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mercoledì 20 settembre 2023

[[ RECENSIONE ]] DOVE NASCONO LE OMBRE di Lavinia Petti



L'estate più intensa e indimenticabile della sua vita, il protagonista la vive a dodici anni, in compagnia di un gruppetto di amici amanti dell'avventura e pronti a disubbidire agli adulti pur di divertirsi; estate e amicizia: un binomio che ruota attorno a un bosco, tanto affascinante quanto misterioso e, per certi versi, sinistro.
Un bosco che nasconde un segreto e che sembra richiamare a sé i ragazzi affinché, vent'anni dopo, lo portino alla luce.



DOVE NASCONO LE OMBRE
di Lavinia Petti



Mondadori
372 pp
«È a questo che servono le storie, poeta? A ricordare le cose dimenticate? A cercare quelle perdute? Ad aggiustare quelle rotte?»

Elia ha dodici anni quando, a metà degli anni '60, la sua vita viene stravolta da una drammatica vicenda famigliare, in seguito alla quale tante cose cominciano a cambiare per sempre e irrimediabilmente, tanto in famiglia quanto dentro di lui.
Da poco in casa è arrivata la sua sorellina Giulia, che catalizza le attenzioni di tutti, con sommo stupore e disapprovazione di Elia, che non comprende come i grandi possano sghignazzare felici nel vedere una neonata che si limita a mangiare, far la cacca e dormire.
I pianti e i gemiti della piccola, a ogni ora del giorno e della notte, seccano il fratello maggiore ma una mattina egli si sveglia e non sente Giulia piagnucolare.
Purtroppo la piccolina viene ritrovata morta nella culletta.
Il lutto colpisce tutti, in primis la madre, il cui enorme dolore le sconvolge la mente, alienandola dalla realtà; il suo pensiero è fermo a Giulia, di cui lei parla come se fosse ancora viva e non c'è modo di aiutarla a elaborare la perdita.
La famiglia sembra ormai distrutta e il padre decide di portare la moglie in una clinica tra le montagne perché si riprenda e di affidare Elia alla sorella Giovanna, che vive al Paradisiello, un condominio popolare ai confini della città. 

Il ragazzino è un tipo solitario, schivo, appassionato di Poe e smanioso di scrivere storie di fantasmi e di terrore; quando giunge a casa di zia Giovanna è triste e arrabbiato con tutti: con i genitori, che si sono liberati di lui e con la zia, che per lui è quasi un’estranea, e tra l'altro è scorbutica, parla poco, sbuffa molto e lo tratta con scarsa delicatezza.
Elia si sente "di troppo" ovunque e il fatto che gli adulti attorno a lui lo trattino con sufficienza e senza tener conto dei suoi pensieri e desideri, ne è la conferma.

Il pensiero di quella sorellina con cui non ha avuto il tempo di legare, la consapevolezza che la sua famiglia si è sgretolata, che sua madre è praticamente impazzita e il padre - il suo colto, severo e tutto d'un pezzo papà - è completamente dedito a prendersene cura, il dover subire la decisione paterna di stare con questa zia zitella e acida, che i bambini non sa manco cosa sono..., lo fa sentire terribilmente solo, rifiutato, ignorato da adulti che, invece, dovrebbero stargli vicino e consolarlo, perché anch'egli soffre ma pare che nessuno se ne accorga.
L'unico rifugio è la sua immaginazione, alimentata dalla lettura di storie misteriose e paurose.

"...la cosa brutta del dolore è che ti spezza dentro e ti taglia fuori, e ciascuno deve viverlo a modo proprio, nel suo tempo.
Per quanto mi riguarda, furono i libri a salvarmi."

La zia lo esorta a non starsene da solo ma a provare a fare amicizia con i ragazzi del palazzo e in effetti  la voglia di vivere, che urla dentro di lui, lo porta a vincere la timidezza e ad avvicinarsi con discrezione ai ragazzi del palazzo: i gemelli Simone e Silvia, Nello e la piccola Mosca. 

Simone, il leader, colui che parla e tutti lo ascoltano e gli ubbidiscono; sua sorella, Silvia, è scontrosa e brusca, forse l'elemento del gruppo più difficile da raggiungere; Nello, irascibile e permaloso; Mosca, la più piccola, che di nome fa Beatrice, è orfana di entrambi i genitori, vive col nonno ed è una bimba strana ("crede che nel bosco vivono le fate e il diavolo"), con atteggiamenti un po' più infantili della sua età.

Pur sentendosi estraneo al gruppo, Elia comincia a frequentare i ragazzi, passa le giornate con loro nel grande giardino che circonda il Paradisiello e, soprattutto, nel bosco lì vicino; i cinque fanno ciò che si fa generalmente a quell'età: partite a pallone, dispetti e risate, furti di ciliegie, costruiscono una capanna, fanno arrabbiare gli adulti con le loro marachelle, si prendono in giro e i maschietti non mancano di azzuffarsi per delle sciocchezze, per poi far pace subito dopo. 

Stare da soli in cameretta non è più un'alternativa da prendere in considerazione.

"Da settimane non leggevo un libro e non lavoravo alla mia storia, e la cosa strana era che non mi mancava. Cominciavo a sentire, in un modo vago, impreciso, che la vita può essere più larga e più spessa di un pezzo di carta."

Insomma, quella che all'inizio sembrava profilarsi come un'estate noiosa, è diventata divertente come mai Elia avrebbe immaginato potesse diventare.

Certo, c'è un’ombra sinistra che incupisce il gruppetto di amici, e dall'altra lo solletica: nel bosco, venticinque anni prima un ragazzo è scomparso nel nulla: giocava a nascondino e non è mai più stato trovato, né vivo né morto.

Cosa gli è successo?
C’è chi dice che l’abbia preso il diavolo.

Elia non crede né in Dio né tanto meno nel diavolo, ma ad essere convinti di questa assurda"favola" non è solo Mosca, bensì pure gli adulti, tipo Achille, l'uomo che si occupa del giardino e che va mormorando frasi pseudobibliche sconnesse e deliri vari, alternati a maledizioni e improperi verso i ragazzini, che lui vede come dei diavoletti pestiferi ed insopportabili.

Il triste destino del ragazzo scomparso - Nino Basile - comincia ad ossessionare Elia, che si lascia affascinare dal mistero che avvolge la sua scomparsa (avvenuta quando c'era la guerra e le persone correvano a nascondersi per sfuggire ai bombardamenti) e immagina di renderlo oggetto di un romanzo tutto suo.

Dentro di lui arde un fuoco che non può essere domato e che lo spinge a impossessarsi della storia di Nino e a raccontarla.

"Dentro di me si era accesa una voce che non conoscevo e mi pregava di ascoltarla: anche se il palmo si arricciava per i crampi, anche se gli occhi bruciavano e grondavo sudore e sentivo le vertebre schiacciate, in fiamme per la fatica di stare seduto; anche se la voce parlava una lingua sconosciuta e io dovevo impararla; anche se a volte faceva rumore come un boato di tuono, mentre altre non era più forte di un respiro nel vento. Dovevo seguirla. Scalare vette di luce e addentrarmi in antri oscuri, navigare lungo fiumi azzurri, visitare i posti dove nascono le ombre."

E così, Elia inizia a scrivere e a disseminare messaggi nel bosco, firmandoli con il nome di Nino Basile, come se a scriverli fosse stato il ragazzo scomparso tanti anni prima. 

Questo "esperimento" nasce come un gioco, un segreto innocente che ovviamente egli si guarda bene da rivelare agli amici..., anzi: quando essi cominciano a trovare i pezzi di carta e si convincono che appartengano proprio a Nino, Elia freme dentro di sé: ci sta riuscendo!! Sta incantando gli amici con le sue storie, con le sue parole! 
Certo, si sente anche in colpa perché li sta prendendo in giro, ma i timori e i dubbi non lo portano comunque a fermarsi, così giorno dopo giorno la bugia si ingigantisce e comincia a sfuggirgli di mano, fino a condurlo sempre più vicino a una terribile verità.

