiani forse un tantino invadenti, che in cambio dell'aiuto poi vogliono prendersi la figlia.

Diventa un'adolescente, Aida, si invaghisce di un compagno, e intanto studia, a scuola è brava e si applica con impegno; ogni tanto i suoi sentono l'urgenza di ritornare nel loro piccolo paese in Bosnia, ma ogni volta che torna a Milano, Aida riprende con slancio la vita alla quale ormai si è abituata; a volte riprende ad andare con più frequenza a casa di Emilia (Mimì), allontanandosi da mamma e papà, e anche un po' dall'amato Ibro.

"Sentivo di essere separata e la separazione scavava piano, in silenzio, una cavità e in quella cavità cresceva un’altra me, piccola, cieca, senza pelle. Ma crescere era doloroso, separarsi era doloroso." 
Il racconto in prima persona di Aida travolge il lettore e lo fa sentire parte delle vicende narrate, facendogli percepire in modo intenso le emozioni della giovane protagonista: le sue paure nello scappare con la madre in stato avanzato di gravidanza; il senso di spaesamento una volta giunta in Italia; i sentimenti contraddittori verso quel villaggio in cui è nata e ha vissuto per sei anni, a cui appartiene per famiglia, cultura, tradizioni, per la presenza dei parenti (tanto i vivi quanto i morti), ma dal quale, allo stesso tempo, prende le distanze perché la vita va avanti e lei ha bisogno di ricostruirne una nuova lontano dalle macerie della vecchia.

" Mi sono chiesta come si possa sopravvivere alla propria vita."
"Tutta la nostra vita era divisa tra un prima e un dopo, a dispetto dell’età che potevamo avere, vent’anni, quindici o ottanta. La vita prima della guerra era una dimensione parallela, a volte mi domandavo se fosse davvero esistita."

Eppure, se Aida riesce a guardare avanti a sé e a porsi degli obiettivi, per i suoi cari non è così; è come se i suoi genitori non riuscissero ad integrarsi, anzi... non lo vogliono davvero, perché convinti di essere solo di passaggio in Italia: la loro casa nel paesino da cui vengono ancora li aspetta e il sogno di tornarvi non li abbandona, perché le loro radici sono lì, in quella loro terra così profonda e difficile da decifrare.

E Ibro?
Lui è sempre il solito ragazzo pieno di energie, di vitalità..., ma è quel tipo di vitalità eccessiva, quasi anomala; verso di lui Aida prova molti sensi di colpa, soprattutto quando si rende conto di stare vivendo la propria vita lontana dal fratello, che sicuramente sente la sua mancanza e forse ce l'ha anche un po' su con la sorella per questo.

Il caro, inafferrabile e tormentato Ibro - «kuća moja mila»  mia casa adorata,  «Oči moji mili» occhi miei adorati: a un certo punto, quando ormai è un giovanotto, qualcosa in lui comincia a non andare, a rompersi sotto gli occhi sgomenti e impreparati dei genitori, stanchi e confusi, e anche per Aida, che continua a studiare per diventare medico anestesista.

Il ragazzo manifesta comportamenti strani, bizzarri, sregolati; in special modo ad eccedere sono la sua irrequietezza, il senso opprimente di dover fare qualcosa - qualunque cosa! - per dare un senso alle proprie giornate (non lavora, non studia, ciondola per casa senza uno scopo o un interesse in cui investire sogni e capacità), e poi la sua aggressività, che si riversa su chi gli è vicino (babo e mamma), sia a livello verbale che fisico: cosa vogliono dire questi modi di fare? Sono forse segnali di un malessere specifico e che va assolutamente curato?

La malattia, che irrompe con violenza nei loro già (e da sempre) fragili rapporti famigliari, scardina tutto, ogni piccola certezza, mette in luce crepe, divisioni, rancori, cose non dette, un'infelicità che è sempre stata lì, sulle loro spalle, come un fardello di cui è diventato troppo difficile liberarsi.

I problemi di Ibro finiscono necessariamente per dividere e, a un tempo, riunire, come spesso succede quando in famiglia sopraggiungono problemi gravi: "Il suo disturbo era la faglia delle nostre vite divise tra un qui e un là."

Aida è presente per amore del fratello minore, che ha bisogno di lei, ma anche per quei genitori, da sempre irraggiungibili, incapaci di comunicare pure tra loro, amati con rabbia, una rabbia così pura da provocarle dolore.

