martedì 18 agosto 2015

Recensione: LA CHIMERA di Sebastiano Vassalli



Appena terminato, e subito il mio parere su...

LA CHIMERA
di Sebastiano Vassalli



Ed. Einaudi
308 pp
11 euro
1990

La chimera è un romanzo storico di Sebastiano Vassalli,  prolifico scrittore che ci ha lasciati recentemente (fine luglio c.a.) e che narra la vicenda, la triste vicenda, di una giovane vissuta tra il 1590 e il 1610: Antonia Renata Giuditta Spagnolini, meglio conosciuta come “la stria (strega) di Zardino”.
Antonia viene abbandonata presso il torno (la ruota degli esposti) per essere accolta dalle suore della Casa di Carità di San Michele fuori le mura.
Antonia è un’esposta, una bimba frutto del peccato di una madre scellerata, e lei stessa – come tutti i bimbi esposti – verrà per sempre vista come una reietta, un essere inferiore, da emarginare, che non merita nulla se non disprezzo, e quando le si rivolge un atto di carità ci si aspetta un’infinita gratitudine.
La piccola Antonia cresce quindi nel convento, tra preghiere, canti liturgici, rimproveri e rimbrotti continui da parte delle suore sempre scontente; nonostante non sia un hotel a 4 stelle, la vita in convento non è poi così male, ed è per questo che, quando a 11 anni i coniugi Bartolo e Francesca Nidasio la notano tra i tanti fanciulli orfanelli e decidono di portarla a vivere con loro, la bimba non riesce ad essere felice per questo cambiamento.

Forse qualcosa nel suo cuore, un oscuro e indefinibile presentimento, vorrebbe tenerla lontana da Zardino, dalla bassa novarese, perchè quel luogo sarà per Antonia fonte di dolori e umiliazioni?

Il marchio dell’esposta infatti la segue come un segugio fedele, e sin da subito i vicini – bimbi compresi – la additano come se fosse “diversa”, ma Antonia è un piccolo arboscello forte e soprattutto bello: capelli neri e folti, occhi lucenti ed espressivi, e crescendo svilupperà non solo un bel viso ma anche un bel corpo.

Sono anni duri per le belle donne, potremmo dire prendendo a prestito l’ironia dell’Autore, ed Antonia farà le spese di una concezione di stampo medievale che vede la bellezza come un segno del male, la dichiarazione aperta ed inconfutabile di un’anima nera come la pece, che s’è venduta al diavolo e a lui appartiene, perché con lui s’incontra nei malefici e perversi sabba, dove si lasciano andare alla lascivia e alla lussuria più imperdonabile.

Nel tempo, a cominciare dagli anni dell’adolescenza, la giovanissima Antonia si affaccerà al mondo dei grandi, dell’amore, avendo la sfortuna di incontrare un uomo che non l’ama – un vagabondo, un camminante spietato, brutto e scansafatiche – per il quale perderà la testa, e che diventerà, assieme ad altri episodi, azioni e parole che le verranno attribuiti, la palla al balzo per i suoi accusatori, che si inventeranno di sana pianta dei gravi capi di imputazione, racchiusi tutti nella sola, terribile parola: stria.
E la stria di Zardino dovrà vedersela con l’ignoranza dei propri compaesani, che da un giorno all’altro si trasformano in acerrimi nemici; con la presunzione, la saccenza e la fede bigotta (ed insensata) di esponenti del clero che sfogano le proprie frustrazioni (sessuali, soprattutto) riempiendosi la bocca di pretese eresie, di ammonimenti alla castità, di condanne rivolte alle donne quali strumenti di seduzione e tentazione; con la perversione di gente gretta e meschina che s’è messa al servizio di un tribunale che pretende di essere “di Dio” ma che in realtà è fin troppo umano, perché ne riflette tutta la cattiveria, la falsa giustizia, la voglia sfrenata di esorcizzare paure irrazionali legate al sovrannaturale, la cui concezione è alterata da superstizioni e cecità morale e spirituale.