Tutti e cinque i ragazzi prendono a cuore il mistero di Nino, addentrandosi sempre più nel fitto bosco, alla ricerca di una verità che qualcuno, tra gli adulti del Paradisiello, deve per forza conoscere...: Nino non può essere svanito davvero nel nulla!
La cricca indaga, cerca risposte nelle cianfrusaglie nascoste nella rimessa di Achille e fa domande ai grandi, soprattutto Elia ne fa a Lidia, l'affascinante amica di zia Giovanna, la sola adulta a comportarsi come un'amica con i ragazzini, ad allearsi con Elia quando questi è in difficoltà.
Un'adulta affidabile, cui confidare ciò che pensa senza paura di essere preso in giro o mandato via con una sbuffata scocciata.

Intanto, il bosco ai loro occhi assume sempre più le sembianze di un enorme essere vivente, che respira, sussurra, li "chiama" attirandoli verso di sé: quale segreto si celava tra i suoi alberi? Se avessero potuto parlare, cosa avrebbero raccontato le foglie, cosa avrebbe illuminato la luce che filtrava tra le fronde?

Come spesso accade ai ragazzi protagonisti di un'estate speciale, anche Elia e i suoi amichetti si ritrovano davanti a qualcosa di più grande di loro e che mette in evidenza come gli adulti che li circondano, oggi così severi e brontoloni, siano stati essi stessi, ieri, dei ragazzini vivaci e combinaguai, e come dietro i loro arrabbiati silenzi si nascondano verità dolorose, che essi vogliono continuare a tener nascoste.

"...i segreti sono un suggello, una chiave per aprire o chiudere le persone, e l’amicizia cresce meglio dove si seppellisce insieme qualcosa."

Una vita si era interrotta venticinque anni prima e il tempo avrebbe dovuto contribuire a seppellirla sempre più in profondità, in modo che ne restasse un lontano e indefinito ricordo; ma non basta tacere perché l’oscurità venga dissipata e le ombre non si addensino. 

Dodici anni: l'età in cui un'amicizia, le prime sensazioni fisiche, i sentimenti verso l'altro sesso, l'eccitazione per un mistero da risolvere, sono tutto e vengono vissuti con intensità, in maniera totalizzante, come se fossero l'unica cosa che conta e che resterà per sempre; sono gli anni in cui crediamo che quegli amici con cui abbiamo condiviso litigi, bugie, timidi baci, confidenze, pacche sulle spalle, resteranno tali per sempre e che nessuno e niente spezzerà il legame nato in quei mesi caldi e afosi di un'estate che non è stata e non sarà mai come le altre a venire.

Elia è arrivato al Paradisiello che odiava quel posto perché per lui era una sorta di castigo, una triste ed  ingiusta conseguenza per la morte di quella sorella che non ha fatto in tempo a conoscere e amare, e si ritrova ad ad affezionarsi a quei posti, agli amici, al bosco - simbolo di pericolo ma anche di scoperta, di avventura - e alla disgrazia accaduta a Nino.

Gli anni passeranno ma il pensiero di quell'estate non lo abbandonerà mai e il filo che lo lega al bosco e alla tragedia che custodisce gelosamente da anni, lo ricondurrà di nuovo lì, da adulto, e ogni risposta arriverà, portando con sé una brezza nuova, che sa di pace e di nuovi inizi.

"... affondo la mano nel terreno, lo porto al viso e me lo premo contro le narici. L’odore entra, scende, risveglia i ricordi a uno a uno. Quanti anni sono passati, e con quanta fretta… Che ne ho fatto di questo tempo che se ne sta accartocciato dentro di me, vivo e ferito?".

Dove nascono le ombre è un romanzo sull'amicizia, sulla linea che separa il mondo dell'infanzia da quello degli adulti, su come il desiderio di saper tutto da parte dei ragazzi, la loro voglia instancabile di avventura e di svelare segreti per gioco, si scontri con la necessità, da parte degli adulti, di sbarrare le porte ad un passato scomodo, che ancora fa sentire la sua eco e che chiede con insistenza di non essere più ignorato. Tra queste pagine c'è tutta l'esuberante energia dei dodici anni, c'è la solitudine e la rabbia di un ragazzino cui viene chiesto di reagire con maturità a un lutto famigliare (e a ciò che ne consegue) che ha segnato e fa soffrire anche lui; c'è lo spettro di un'amicizia più vecchia, in cui s'è rotto qualcosa e che ha il nome di un ragazzo svanito nel nulla; c'è un bosco, con la sua musica di uccellini e cicale, con i suoi steli di papaveri che frustano ginocchia sbucciate e magre, con il suo vento che passa tra i filari delle vigne e raccoglie il profumo del mosto selvatico, riempiendo l’aria di sapori inebrianti e inconfondibili.

L'autrice ci apre la chiave per entrare nell'animo del protagonista e ci presta i suoi occhi, la sua voce, i suoi pensieri e i suoi contrastanti stati d'animo; ci sembra di essere con lui e con i ragazzi del palazzo, fuori e dentro al bosco, e restiamo curiosi, di capitolo in capitolo, di scoprire cosa sia davvero successo a Nino, il ragazzo scomparso che nessuno ha cercato.
La verità arriva ma per conoscerla non bisogna aver fretta, anche perché non è un giallo, e la "soluzione" del mistero di Nino è funzionale all'esperienza che coinvolge Elia che lo spinge ad acquisire determinate consapevolezze, a fare dei passi in più nella propria crescita e a confrontarsi con gli altri, coetanei e adulti, e con le verità, le bugie e i silenzi che, in qualche modo, spesso caratterizzano i rapporti umani. 
La suspense è dosata e, in un certo senso, diluita in tutta la lunghezza della storia, e cammina di pari passo con una dolce sensazione di malinconia (nelle battute finali in particolare) e con la nostalgia di chi (il protagonista) ricorda un passato mai dimenticato e che finalmente la smesso di schiacciarlo e tenerlo prigioniero di una vicenda che aveva contorni più neri e più cupi di ciò che realmente era.

Un romanzo che mi è piaciuto molto, lo consiglio in special modo a chi cerca storie con protagonisti molto giovani e che abbia al centro l'amicizia, con un pizzico di mistero.


"Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. 
Gesù, ma chi li ha?"
 (dal film STAND BY ME, di Rob Reiner)


ALCUNE CITAZIONI

"...se l’esistenza ha uno scopo, io credo sia questo: cercare di non scomparire dentro la propria ombra."

"Tuttavia, le parole scritte hanno un potere. Quando impariamo a leggere non sappiamo che stiamo varcando un confine e che non c’è modo di tornare indietro. Saper legare una lettera a un’altra è un atto che diventa naturale, come il respiro, e prima o poi capita d’incontrare parole che ci chiamano a sé."

"si muore perché si nasce.
Eppure di una cosa sono sempre stato convinto: questa regola non vale per le storie. Nel tempo di una storia noi siamo immortali."

"...la verità non la dimentichiamo. La teniamo nel cuore, e lì mette radici profonde e robuste come quelle degli alberi. Non possiamo sapere quali frutti darà una pianta che cresce nel buio, verso quale spiraglio di luce dovrà protendersi e contorcersi pur di sopravvivere, da quale fonte oscura succhierà il proprio nutrimento."

"...l’amore è una strana cosa. Ci fa diventare folli e splendenti (...) Ci rende disposti a tutto, anche alle cose peggiori. Ci spezza in modo irreparabile. Ma alla fine è l’unica cosa che ci salva."