Sullo sfondo di una guerra da cui ci si allontana per sopravvivere, Alessandra Carati ci racconta la storia di una ragazza e della sua famiglia lacerata dentro e fuori dalla paura delle atrocità che avrebbero potuto subire (e di cui sentono parlare da chi le ha viste da vicino) nel loro paese, che continuano ad amare e il cui pensiero resta fisso nel cuore e nella mente, accompagnato dalla malinconia di chi non si arrende a vivere e morire in terra straniera.
È la storia di come la guerra renda orfani, se non necessariamente in senso materiale, sicuramente in quello "spirituale", morale: non se ne esce indenni, mai, e l'incertezza del proprio futuro segue passo passo, come un segugio fedele, chi fugge.

È la storia di un padre che non sa esprimere il proprio amore per i figli in maniera adeguata, ma che per loro darebbe la vita; di una madre che dentro soffre, si strugge e fuori è dura e inarrivabile come una fortezza inespugnabile ma, se riuscisse a parlare senza freni, confesserebbe le proprie paure, le lacrime e i sospiri di chi è disposto a sacrificarsi per coloro che ama, con la segreta speranza di salvarlo da quel dolore che tormenta lei.

È la storia di una bambina che, diventando donna, non smette di essere costantemente alla ricerca di un po' di pace, di un posto in cui sentirsi a casa e in cui ritrovare l'amore dei propri cari, quell'amore in cui è custodito il dolce segreto della sua infanzia e che forse, per emergere in tutta la sua bellezza e purezza, ha bisogno di un'esplosione, di una supernova da cui nascano altre stelle.

Un romanzo di formazione davvero molto bello, struggente, che tocca profondamente il lettore sia per la sua giovanissima protagonista - che vediamo crescere tenera e forte insieme, pur tra le tante difficoltà e i conflitti famigliari -, sia per la storia intensa, drammatica, terribilmente attuale in questo periodo. 

sabato 9 aprile 2022

Una volta sola non mi è bastata...

 

Qualche sera fa ho guardato su Rai Movie un film che mi piace moltissimo e che non mi stanco mai di riguardare: IL MOMENTO DI UCCIDERE (1996), diretto da Joel Schumacher, con protagonisti Sandra Bullock, Matthew McConaughey, Samuel L. Jackson, e tratto dall'omonimo legal thriller di Grisham.




Guardandolo, ripensavo al fatto che ci sono diversi film, libri, poesie ecc..., ai quali mi sono avvicinata più di una volta in passato ed ancora oggi continuano a non stancarmi perché ogni volta è (ed è stato) un po' come tornare a qualcosa di familiare, una sorta di "comfort zone" a cui mi piace (oggi come ieri) ritornare, sicura di ritrovare e riprovare le emozioni della prima volta.

Mi raccomando, fatemi sapere se avete anche voi film o libri o altro che non vi stancate mai di rivedere/leggere ^_-

Ecco, per quanto concerne i FILM, oltre a quello già citato (di cui mi attira la tematica della discriminazione razziale nei confronti dei neri; inoltre mi commuove sempre la arringa finale dell'avvocato della difesa, Brigance), ce ne sono ovviamente degli altri.

- TITANIC: davvero, non riesco a non guardarlo nonostante poi in casa tutti si lamentino con frasi del tipo "Ancora??? Ma basta, lo sai già come finisce e Jack muore, punto!", con tanto di smorfie e occhi al cielo.
Oh e che ci posso fare? Non solo me lo guardo, ma quando inizia tutta la concitazione post-iceberg, mi sale pure l'ansia come se non l'avessi mai visto prima.




- SCHINDLER'S LIST: eh sì, l'ho visto davvero taaaante volte ma, quando mi capita, lo rivedo e mi si attorciglia lo stomaco sempre. Quando si giunge alla scena finale dell'anello, che gli ebrei della lista regalano al loro herr Direktor, il groppo in gola è assicurato.

- TRILOGIA "RITORNO AL FUTURO": questa credo di averla detta un sacco di volte! È un'istituzione a casa dei miei rivedere con mio fratello e mio marito - almeno una volta all'anno - i tre film su Marty McFly in giro tra il 1885 e il 2015 sulla DeLorean; il divertimento sta più che altro nell'anticipare ogni battuta :-D




E poi ce ne sono davvero tanti altri, tipo La custode di mia sorella, Mine vaganti, i film di Checco Zalone, Il miglio verde, I Dieci comandamenti, Il colore viola, Ghost, Via col vento, Top Gun, Le ali della libertà, Stand by me-Ricordo di un'estate, Pretty woman... e potrei stare qui ancora un altro po' ad allungare la lista: tutti film visti e stravisti e che di certo rivedrò alla prima occasione, già lo so.

Poi ci sono anche quei film che, se dipendesse da me, non necessariamente rivedrei - né avrei scelto di  rivedere più volte in passato -, ma poiché esistono anche altri esseri umani dentro casa (ciascuno con i medesimi diritti), e beh... succede di dover assecondare le fisse altrui: questo vale per pellicole come Cast away, Sister Act, The day after tomorrow.