La tragica storia di Antonia si inserisce in un preciso momento storico – il Seicento in Italia – ben preciso e del quale Vassalli ci da un quadro interessante, dettagliato, avvicinandoci ad esso, ed è così che, capitolo dopo capitolo, le vicende di Antonia vengono intervallate da informazioni "tecniche" (che però, per quel che mi riguarda, mai hanno il sapore della lezioncina di storia), e Vassalli ci parla del clero corrotto e licenzioso – cui si contrapponevano alcuni religiosi ossessionati dall’obbedienza a riti, liturgie e comandamenti -, delle conseguenze della dominazione spagnola, di personaggi – molti realmente esistiti – che in qualche modo hanno avuto la loro parte nello sviluppo della storia, di categorie di individui presenti a quel tempo (risaroli, camminanti…).

Apprezziamo, leggendo, la sua ironia nel narrarci di certi personaggi particolari o di costumi dell’epoca discutibili ovvero apertamente deplorevoli (vedi il commercio delle reliquie).

Tutto questo collocato nella pianura del novarese ed in particolare a Zardino,

“un villaggio d’una trentina di fuochi portato via da un’alluvione del Sesia con i suoi abitanti, e mai più ricostruito”; 

a un luogo e un tempo che sembrano davvero troppo lontani, ma che l’Autore decide di raccontarci dopo aver compreso che

 “il presente è rumore: milioni, miliardi di voci che gridano, tutte insieme in tutte le lingue e cercando di sopraffarsi l’una con l’altra, la parola “io”. Io, io, io… Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte, o in fondo al nulla…, nel villaggio fantasma di Zardino, nella storia di Antonia.”.
Ed è proprio quello che fa Vassalli, che ci narra tutto dal suo punto di vista onnisciente, a volta anticipando con qualche breve frase o commento – da cui percepiamo un po’ di tristezza e pietà per la povera protagonista – ciò che inevitabilmente accadrà (che è già accaduto).
Non si esimerà dallo scendere in alcuni particolari anche crudi, che ci diranno vagamente cosa ha dovuto passare colei che veniva condannata come strega, costretta ad assistere inerme

 “a un’energia insensata, una mostruosa malattia che scuote il mondo e la sostanza stessa di cui sono fatte le cose (…).  Anche la tanto celebrata intelligenza dell’uomo non era altro che un vedere e non vedere, un raccontarsi vane storie più fragili d’un sogno: la giustizia, la legge, Dio, l’Inferno…”.

È un romanzo che ho letto con molto interesse – il romanzo storico è un genere che apprezzo molto -,  che ha sempre un ritmo sostenuto e una scrittura che cattura (ho apprezzato anche l'uso del linguaggio "arcaico" seppur sempre comprensibile), uno stile che riesce a coinvolgere in prima persona il lettore, come se l'Autore si rivolgesse proprio a lui e lo invitasse a farsi una propria personale idea di ciò che si sta dicendo, maturando i propri pensieri e sentimenti per i tanti attori che entrano ed escono da questo palcoscenico, ricco di parole, suoni, rumori, visi, smorfie, grida, gesti, amore, odio, invidie, bestemmie, ipocrisie, finta pietà, falsa devozione, fissazioni che oggi definiremmo “malate”…, e si arriva alla fine con un senso di dispiacere ineluttabile per l’attrice protagonista, che è andata incontro ad un destino scritto da altri in un giorno come tanti, 

“in un tramonto melodrammatico e teatrale come in Italia sono i tramonti di settembre: ricco di colori squillanti, di scenari pittoreschi, di abissi di luce, di malinconia e di poesia”.
Inevitabile, secondo me, è la rabbia che si prova nel leggere questa storia che è solo simbolo dei tantissimi casi di torture e condanne portate avanti dal Tribunale dell’Inquisizione per troppo tempo e in diversi Paesi, a danno di persone vittime dell’ignoranza, di convinzioni errate, sostenute purtroppo nel nome di Dio, ma che di divino non avevano davvero proprio nulla.