"La verità è che ci sono parti di noi che crediamo perdute, o che non siamo mai riusciti a vedere, che altri conservano al posto nostro. A volte ce le restituiscono, come oggetti dimenticati nel tempo, a volte ne fanno qualcosa di buono, di migliore, e il senso di aver fallito con le nostre esistenze per un poco svanisce."

lunedì 4 settembre 2023

♣️ RECENSIONE ♠️ IL PARADISO NON È LASSÙ di Christina McKenna



Abbandonato tra la spazzatura, quand'era piccolino, dalla madre biologica, il protagonista di questo romanzo è cresciuto in un orfanotrofio dove, al posto dei sorrisi, ha ricevuto ghigni malefici; pugni, calci e cinghiate al posto delle carezze, brutalità invece che amore e protezione. Dopo un'infanzia drammatica e la salvezza grazie all'adozione, adesso che è adulto tenta di vivere; non è semplice, dopo aver conosciuto l'inferno, ma sta provando ad imparare a stare al mondo.
Il desiderio di cercare il paradiso, la felicità, un modo di vivere sereno, non ha ancora smesso di palpitare in questo cuore ferito.
Ma non c'è molto tempo: i fantasmi spaventosi del passato incombono, sono sempre troppo vicini e pronti a prendere d'assalto la sua anima e a trascinarla nel baratro.


IL PARADISO NON È LASSÙ
di Christina McKenna

Amazon Crossing
trad. A. Grechi
349 pp
Jamie ha da poco passato i quaranta e vive un'esistenza placida e monotona nella fattoria dello zio Mick in un paesino dell'Irlanda del Nord; Mick è morto di recente, lasciandolo solo col cagnolino Shep e con gli animali da accudire.
Lo zio non era davvero suo parente: era il padre adottivo, colui che l'ha salvato portandolo via dall'orfanotrofio in cui Jamie è cresciuto ed è stato fino a dieci anni.
Nei suoi primi dieci anni di vita, nessuno l'aveva mai chiamato Jamie: per lui - e gli altri ospiti dell'istituto - c'era un numero identificativo e con esso veniva chiamato: Ottantasei.

La narrazione del presente (siamo negli anni '70) si alterna a quella del passato, per cui il lettore può osservare la quotidianità di Jamie adesso e quella, terribile, di oltre trent'anni prima, quando era un orfanello cencioso, affamato, sporco, impaurito, alla mercè di pseudoreligiose che, lungi dal manifestare sentimenti materni di cura, affetto, premura, protezione, se ne andavano in giro con bacchette e cinghie a picchiare i bambini, a punirli per ogni minima infrazione, per ogni piccolissima disubbidienza.

"Novantasei fanciulli affamati, affamati d’amore e nutrimento, il sonno disturbato per la mancanza dell’uno e dell’altro. Novantasei reietti privi di grazia o doni particolari, sui quali un sole senza nubi non avrebbe mai brillato."

I capitoli dedicati alla vita nell'orfanotrofio sono drammatici: è un ambiente tetro e violento, squallido teatro di maltrattamenti fisici, psicologici, emotivi, sessuali, dove i piccoli ospiti sono solo degli involucri secchi e lacrimosi su cui adulti crudeli e impietosi riversano cattiverie di ogni genere, ogni giorno. Non solo, ma essi sfruttavano la manodopera fornita da queste piccole anime, impegnate forzatamente in faticosi lavori (lavanderia, agricoli...), senza alcun compenso, ovviamente, se non un tozzo di pane secco e nauseanti brodaglie, fatte passare per zuppe di cavolo e rapa.

Leggere le brutte esperienze fatte dal protagonista (e dai suoi "compagni di sventura") in un luogo che avrebbe dovuto accogliere bimbi abbandonati per dar loro un rifugio, in attesa di un'adozione, è stato straziante perché l'Autrice ha dipinto con colori vividi, seppur scuri e cupi, una situazione che, purtroppo!, non era un'eccezione, in quegli anni (dagli anni '30 agli anni '70), nell'Irlanda del Nord *; l'orfanotrofio di questo romanzo rientra tra le "scuole industriali" che venivano gestite in modo da essere dei luoghi dell'orrore per tanti poveri bambini, più che delle realtà educative.

È vero, sospiriamo di sollievo perché Jamie, a un certo punto, ne è uscito, portato via dai gentili e amorevoli coniugi McCloone, ma lo vediamo, quest'uomo scapolo e solo, impegnato con la terra e gli animali lasciatigli in eredità, mentre cerca di condurre una vita normale, apparentemente serena, che prova a divertirsi suonando la fisarmonica al pub, che si concede (troppi!!) cicchetti, ma che è inguaribilmente infelice.

"...come poteva il bambino al quale non era mai stato permesso di essere un bambino diventare tutt’a un tratto quell’uomo? Sarebbe stato come scavalcare con un salto un baratro di emozioni e scalare una vetta imponente."

Lui, cresciuto senza amore, con soltanto una terribile solitudine come coperta, in un postaccio super affollato di piccoli piagnucolanti e tristi come lui, "dove il vento e la neve soffiavano e cadevano in eterno e il diavolo oscurava le ore della notte e del giorno." 

Della vita in istituto, Jamie aveva portato via con sè il senso di paura, la consapevolezza (sbagliata!) di non valere nulla (manco tua madre ti  ha voluto, rifiuto umano!, gli ripetevano le suore), la sfiducia in sé stesso e nelle proprie capacità; ha imparato a procedere sempre a capo chino, girando al largo dai guai, schivando i colpi, facendosi in quattro pur di piacere agli altri. 

"Chi era lui veramente? Jamie non lo sapeva. Non era mai stato capace di esplorare la propria natura più intima o di considerarsi una persona degna e all’altezza. La sua infanzia infelice lo aveva defraudato della fiducia in se stesso e negli altri, della sicurezza, del coraggio e di tutto ciò che consente a un uomo di costruirsi un’immagine chiara e pura della propria identità."

A quarantuno anni suonati, Jamie era ancora "il bambino timoroso e solitario di sempre, con l’ardente desiderio di rivedere una madre che non sarebbe mai venuta. Era ancora disperatamente solo."


Ma non può continuare così e forse è arrivato il momento di ascoltare i saggi e buoni consigli del dottor Brewster e dei cari vicini di casa, i McFadden, Rose e il marito Paddy.
Questa coppia è l'emblema della bontà, della dolcezza, della lealtà e dell'amicizia sincere: si prendono cura del loro fragile e solitario amico Jamie come se fosse un figlio e, proprio per dargli una mano, gli consigliano di mettere un annuncio sul giornale locale, nella rubrica "Cuori solitari", con la speranza di trovare una brava donna da sposare!

Rose è convinta che il matrimonio con una brava signorina - che sappia cucinare, mi raccomando - metterà fine a tutti i problemi di Jamie. 

Certo, la cara e chiacchierona Rose cerca di essere d'aiuto ma non immagina quanto possa essere difficile per Jamie, che non ha mai conosciuto l'intimità (non in maniera sana, almeno...) e che non ha idea di cosa voglia dire corteggiare una donna, pensare di rapportarsi all'altro sesso.

"...le vecchie paure si riaffacciarono con prepotenza: la paura dei cambiamenti, la paura per la sua situazione, la paura degli altri, delle donne, dell’intimità. In breve, la paura di tutto ciò che avrebbe potuto rendere migliore la sua vita."

Ad ogni modo, ciò che lei consiglia è quasi legge perché di Rose ci si può fidare, così Jamie segue il suggerimento e mette un annuncio personale in cui cerca una donna.

Non lontana da lui, vive la maestra Lydia Devine, la quarantunenne che risponde all'annuncio di Jamie. 
Lydia, infatti, è anch'ella stanca di essere zitella e di avere come unica compagnia la lamentosa madre Elizabeth, vedova di un pastore protestante severissimo e dalla morale ferrea e inflessibile, che in vita aveva impedito alla figlia di sposarsi.
Morto il burbero padre, adesso Lydia deve sopportare le continua prediche della madre prepotente, che, temendo che l'unica figlia possa abbandonarla, sta continuando da dove il marito aveva interrotto, non smettendo di ricordare a Lydia come i maschi siano fonte di guai e basta. 
Insomma, stufa di non  avere un uomo accanto, anche Lydia mette un annuncio e risponde a quello di Jamie.

Leggiamo di come i due si incontrino e di come provino a socializzare, degli aiuti da parte di Rose per rendere Jamie pronto a fare la sua bella figura con una donna, e di tanti piccoli episodi divertenti e quasi comici che caratterizzeranno la conoscenza tra i due.