Circa i LIBRI, sono anni che difficilmente mi dò alle riletture; però in passato, ho avuto le mie manie per alcuni libri in particolare e non li ho letti due-tre volte (ehm... alcuni anche di più): IL DIARIO DI ANNA FRANK, JANE EYRE, CIME TEMPESTOSE sono in assoluto quelli che ho consumato di più, e poi LE AVVENTURE DI TOM SAWYER, ROSSELLA di Alexandra Ripley (il seguito di "Via col vento") e IL GIGLIO E IL LEOPARDO di Susan Wiggs.


Anche le POESIE rientrano in questa amata e confortante ripetitività; sono tanti i poeti che amo e di cui mi piace rileggere poco e spesso alcune liriche/sonetti, ma per brevità vi trascrivo le mie preferite.


MESE PER MESE, ANNO DOPO ANNO
(Emily Brontë)

Mese per mese, anno dopo anno,
la mia arpa ha versato un canto triste;
ora una nota vivace la rallegra
e il piacere intona le sue corde.

Che importa se le stelle e il bel chiaro di luna
si estinguono nel grigio mattino?
sono soltanto emblemi della notte,
e questo, anima mia, è il giorno.



HO SCESO, DANDOTI IL BRACCIO...
(Eugenio Montale)

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue


A SILVIA
(Giacomo Leopardi)


Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all'opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,

E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?

Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d'amore

Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.


L'INFINITO
(Giacomo Leopardi)

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.

mercoledì 6 aprile 2022

RECENSIONE ★★ LA STRANIERA di Diana Gabaldon ★★ (Outlander #1)



La gente scompare di continuo; e se è vero che non tutti gli scomparsi tornano a casa (e non tutti vivi), è altrettanto vero che solitamente dietro le sparizioni ci sono comunque delle motivazioni, più o meno note.
La protagonista di questa saga sparisce senza una ragione, in un giorno come un altro, mentre è nei pressi di un sito storico composto da un cerchio di pietre.
Da quel momento la sua vita prenderà strade inattese ed impensabili e si ritroverà nella Scozia di duecento anni prima.


 LA STRANIERA 
di Diana Gabaldon


Tea Ed.
trad. V. Galassi
840 pp

«Sono state quelle rocce... la collina incantata. Le pietre giganti, le pietre di mago Merlino. È da lì che sono venuta.» Respiravo affannosamente, quasi singhiozzando, sempre più incapace di esprimermi a ogni secondo che passava. «C’era una volta, ma in realtà sono duecento anni. Sono sempre duecento anni, nelle storie... Ma, nelle storie, le persone tornano indietro. Io invece non sono potuta tornare.»

Nel 1945, ad Inverness *, Claire Beauchamp Randall sta vivendo una sorta di luna di miele con il marito; la guerra è finita da poco e la coppia spera di potersi finalmente ritrovare (in tutti i sensi) dopo essere stati separati per sei anni a causa del conflitto: Claire, infatti, è stata impegnata al fronte come infermiera e suo marito, Frank Randall, ha lavorato come spia nei servizi segreti britannici.
I due non hanno figli e, chissà!, magari questi giorni tutti per loro, trascorsi nella bella città scozzese piena di storia e cultura, potrebbero portare finalmente "il frutto" tanto sperato e atteso.

Frank è un intellettuale e un accademico, esperto di Storia, e non fa che entusiasmarsi parlando di argomenti a carattere storico; in particolare, è affascinato dagli alberi genealogici, dal proprio soprattutto, studiando il quale - e confrontandosi in vivaci conversazioni con un amico, il reverendo Wakefield - apprende di essere il discendente di Jonathan "Black Jack" Randall, un famoso ufficiale inglese, vissuto nel diciottesimo secolo, attorno al quale ci sono testimonianze non proprio lusinghiere e che, anzi, lo dipingono come un individuo crudele e molto temuto proprio per la mancanza di umana pietà.

Claire e Frank stanno trascorrendo, quindi, un tempo di serenità e pace, passeggiando e godendo dei bellissimi paesaggi delle Highlands, dei siti più antichi sulle cui storie e leggende lui rende edotta lei, assistendo ad un affascinante rito pagano presso le pietre di Craigh Na Dun, ascoltando - con una sensazione di turbamento mista a divertimento - la sibillina lettura della mano da parte di Mrs Graham (la simpatica governante di Mr Wakefield), lasciandosi andare a momenti di intimità e passione nell'accogliente camera della pensione di Mrs Baird e raccogliendo erbe officinali (Claire ne è appassionata) presso il già citato cerchio di pietre.

