venerdì 23 dicembre 2022

"Benvenuti all'interno" - INSIDE MAN (serie tv)

 

Quattro puntate sono state troppo poche: mi sarebbe piaciuto continuare a vivere più a lungo la tensione che viaggia e cresce sui binari di una storia drammatica ma in una maniera assurda, attraversata da un filo di umorismo nero e grottesco e proprio per questo capace di calamitare la mia attenzione in maniera quasi morbosa.


INSIDE MAN



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Regia: Steven Moffat
Cast: David Tennant, Stanley Tucci, Dolly Wells, Lydia West, Lyndsey Marsha, Atkins Estimond.


In questa storia ci sono un detenuto nel braccio della morte in una prigione in Arizona, una giovane giornalista britannica, una donna scomparsa e un prete che ci tiene tanto a mantenere la propria facciata di "servo di Dio" irreprensibile.

No, tranquilli, non è una barzelletta di Iva Zanicchi, quindi niente sfumature hot 😁

Il detenuto è Jefferson Grieff (S. Tucci), professore di criminologia che attende l'esecuzione della propria condanna a morte: è dentro per aver commesso un efferato omicidio ed essersi accanito sul cadavere nascondendone una parte...
Insomma, un tipo tranquillo, ecco.
Però è intelligentissimo, va detto: ha un acume invidiabile, un intuito formidabile, sa manipolare le conversazioni e ottenere scaltramente le risposte e le informazioni che vuole, senza che l'interlocutore riesca ad evitarlo; sempre pacato e impassibile, sembra che nessuna provocazione riesca a scuoterlo o anche solo ad innervosirlo; ha una buona memoria ma giustamente si fa aiutare da "un supporto esterno", costituito da un altro carcerato, Dillon Kempton che, aspettando anch'egli il proprio giorno del giudizio su questa terra, occupa la cella accanto al dottore, trascorrendo il tempo con lui in singolari chiacchierate.

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Nonostante sia un omicida impenitente e freddo, l'intelligenza di Jefferson desta non poche ammirazioni e attenzioni; ammirato ne è, ad es., il direttore del carcere, e per quanto riguarda le attenzioni, il condannato a morte costantemente riceve richieste di aiuto da gente che ha un qualche dilemma (scomparse, omicidi irrisolti...) da proporgli e che finora nessuno è riuscito a risolvere.

Janice Fife (D. Wells) è una donna riservata e perbene che frequenta la casa del reverendo per dare ripetizioni di matematica al di lui figliuolo adolescente, Ben; i due hanno un bel rapporto, basato sulla fiducia. Nonostante le ritrosie iniziali del ragazzo verso questa estranea, a lungo andare con la comprensiva e simpatica Janice studiare è diventato piacevole e per nulla noioso.
Janice potrebbe sembrare, a un occhio superficiale, una scialba zitella che ha superato i 40, senza partner e senza figli, magari un tantino bigotta o bisbetica, invece è brillante, perspicace, determinata, acuta osservatrice e, all'occorrenza, furba. E non poco.

Harry Watling
(D.Tennant)
 è lo stimato vicario di un piccolo paesino della periferia londinese,
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sposato felicemente con Mary e padre di Ben.
Non è propriamente un "figo da paura" ma piace alle signore che frequentano la parrocchia e qualcuna arriva a dargli l'appellativo giulivo di "prete sexy".
Il religioso non è di quelli "vecchio stampo" ma, anzi, è giovanile nei modi e nel linguaggio e sembra sprizzare simpatia da tutti i pori; a fargli da sagrestano c'è un giovanotto con non pochi problemi di natura psichica ed emotiva, con alle spalle tentativi di suicidi, una madre super bigotta e incredibilmente oppressiva verso questo figlio tenuto costantemente sotto controllo, e un viziaccio che sarà alla base di tutto ciò che accadrà: il ragazzo, infatti, ha l'abitudine di visionare e conservare materiale pornografico.

Un giorno, per salvarlo dai pasticci e dagli aspri rimproveri materni, Harry decide di prendere la  pennetta del giovanotto (su cui c'è il materiale sporcaccione) e di nasconderla a casa propria.
Purtroppo, i video lì memorizzati vengono visti, per sbaglio, da Janice...: da quel momento nulla sarà più come prima in quanto si creerà una catena di equivoci, errori madornali, litigi, decisioni assurde... che scombinerà la vita di tutti i personaggi coinvolti.

Janice, infatti, sconvolta per il contenuto del materiale sulla chiavetta (che lei crede sia di Ben e invece è del sagrestano con i problemi), che non è "semplicemente" pornografico, ma anche pedo-, vuol fare ciò che lei ritiene giusto, per la morale e per la legge: denunciare Ben e, in questo modo, aiutarlo anche a rendersi conto della pericolosa e criminale deriva che sta prendendo.

Ma Harry non può permetterlo, per due ordini di ragioni: 1. il materiale non è di Ben e non è giusto che il ragazzo paghi per ciò che non ha commesso! 2. Il prete non può dire di chi sia la pen drive perché è la sua tonaca a impedirglielo: è una questione di rispetto per l'anima disgraziata che gliel'ha data supplicandolo di tenerla con sé e "coprirlo" (va detto che Harry non aveva un'idea precisa di che tipo di immagini e video ci fossero...)! Il colpevole è già pieno di problemi..., se lui lo "tradisse" per quello sciagurato sarebbe la fine.