Inevitabilmente, ci capiterà di ridere di James, così impacciato mentre si sforza di diventare l'uomo che desidera essere, e ci commuoviamo nel vedere come davvero provi a lasciarsi alle spalle il suo passato doloroso.

Jamie e Lydia hanno in comune la solitudine e una vita piatta cui sfuggire, ma caratterialmente sono diversi: timidissimo e sempliciotto lui, impeccabile, equilibrata ed educata lei; eppure, c'è qualcosa, un filo sottile che li unisce, che fa sì che si sentano legati, attratti, in un certo senso: Jamie è quasi convinto che Lydia possa fare al caso suo e lei prova un'inspiegabile tenerezza e voglia di protezione verso quell'uomo che a malapena riesce a guardarla negli occhi.

Jamie e Lydia non potrebbero essere più lontani ma qualcosa sta per stravolgere la vita di entrambi.
Riuscirà l'uomo, che da bambino veniva chiamato con un numero, a costruire qualcosa di solido e farsi una vita senza aver ricevuto gli elementi di base da cui cominciare?

Lo scoraggiamento, la paura del fallimento, di restare solo, di non aver nulla per cui valga la pena vivere, sono dietro l'angolo, pronti a stringergli il collo come un cappio sempre più stretto.
Ma la vita sa essere imprevedibile... e non sempre in senso negativo.

Forza, Jamie,  la vita è per chi ha il coraggio di scavalcare burroni e tu ora sei libero dal dolore, dalla solitudine e dai ricordi delle persone crudeli che ti hanno perseguitato tanto a lungo! Il tuo piccolo personale paradiso ti attende ed è quaggiù.
 

"Il paradiso non è lassù" racconta una storia che in tanti potrebbero trovare melensa e strappalacrime, oltre al fatto che, molto probabilmente, non brilla per originalità, soprattutto nelle pagine finali; ma io l'ho letto con molto coinvolgimento perché immaginare come fosse l'esistenza delle povere creature che avevano la sfortuna di finire in certi posti, mi ha colpito tanto ed è straziante perché, purtroppo, è documentato che quegli istituti fossero dei luoghi infernali *.
Il ritratto che la McKenna ci restituisce della vita rurale nell’Irlanda del Nord all’inizio degli anni Settanta, ha tonalità tanto cupe e angoscianti quanto deliziose e giovali, proprie della vita nei piccoli paesi di campagna, dove ci si conosce e, perché no?, ci si aiuta; il personaggio di Rose -  materna, da simpatica "chioccia", chiacchierona, sempre con le mani in pasta, generosa... - sembra uscito da un romanzo di Fannie Flagg.

Mi è piaciuto molto perché non c'è solo il dolore causato da brutte persone, ma anche la dolcezza donata da quelle belle, un sano umorismo e, su tutto, la speranza che il presente e il futuro possano essere luminosi nonostante l'oscurità attraversata in passato.



* In passato, su questo blog, ho menzionato le Case Magdalene, istituti cattolici retti da religiose, dove le ragazze giudicate deviate socialmente, "a rischio" o immorali, venivano accolte  e finivano per essere non rieducate, bensì sfruttate in lavori massacranti e senza sosta, praticamente.

* Per onestà, va detto che le informazioni raccolte e divulgate da coloro (come Catherine Corless) che si sono occupati di questi istituti per ragazze madri e bambini abbandonati, operativi nell'Irlanda del Nord, sono state contestate e ritenute, relativamente a certi aspetti, esagerate o comunque non del tutto confermate.


mercoledì 31 maggio 2023

✪ RECENSIONE IN ANTEPRIMA ✪ SETH (The Crimson Thrones #1) di Laura Fiamenghi



Una dolce ma combattiva ragazza incontra un dio tanto bello quanto facile all'ira - di cui, non per nulla è il dio - e scopre di essere coinvolta, suo malgrado, in una oscura e apocalittica profezia riguardante il destino dell'umanità.
In compagnia di un saggio sacerdote ormai defunto - che di volta in volta assume le più diverse sembianze -, il dio immortale e la bella umana mortale vivranno una movimentata avventura in cui dovranno vedersela con dèi capricciosi e mostri spaventosi.

Il presente romanzo è in uscita da domani 1° giugno 2023; lo trovate su Amazon (in eBook, Cartaceo e KindleUnlimited).

È il primo volume della serie “The Crimson Thrones”, così composta:

1. SETH di Laura Fiamenghi 
2. LUGH di Francesca Trentini (USCITA: 1° LUGLIO 2023)
3. NERGAL di M.D. Ferres (USCITA: 1° AGOSTO 2023)
4. KÀRI di Monica B. (USCITA: 1° SETTEMBRE 2023).


SETH
(The Crimson Thrones #1)
di Laura Fiamenghi



Self publishing
320 pp
Uscita 
1 giugno 2023 

Quattro Distruttori, provenienti dalle ombre dell'universo, sono pronti a porre fine alla vita degli esseri viventi che abitano la Terra, cancellando ogni cosa conosciuta.

"La Terra dei Padri soccomberà nella tenebra (...). A Quattro Divini Re, i più valorosi, l'onere di salvarla."

Per fermarli sono necessari altrettanti quattro esseri potenti che impediscano ai pericolosi Distruttori di entrare nel mondo e adempiere quest'antica e nefasta profezia.
E così, i re di tutti i pantheon hanno pensato bene di organizzare un torneo, nel quale possano emergere i quattro campioni in grado di combattere contro i Distruttori e vincerli.
Questi campioni vengono fuori e sono: Seth, Signore del Caos egizio; Lugh, Dio della Luce celtico; Nergal, Dio degli Inferi babilonese e Kári, Gigante norreno del Vento.

Sono quattro divinità antichissime e potenti, e ciascuna dovrà scoprire e ricoprire il proprio indispensabile ruolo per portare a compimento la missione: individuare il luogo (la "crepa") da cui ciascun Distruttore farà il suo ingresso nella nostra dimensione e richiuderla, sconfiggendo il mostro.

Il primo dio chiamato a questa epica battaglia è Seth, signore del Caos, dio dell’Ira e della Guerra: "il dio più oscuro e indecifrabile. Imprevedibile, selvaggio, feroce come una belva presa in trappola".

Egli è da sempre il più temuto e odiato tra gli dèi egizi ed infatti è stato incatenato e confinato nell’Oltretomba dai suoi stessi fratelli; in quell'oscuro antro ogni notte da millenni combatte contro Apopi, il mostro ancestrale. 
Restare al guinzaglio come un cane per millenni non ha fatto che rendere Seth ancora meno socievole e sempre più arrabbiato; adesso che la profezia, che incombe sul regno dei mortali, è prossima ad adempiersi, Seth sa che potrà essere finalmente liberato per fare ciò che, del resto, gli riesce meglio: uccidere mostri.
Certo, poi ci si aspetta che, una volta sconfitti i nemici, egli ritorni nell'oscurità, però intanto Seth è ben contento di uscire dal buio dell'Oltretomba e rivedere il sole, mettendo nuovamente i piedi sulla terra.

Ad accompagnarlo nella sua pericolosa avventura c'è Nuru, sacerdote del dio Horus; a dire il vero, Nuru è morto già un po' di tempo fa, quindi è uno spettro che può assumere varie sembianze in base alle esigenze; il suo compito è quello di fare da guida all'iracondo Seth, affinché sappia come muoversi nel mondo dei mortali, da lui non frequentato da millenni.

Il viaggio del dio e del suo compagno di ventura è strettamente legato a una persona, un essere umano coinvolto in modo diretto nella profezia, anche se nessuno sa con quale funzione.

Questa persona è una ragazza che, attualmente, è prigioniera, esattamente come lo è stato Seth fino a poco prima.