Un romanzo che non può mancare nelle nostre personali librerie; ne consiglio la lettura.

sabato 15 agosto 2015

Recensione: MANSFIELD PARK di Jane Austen



E' finitooooooooooooo!!
Ho finito l'eterno Mansfield Park!!

,

Fanny è forse la più singolare delle eroine austeniane incontrate da me fino a questo punto - avendo letto RAGIONE E SENTIMENTO, ORGOGLIO E PREGIUDIZIO, L'ABBAZIA DI NORTHANGER.
In che senso?

Perchè bene o male le altre fanciulle sono più attive, vivaci, soprattutto Marianne e Lizzy, non se ne stanno propriamente con le mani in mano a guardare come si svolgono gli avvenimenti, ma ne prendono parte anche loro.
Fanny Price no...

Quando giunge in casa dello zio Sir Thomas Berthram, Fanny è ancora una bambina e la sua nuova famiglia ha deciso di prenderla con sè per educarla e fare di lei una signorina fine ed elegante, cosa che non potrebbe diventare stando a casa di Mr Price, un individuo non cattivo (lo conosceremo verso la fine del romanzo) ma senz'altro rozzo e un po' egoista.
Certo, tutti in casa, da Lady Berthram alle due belle e fini figliole - Maria e Julia - dubitano fortemente che la gracile, malaticcia e insignificante nipote/cugina possa mai fiorire davvero e diventare un buon partito, ma intanto ci si prova a "raddrizzarla".
L'unico membro della famiglia che nutre da subito un sincero affetto per lei, guardandola con comprensione, parlandole con dolcezza, incoraggiandola come meglio può, è il cugino Edmund.
Tra i due negli anni si svilupperà un affetto e un'amicizia che li accompagnerà in tutto lo svolgersi degli eventi e che sarà fonte di consolazione per tutti e due nei momenti no.

Crescendo, Fanny si rivela una ragazza molto educata, umile, silenziosa, timida, insicura e bisognosa di incoraggiamenti; tende ad isolarsi e a non essere molto espansiva in presenza di estranei, eppure riesce ad entrare nelle grazie di una giovane tanto bella quanto scaltra: Lady Mary Crawford.
Lei e la famiglia, compreso il fratello Henry, frequentano molto Mansfield Park e Fanny nota immediatamente che tra il suo adorato e buon Edmund e la signorina Crawford c'è una certa simpatia.

Edmund toglie a Fanny ogni dubbio in merito, dicendole che vede bene la giovane come sua futura moglie e prova per lei dei sentimenti.
E Lady Crawford, come vede Edmund, che vuol fare carriera in ambito ecclesiastico?

Lady Crawford in fondo non è un'ipocrita e non nasconde il suo carattere, il suo amore per lusso, soldi e divertimenti, uniti al desiderio di fare un matrimonio in cui il futuro sposo faccia una carriera di tutto rispetto, che non abbia nulla a che fare con le parrocchie e i sermoni...
Eppure Fanny sa che a Mary piace molto Edmund.

Riusciranno i due ad andare oltre le loro diversità caratteriale e le diverse ambizioni a favore di un matrimonio che sembra scontato per tutti?

Intanto, sempre seduta ad un angolo di una stanza, pronta ad ascoltare il chiacchiericcio altrui e a dispensare sorrisi placidi e parole gentili, c'è lei, Fanny, che col tempo dovrà fare i conti con una richiesta di matrimonio da colui che mai vorrebbe accanto, e con dei sentimenti che stanno nascendo e rafforzandosi nel suo cuore e che sono indirizzati verso l'unico uomo che l'abbia mai compresa, e al quale va tutto il suo sincero ed ingenuo affetto...

Quale amore vincerà? Quello un po' volubile e frivolo di Mary Crawford o quello onesto, silenzioso e maturo di Fanny  Price? Con quali occhi il confuso ma sincero Edmund guarda l'una e l'altra?