Sarà la sua ultima azione in questo tempo, visto che le basterà toccare, senza troppi pensieri, i massi, per sentirli urlare, provare sensazioni di smarrimento mai provate prima, svenire e risvegliarsi... nello stesso posto.
Ma in un anno differente.

Le pietre di Craigh Na Dun si rivelano essere una sorta di portale magico che permette a Claire di "viaggiare nel tempo".
Rumori di zoccoli di cavalli al galoppo, esaltati e feroci guerrieri scozzesi in kilt, soldati delle Giubbe Rosse: ma che sta succedendo attorno a lei? Il mondo è impazzito? È finita accidentalmente su un set cinematografico?? Lo sgomento inizialmente fa da padrone e di certo nessuna persona dotata di buon senso e razionalità crederebbe mai di essere stata trasportata (come? da chi??) in un'altra epoca.

Ma proprio in quanto intelligente e assennata, Claire deve, suo malgrado, accettare ciò che alla ragione sembra assurdo; non sa come sia possibile, ma è proprio come teme: quelli attorno a lei non sono attori che recitano in costume, ma soldati inglesi e highlanders in carne ed ossa... e tutti fanno sul serio!
Il primo incontro con queste persone di un tempo lontanissimo dal suo, è nientemeno che con un soldato somigliante in maniera impressionante a Frank, tanto che Claire lo scambia per lui.
Ma la realtà è che il marito è rimasto dall'altra parte e quell'uomo arrogante e pericoloso altri non è che il capitano Jonathan Randall, l'antenato di Frank!

Da quel primo e per nulla lieto incontro, la situazione si fa sempre più avventurosa: dopo essere stata "rapita" (e salvata) da un tipo tozzo, musone e taciturno che è evidentemente uno scozzese in fuga dagli inglesi, la donna conosce il capo di una combriccola che la prende "in custodia": Dougal MacKenzie, il quale prende con sé e i propri uomini l'inglese Claire, convinto che si tratti di una spia al soldo degli inglesi; così la donna si ritrova a viaggiare in groppa ad un cavallo assieme a questi uomini ruvidi e privi di maniere gentili.
Fa eccezione il giovanissimo guerriero dai capelli rossi, Jamie, l'unico a relazionarsi con Claire - che lui chiama da subito, e con un tono simpatico, Sassenach - amichevolmente e ben presto tra i due si instaura un legame d'amicizia, complicità, comprensione che imbarazza lui e comincia via via a turbare anche lei.

Per una serie di motivi - legati in particolare alla malvagità e alla perfidia di Black Jack Randall, che dà la caccia a Jamie e, in un certo senso, anche a Claire, seppure per ragioni diverse - quest'ultima è "costretta" a sposare il bel Jamie, cosa che la fa sentire in colpa, anzitutto perché le sembra di tradire Frank, anche se, tecnicamente, in quell'epoca (siamo nel 1743) lui non è ancora nato, e poi perché comunque non è innamorata di quell'uomo, col quale si ritrova a condividere anche l'intimità.


"Tu sei Sangue del mio Sangue, 
e Ossa delle mie Ossa. 
Ti dono il mio Corpo, 
così saremo una sola Cosa. 
Ti dono il mio Spirito,
finché l’Anima nostra non sarà resa."


Non sarà facile tenere a bada i moti del cuore traditore e tra i due sposi il legame si farà sempre più 
source
Craigh na dun

profondo ed intimo, anche se la ragione impone alla "viaggiatrice" di non affezionarsi a nessuna persona di quest'epoca perché ella non appartiene a questo mondo, viene dal futuro e là spera di tornare, possibilmente fuggendo a Craigh Na Dun e tentando di rifare l'esperienza, ma al contrario.

Jamie (che appartiene al clan Fraser ed è proprietario di una tenuta, Lallybroch, in cui spera di tornare) si rende conto che lei non gli ha detto tutto del proprio passato, al contrario di ciò che ha fatto lui che, col passare del tempo, sente il bisogno di parlare di sé, della famiglia, delle sofferenze subite a causa delle Giubbe Rosse e di Randall in particolare, che ha per il bello ed aiutante Jamie Fraser una vera e propria ossessione morbosa e pericolosa.

«Ci sono cose che io non posso dire a te, almeno non ancora. E non insisterò affinché tu mi riveli i tuoi segreti. Però ti chiedo questo: quando mi dici qualcosa, fa’ che sia la verità. E io ti prometto di fare lo stesso. Tra noi per ora non c’è nulla, tranne... il rispetto, forse. E penso che nel rispetto possa esserci spazio per i segreti, ma non per le bugie. Sei d’accordo?»


Ma come fa Claire a confessare di essere nata nel millenovecentodiciotto? Di provenire da un tempo diverso, lontano e successivo di ben duecento anni? 
Se lo raccontasse, nessuno le crederebbe, anzi, probabilmente la prenderebbero per matta, Jamie compreso!