La situazione precipita.
Cercate di immaginarvela: un uomo (prete, marito, padre) vuol salvare capra e cavoli, vuol cercare di non far incriminare ingiustamente il figlio e, al contempo, salvaguardare il "vero colpevole", e in tutto questo deve convincere una donna retta e devota a non andare alla polizia a fare denunce basate su false congetture.
Cosa fareste voi, se foste Harry?
Cerchereste di convincere con dolcezza Janice della bontà e giustezza delle vostre ragioni? E se lei non volesse ascoltarvi o credervi, tenacemente convinta che sia giustissimo denunciare Ben per pedopornografia?

Il prete è disperato e quando si è in preda alla disperazione, si rischia di compiere azioni e scelte che, in condizioni di lucidità e tranquillità, non solo non si farebbero ma si riterrebbe abominevole anche solo il pensare di commetterle!!

Eppure è proprio questa la strada presa da Harry: una sequela di azioni e decisioni irrazionali, alcune sceme, altre proprio folli e senza logica, e soprattutto pericolose, criminali, che innescheranno un effetto domino imprevedibile e non governabile, dando spazio al verificarsi di una serie di eventi e situazioni paradossali.
Si andrà di male in peggio e ovviamente il prete si vedrà costretto, suo malgrado, a coinvolgere la moglie Mary, e questo non farà che ingarbugliare ancor di più i fili di questa trama già contorta.

Manca un personaggio, dei quattro iniziali, che non ho ancora menzionato e che ha il suo ruolo importante nella storia: la giornalista Beth Davenport (L. West).

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Beth conosce Janice prima che accada tutto questo "patatrack"; le due diventano amiche, pur non sentendosi o vedendosi spessissimo; fatto sta che un giorno (e non uno qualsiasi, ma il giorno in cui tutto comincerà ad accadere) riceve dalla donna una foto poco chiara e molto strana, in cui Beth percepisce che qualcosa non va: e se Janice fosse in una situazione di pericolo e quella foto, inviata forse in fretta e furia, fosse una richiesta d'aiuto?

Come mai? Cosa sta cercando di farle capire Janice con quel bizzarro messaggio senza testo ma con solo un'indefinibile e sgranata fotografia?

E qui entra in gioco Grieff: la tenace e intrepida giornalista decide di rivolgersi a quel famoso omicida che aspetta la morte in Arizona e di cui si vocifera che aiuti, con il suo intelletto sopraffino e il suo intuito infallibile, chi gli chiede aiuto per risolvere casi misteriosi e per i quali si vaga in un vicolo cieco.

Ma Jefferson  è un omicida capriccioso: ok, sarà pure in attesa di essere ammazzato per le nefandezze compiute, ma ha comunque i suoi principi e la sua "etica"; è vero, è disposto a risolvere i casi altrui ma essi devono rispondere a una conditio sine qua non: la moralità.
Chi gli fa richiesta dev'essere spinto da ragioni di tipo morale, da altruismo, empatia, desiderio di soccorrere chi è in difficoltà.
Insomma, non aiuta chiunque il caro Grieff.

Come valuterà le ragioni di Beth? L'aiuterà a far chiarezza su cosa sia accaduto a Janice?

Io mi fermo qui perché la serie è brevissima e, se la iniziate, la finite in un niente e non solo perché sono quattro episodi, ma perché "vi prende", in quanto la narrazione si basa tutta sulle scelte drammatiche e stupide fatte dal prete, che si ritrova in una spirale in cui non saprà come agire se non continuando a sbagliare e a impelagarsi sempre più in una gabbia di errori che potrebbero costar cari non soltanto a lui, ma anche alle persone che lui stesso voleva proteggere.

Si guarda la serie chiedendosi cosa avremmo fatto noi al posto dei personaggi, con la speranza ovviamente che ci saremmo comportati in modo più intelligente e sensato.
Ma chi può dirlo con certezza?

Harry ci ricorda in modo evidente un principio che in fondo è noto a tutti: l'abito non fa il monaco. Non basta un colletto bianco a qualificare una persona, a guidarne le decisioni e la moralità, a preservarlo da certi passi falsi in cui una persona di fede non dovrebbe incorrere (o meno facilmente, se vogliamo); ma la verità è che quando ci si sente in pericolo, quando si vede minacciata la serenità della propria famiglia, si rischia di tirar fuori un lato di sé che neppure si pensava di possedere e, quando emerge, la persona ne resta, lei per prima!, oltremodo spaventata e confusa.
Tanto da dare il via a comportamenti terribili, che non fanno onore.
Il prete, quindi, ci sembra davvero il più assurdo di tutti, quello a cui spesso ci verrebbe da dire: "Ma che cavolo stai facendo??".

Janice non figuratevela come la povera disgraziata in balia di una mina vagante e impazzita, perché è scaltra, ci sa fare con la dialettica e ha una finezza psicologica da far concorrenza al nostro criminologo.