Mansfield Park è un romanzo che parte in modo davvero moooolto lento per i miei gusti; fiumi di parole, dialoghi, scene... che per me rendono buona parte del libro, ahimè, poco allettante e tendente al noioso.
Due terzi del libro scorrono a fatica e bisogna aspettare parecchi capitoli prima di arrivare a qualcosa di più interessante, che vede il precipitarsi degli eventi verso un finale che soddisfa praticamente sempre il lettore.

Vero è che, a ben pensarci, questa è la tecnica che mi pare Jane utilizzi sempre: presentarci la situazione iniziale del personaggio, il suo modo di essere, pensare, parlare..., l'ambiente in cui si trova, per poi soffermarsi abbondantemente su riunioni di famiglia, chiacchiere spesso sciocche e frivole, giochi fatti in casa per passare il tempo, passeggiate in cui si continua a parlare e parlare..., per poi concentrare "il grosso" degli eventi quando avevi appena maturato l'idea di mettere il libro in stand-by.

C'è anche da dire che tutta la parte lunga centrale non è necessariamente inutile se pensiamo che i vari personaggi rivelano la propria natura, il lettore si fa un'idea su tutto e decide, tramite i pareri velati e ironici (l'ironia sottil e sempre deliziosa dell'Autrice) chi è simpatico e chi non lo è, chi è intelligente e chi è un po' stupidino.
Inoltre, in questo romanzo ho notato che era meno presente e pressante il pensieri - da parte dei personaggi femminili - di accasarsi con un uomo avente una bella rendita; piuttosto si sente forse in modo più deciso la condanna della Austen a certi modi di fare scorretti e frivoli, agli atteggiamenti indolenti di certi genitori verso i figli.
E anche Fanny, che è la protagonista, non mi è apparsa come una vera e propria eroina per la maggior parte del romanzo, perchè troppo timida ed impacciata, silenziosa..., ma è pur vero che la pazienza è la virtù dei forti... e la Austen non deluderà nè la sua protagonista nè i suoi lettori.

Non  potrei mai dare un giudizio negativo alla mia cara Jane - ci mancherebbe! Se anche per assurdo non mi piacesse la storia di un suo libro, ne salverei comunque i personaggi principali e il loro modo di rapportarsi e le dinamiche che si creano -  ma consiglio la lettura principalmente a chi ama il genere.

BUON FERRAGOSTO!!!

venerdì 14 agosto 2015

Occhio al libro: CHIAMAMI LEGIONE di Carmine Caputo



Buon pomeriggio cari readers!
Quest'oggi vi segnalo un fantasy che si presenta particolare e originale.


CHIAMAMI LEGIONE
di Carmine Caputo

Genere: umoristico/giallo/fantasy
Pubblicazione: novembre 2014
Formati disponibili: ebook e cartaceo
Prezzi: ebook 4,99 €
Cartaceo: 15-17-20 € 
Pagine:364



Un viaggio inatteso, un futuro improbabile e un destino inevitabile
Trama

Chiamami Legione” narra le vicende di Ester e Priscilla, due amiche bolognesi con caratteri agli antipodi, che si preparano per un viaggio a Corfù. 
Il programma è facile: noleggiata un'auto, basta scendere a Brindisi per il traghetto ma, quando sbagliano l'uscita autostradale finendo nei pressi di un cimitero a Statte, in provincia di Taranto, alle due giovani accade qualcosa d'inatteso e d'inimmaginabile.
Le ragazze, apparentemente scomparse e coinvolte inconsapevolmente in un traffico di rifiuti tossici, vengono catapultate nel regno di Apul, in un futuro remoto arretrato tecnologicamente in cui le persone sono rese irriconoscibili e mutate a causa di secoli di involuzione. 
II regno è sconquassato da conflitti interni ma le ragazze, con il loro sapere e la loro forza fisica straordinaria rapportata a quella delle minute e deboli popolazioni, rappresentano una vera rivoluzione per il regno. E così, accettato il nuovo singolare destino, Ester e Priscilla si imbarcheranno nell'imponente missione di salvare Apul riuscendo a coalizzare razze e tribù diverse e a riportare fra le popolazioni la voglia di vivere che sembrava perduta.
 