Forse arriverà il momento di confessarglielo, ma fin quando può, Claire va avanti vivendo questa vita nella Scozia settecentesca come se fosse un viaggio temporaneo.
Certo, non è proprio una passeggiata di salute, visto che di peripezie ne vivrà davvero tantissime, alcune eccitanti altre decisamente rischiose: superstizioni e credenze popolari che rendono le persone semplici sospettose verso chiunque non le condivida e, al contrario, le vìoli (cosa che a Claire capiterà di fare più di una volta); accuse di stregonerie, esecuzioni sommarie ed ingiuste, intrighi, tradimenti, aggressioni...

Insomma, la Scozia di due secoli prima aveva più contro che pro, per non parlare di aspetti pratici come l'igiene, l'accesso a cure e medicinali, la rozzezza nei modi di fare degli uomini verso le donne, e tanto altro.
Tutti aspetti che farebbero desiderare a Claire di lasciare tutto e andarsene, mandando al diavolo quegli spietati degli inglesi e quegli zoticoni degli scozzesi..., ma c'è qualcosa a trattenerla.
O meglio, qualcuno.

"Non devi aver paura di me", mormorò a bassa voce. "Né di nessun altro, finché ci sono io con te",

le ripete Jamie, che da subito, e ancor più col passare del tempo e con l'evoluzione del loro rapporto, sarà protettivo verso la sua "ragazza", la sua forte e testarda Sassenach, prendendosi cura di lei, essendo disposto a buttarsi nel fuoco o a farsi frustare pur di soccorrerla e proteggerla.

Perchè Claire è sua, gli appartiene, e lui appartiene a lei.

«Oh, aye, Sassenach (...) Sono il tuo padrone... e tu sei mia. 
A quanto pare, però, non posso possedere la tua anima senza perdere la mia.»


Anche Claire Randall Fraser sente di appartenere a Jamie Fraser? Che ne è del suo amore per Frank, che è dall'altra parte e, probabilmente, è in pena per lei, non avendo più avuto sue notizie?
Deciderà alla fine di tornare indietro, nella propria epoca, agli agi e alle comodità cui è abituata?




Io mi fermo qui perché non avrebbe molto senso dirvi altro sulla trama, in quanto stiamo parlando di un tomo di più di 800 pagine e, chiaramente, di cose ne accadono e tantissime, e tutte elettrizzanti e appassionanti.

Sapevo che recensire questo libro per me sarebbe stato complicato e che non ne sarei stata soddisfatta - qualunque cosa avessi scritto e in qualunque modo avessi impostato la recensione -, ma non potevo esimermi dal farlo.
Posso solo dire: L'HO AMATO. 
Tutto, dal primo rigo all'ultimo.

Avendo visto le cinque stagioni della serie tv, leggendo rivedevo i volti di Claire, Jamie e tutti gli altri indimenticabili personaggi (tanto gli amici quanto i nemici, come il capitano Randall, uno dei personaggi letterari più odiosi che abbia conosciuto ma, proprio per questo, meglio riusciti!), mi sembrava di rivedere ogni scena ed ogni luogo.

Castle Leoch
 ***



Il castello di Leoch, il "regno" del laird Colum MacKenzie, il signore indiscusso e il capo del proprio clan, che nei confronti di Claire sarà sempre gentile ma... con riserva e sempre con quel guizzo di furbizia nello sguardo, proprio di chi non si fida della bella straniera inglese.

La bellezza selvaggia delle Highlands, una distesa verde immensa, davanti alla quale ci si sente piccoli piccoli.

Lallybroch, la casa per antonomasia, là dove Jamie è sé stesso perchè vi è nato, ci 

Lallybroch ****
sono i suoi affetti ed è il padrone; il periodo in questa tenuta di famiglia è stato forse quello più sereno, quasi bucolico, idilliaco. Ma si sa, la vita di un  Fraser non è fatta per la pace!

La maledetta prigione di Wentworth: il luogo dell'inferno, del dolore, del tentativo becero e disumano di fiaccare e umiliare il corpo e l'anima di un uomo.

          L'abbazia di Ste.Anne de Beaupré: il luogo della rinascita, del riscatto, del ritorno alla vita.


Mi si potrebbe legittimamente obiettare che c'è poco gusto a leggere una storia praticamente già nota **, e invece... niente affatto!!

È stato come rivedere amici ai quali mie ero enormemente affezionata; 840 pagine di puro godimento letterario: ecco cosa è stato per me La straniera.
Mi sono commossa, innervosita, divertita (l'ironia abbonda, a partire da Claire, che sin dalle primissime pagine si presenta come una donna arguta, intelligente, pungente), entusiasmata nell'immedesimarmi in ogni piccola o grande avventura vissuta dai personaggi; mi sono appassionata all'amore tra i due protagonisti, che regala davvero tante emozioni.