Soledad vive da tre anni in un campo di lavoro del Cartello in Messico; confeziona pacchetti di droga, ma non perché sia una criminale o una spacciatrice: è lì per pagare un debito, contratto dal defunto fratello; la sua speranza è di giungere presto a pagarlo così da poter andar via e raggiungere la famiglia negli Stati Uniti, dove si è rifugiata, e che lei non vede da tre anni. 

Finora la ragazza è riuscita a sopravvivere abbassando la testa, obbedendo, mantenendo un basso profilo e ingoiando grumi di paura: a tenerla viva è stato unicamente il pensiero di tornare dai suoi famigliari..., ma un giorno, all'improvviso, il terrore che questo potrebbe non accadere mai le piomba addosso sotto forma di una scarica di proiettili, che fa fuori, in pochi minuti, tutti, dai "colleghi" ai crudeli carcerieri. Della gente del Cartello, lei è l'unica sopravvissuta. E non è un caso.

L'essere che ha ammazzato tutti, lasciando in vita solo lei, dice di essere il signore del caos e una divinità egizia, ed in effetti Soledad dovrà mettere da parte ogni perplessità e accettare la realtà: quel tipo grande, grosso, dall'aria minacciosa, dagli occhi rosso fuoco e capaci di incenerirti con uno sguardo, è un dio dal potere immenso, è arrabbiatissimo... ed è il suo nuovo padrone. 

E le cambia anche il nome: niente più Soledad, bensì Anuit, "colei che viene presa".

Insomma, povera Soledad, è appena passata da una schiavitù ad un'altra, proprio in quel giorno che avrebbe dovuto essere l'ultimo nel campo di lavoro!

Purtroppo, apprende dal gentile Nuru di essere importante per la missione di Seth e, anche se non è ancora chiaro il suo ruolo, è chiamata a seguire il dio senza fiatare né provare a ribellarsi, perché tanto non potrebbe fuggire neppure se lo volesse con tutte le sue forze.

Soledad è una ragazza dal cuore buono, ma è anche molto determinata e testarda e all'inizio non accetta di buon grado di essere diventata la schiava di questo dio folle e aggressivo, così prova a svignarsela..., ma non ha fatto i conti con Seth, che non sopporta di essere disobbedito.

Col passare dei giorni e in virtù di questa insolita convivenza, Soledad impara a conoscere meglio i suoi compagni di viaggio: se Nuru le sembra un buon amico, prudente, saggio, cortese, che le dà buoni consigli, Seth non fa che confermare ad ogni occasione la sua natura irascibile, la sua forza fisica dirompente e priva di controllo, l'atavica e minacciosa rabbia che gli brucia dentro da millenni, l'odio implacabile verso la sua "divina famiglia", che non solo non ha esitato a imprigionarlo nelle tenebre eterne ma gli ha anche rubato qualcosa di... ehm... prezioso, rendendolo mutilato per sempre; "parenti serpenti", in pratica,, che ben incarnano l'umano detto "i parenti sono come le scarpe: più sono stretti, più ti fanno male".
A ben guardare, questa missione importante reca con sé, per Seth, diversi vantaggi, tra cui proprio la restituzione di ciò che gli è stato tolto!

Soledad/Anuit vede nel dio qualcosa che mai nessuno si era mai curato di vedere:

"Seth poteva essere un mostro, ma poteva essere anche qualcos'altro".

Lei comprende le ragioni di quella rabbia e violenza ma, soprattutto, si rende conto di come Seth sia insospettabilmente capace di atti "nobili", come quello di proteggerla, di fare qualsiasi cosa pur di preservare la sua incolumità, e non solo perché lei, Anuit, è indispensabile all'adempimento della profezia.

Il rapporto tra il dio e la mortale va approfondendosi sempre più sotto gli occhi di Nuru, che intuisce come Anuit stia diventando importante per quel dio egizio pieno di ira e sempre pronto a prenderlo per il collo manco fosse una gallina.

A sua volta, lo stesso Seth sente che qualcosa dentro di lui sta cambiando: per carità, è e resta il signore del caos e della rabbia, colui che è capace di triturare creature mostruose come se stesse schiacciando formichine, in lui cova sempre un immenso e furente rancore verso i fratelli, ma deve ammettere che quella schiava umana lo sta facendo cambiare.

Nei suoi confronti comincia a provare sentimenti a lui sconosciuti, che vanno oltre la mera attrazione fisica (che c'è, è forte ed è palesemente ricambiata dall'umana): sente il bisogno di proteggerla, di starle vicino..., anche se sa che, a causa del danno che gli hanno procurato, non può darsi a lei completamente.

Chi è davvero questa Anuit, sensibile e cocciuta, capace di slanci di generosità e tanto temeraria da rispondergli, contraddirlo e disubbidirgli?

"C'era un caos buono dentro di lei. Opposto al mio, ma spontaneo e colmo di intelligibili ragioni esattamente come il mio".

"Lei era una scintilla di indomita purezza che non temeva nessuna tenebra. Neppure la mia."


Seth e  Soledad: due individui provenienti da esperienze di prigionia e solitudine che adesso sono chiamati a compiere una missione profetica e dagli esiti tutt'altro che scontati.
Due esistenze così differenti, due destini e due nature inconciliabili (immortale lui, mortale lei): cosa possono condividere? Possono mai sperare in un futuro insieme?


Questo primo volume della serie, incentrato su Seth e Soledad, mi ha piacevolmente sorpresa in quanto si è rivelato da subito una lettura davvero appassionante; la storia in sé mi è piaciuta, come anche la presenza delle antiche divinità egizie e i loro modi di interagire e intervenire nella storia in base alle proprie caratteristiche; il ritmo narrativo si mantiene sempre agile e veloce, ci sono momenti avventurosi, altri più romance, e abbondanza di dialoghi.

Ma l'aspetto che più ho apprezzato è stato lo stile dell'autrice: brioso, divertente, ricco di battute salaci e di momenti ironici, che rendono la lettura vivace e spesso comica, in quanto questi dèi - pur con i loro tratti ultraterreni - sono in realtà molto vicini agli umani, nel loro essere volubili, vendicativi, viziati, ipocriti, adulatori ecc..., e questo crea situazioni e dialoghi che fanno spesso sorridere.
A dare un ulteriore tocco umoristico ci pensano anche le note inserite nel testo e che sono delle precisazioni simpatiche e argute da parte di Soledad e Seth, i quali si alternano nella narrazione (in prima persona).

Il mio parere su SETH è, quindi, assolutamente positivo e consiglio il primo libro della serie in particolare a quei lettori che amano l'urban fantasy e il paranormal romance.


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sabato 23 aprile 2022

[ 23 APRILE ] ❤ GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO E DEL COPYRIGHT ❤



Oggi è la GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO E DEL COPYRIGHT.

"Nata" nel 1996, ha lo scopo di promuovere la lettura, la pubblicazione dei libri e la tutela del copyright.
In questa giornata, ogni anno, in tutto il mondo si svolgono iniziative per rimarcare l'importanza dei libri; la scelta della data - 23 aprile - è da attribuire al fatto che in questo giorno sono morti diversi autori di spicco, come William Shakespeare, Miguel de Cervantes e Inca Garcilaso de la Vega.
 
(link img)



Difendendo i libri e il diritto d'autore, l'UNESCO difende la creatività, la diversità e la parità di accesso alla conoscenza; il libro crea un ponte tra generazioni, tra il passato e il presente, permette la condivisione di idee e - aspetto importantissimo - è un potente strumento per combattere la povertà e costruire una pace duratura.

Sono tantissimi i Paesi che "festeggiano" questa data e ad essere coinvolte sono ogni anno milioni di persone, raccolte intorno a centinaia di associazioni, scuole, enti pubblici, gruppi professionali e aziende private.


Per celebrare i nostri amatissimi amici di carta (ma anche quelli digitali e audio ^_^), ho pensato di proporvi qualcosa di "leggero" e simpatico, in cui magari potete cimentarvi anche voi: qualche domanda per chi ama leggere (è un mix di due book tag che ho trovato girovagando nel web *) e condividere alcuni dettagli della propria passione.