Si tratta di un romanzo che utilizza un contesto fantastico (o addirittura fantasy) per raccontare il presente. Ed è così che una Puglia futuristica, l'unica terra che il destino ha preservato dalla distruzione, diventa l'ambientazione di questa storia fantastica e divertente. 
I lettori non mancheranno di individuare i riferimenti culturali che l'autore ha disseminato con ironia: la prima città ad ospitare le protagoniste è Yarubbedd (Alberobello), ma le eroine conosceranno anche le immaginarie, ma non troppo, Tardnuestr (Taranto) Stoon (Ostuni) e conosceranno gli eserciti di elfi provenienti da Abbashowcapoo (Capo di Leuca) per citarne solo alcuni. Non mancano nemmeno i richiami alla difficile attualità ambientale della provincia di Taranto. 

Una favola moderna, insomma, che prende spunto da un'idea semplice quanto bizzarra: prendi un’insegnante precaria di scienze e una segretaria di direzione e falle precipitare in un mondo popolato di gnomi, elfi e giganti. Cosa mai accadrà? Accadrà che quel mondo verrà completamente ribaltato, perché secondo l'autore sono le donne i veri supereroi dei giorni attuali. Un'insegnante precaria che quotidianamente ha a che fare con ragazzini svogliati e maleducati e una segretaria costretta a convivere con dirigenti incompetenti non possono certo farsi spaventare da un esercito di orchi.
Il racconto è arricchito poi con elementi provenienti da altri sottotesti: quello del mondo dei fumetti, quello del marketing aziendale e quello della cultura popolare pugliese. Una contaminazione di generi (giallo, fantasy, umoristico) che scardina regole e luoghi comuni con l'obiettivo dichiarato di divertire il lettore.



L'autore,
Carmine Caputo è nato a Statte, la collina ridente alle spalle di Taranto, un venerdì alle ore 18: giusto in tempo per l'inizio del weekend.Dopo essersi laureato in Scienze della Comunicazione con lode (e un bel trenta sul libretto con la firma di Umberto Eco per l'esame di semiotica del testo) si occupa per quasi nove anni di comunicazione d'impresa in CRIF, multinazionale con sede a Bologna.
Dal 2009 si occupa di comunicazione istituzionale e ufficio stampa presso l'URP del Comune di Monzuno, in provincia di Bologna. Ha collaborato alla testata giornalistica de “Il Baraccano” per quattro anni e dirige il notiziario comunale "La Voce Comune".
Ha pubblicato il romanzo umoristico “Bello dentro, fuori meno” nel 2004 per la casa editrice Nonsoloparole Edizioni di Napoli: un romanzo umoristico che si pone come modelli la scrittura ironica di Jerome e quella del primo Benni, strizzando l’occhiolino alle battute un po’ più facili e immediate del cabaret televisivo e della commedia teatrale dialettale.
Un paio d’anni dopo l’editore gli propone di scrivere un racconto per una raccolta che si intitola “Buia è la notte”. Senza perdere la sua vena umoristica l’autore gioca allora con i toni del noir e del giallo; il racconto ottiene dei commenti lusinghieri e spinge Caputo a scriverne altri, che daranno origine al libro “Bologna l’oscura”, pubblicato dalla stessa casa editrice nel 2007 che ha promosso in una serie di appuntamenti (Salone del libro di Torino, Fiera della piccola e media editoria di Roma).
Nel 2009 ha pubblicato “Ballata in sud minore”, un romanzo di formazione intrapreso nel 1995, di stampo autobiografico, in cui si raccontano le avventure di un gruppo di adolescenti nel difficile contesto della provincia di Taranto alla fine degli anni, pubblicato dalla casa editrice 0111 Edizioni.
È tifoso del Taranto ma nonostante ciò ha una vita abbastanza equilibrata, e ha un blog, www.carminecaputo.com - le testine si allineano, le teste pensano”, dove i suoi 25 lettori possono essere aggiornati sulle sue attività.