Per quanto riguarda lui, non possiamo non sorridere davanti a quell'aria compassata, placida, al suo cinismo nel raccontare qualche macabro particolare del delitto che lo porterà alla morte e che, se da una parte ci fa innervosire, dall'altra ha un che di irresistibile e strappa pure sorrisi stupiti.

C'è del geniale in questa serie e personalmente l'ho guardata con molto interesse, col desiderio di scoprire di volta in volta l'evoluzione di ogni situazione, quali balzane idee affioravano nelle mente confusa del prete e quali sagaci interpretazioni e indicazioni dava il criminologo dalla sua celletta.
Questi è in pratica l'esatto opposto del prete perché mentre Harry non accetta di avere in sé una parte oscura e di poter quindi essere capace di commettere brutte azioni, Grieff è assolutamente cosciente di essere un assassino spietato, non vuole essere assolto e sa di meritare la condanna inflittagli.

Nel suo essere così bizzarra e ai limiti dell'incredibile, questa serie mette lo spettatore davanti ad una incontrovertibile verità: ogni uomo è capace di compiere azioni malvagie se si ritrova in situazioni fuori dall'ordinario, in grado di metterne in crisi ogni certezza e quei principi di vita da sempre ritenuti saldi.

"Lo siamo tutti. Ci sono momenti che rendono assassini tutti noi.
Non siamo mostri in gabbie che vanno osservati, giudicati, raccontati come se fossimo un'altra specie: siamo l'uomo comune in una brutta giornata.
Si possono aprire voragini nelle vite più ordinarie e inghiottire chiunque.
Nessuno è al sicuro della sue azioni peggiori."


Davvero una serie bella, che tiene incollati fino alla fine. La consiglio e spero ci sia la seconda stagione!


 

mercoledì 21 dicembre 2022

^^ RECENSIONE ^^ UNA TRILOGIA PALESTINESE di Mahmud Darwish


«Ti chiamavano sognatore perché hai sempre fabbricato ali, invisibili agli occhi degli adulti, per le parole.».

Poeta tra i migliori del Novecento e, senza dubbio, colui che ha dato voce al popolo palestinese, che ha fatto della scrittura un mezzo per parlare delle sofferenze sue e dei suoi connazionali, Mahmud Darwish è stato "testimone eloquente dell'esilio e dell'appartenenza" (Naomi Shihab Nye).

Nato nel 1941 nel villaggio di al-Birwa, che fu distrutto dalle forze israeliane nel 1948 quando fu formato lo Stato di Israele, Darwish fu testimone dei massacri che costrinsero la sua famiglia a fuggire in Libano; quando un anno dopo essi ritornarono da clandestini in patria, furono considerati dei «‘presenti assenti’ perché non avevamo diritto a nulla.»

 «Eccoci di nuovo in Palestina. Dunque era, quello, il ritorno. Non potevamo sapere che da profughi in Libano ci saremmo trasformati in profughi in patria. Non potevamo sapere che la nostra presenza fisica in patria sarebbe diventata assenza nella legge imposta dagli invasori in tutta fretta. (...)  Che cos’è più doloroso: essere profugo in un’altra terra o nella tua?»


Patria, identità, senso di sradicamento, esilio, espropriazione, perdita della cultura nazionale, trauma dovuto allo sfollamento, perdita di amici e parenti, l'orrore della violenza...: sono temi ricorrenti nelle memorie e nelle poesie dello scrittore arabo, il cui stile è andato modificandosi negli anni, passando da un modo di fare poesia proprio dello stile arabo tradizionale ai versi liberi per cui è noto e apprezzato.


Ed. Feltrinelli
 E. Bartuli (a cura)
trad. R. Ciucani, 
E. Bartuli
4167 pp
12 euro
Questa pubblicazione, UNA TRILOGIA PALESTINESE, è una raccolta di testi in prosa poetica: Diario di ordinaria tristezza (1973) ripercorre il tempo che precede la scelta dell’esilio – gli arresti domiciliari, gli interrogatori degli ufficiali israeliani, il carcere – e chiude la  “fase rivoluzionaria e patriottica" del poeta. Memoria per l’oblio (1987) evoca l’invasione israeliana di Beirut nell’agosto del 1982; In presenza d’assenza (2006) è una riflessione sull’esperienza poetica (l'ultimo decennio è stato il più fecondo della sua carriera di poeta, non solo e non più come "poeta nazionale" ma semplicemente come poeta) e sulla lingua; quando lo pubblica, Darwish vive tra Ramallah, in Palestina, e Amman, in Giordania. Chiude la presente raccolta lo struggente poema Il giocatore d’azzardo (tradotta da Ramona Ciucani), l'ultimo poema compiuto di Mahmud Darwish, più volte recitato ma edito soltanto nel 2009 dopo la sua morte. 

L'humus delle poesie di Mahmud è la sua terra, dove era nato, aveva trascorso infanzia e adolescenza, aveva studiato e, crescendo, aveva sviluppato una coscienza politica. 
Da profugo a presente-assente e arabo d’Israele senza cittadinanza, più volte è stato incarcerato e anche condannato agli arresti domiciliari nella sua casa di Haifa, condividendo la condizione vissuta dalla sua gente: l’esilio (mai la sua fu una partenza volontaria, bensì un’espulsione, una cacciata), il sentirsi (e il vivere da) esiliati in patria, la sete di libertà, le miserie del vivere quotidiano, l’atroce dolore della disfatta del giugno 1967.

