Oggi nasceva uno scrittore irlandese tra i più grandi del Novecento:
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JAMES JOYCE (1882-1941)
Nacque in una modesta famiglia cattolica, maggiore di dieci figli, e fu educato dai gesuiti per essere avviato al sacerdozio. L'istruzione ricevuta avrà una notevole influenza nel bene e nel male su di lui, come pure la ebbe la figura del padre alcoolista.
Studia lingue moderne all'University College di Dublino, diplomatosi nel 1902, parte per Parigi col pretesto di condurvi studi di medicina: abbandona ben presto la facoltà per dedicarsi alla scrittura, ma anche cadendo nell'alcoolismo. Nel gennaio del 1904 inizia a tratteggiare Dedalus, ritratto dell'artista da giovane, e quella stessa estate si innamora di Nora Barnacle, che inizia ad accompagnarlo per l'Europa, da Pola a Trieste, dove Joyce trova lavoro, insegnando l'inglese alla Berlitz e dando lezioni private. A Nora resterà attaccato tutta la vita, sposandola nel 1931. Nel 1905 nasce il loro primo figlio, Giorgio.
Nel giugno 1915, s'installa in Svizzera con la famiglia, dove tra lavori saltuari continua soprattutto a vivere della generosità dei suoi amici e dei suoi ammiratori, trqa cui Ezra Pound, Yeats, T.S. Eliot. Le sue opere iniziano a essere pubblicate: nel 1916 Dedalus e nel 1918 il dramma Gli esiliati. A Zurigo, Joyce intraprende la scrittura di Ulisse, abbozzato già nel 1906, che esce a puntate sulla Little Review.
Sempre nel 1921, comincia il suo ultimo libro, Finnegans Wake, alla cui stesura si dedicherà per sedici anni e che esce nel 1939. Allo scoppio della Seconda Guerra mondiale, volendo rifugiarsi in un paese neutrale, Joyce, ormai molto malato, ottiene l'autorizzazione di tornare a Zurigo, dove morirà il 13 gennaio 1941.
fonte
Stava in mezzo alla folla ondeggiante nella stazione al North Wall. Lui le teneva la mano e lei sapeva che le stava parlando, che ripeteva qualcosa sulla traversata più epiù volte. La stazione era piena di soldati con bagagli scuri. Attraverso le ampie porte dei capannoni intravedeva la massa nera della nave, ormeggiata accanto al muro del molo, con gli oblò illuminati. Non rispose nulla. Si sentiva le guance pallide e fredde e, da un labirinto di angoscia, pregò Dio di guidarla, di indicarle quale era il suo dovere.La nave mandò un lungo fischio lugubre nella bruma. Se andava, domani sarebbe stata sul mare con Frank, diretta a tutto vapore verso Buenos Aires. I biglietti per latraversata erano stati presi. Poteva ancora tirarsi indietro dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei? L'angoscia le fece venire la nausea mentre continuava a muovere le labbra in silenziosa fervente preghiera.
Una campana le squillò sul cuore. Lo sentì afferrarle la mano:
«Vieni!».
Tutti i mari del mondo le si rovesciarono intorno al cuore. La stava attirando dentro di essi: l'avrebbe affogata. Si aggrappò con entrambe le mani alla ringhiera di ferro.
«Vieni! »
No! No! No! Era impossibile. Le mani strinsero convulse e frenetiche il ferro. Lanciò in mezzo ai mari un grido di tormento. «Eveline! Evvy! »
Lui si precipitò oltre la barriera e le gridò di seguirlo. Gli urlarono di andare avanti, ma la chiamava ancora. Fissò su di lui il viso bianco, passivo, da animale indifeso. Isuoi occhi non gli dettero nessun segno di amore o di addio o di riconoscimento.
Qualche estratto...
Da GENTE DI DUBLINO (raccolta di racconti è un sunto delle sue esperienze vissute a Dublino)
Comincio con il finale di "Eveline", un racconto presente in Gente di Dublino e che da ragazzina amavo leggere e rileggere...
Stava in mezzo alla folla ondeggiante nella stazione al North Wall. Lui le teneva la mano e lei sapeva che le stava parlando, che ripeteva qualcosa sulla traversata più epiù volte. La stazione era piena di soldati con bagagli scuri. Attraverso le ampie porte dei capannoni intravedeva la massa nera della nave, ormeggiata accanto al muro del molo, con gli oblò illuminati. Non rispose nulla. Si sentiva le guance pallide e fredde e, da un labirinto di angoscia, pregò Dio di guidarla, di indicarle quale era il suo dovere.La nave mandò un lungo fischio lugubre nella bruma. Se andava, domani sarebbe stata sul mare con Frank, diretta a tutto vapore verso Buenos Aires. I biglietti per latraversata erano stati presi. Poteva ancora tirarsi indietro dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei? L'angoscia le fece venire la nausea mentre continuava a muovere le labbra in silenziosa fervente preghiera.
Una campana le squillò sul cuore. Lo sentì afferrarle la mano:
«Vieni!».
Tutti i mari del mondo le si rovesciarono intorno al cuore. La stava attirando dentro di essi: l'avrebbe affogata. Si aggrappò con entrambe le mani alla ringhiera di ferro.
«Vieni! »
No! No! No! Era impossibile. Le mani strinsero convulse e frenetiche il ferro. Lanciò in mezzo ai mari un grido di tormento. «Eveline! Evvy! »
Lui si precipitò oltre la barriera e le gridò di seguirlo. Gli urlarono di andare avanti, ma la chiamava ancora. Fissò su di lui il viso bianco, passivo, da animale indifeso. Isuoi occhi non gli dettero nessun segno di amore o di addio o di riconoscimento.
Da ULISSE (Il romanzo si articola in diciotto capitoli, ognuno dei quali ha delle caratteristiche peculiari nello stile, occupa una particolare ora della giornata ed è un parallelo con l'Odissea, come i personaggi stessi, che restano comunque delle parodie. Ad ogni capitolo sono associati anche un colore, un'arte o una scienza e una parte del corpo.)
“Ogni vita è una moltitudine di giorni, un giorno dopo l’altro. Noi camminiamo attraverso noi stessi, incontrando ladroni, spettri, giganti, vecchi, giovani, mogli, vedove, fratelli adulterini, ma sempre incontrando noi stessi.”
"Quando hai una cosa, questa può esserti tolta. Quando tu la dai, l'hai data. Nessun ladro te la può rubare. E allora è tua per sempre."