Una citazione per Lady Oscar



Qualche mese fa vi avevo annunciato la pubblicazione di un libro-saggio (QUI) con al centro un personaggio delle anime e dei manga molto amato, soprattutto da quanto  erano bimbi nei meravigliosi anni '80: Lady Oscar.

Lady Oscar. L’eroina rivoluzionaria di Riyoko Ikeda
di Valeria Arnaldi

Ed. Ultra
256 pp
22 euro
Maggio 2015
Energica, determinata, battagliera ma anche sfolgorante nella sua bellezza. E romantica. Lady Oscar è stata un modello di femminilità per più generazioni di donne, paradossalmente proprio nell'ambiguità del suo personaggio: donna in abiti da uomo. A oltre 40 anni dalla sua ideazione come fumetto e a più di trenta dalla sua messa in onda come serie animata, l'eroina rivoluzionaria ideata da Riyoko Ikeda diventa protagonista di un libro che, per la prima volta, la racconta in tutte le sue sfaccettature, tra amori e battaglie, storia e mito. Prendendo le mosse dalla storia di Francia, la Ikeda ha costruito il primo grande personaggio femminile dell'epica manga, ponendo le basi per un nuovo genere e, soprattutto, per un successo senza precedenti che dura inalterato sin dalla prima apparizione. Non a caso, Lady Oscar torna in fumetto, in un manga inedito che sarà pubblicato nei primi mesi del 2015. In occasione del ritorno, l'autrice del fortunato Hayao Miyazaki. Un mondo incantato, pubblica il primo grande saggio dedicato a Lady Oscar, alla scoperta dei segreti della sua ideazione, senza dimenticare i precedenti, ma anche alla ricerca delle sue molte influenze. Tra aneddoti, critica, racconto e foto, un percorso nella "rivoluzione" di cuore e spada combattuta da Lady Oscar. Una rivoluzione di china e carta, combattuta dalla sua mangaka per dare nuova energia all'identità femminile in tutta la sua forza. Dalle immagini dei fumetti a quelle della serie televisiva, da musical e spettacoli ai film, senza dimenticare il mondo del cosplay internazionale, un ricco apparato iconografico, che non trascura gli omaggi di artisti noti.

Vivere non significa alzarsi, mangiare, lavorare e dormire. Significa ogni volta affrontare qualche cosa, confrontarsi col proprio destino. È questo che rende veramente Uomo una persona» Riyoko Ikeda

«Illuminata dai raggi dorati del sole, la tua divisa mi affascina col suo colore scarlatto, mentre il vento ti muove i biondi capelli comandi con disinvoltura stando a cavallo. Le tua pupille azzurre e tutta la tua figura ti rendono simile a Pegaso che, con le sue ali, salta e grida in cielo» André

VALERIA ARNALDI è nata nel 1977 a Roma. Laureata in Scienze Politiche, è giornalista professionista. Scrive su quotidiani e mensili italiani e stranieri. Tra i suoi libri più recenti, 101 luoghi dove innamorarsi a Roma, Chi è Banksy? E perché ha tanto successo?, Chi è Obey? E perché fa tanto discutere? Cura mostre di arte contemporanea in Italia e all'estero: ha collaborato con Commissione Europea, Unar-Presidenza del Consiglio, Regione Lazio, Provincia di Roma, Roma Capitale. Ha scritto e diretto spettacoli e cortometraggi, tra i quali Dietro le quinte di un bacio con l'attore Enrico Lo Verso. Ha ideato e curato C'era una volta…, primo festival di Family Artentainment di Roma Capitale. Per Ultra ha già pubblicato Hayao Miyazaki. Un mondo incantato.