Nei suoi scritti (in versi e no) vediamo formarsi l'immagine del palestinese non più e non solo come eroe e vittima, ma ancor prima come essere umano che desidera e ha diritto, come ogni uomo, ad una vita normale, semplice, ordinaria.

"Abbiamo nostalgia di esercitare la nostra umanità in un posto che sia nostro.(...) La differenza tra paradiso perduto nel senso assoluto del termine e paradiso perduto nel senso palestinese risiede nel fatto che la nostalgia e l’appartenenza psicologica e giuridica nel primo  sono privi della dimensione conflittuale del secondo. Finché dura la battaglia, il paradiso non è perduto, anzi è occupato e riconquistabile."

Ritorna di sovente sul concetto di patria: patria è la tua identità, è la tua vita; è il desiderio di morire per recuperare terra e diritto.

"Non gli è bastato impadronirsi di tutto. Vogliono impadronirsi anche del tuo senso di appartenenza per diventare la realtà tra te e la patria."

La patria non è solamente un luogo geografico, ma anche uno stato interiore ("Né gli alberi sono solamente alberi, ma costole d’infanzia e pianto colato dalle punte delle dita"), è custodire la memoria, quella memoria palestinese che i sionisti si sono prefissi di combattere e seppellire per sostituirla con la memoria ebraica, israeliana, basata sulla rivendicazione del diritto della terra di Palestina ed incapace di riconoscere il diritto altrui e di apprezzarne il senso della memoria. 

"Gli israeliani rifiutano di convivere con la memoria palestinese, rifiutano di riconoscerla".


Darwish scrive che alimentare la memoria israeliana ha avuto da subito un intento politico ben preciso, dopo la seconda guerra mondiale e la tragedia immane dell'Olocausto: convincere gli israeliani che la minaccia dello sterminio non era un ricordo, anzi era ancora presente, per cui per evitare altre persecuzioni e poter vivere in sicurezza, era necessario tornare e rifugiarsi in “terra d’Israele”; in pratica, sostiene il poeta, ai palestinesi e a qualsiasi altro arabo è stato "imposto "di pagare il prezzo di crimini che non hanno commesso, come una sorta di "risarcimento dell’Olocausto".

Ma in realtà svuotare di arabi la Palestina, lungi dall'essere frutto di una misura d’emergenza dettata dalle circostanze, è stata una precisa strategia sionista già da prima della creazione dello stato di Israele.


Darwish parla anche di resistenza e lotta: la patria stessa è lotta e non puoi non combattere per ciò cui appartieni e che ti appartiene.

Ripercorrendo la storia di come è sorto lo stato d'Israele e della conseguente Nakba per i palestinesi, il poeta rammenta episodi drammatici come il massacro Sabra e Shatila o quello di Kafr Qasim: "gli abitanti di questo villaggio, calpestato e ignorato, non hanno mai fatto niente per suscitare la rabbia di qualcuno (...) sono morti per accrescere il nostro odio contro l’oppressione e l’usurpazione, per accrescere la nostra devozione alla terra. (...). Per cosa sono morti dunque? Non per noi, ma per gli assassini. Per far sentire i sionisti capaci d’interpretare nella storia un ruolo diverso da quello di vittima. Per dimostrare loro che possono provare piacere a uccidere. “O sei l’assassino o sei la vittima.” Questa è la scelta obbligata che si sono trovati davanti."


Darwish denuncia, quindi, i crimini commessi da Israele contro i civili arabi, azioni che costituiscono la prassi della peggiore tradizione sionista.

Eppure, di massacro in massacro, il suo popolo va comunque avanti, si moltiplica in mezzo alle macerie, alza il braccio nel segno della vittoria, aggrappandosi alla patria con le unghie e con i denti.

La poesia è stata per Darwish un mezzo per dire la verità, per rispondere agli invasori, per nutrire e tener vivo l'amor patrio. 

E se è vero che la lingua costituisce un elemento fondamentale dell'identità di ogni persona, allora lui non può che servirsi della propria lingua - quella parlata in Palestina -, l'arabo, per mantenere la propria identità nazionale: la lingua come una "casa" non solo per i palestinesi, ma anche per tutte quelle persone nel mondo che sono esiliate, sfollate o alienate.

L'esperienza personale dello scrittore si identifica con quella del suo intero popolo, raggiungendo però anche una valenza universale.

È un libro intenso e denso, pieno di metafore (legate agli elementi naturali) e immagini poetiche che si rifanno all'Antico e dal Nuovo Testamento, alla letteratura araba classica; c'è una continua interazione tra narrativa e discorso lirico; l'autore utilizza ampiamente la forma del dialogo e di immaginarie conversazioni, il che contribuisce a coinvolgere a livello empatico il lettore; le parole sono il veicolo privilegiato per esprimere sentimenti e pensieri, e attraverso la raccolta di memorie autobiografiche di questo straordinario scrittore e poeta ci arriva il grido di ribellione di un intero popolo, la sua resistenza contro l'oppressione, le continue frustrazioni di un'esistenza costantemente sotto assedio e sotto occupazione, il racconto della perdita e di un dolore intensi e strazianti.