Tutto è perfetto (eh lo so, penserete che esagero, ma è quel che penso *___*): le parti dialogiche (così vivaci, realistiche, dinamiche, coinvolgenti) e quelle narrative (con il loro ritmo bello cadenzato), le sequenze descrittive (che mi consentivano di immaginare ogni particolare del contesto, umano ed ambientale) e quelle più riflessive, in cui Claire (che di suo non è molto espansiva circa l'espressione verbale dei propri sentimenti; in questo Jamie è più spontaneo, aperto, "puro") ci fa entrare nel proprio cuore e nella propria testolina.

Ho amato il periodo storico, così complesso, difficile e purtroppo contrassegnato da violenze, ingiustizie, barbarie, (gli scozzesi dovevano combattere quotidianamente contro i soprusi degli inglesi, e quando finivano nelle loro mani, se la vedevano davvero brutta), da credenze popolari che oggi giudicheremmo sciocche e selvagge; affascinanti la Scozia (ti vien voglia di andare a cercare i luoghi menzionati) e il gaelico, che in bocca a Jamie è tenero, dolce, intimo.

I personaggi escono dalle pagine per come sono assolutamente ben caratterizzati, anche quelli secondari, e sia fisicamente che caratterialmente.

Ce l'avete fatta ad arrivare fin qui? Grazie, coraggiosissimi! ^_^

Lo so, sono stata prolissa, ma sto ancora nel 1743 ad Inverness.
E non credo aspetterò molto prima di tornarci *_*

Se amate le saghe con un mix magistrale di fantasy, romanticismo e sfondo storico accattivante, immergetevi in questa serie.

Basta, mi taccio, ho finito! :-D 


Alcune citazioni.

«...io non posso vivere senza di te, dannato James Fraser, e questo è tutto. Ora dimmi, dov’è che mi stai portando?»

«È... difficile da spiegare. È... è come... credo che tutti abbiamo un posticino, dentro noi stessi, un luogo segreto che teniamo per noi. È un po’ come una fortezza, dove è nascosta la parte più privata della nostra vita... forse è la nostra anima, forse ciò che ci rende noi stessi e nessun altro. (...) Di solito non lo fai vedere a nessuno, quel posticino, tranne, a «Ora, è come se... come se la mia fortezza fosse stata fatta saltare in aria con la polvere da sparo... non c’è rimasto nient’altro che ceneri e un tetto di travi fumanti, e quella piccola creatura nuda che ci viveva dentro è adesso allo scoperto, che pigola e geme dalla paura, cercando di nascondersi dietro a un filo d’erba o a una foglia, ma... ma non... ci riesce granché bene. »

"E c’era l’amore, in quel luogo? Oltre i confini della carne e del tempo, era possibile ogni amore? Era necessario? (...) là dove c’è l’amore le parole non sono necessarie. L’amore è tutto. È immortale. Ed è sufficiente."

«La mia vita è tua. E sta a te decidere che cosa fare (...). Il mio cuore è stato tuo sin dalla prima volta che ti ho vista, e mi sono messo anima e corpo nelle tue mani, dove tu mi hai tenuto al sicuro.»




 * la città più grande delle Highlands scozzesi

 ** sono rimasta piacevolmente colpita dal fatto che la trasposizione tv del primo libro è praticamente fedele in toto, e a fare eccezione sono davvero dei dettagli che nulla avrebbero aggiunto alla bellezza della serie e nulla tolgono alla sostanza della storia scritta.

***  Doune Castle in Scozia è Castle Leoch (source)

****  source: TripAdvisor


martedì 5 aprile 2022

[[ RECENSIONE ]] SPATRIATI di Mario Desiati



Francesco e Claudia: acqua e fuoco, pioggia e fulmini, freddo e caldo. Due personalità che più differenti non potrebbero essere, eppure, al contempo, sono intimamente affini e, soprattutto, entrambi vengono additati come due spatriètə, due irrisolti, inclassificabili, balordi, vagabondi... e, nel loro caso, dei liberati.


SPATRIATI 
di Mario Desiati



Einaudi Ed.
288 pp
"Mi chiamo Francesco Veleno, sono il figlio unico di Elisa Fortuna e Vincenzo Veleno, due ex atleti dilettanti, che si sono innamorati durante una puntata di Giochi senza frontiere e per tutta la mia infanzia mi hanno cresciuto con l’idea che li avrei riscattati dal misterioso incidente di avermi messo al mondo"


Non è il massimo per nessuno, quindi neppure per Francesco, pensare di essere nientemeno che un "incidente di percorso" nell'esistenza dei propri genitori.