IL LIBRO CHE TI HA FATTO INNAMORARE DELLA LETTURA

Credo che il merito possa andare soprattutto a Le avventure di Tom Sawyer: un'edizione mini mini, con la copertina in tessuto di colore rosso; ce l'ho gelosamente custodita, ha le pagine ingiallite da far concorrenza a Pagine gialle, ed è tutto spiegazzato. Letto e riletto. Avrò avuto dieci-undici anni la prima volta.


QUALE LIBRO AVRESTI VOLUTO SCRIVERE.

Domandona! Forse (non è il solo, of courseIl Conte di Montecristo.


UN PERSONAGGIO MASCHILE NEGATIVO MA, A SUO MODO, STRAORDINARIO E NECESSARIO.-

Ce n'è più d'uno (tipo Heathcliff), ma ad oggi, e senza pensarci troppo, dico lo spietato ed arrogantissimo Jonathan "Black Jack" Randall (La Straniera).



IL GENERE CHE NON LEGGI MAI.

Mai è una parola forte, perché almeno una volta nella vita ho letto moltissimi generi - non dico tutti, per carità, ma di certo anche i meno graditi, e non posso escludere che mi ricapiti - però, ad istinto, rispondo con quello che è il genere che difficilmente e raramente scelgo non solo al presente, ma ormai da anni: fantascienza
E pensare che, negli anni della scuola media, lo amavo :-D



SE POTESSI ANDARE A BERE UN BICCHIERE CON UN AUTORE, CON CHI ANDRESTI?

Tra i viventi, mi viene in mente subito Luca Bianchini; forse perché sono andata a più di una sua  presentazione ed è molto simpatico e alla mano; tra le donne, dico la Mazzantini e Kate Morton, più che altro per spronarle a scrivere un altro romanzo, visto che è da un po' che non pubblicano qualcosa di nuovo.

Tra i deceduti: la mia scrittrice del cuore, Emily Brontë, anche se - ad essere sincera - non ce la vedo molto a bere né una bionda né un cicchetto; forse un té è più adatto a lei. 


E CON CHI, TRA I PROTAGONISTI DEI LIBRI CHE HAI AMATI DI PIÙ?   

Ehm..., sarà che ne sono reduce da poco, ma vado a sbattere sempre contro La straniera di Diana Gabaldon, per cui direi il mio adoratissimo James Alexander  Malcolm MacKenzie Fraser. E visto che l'attore che lo interpreta nella serie (Sam Heughan) produce del whisky tutto suo, un goccio me lo farei volentieri. 


LEGGI SEMPRE IL LIBRO PRIMA DI GUARDARE IL FILM O LA SERIE TV?

Se posso sì, ma mi è capitato di desiderare di leggere il/i libro/i anche dopo la visione cinematografica/tv, e non mi sono trovata male, là dove già il film mi era piaciuto. È il caso, ad es, di Via col vento, Romanzo Criminale, la succitata La straniera...


IL POSTO MIGLIORE PER LEGGERE

Io mi accontento della sedia della cucina, eh, però anelo a posticini come questi... 

***
**
  






IN QUALE EPOCA E LUOGO "LETTERARI" TI PIACEREBBE VIVERE?

Eh, dopo aver guardato Outlander e aver letto il primo volume della serie, non posso che scegliere la seconda metà dell'Ottocento in Scozia *________*


Inverness
(source)




SE DOVESSI SCEGLIERE UN SOLO GENERE LETTERARIO PER TUTTO IL RESTO DELLA TUA VITA, QUALE SCEGLIERESTI?

Eh, scelta durissima, ma - dopo una bella lotta tra gialli, thriller, romanzi storici, classici e tutti quei libri che vanno ad inserirsi in una generica narrativa contemporanea - credo mi terrei i thriller psicologici. L'adrenalina è fondamentale.



Fonti:

https://www.unesco.it/
https://theshelfofunreadbooks.wordpress.com/     *
https://mdympna.wordpress.com/    *

https://pin.it/3mfq3J2   **
https://pin.it/2PBFiHg   ***

martedì 19 aprile 2022

RECENSIONE ** COME IL VENTO TRA I MANDORLI di Michelle Cohen Corasanti **



Il romanzo d'esordio della scrittrice ebrea americana Michelle Cohen Corasanti ci racconta, attraverso il punto di vista di un ragazzo palestinese nato e cresciuto in una terra devastata e sotto il controllo militare israeliano, una storia di amore ed amicizia, le vicissitudini di una famiglia che va incontro a molti dolori e perdite, e soprattutto la storia di un ragazzo che il lettore vede crescere e diventare un uomo di successo e che imparerà a sue spese quanto alto sia il prezzo dell'odio ma altresì quanto sia forte il potere dell'amore e del perdono.



COME IL VENTO TRA I MANDORLI 
di Michelle Cohen Corasanti 


Feltrinelli
trad. A. Pizzoli
377 pp
Una farfalla vola sotto il cielo di un piccolo paese della Palestina; siamo a metà degli anni cinquanta e la piccola e vivace Amal, che ha solo due anni, rincorre la farfalla sperando di acchiapparla.
Ma è troppo piccola per sapere o per leggere che c'è un cartello vicino casa sua, con la scritta "Vietato l'accesso", superato il quale inizia una zona piena di mine.
Sfuggita alle cure materne, Amal corre felice ma, sotto le urla disperate di Mama e del fratello maggiore Ichmad, il suo povero corpicino salta in aria, smembrandosi, allo scoppio di una mina.

L'incipit di questo romanzo è davvero carico di dolore e tristezza, ma anche di rabbia impotente: non è giusto - pensa Ichmad - che la sua sorellina sia morta a causa di questi israeliani che decidono quando e come possono uscire di casa, mettendo mine attorno alla casa, ordinando loro di restare dentro dopo una certa ora - pena l'arresto o peggio - e, addirittura, venendo con la violenza a cacciarli fuori dalla loro abitazione.

Non fanno in tempo a seppellire ciò che resta di Amal che la sua famiglia, infatti, viene costretta dall'esercito israeliano a trasferirsi in un misero fazzoletto di terra, rallegrato soltanto da una pianta di mandorlo, che diventa una sorta di "amico paziente e silenzioso" e anche un punto privilegiato da cui guardare ciò che accade agli altri, ai vicini di casa israeliani, che possono permettersi acqua pulita, strade nuove, l'elettricità... Diversamente da loro.

A dodici anni Ichmad è un piccolo genio della matematica; il suo idolo è  Albert Einstein, e il suo insegnante, il professor Mohammad, lo esorta con convinzione ed entusiasmo a continuare a studiare perché, col talento naturale che si ritrova, può puntare molto in alto.
Baba - il suo caro, saggio e mite papà - lo incoraggia anch'egli in questo senso: l'uomo sa cosa voglia dire non poter realizzare i propri sogni e desideri a causa di un contesto difficile e proibitivo, in cui bisogna fare scelte dure ma necessarie, come le sta facendo lui, costretto ad accettare di lavorare come muratore per costruttori ebrei; Baba vuole che i suoi figli non si accontentino di sopravvivere, ma che investano sulle proprie capacità per farsi strada nella vita, perché nel mondo c'è spazio anche per un palestinese e, se lo vorrà, Ichmad ne sarà la dimostrazione evidente.

Ma purtroppo il destino gioca un brutto scherzo al ragazzino e ai suoi cari, e la violenza e la paura tornano a sfondare la loro porta.
A causa di circostanze non previste e di una decisione obbligata e presa nell'innocenza dei suoi dodici anni, la polizia irrompe in casa Hamid e arresta Baba con l'accusa (ingiusta ma da cui è impossibile difendersi) di essere un terrorista.
Da quel momento la situazione precipita e vivere diventa ogni giorno più complicato: con il padre in prigione (sottoposto a costanti torture, percosse, umiliazioni), Ichmad diventa l'ometto di casa.
Casa...: si fa per dire, visto che i soldati israeliani danno fuoco alla loro casa (con un'ulteriore drammatica perdita per la famiglia Hamid) e Mama e i suoi figli son costretti a cercarsi un'altra sistemazione di fortuna; non solo, ma è necessario andare a lavorare per portare cibo a casa: assieme ad Ichmad ci sono fratelli e sorelle, tra cui il piccolo Abbas, molto legato al fratello maggiore.