Una lettura impegnativa ma necessaria, che vi consiglio.


Alcune citazioni

 « La Palestina resta la tua patria. È una carta geografica, un massacro, una terra, un’idea. È la tua patria. Nessun pugnale riuscirà a convincerti che è loro.»

«Nessuno riuscirà a nasconderti il dolore, che si vede, si tocca, si sente come il sonoro infrangersi del luogo. Eccoti qui con noi a guardare il dolore che, in un colpo solo, ci saccheggia di tutto e si sfila sadico da noi come la lama di un coltello, poi si siede sulla sponda opposta del fiume, barriera divenuta parola pietrificata. Il dolore trascorre le notti assieme a noi, ululando da lontano come le sirene: “Venite da me, venite”. Noi non andiamo né torniamo. In questo giorno maciullato dai cingoli del carro armato, non abbiamo più bisogno di miti: quel che accadeva in essi, ora, accade a noi. Chi racconterà la nostra storia? Di noi che camminiamo sopra questa notte scacciati dal luogo...»

«La mia patria non è una valigia
E io non sono un viaggiatore
Io sono l'amante e la terra la mia amata.» 

lunedì 19 dicembre 2022

DISOCCUPAZIONE FEMMINILE IN ITALIA (Fondazione Idea)

 

Qual è il tasso di disoccupazione femminile in Italia?

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Se è vero - e lo è! - che la disoccupazione è un problema presente in tutta l’Italia, la situazione è ancor
più critica quando si analizzano i dati sull’occupazione femminile.

Nel nostro Paese solamente 1 donna su 3 ha un lavoro regolarmente retribuito e, secondo le statistiche del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, nel 2021 l’occupazione era pari al 49%. Il tasso di occupazione degli uomini invece è molto più alto. 

La pandemia non ha fatto che peggiorare questa condizione, portando moltissime donne a perdere il proprio posto di lavoro; tuttavia la causa principale è che ancora oggi alla donna viene attribuito il ruolo di madre e casalinga. 

Quant’è il divario di genere fra uomo e donna nel lavoro? 

Il Global Gender Gap Report del 2022, nell'analizzare il divario di genere fra uomo e donna nel mondo, ha preso in considerazione 4 fattori: 

1. Partecipazione economica e opportunità
2. Istruzione
3. Salute
4. Politica

Tra i 146 Paesi inclusi in questo studio, l’Italia si posiziona 63esima, con un peggioramento rispetto all’anno precedente. 

Se invece consideriamo solamente i fattori economici e le opportunità presenti per le donne nel mondo del lavoro, allora il nostro Paese scende ulteriormente di moltissime posizioni, classificandosi nientemeno che al 110° posto.

Le donne hanno meno opportunità rispetto ai loro colleghi uomini: a quali cause può essere attribuito questo dato di fatto?

Per prima cosa si è notato che all’aumentare del numero di figli aumenta anche il tasso di disoccupazione, e questo non dipende solamente dalla decisione, da parte di numerose donne, di  interrompere la propria carriera lavorativa per dedicarsi totalmente alla cura dei figli, ma anche dal fatto che purtroppo portare avanti una gravidanza se si è dipendenti non è semplice. Non sono pochi, infatti, i datori di lavoro che decidono di assumere uomini per evitare di gestire in futuro questa eventualità.




In secondo luogo, il 30% delle donne ha ancora contratti part-time mentre, se guardiamo ai dati relativi agli uomini, solamente l’8% non ha un contratto full-time. 

Perchè?
Ancora una volta la risposta è da ricercare, in prima istanza, sulla responsabilità affidata alle donne di prendersi cura dei figli: andarli a prendere a scuola o portarli alle attività extra-scolastiche. 


Le proposte di legge per ridurre il Gender Gap 

Le cause che portano il nostro Paese ad avere un divario così grande fra uomo e donna nel mondo del lavoro, come si è visto, sono radicate nella cultura. 
Ecco perché il governo ha sviluppato delle iniziative che favoriscono l’occupazione femminile. 
Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stata introdotta la Certificazione della Parità di Genere, la quale viene assegnata alle aziende che hanno un punteggio minimo del 60%. Questo attestato valuta la parità di genere all’interno delle organizzazioni. 
Un’altra iniziativa è l’Esonero Contributivo del 100%. Si tratta di agevolazioni fiscali che vengono riconosciute alle aziende che decidono di assumere donne che si trovano in una situazione di svantaggio e difficoltà. Queste organizzazioni vengono quindi esonerate dal pagamento dei contributi lavorativi che verranno coperti dallo Stato. 

Tantissime associazioni oggi stanno cercando sempre di più di limitare questo divario con l'obiettivo di eliminarlo definitivamente in futuro, ma la situazione per non sembra cambiare velocemente.


Con la pubblicazione di questo post desidero dare spazio sul blog all'associazione "Fondazione Idea" e condividerne le tematiche attraverso una serie di articoli che si soffermino sull'universo femminile e raccontino storie di donne che hanno fatto la differenza.