Insicuro, con la sensazione di fare e dire le cose sbagliate nel posto sbagliato e al momento sbagliato, convinto che la realtà sia quella che gli viene raccontata e non quella che vede, Francesco - che la madre chiama affettuosamente "Uva Nera" per il suo incarnato scuro - resta folgorato il giorno in cui, nel cortile della scuola, la sua attenzione viene catturata fatalmente da una ragazza dai capelli rossi, la pelle di luna, il naso importante e quel suo vestire come un maschio, con i vestiti del padre.
Lei è Claudia Fanelli.

"Quando un fronte d’aria fredda incontra a terra una massa d’aria calda, quest’ultima si alza al cielo. Nascono i temporali. Pioggia e fulmini, acqua e fuoco. Non ho mai capito chi tra i due fosse il caldo e chi il freddo, ma mi ritengo fortunato di aver incontrato il mio fronte opposto in Claudia Fanelli, la spatriata, come qui chiamano gli incerti, gli irregolari, gli inclassificabili, a volte i balordi o gli orfani, oppure celibi, nubili, girovaghi e vagabondi, o forse, nel caso che ci riguarda, i liberati"

Stravagante e vivace, solitaria e sicura di sé, indifferente ai giudizi, agli scherni e ai mormorii dei pettegoli di paese che, a Martina Franca come nelle piccole realtà di provincia, non mancano mai.

Francesco oppone alle frasi taglienti e provocatorie dell'amica - di cui si sente innamorato, pur provando altre e indefinibili sensazioni fisiche verso coetanei del proprio sesso - la propria fede religiosa, che egli vorrebbe fosse più solida di quella che è in realtà.
Ma ogni certezza vacilla quando la ragazza gli svela che, per un bizzarro scherzo del destino, essi sono quasi fratellastri.
Eh già, perché la madre di Francesco, Elisa, è l'amante di Enrico, il padre di Claudia.

Il ragazzo non sapeva questo segreto e scoprirlo lo turba per tante ragioni, tra cui quella di voler essere libero di amare la sua Claudia e di non essere costretto a vederla in un modo differente a causa delle stramberie dei loro genitori.
I due amici diventano praticamente inseparabili ma la ragazza non riesce a farsi andar bene la vita di paese ("Voglio stare dove succedono le cose, e qui non succede niente, non imparo niente"). così decide di andarsene, lasciando solo il povero Veleno con i suoi dubbi, la sua confusione emotiva e sessuale, i suoi risentimenti verso il padre e quelli misti ad amore e tenerezza verso la madre.

Londra, poi Milano e infine Berlino, la capitale europea della trasgressione; ad ogni tappa, la voce squillante di Claudia invita l'amico ad abbandonare la Puglia, la famiglia e tutta quella zavorra che è la ristretta mentalità di paese,  e a prendere in mano la propria vita, facendo scelte autonome e libere, assecondando i propri desideri.

Francesco resta e resiste, pur soffrendo la mancanza dell'amica ed essendone geloso - di lei, del suo essere così... "fluida", priva di inibizioni: "dentro di me il fuoco era spento. Mi piaceva restare a Martina perché tenevo a bada l’ansia, la quotidianità era sopportabile".

E intanto scava dentro di sé, restando turbato dalla consapevolezza di certi brividi, pensieri, sensazioni provate abbracciando un amico in oratorio o truccandosi la notte, di nascosto dal mondo, ma non da sua madre, che vede e capisce senza che lui se ne accorga.

Arriverà però il momento anche per Francesco di seguire Claudia, raggiungendola a Berlino e là avrà modo di vivere nuove esperienze e conoscere persone che lo porteranno a capire meglio se stesso, a crescere, e anche se non resterà nella città tedesca per sempre, qualcosa  in lui cambierà.

Si vedrà per come gli altri lo vedono da fuori, "Una vittima del patriarcato fascista, che non sapeva nemmeno riconoscerlo." 

E Claudia? Lei è un po' mamma, un po' sorella, un po' amica del cuore, inafferrabile e senza freni, anima libera ma bisognosa di dare e ricevere amore, di legami che rappresentino una casa a cui tornare:

"...il cuore di Claudia era troppo grande, sprecato per contenerne uno solo, c’era spazio per una famiglia intera, per un’amicizia, per un figlio, per l’umanità."

Claudia e Francesco: "solitudini perfette. Due monadi", "nozionisti e idealisti e guardavamo al futuro pieni di paura e possibilità (io), speranza e determinazione (lei)", con l'attitudine a vivere in altri mondi, a immaginare storie impossibili; seppur distanti chilometri, diventano adulti insieme, e anche quando sembrano allontanarsi, finiscono sempre per ritrovarsi. 