Il significato del termine epigrafe al quale mi rifaccio è quello dato dalla Treccani.it
"Iscrizione in fronte a un libro o scritto qualsiasi, per dedica o ricordo; più particolarm.,
 citazione di un passo d’autore o di opera illustre che si pone in testa
a uno scritto per confermare con parole autorevoli quanto si sta per dire".


Questa è la citazione, azzeccatissima, che introduce il libro:

"Non si nasce donne: si diventa"

(S. de Beauvoior)

da leggere

giovedì 13 agosto 2015

LE COVER DI OGGI (13.8)



Il giovedì sul blog c'è il momento delle cover, dove valutiamo i libri soltanto dal punto di vista "estetico".

Cosa ne pensate di queste cover? Come sempre, cliccando su TRAMA potrete leggere la sinossi.


TRAMA

TRAMA

TRAMA

Recensione film: IL NOME DEL FIGLIO di Francesca Archibugi



Una cena tranquilla tra parenti e amici spesso può trasformarsi in qualcosa di molto diverso, dove invece di mandar giù i bocconi prelibati preparati dalla padrona di casa, se ne ingoiano altri, di più amari.

IL NOME DEL FIGLIO 





Regia: Francesca Archibugi
Cast: Valeria Golino, Alessandro Gassman, Luigi Lo Cascio, Rocco Papaleo, Micaela Ramazzotti.

È l'adattamento della piece Le Prénom di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, dal quale era già stato tratto il film francese Cena tra amici.

Siamo a Roma.
La bella Simona (Micaela Ramazzotti), sposata con l'agente immobiliare Paolo (Alessandro Gassman) Pontecorvo, sta parlando alla radio del romanzo che ha appena scritto.
Intanto, proprio Paolo, insieme all'amico di sempre Claudio (Rocco Papaleo), vanno a cena dalla sorella del primo, Betta (Valeria Golino), sposata con Sandro, con cui si conoscono da una vita perchè amico di famiglia.
I quattro non potrebbero essere più diversi eppure, nonostante qualche scaramuccia ogni tanto, soprattutto per le diverse visioni politiche di Paolo e Sandro, si vogliono bene, amano ricordare i vecchi tempi e stare insieme a scherzare e sfottersi.
A dare molto movimento alla serata è Paolo, che ama fare il burlone e prendere in giro tutti, soprattutto Sandro, che si arrabbia facilmente quando si nomina tutto ciò che ha a che fare con il fascismo.
Ed infatti, durante la cena, aspettando Simona, mentre la povera Betta si affanna a fare su e giù per portare i piatti in tavola, dopo aver annunciato che Simona aspetta un maschietto, Paolo svela il nome che lui e la moglie hanno pensato di dare al nascituro: Benito.
Basta questo nome a scatenare una discussione accesa sull'inopportunità di scegliere proprio un nome tanto (storicamente e ideologicamente) controverso, ed in particolare è Sandro a non accettare la cosa.
Come può Paolo soltanto pensare di dare al figlio un nome dal sapore decisamente fascista (dire Benito equivale a dire Mussolini e quindi fascismo) quando sa benissimo che non solo la famiglia Pontecorvo ha origini ebraiche, ma ha pure sofferto durante la guerra?

Anche Betta disapprova, senza però lasciarsi andare in escandescenze, essendo per natura un tipo tranquillo, a dire il vero anche troppo, visto che la vita matrimoniale la sta un po' stressando e intristendo, soprattutto perchè il marito sembra molto assente, e con i figli e con lei; anche nell'aspetto, Betta s'è lasciata andare, eppure c'è qualche piccolo segreto nella sua vita di moglie e madre super presente e sacrificata... Ma Sandro - pur avendo gli occhiali - è troppo cieco e preso ad interagire sui social network per accorgersene...