Post originario:

>> DISOCCUPAZIONE FEMMINILE IN ITALIA <<

Fondazione Idea è un progetto creato da donne per le donne, in cui si celebrano i successi di tantissime figure femminili che sono riuscite a realizzarsi in diversi campi, nonostante i tantissimi ostacoli.



ALTRI ARTICOLI "FONDAZIONE IDEA" 

domenica 18 dicembre 2022

A GENNAIO IN LIBRERIA



In arrivo a gennaio!

I thriller esercitano sempre il loro fascino su di me; Pulixi e Mencarelli calamitano sempre la mia attenzione ad ogni uscita; il romanzo di Ammaniti mi attira per i risvolti psicologici

Che ne pensate?


L'IMPOSTORE
di Martin Griffin


Giunti Ed.
trad. A.Tissoni
304 pp
16.90 euro
USCITA
4 GENNAIO 2023
Mackinnon Hotel. Remie Yorke sta svolgendo il suo ultimo turno  prima della chiusura invernale, quando si scatena la tempesta Ezra:  ogni collegamento col mondo esterno è interrotto bruscamente. 

Mentre le temperature precipitano e diventa impossibile utilizzare itelefoni, un uomo ferito chiede rifugio. 
Si tratta dell'agente Don Gaines, rimasto coinvolto in un terribile incidente. 
L'unico altro sopravvissuto è il detenuto che la sua squadra stava trasportando. 
Ma poco dopo arriva un secondo sconosciuto: anche lui è ferito e anche lui dichiara di essere Don Gaines. 
Qualcuno sta mentendo e Remie, senza alcuna via di fuga, dovrà scoprire chi dei due prima che sia troppo tardi. 
Perché se non la ucciderà il freddo, lo farà uno di loro...




Pulixi firma un giallo pieno di suspense e ironia che parla di libri e omaggia i classici del mystery, rendendo i lettori i veri protagonisti di questa storia.


LA LIBRERIA DEI GATTI NERI
di Piergiorgio Pulixi



Marsilio Editore
304 pp
15 euro
USCITA
10 GENNAIO 2023
Marzio Montecristo è un grande appassionato di gialli e ha aperto, da qualche anno, una piccola libreria nel centro di Cagliari, ovviamente specializzata in romanzi polizieschi.
Il nome della libreria, Les Chats Noirs, è un omaggio ai due gatti neri che un giorno si sono presentati in negozio e non se ne sono più andati, da lui soprannominati Miss Marple e Poirot. 
Nonostante il brutto carattere del proprietario, la libreria è molto frequentata, ed è Patricia, la giovane collaboratrice di Montecristo, di origini eritree, a salvare i clienti dalle sfuriate del titolare. 
La libreria ha anche un gruppo di lettura che si fa chiamare “gli investigatori del martedì”, un manipolo di super esperti di gialli che si riuniscono dopo la chiusura per discettare del romanzo della settimana. A guardarli, si direbbe una banda mal assortita ma in realtà è molto unita.
Un anno prima il gruppo ha addirittura aiutato una vecchia amica di Montecristo a risolvere un vero caso da tutti considerato senza speranza.
Ora la sovrintendente Angela Dimase torna a chiedere la loro collaborazione per un’indagine che le sta togliendo il sonno: un uomo incappucciato si è presentato a casa di una famiglia, ha immobilizzato due coniugi e il loro figlioletto e ha intimato all’uomo di scegliere chi doveva morire tra la moglie e il figlio; se non avesse deciso entro un minuto, li avrebbe uccisi tutti e due.
Il sadico killer viene presto soprannominato «l’assassino delle clessidre», visto che sulla scena del crimine ne lascia sempre una. 
Riusciranno gli improbabili “investigatori del martedì” a sbrogliare anche questo caso?


Con Fame d'aria Daniele Mencarelli fa i conti con uno dei sentimenti più intensi: l'amore genitoriale, e lo fa portandoci per mano dentro quel sottilissimo solco in cui convivono, da sempre, tragedia e rinascita.


FAME D'ARIA
di Daniele Mencarelli



Ed. Mondadori
180 pp
19 euro
USCITA
17 GENNAIO 2023
Pietro Borzacchi è in viaggio con il figlio Jacopo quando la frizione della sua vecchia Golf lo abbandona, nel momento peggiore: di venerdì pomeriggio, in mezzo al nulla. 
Per fortuna padre e figlio incontrano Oliviero, un meccanico alla guida del suo carro attrezzi che accetta di scortarli fino al paese più vicino, Sant'Anna del Sannio. 
A guardarlo, si vede da lontano che Jacopo ha qualcosa che non va: lo sguardo vuoto, il passo dondolante, la mano sinistra che continua a sfregare la gamba dei pantaloni, avanti e indietro. 

In attesa che Oliviero ripari l'auto, padre e figlio trovano ospitalità da Agata, proprietaria di un bar che una volta era anche pensione.
A Sant'Anna del Sannio vivono poche centinaia di anime ed è un paese bellissimo in cui il tempo sembra essersi fermato. 
Ad aiutare Agata nel bar c'è Gaia, dal sorriso aperto e spontaneo.