Attraverso questi due personaggi così all'opposto ma inseparabili, che si capiscono con uno sguardo, con i silenzi, con i non detti prima ancora che con le parole, Mario Desiati dà voce alle inquietudini, ai turbamenti, agli eccessi e alle inibizioni di una generazione cresciuta in un paese piccolo e che ha voglia di spiccare il volo lontano da casa, alla quale si sente sì legata ma, allo stesso tempo, da essa vuol prendere le distanze, non sempre riuscendoci.

"Le nostre origini ci rimangono addosso come una voglia gigante sulla pelle, che puoi coprire con tutti i vestiti che vuoi, ma resta sotto e quando ti spogli la vedi.
Eravamo usciti dalle nostre famiglie riportando ferite profonde, ma le nostre famiglie non erano uscite da noi."

Il protagonista è un ragazzo timido, schivo, insicuro e trova nella spavalda e irrequieta Claudia il modo per conoscersi ed accettarsi, dando sfogo a istinti e curiosità relative al sesso e al volerlo vivere in libertà, senza schemi, preconcetti e limiti stabiliti da altri, dalla società.

Francesco è un figlio che non vede nei genitori un punto di riferimento, un modello di vita, e se tende a snobbare un po' il padre, a prenderlo poco sul serio, è dalla madre che vorrebbe attenzioni e di lei, in certi frangenti, si sente geloso:  geloso di quell'amore segreto con il papà di Claudia; geloso del rapporto d'amicizia e complicità tutta al femminile - fatta di sorrisi eloquenti, di chiacchierate a bassa voce in cucina di notte, come se fossero mamma e figlia - tra la propria madre (che si rende conto di conoscere poco) e la sua Claudia.

È un amico che si preoccuperà sempre di quella rossa che vestiva da uomo e di cui non riesce a non essere innamorato; desidera sentirla spesso quando lei è fuori, vuole che gli racconti tutto di sé, della gente che incontra , degli uomini e delle donne con cui ha relazioni, che siano di sesso o d'amore.

Il lettore vede Francesco (voce narrante) cambiare negli anni, fare esperienze, e tutta la sua complessa personalità emerge, insieme ai suoi pensieri, i dubbi, le paure, le contraddizioni, la confusione in merito alle sue preferenze sessuali, il rapporto con Claudia e ciò che esso significa per lui.
La scrittura di Desiati è schietta e decisamente disinvolta ed esplicita quando si sofferma su giovani corpi vogliosi di toccarsi, fondersi, trarre piacere da questi incontri trasgressivi, in cui ognuno si sente libero di vivere il desiderio nei modi che vuole.
Ma è anche romantica e poetica quando ci parla del legame profondo che unisce Claudia e Francesco, del bisogno d'amore e di cura, della solitudine, del senso di inadeguatezza, del desiderio di felicità di questi spatriati, raminghi e senza meta, o forse solo semplicemente giovani alla ricerca del proprio posto nel mondo.

Mi è piaciuta la scelta di intitolare ogni capitolo con delle parole-chiave in dialetto martinese e in tedesco.
Un romanzo di formazione con personaggi interessanti, con una scrittura sincera, aperta, e anche se non posso dire che mi abbia coinvolta totalmente e in modo costante durante tutta la lettura, trovo comunque che lo stile sia scorrevole, il che rende il libro nel complesso piacevole; ho apprezzato la delicatezza e la sfumatura malinconica di molti passaggi, alcuni dei quali potete leggerli di seguito. 




Alcune citazioni:

"Nelle famiglie non esistono segreti, ma solo dei patti dolorosi, a volte miserabili, a volte irrinunciabili, dei «non detti». E nei non detti ci sono le verità profonde, le crisi, la lotta tra bene e male, l’origine delle relazioni e di tutti i traumi. Col tempo avrei capito che Claudia stava condividendo con me qualcosa di simile a un biglietto vincente della lotteria. Il non detto era lí, esposto alla nostra innocenza."

"– A volte vivo certe emozioni solo perché ho una persona come te a cui raccontarle, – mi diceva appena tornava da me.
– Non risparmiarmi nessun dettaglio, – le chiedevo, e sapevo che solo cosí avrei provato piacere nel mio dolore."

"... non tutti reggono il dolore delle persone che pensano di amare.
– Cosa vuoi dire? – Ero spaventato, mi mettevano a disagio quelle confessioni.
– Che devi farti forte e reggere il dolore della persona che ami. Per esempio, non essere mai se stessi per tutta la vita è un dolore."

"...il cuore è una casa con due camere da letto: una è quella del dolore, l’altra quella della gioia. Non si può ridere troppo fragorosamente, altrimenti il dolore si risveglia. Purtroppo, non può accadere il contrario, perché la gioia è sorda. "


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