E cosa ne pensa Claudio, il musicista eccentrico, sempre equilibrato, un po' nascosto dietro agli altri, che preferisce fare da paciere ed evitare di dire la sua, evitando di lasciarsi travolgere dalle accese discussioni di Paolo e Sandro?
Lui cerca di defilarsi, di limitarsi ad ascoltare... ma si arriverà ad un punto della serata in cui bene o male tutti avranno qualcosa - che da tempo sta sul groppone - da dirsi senza peli sulla lingua.

Insomma, tra un piatto e l'altro, i toni si alzano e l'arrivo di Simona non placa gli animi, anzi...
La ragazza si rende conto di non essere apprezzata da loro, neanche dal marito, che la tratta come una bella bambola da mostrare in pubblico ma per carità, non è necessario che lei apra la bocca.
Pure la genuina, seppur un po' tamarra, Simona avrà qualcosa da dire e lo stesso Claudio, zitto zitto, riserverà una bella sorpresa finale per tutti...

E' una commedia molto carina e godibile, che si svolge praticamente sempre a casa (se si escludono la scena iniziale e quella finale); gli attori sono vivaci e genuini, ci fanno sorridere per le loro baruffe, che vanno di pari passo con l'affetto che li lega da anni; ogni tanto ci sono dei flashback e dal presente si fa un salto a quando i quattro erano ragazzi e per divertirsi assieme bastava una semplice canzone di Lucio Dalla.

Un film molto piacevole, io lo consiglio! Gassman troppo simpatico! ;=)
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mercoledì 12 agosto 2015

Imparare leggendo



Sul blog, nel tempo, ho aperto diverse rubriche, a cadenza settimanale e non, che ad oggi non sempre condivido con voi in modo costante (per quanto ci pensi e vorrei).
Dico questo perchè non ho intenzione di aprire una nuova rubrica, ma pensavo di dare spazio - senza impegni troppo fiscali - a una cosetta cui ho pensato mentre leggevo "Ho lasciato entrare la tempesta" e "La Chimera", dove mi son trovata davanti a termini di cui non conoscevo il significato.

E siccome "la vecchia non voleva morire, perché diceva che aveva altre cose da imparare", e siccome la lingua italiana è ricca, tra le tante cose, di un sacco di vocaboli, impareremo insieme qualche parolina o espressione meno frequente.


CONOSCEVATE QUESTE PAROLE, che nel caso specifico di oggi fanno riferimento a un uccello e a due piante? ^_-

Ok, iniziamo da...

EDREDONE

Si tratta di un animale, e questo lo avevo intuito dalla lettura (del primo libro sopra citato).
E' una grande anatra marina appartenente alla famiglia delle Anatidae.

L'edredone comune è caratteristico per la sua forma corpulenta e per il suo grande becco a forma di zeppa. Il maschio è inconfondibile, con il suo piumaggio bianco e nero e la nuca verde. La femmina è un uccello bruno, ma nonostante questo si può ancora distinguere da tutte le altre anatre, ad eccezione delle altre specie di edredoni, sulla base delle dimensioni e della forma della testa. La lunghezza del corpo è compresa tra 50–71 cm. Il richiamo di quest'anatra è un grazioso "aa-uuu". Questa specie è spesso facilmente avvicinabile.

È distribuita sulle coste settentrionali di Europa (ed infatti la storia di Agnes Magnusdottir è ambientata in Islanda), Nordamerica e Siberia orientale. Nidifica nell'Artide e in alcune regioni temperate settentrionali, ma sverna un po' più a sud, nelle zone temperate, dove può formare stormi numerosi sulle acque costiere.

Sono celebri le le piume di Edredone, talmente morbide e calde che erano spesso utilizzate nella fabbricazione di trapunte, piumini e sacchi a pelo. Questa usanza resta viva in Islanda, dove si è creato un ambiente ottimale per l’accoglienza delle coppie nidificanti.

fonte: Wikipedia - http://www.uccellidaproteggere.it/


Restiamo in ambito naturalistico, ma passiamo alla flora.

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