Convinto che "I genitori dei figli sani non sanno niente, non sanno che la normalità è una lotteria, e la malattia di un figlio, tanto più se hai un solo reddito, diventa una maledizione.", Pietro lotta ogni giorno contro un nemico che si porta all'altezza del cuore: il  disamore. Per tutto. 
Un disamore che sfocia spesso in una rabbia nera, cieca.
Il dolore di Pietro, però, si troverà di fronte qualcosa di nuovo e inaspettato. Agata, Gaia e Oliviero sono l'umanità che ancora resiste, fatta il più delle volte di un eroismo semplice quanto inconsapevole.



Niccolò Ammaniti è ritornato più cattivo, divertente e romantico che mai.


LA VITA INTIMA
di Niccolò Ammaniti



 
Ed. Einaudi
312 pp
19 euro

USCITA
17 GENNAIO 2023



Maria Cristina Palma ha una vita all’apparenza perfetta, è bella, ricca, famosa, il mondo gira intorno a lei. 
Poi, un giorno, riceve sul cellulare un video che cambia tutto. 
Nel suo passato c’è un segreto con cui non ha fatto i conti. 

Come un moderno alienista Niccolò Ammaniti disseziona la mente di una donna, ne esplora le paure, le ossessioni, i desideri inconfessabili in un romanzo che unisce spericolata fantasia, realismo psicologico, senso del tragico e incanto del paradosso.

venerdì 16 dicembre 2022

< 🦁 RECENSIONE 🦁 > COME LEONI - RITORNO A BULL MOUNTAIN di Brian Panowich



Un cerchio tragico che non smette mai di girare e non risparmia nessuno, nemmeno i bambini: questo è Bull Mountain.
Tra queste aspre montagne della Georgia o sei duro come l'acciaio o non sopravvivi, e lo sceriffo Burroughs lo sa bene.
Zoppo, stanco e con troppi pesi sul cuore, cerca di andare avanti, convincendosi che in fondo la sua vita non è così orribile, nonostante quello che è successo tempo prima (e a cui è sopravvissuto): ha ancora il suo lavoro, la sua meravigliosa moglie e il loro piccolo bambino.
Ma i fantasmi del passato sono come quelle montagne: ingombranti e solidi.
Difficili da spostare. Quasi indistruttibili, insomma.
E a volte un quasi può fare la differenza.



** ATTENZIONE: POSSIBILI SPOILERS! **
Essendo il secondo volume di una trilogia, è inevitabile che alcune informazioni ed eventi siano la conseguenza di ciò che è accaduto nel primo libro (BULL MOUNTAIN); per precauzione e per evitare sgradevoli rivelazioni a chi non ha ancora iniziato la saga e non esclude di farlo (fatelo! :-D), evidenzio in nero i probabili spoiler 



COME LEONI - Ritorno a Bull Mountain 
di Brian Panowich



NN Editore
trad. A. Colitto
272 pp
19 euro
2018
Finalmente su Bull Mountain regna la pace: una volta tolto di mezzo "il re delle montagne", colui che dominava sulla gente di quella zona a colpi di soprusi, violenze e attività criminali, ecco che si può tirare un sospiro di sollievo.

Certo, lo sceriffo di McFalls County, Clayton Burroughs, ha dovuto uccidere suo fratello Halford e la drammatica esperienza lo ha lasciato menomato nel corpo e nello spirito, ma magari ne è valsa la pena, no?

La vita sua, di Kate, del loro piccolo e innocente Eben, e di tutti i montanari del posto, scorre tranquilla come un placido fiumiciattolo in quella verde e immensa vallata.

Beh, più o meno.
I fuorilegge da quelle parti crescono come funghi e ce ne sono alcuni che aspettavano solo il momento giusto per prendere il controllo dei traffici di marijuana, whiskey e anfetamina, sostituendosi a Burroughs. 

E proprio questi criminali decidono di alzare la cresta - convinti di essere rimasti i soli galli nel pollaio - e di far sentire la propria presenza e intraprendenza, ma devono fare i conti con ciò che comunque rimane del "clan Burroughs".

E la domanda sorge spontanea: cosa, o meglio chi, è rimasto in piedi in questa famiglia potente?

Clayton è sempre stato fuori dal giro, avendo preso la strada della giustizia; ma dopo la morte di Hal per mano sua e dopo lo scontro a fuoco con l’agente federale Simon Holly,, non si è ancora ripreso dalle ferite riportate, non ha né la forza né la voglia di reagire e ha anche ripreso il viziaccio di bere, di far tardi (e non sempre al lavoro), insomma è demotivato, infelice, frustrato.
Nemmeno l’amata moglie Kate o il piccolo Eben riescono a scuoterlo dallo stato depressivo in cui si trova.

Pur avendo una personalità forte e un carattere deciso, Clayton ha le sue umane debolezze:

"si attaccava a tutto. Accumulava dolore e sensi di colpa come altri accumulavano giornali e riviste, finché a un certo punto non diventavano parte del paesaggio quotidiano."


Eppure, che lo voglia o no, la vita va avanti non solo per lui ma ancor più per i clan che vogliono prendere possesso di Bull Mountain e usarla per portare avanti affari illeciti e criminali; la lotta è appena cominciata e i Viner - capeggiati dallo spietato e crudele Coot - sono intenzionati a smantellare i commerci dei rivali e diventare i nuovi punti di riferimento.