Il ragazzo decide di farsi carico della famiglia e di andare a lavorare, con sommo dispiacere del professore Mohammad, che desidererebbe che il suo pupillo pensasse a studiare. Ma come si fa? Una soluzione va trovata e certo non possono morire di fame.

“Nella prosperità la scelta è difficile. Nelle avversità non si può scegliere”.


Trova lavoro in un cantiere, accanto a operai israeliani; benché troppo giovane, il testardo Abbas lo accompagna e i due vengono presi entrambi; anche al lavoro le angherie non mancano e, con esse, un'ennesima tragedia, che questa volta toccherà Abbas.

Non sarà facile per il povero Ichmad sfamare da solo la famiglia, col pensiero di quel povero ed innocente padre in prigione, che però, nonostante tutto, continua ad essere per lui un prezioso punto di riferimento, un porto sicuro cui tornare quando non sa che decisione prendere e quando ha bisogno di sentirsi incoraggiato,  sostenuto nelle proprie scelte (sostegno che non sempre trova nei fratelli e nella madre, i quali sono troppo amareggiati ed arrabbiati a motivo delle tante, troppe ingiustizie subite ogni giorno, per riuscire a provare, verso Israele, qualcosa di diverso dall'odio) e indirizzato verso il bene.

"Un uomo non è nessuno se non combatte per la propria famiglia. Promettimi che farai qualcosa della tua vita. Non farti risucchiare da questa lotta. Rendimi fiero di te, non lasciare che la mia prigionia ti rovini l’esistenza. Devi trovare il modo migliore per aiutare tua madre: non è in grado di cavarsela da sola. Adesso sei tu il capofamiglia.”

“Nella storia i conquistatori si sono sempre comportati allo stesso modo con i conquistati. Hanno bisogno di crederci inferiori per giustificare il modo in cui ci trattano: se solo si rendessero conto che siamo tutti uguali…”

"La gente odia perché ha paura di ciò che non conosce: se solo le persone avessero l’occasione di conoscere coloro che odiano, di trovare degli interessi comuni, potrebbero superare l’avversione.”


E mentre Abbas si lascia lacerare dall'odio e dal desiderio di vendetta verso i persecutori del proprio popolo, rifiutando qualsiasi rapporto di amicizia con qualunque ebreo, la vita offre a Ichmad una grande opportunità di riscatto da quella che sembra essere un'esistenza disgraziata ormai già scritta: partecipa ad un concorso di matematica per entrare all'università ebraica di Gerusalemme, lo vince lasciando tutti a bocca aperta per le sue abilità e da quel momento sembra avere inizio un nuovo, entusiasmante capitolo della sua esistenza di studioso e aspirante ricercatore.

Ma, ancora una volta, la strada è in salita perché anche in quell'ambiente colto serpeggiano pregiudizi e ostilità; in particolare, a detestarlo è il suo professore di Fisica, Menachem Sharon, che pare quasi irritato dall'acuta intelligenza di quello studente vestito molto modestamente e che proviene da un piccolo paese della Palestina.
Il disprezzo che ha per Ichmad è palese ma questo non ferma il giovane, che si sforza di non farsi sopraffare da sentimenti negativi, memore delle parole di Baba:

"...prima di giudicare una persona, prova a immaginare come ti sentiresti se anche tu avessi vissuto le stesse cose."

Molto intenso il passaggio in cui Ichmad e Sharon si confrontano, finalmente faccia a faccia e senza reticenze, su ciò che li divide, e il ragazzo prova a capire come mai quell'insegnante ebreo sembri odiare tanto i palestinesi.

Lo stesso professore non può continuare ad ignorare il grosso potenziale che costituisce quell'arabo dalla mente brillante, e il loro comune amore per la ricerca scientifica diventa il punto d'incontro tra due uomini avveduti, che - proprio grazie al confronto e lavorando fianco a fianco - si rendono conto che è possibile superare le diversità, i pregiudizi, e lavorare insieme per qualcosa di bello e di cotruttivo.

Meno semplice sarà farlo capire ad Abbas, che disapprova con foga il comportamento del fratello, giudicandolo un traditore che si allea col nemico, che tanto dolore ha portato e porta alla loro famiglia e al loro popolo.


“Se ci vendichiamo delle loro azioni, saremo come loro, ma se li perdoniamo, allora saremo migliori.” Di nuovo, citai Baba.
“Li odio.”
“Odiare è come autopunirsi."


E così, mentre la Storia fa il suo corso,la carriera di Ichmad, ormai adulto, decolla ed egli riesce a emigrare negli Stati Uniti nonostante l'opposizione della famiglia.
In America conosce una ragazza bellissima, Nora, un'attivista che si batte per i diritti umani, ha a cuore la causa palestinese ed è intenzionata a recarsi a Gaza. I due si innamorano ma il loro legame non viene visto di buon occhio né dalla famiglia di lui né da quella di lei, in quanto la ragazza è ebrea.

Tante cose accadranno ad Ichmad, che godrà del successo nell'ambito professionale, ma in quello privato andrà incontro anche al lutto e a perdite importanti e dolorose.
Tuttavia ogni difficoltà, piccola o grande, non farà che temprarlo e renderlo un uomo sempre più consapevole di cosa vuol fare nella vita e perché, tenendo sempre presente quali siano le proprie radici e la sofferenza della propria gente, davanti alla quale nessuno - né il singolo né la collettività - può e deve restare indifferente.

"Come il vento tra i mandorli" è la storia travolgente e indimenticabile di un giovane nato e cresciuto in un contesto che è totalmente contro di lui: non ci sono presupposti positivi da cui partire e che possano fare da trampolino per un'esistenza, se non di successo, quanto meno serena.
Le uniche sue risorse sono il suo innato talento per tutto ciò che ha a che fare con formule e numeri e - variabile imprescindibile - i saggi e lodevoli insegnamenti ricevuti dal padre, Baba, che non ha mai smesso di credere nelle capacità e nella lungimiranza del suo primogenito, e ha saputo insegnargli ad andare oltre la fosca coltre di violenza, sopraffazione, ostilità... di coloro che, a buon diritto, potevano essere additati come nemici da detestare e combattere.
Non è facile scrollarsi di dosso e da dentro i semi dell'odio e della rabbia, quando sin da piccoli l'aria che si è respirata è stata infettata e condizionata dai soprusi, dalla crudeltà, dalle privazioni dei propri diritti; Abbas ne è una dimostrazione e il lettore fa fatica ad addossargliene tutte le colpe perché, immedesimandosi in lui, viene da chiedersi: cosa proverei io verso l'occupante, se vivessi nelle medesime condizioni di Ichmad e degli altri palestinesi? Se vedessi morire, imprigionare, impedire un visto, le cure sanitarie, l'istruzione ecc... da coloro che mi hanno già sottratto casa, terre, beni...?

Viene istintivo e spontaneo nutrire un grande risentimento verso chi ti sta rendendo la vita impossibile; non farsi dominare da questo sentimento e scegliere di non farsi logorare dall'odio richiede davvero un grande lavoro su stessi ed è ciò che fa il protagonista.

Ichmad fa tesoro della saggezza paterna e, pur tra non pochi conflitti, sia interiori, sia con i famigliari - che non sempre condivideranno le sue scelte, nel corso degli anni -, saprà dare alla propria vita una direzione nobile, costruttiva, consapevole che ciascuno deve poter dare il proprio contributo per costruire "un mondo in cui ci si elevi al di sopra delle divisioni razziali e religiose, e di ogni altro motivo di discordia, per trovare un obiettivo più alto."

È un romanzo davvero molto bello, intenso, che ha come tematica di fondo la drammatica e logorante situazione presente nella terra di Palestina, cui l'autrice - che, vi rammento, è israeliana, e non è un particolare irrilevante, a mio avviso - dà voce attraverso la storia potente di Ichmad Hamid, il quale ricorda ai lettori che, per comprendere quello che è noto come "conflitto israelo-palestinese", vanno ascoltate entrambe le narrative e che la pace può divenire un obiettivo realizzabile solo se c'è giustizia, che si basa sulla verità e sull'ammissione che ai palestinesi va riconosciuto tutto ciò che hanno sofferto e soffrono.
Non si può essere liberi quando si opprime un altro popolo.


Il discorso finale, che Ichmad tiene in occasione di un evento fondamentale nella propria vita, commuove, spinge a molte riflessioni e ad aprire gli occhi su ciò che accade in questa striscia di terra, da troppi anni martoriata da scontri, bombe e violazioni di diritti: l’istruzione, dice il protagonista di questo libro, può costituire un'ancora di salvezza per offrire ai giovani palestinesi una via per elevarsi al di sopra delle circostanze in cui vivono:

“L’istruzione è un diritto fondamentale di ogni bambino. (...) Gaza è terreno fertile per futuri terroristi. Le loro speranze e i loro sogni sono stati mandati in frantumi. L’istruzione, ancora di salvezza per gli oppressi, è stata resa praticamente impossibile. Gli israeliani (...) non permettono l’ingresso di libri, materiale scolastico o da costruzione. Non possiamo vivere in pace quando altri sono immersi nella povertà e nell’iniquità."

Ne consiglio vivamente la lettura, la storia di Ichmad resta nel cuore per le vicende umane cui va incontro e che, pur essendo fittizie, appassionano ed emozionano per il loro essere realistiche ed ancorate al drammatico contesto di riferimento, inducendo il lettore ad interessarsi ad esso.

A tal proposito, vi consiglio di visitare il sito dedicato al romanzo, dove troverete diverse informazioni e spunti interessanti per approfondire l'argomento Israele/Palestina.
 
✤✤  THE ALMOND TREE  ✤✤



ALCUNE CITAZIONI

"Il professor Sharon si alzò. “Il vostro popolo ha una rivendicazione legittima su questa terra.” Alzai gli occhi e lo fissai a bocca aperta. “Non creda che io sia così stupido.” Andò alla finestra. “Non avevamo scelta. L’Olocausto è stata la prova che gli ebrei non potevano più esistere come una minoranza all’interno di altre nazioni. Avevamo bisogno di una patria nostra.”

"Non può esserci libertà senza lotta. È ora che gli israeliani capiscano: se ci mettono in gabbia, ne pagheranno il prezzo. Posso solo decidere come morire."

"Non permettere al senso di colpa di entrarti nel cuore, perché è una malattia, è come il cancro, e ti divorerà finché di te non resterà più niente"

"Il coraggio, capii, non era la mancanza di paura: era l’assenza di egoismo, era mettere il bene di qualcun altro prima del proprio."

“Avere successo non vuol dire non sbagliare mai, ma piuttosto rialzarsi dopo ogni caduta.”

"Nella vita, se si vuole fare qualcosa di grande, bisogna accettare di fare sacrifici, e di chiedergli anche a chi ci ama".

"...solo rischiando di fallire si può raggiungere la grandezza".

“Nella vita, il successo non si misura con il numero delle volte che abbiamo fallito, ma in base a come abbiamo reagito a tali fallimenti."

"Se resti neutrale in situazioni di ingiustizia, allora hai scelto la parte dell’oppressore” (Desmond Tutu). 

sabato 9 aprile 2022

Una volta sola non mi è bastata...

 

Qualche sera fa ho guardato su Rai Movie un film che mi piace moltissimo e che non mi stanco mai di riguardare: IL MOMENTO DI UCCIDERE (1996), diretto da Joel Schumacher, con protagonisti Sandra Bullock, Matthew McConaughey, Samuel L. Jackson, e tratto dall'omonimo legal thriller di Grisham.




Guardandolo, ripensavo al fatto che ci sono diversi film, libri, poesie ecc..., ai quali mi sono avvicinata più di una volta in passato ed ancora oggi continuano a non stancarmi perché ogni volta è (ed è stato) un po' come tornare a qualcosa di familiare, una sorta di "comfort zone" a cui mi piace (oggi come ieri) ritornare, sicura di ritrovare e riprovare le emozioni della prima volta.

Mi raccomando, fatemi sapere se avete anche voi film o libri o altro che non vi stancate mai di rivedere/leggere ^_-

Ecco, per quanto concerne i FILM, oltre a quello già citato (di cui mi attira la tematica della discriminazione razziale nei confronti dei neri; inoltre mi commuove sempre la arringa finale dell'avvocato della difesa, Brigance), ce ne sono ovviamente degli altri.

- TITANIC: davvero, non riesco a non guardarlo nonostante poi in casa tutti si lamentino con frasi del tipo "Ancora??? Ma basta, lo sai già come finisce e Jack muore, punto!", con tanto di smorfie e occhi al cielo.
Oh e che ci posso fare? Non solo me lo guardo, ma quando inizia tutta la concitazione post-iceberg, mi sale pure l'ansia come se non l'avessi mai visto prima.




- SCHINDLER'S LIST: eh sì, l'ho visto davvero taaaante volte ma, quando mi capita, lo rivedo e mi si attorciglia lo stomaco sempre. Quando si giunge alla scena finale dell'anello, che gli ebrei della lista regalano al loro herr Direktor, il groppo in gola è assicurato.

- TRILOGIA "RITORNO AL FUTURO": questa credo di averla detta un sacco di volte! È un'istituzione a casa dei miei rivedere con mio fratello e mio marito - almeno una volta all'anno - i tre film su Marty McFly in giro tra il 1885 e il 2015 sulla DeLorean; il divertimento sta più che altro nell'anticipare ogni battuta :-D




E poi ce ne sono davvero tanti altri, tipo La custode di mia sorella, Mine vaganti, i film di Checco Zalone, Il miglio verde, I Dieci comandamenti, Il colore viola, Ghost, Via col vento, Top Gun, Le ali della libertà, Stand by me-Ricordo di un'estate, Pretty woman... e potrei stare qui ancora un altro po' ad allungare la lista: tutti film visti e stravisti e che di certo rivedrò alla prima occasione, già lo so.

Poi ci sono anche quei film che, se dipendesse da me, non necessariamente rivedrei - né avrei scelto di  rivedere più volte in passato -, ma poiché esistono anche altri esseri umani dentro casa (ciascuno con i medesimi diritti), e beh... succede di dover assecondare le fisse altrui: questo vale per pellicole come Cast away, Sister Act, The day after tomorrow.


Circa i LIBRI, sono anni che difficilmente mi dò alle riletture; però in passato, ho avuto le mie manie per alcuni libri in particolare e non li ho letti due-tre volte (ehm... alcuni anche di più): IL DIARIO DI ANNA FRANK, JANE EYRE, CIME TEMPESTOSE sono in assoluto quelli che ho consumato di più, e poi LE AVVENTURE DI TOM SAWYER, ROSSELLA di Alexandra Ripley (il seguito di "Via col vento") e IL GIGLIO E IL LEOPARDO di Susan Wiggs.


Anche le POESIE rientrano in questa amata e confortante ripetitività; sono tanti i poeti che amo e di cui mi piace rileggere poco e spesso alcune liriche/sonetti, ma per brevità vi trascrivo le mie preferite.


MESE PER MESE, ANNO DOPO ANNO
(Emily Brontë)

Mese per mese, anno dopo anno,
la mia arpa ha versato un canto triste;
ora una nota vivace la rallegra
e il piacere intona le sue corde.

Che importa se le stelle e il bel chiaro di luna
si estinguono nel grigio mattino?
sono soltanto emblemi della notte,
e questo, anima mia, è il giorno.



HO SCESO, DANDOTI IL BRACCIO...
(Eugenio Montale)

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue


A SILVIA
(Giacomo Leopardi)


Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all'opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,

E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?

Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d'amore

Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.


L'INFINITO
(Giacomo Leopardi)

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
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