Quando il figlio di Coot, insieme con degli amici, commette una sciocchezza contro i Burroughs che gli costerà molto cara e che vedrà coinvolto, suo malgrado, proprio Clayton, inizierà una vera e propria guerra che metterà in pericolo la famiglia dello sceriffo.

Clayton non si ritrova da solo, però, a dover arrestare la folle avanzata dei Viner: con lui ci sono gli uomini da sempre fedeli ai Burroughs, al padre Gareth prima e ad Halford poi; in particolare, Clayton sa di poter contare su Scabby Mike, alleato devoto, sincero e leale, che in più di un'occasione cercherà di dare allo sceriffo saggi consigli.

Ad aggiungergli ulteriori pensieri, poi, ci pensa un certo Bracken, desideroso di proporgli "un affare" per continuare ciò che aveva iniziato Halford.
In pratica, si vedrà servita l'occasione propizia per prendere il posto del padre e del fratello maggiore, così da continuare a controllare Bull Mountain.

“Nessuno crede davvero che ci siano cose più importanti del denaro o dell’amore, finché non arriva il momento di sedere a capotavola: di riconoscere il potere. Ecco cosa sentiva Clayton su quella sedia: il potere”.

C'è solo un "dettaglio": Clayton avrà pure tanti difetti ma resta pur sempre un uomo di legge!
Ok, non è un uomo perfetto, non è lo sceriffo limpido e irreprensibile che McFalls County  merita, ma una cosa è certa: lui non si sente come tutti gli altri Burroughs; non è un criminale, né uno spacciatore né tanto meno un assassino. Non solo, ma quel giogo di violenza e paura imposto agli abitanti dalla sua famiglia è terminato con la morte di Halford e non sarà certo lui a rimetterlo.

Il castello di carte costruito su questa montagna si è sempre retto sulla paura. La paura è lo strumento migliore per farsi obbedire senza se e senza ma; la gente ha cominciato a scambiare la paura con il rispetto che aveva per i Burroughs, finendo per non vederne più la grande differenza e restando soggiogata alla volontà e ai capricci di chi ha più potere, più soldi, più scagnozzi, più armi.

Clayton Burroughs è stufo e disgustato di "tutta la violenza e la depravazione che scendevano dalla montagna" ma, se le insidie e gli affari disonesti portati avanti dal fratello adesso non sono più un problema, non è negando che ne stanno nascendo altri che terrà al sicuro la sua famiglia e la sua gente: lui deve fare qualcosa, non può starsene con le mani in mano mentre vede i Viner avanzare, ammazzare e minacciare.

Purtroppo per lui, i nemici sono violenti e senza scrupoli, pronti a prendersela non solo con lo sceriffo ma anche con degli innocenti; Kate, dal canto suo, capisce che sono tutti in pericolo e sa che deve fare anche lei qualcosa per combattere questa minaccia e difendere così Eben e lo stesso Clayton.

Sarà una faida all'ultimo sangue e non mancheranno rapimenti, incendi, colpi di pistola, coltellate..., insomma di azione ce n'è a bizzeffe e si sta con l'adrenalina sempre in circolo, come al cospetto di un film avventuroso, in cui non sai mai cosa aspettarti e dal protagonista e dai suoi nemici.

Kate è la donna adatta a Clayton perché è una certezza, è un pilastro per lui: ama il marito ma non è  disposta ad assecondarlo nelle sue debolezze, anzi, lo sprona anche con durezza pur di aiutarlo a rialzarsi, a non crogiolarsi nei rimorsi, negli errori commessi in passato, nelle mancanze sofferte in famiglia.

C'è in lui un'eterna lotta tra i fantasmi del passato e del presente, che lo hanno affondato nel senso di colpa e nella vergogna per gran parte della sua vita adulta;  a volte Clayton sente un'indefinibile nostalgia per una famiglia che non ha più, per un padre cattivo che però - misteri della vita e dei legami basati "sul sangue" - gli manca, per un fratello che non gli ha mai voluto bene; ma in realtà, la sua è la nostalgia di chi sa di appartenere a qualcosa (la sua famiglia) che non ha mai sentito come sua.

Tutta la sua vita era sempre andata in due direzioni: o stare in cima alla montagna o finirci schiacciato sotto.
C'è una terza opzione?
Sta a te scoprirlo, sceriffo.


Anche questo secondo capitolo della saga di Bull Mountain è un romanzo dal ritmo incalzante, un crime ambientato in una zona di montagna suggestiva ma resa "sporca" e pericolosa da personaggi tutt'altro che raccomandabili; tra quelle montagne, se vuoi vivere senza problemi, devi fare ciò che ti dice chi comanda, senza prendere iniziative personali; non è semplice voltare le spalle ai famigliari criminali per scegliere strade diverse, ma c'è chi vuol farlo a tutti i costi e Clayton vive proprio questo "dramma": appartenere ai Burroughs è un marchio che può renderti un privilegiato, un potente, oppure un reietto. Quale direzione darà alla propria esistenza?

I personaggi, come già nel precedente libro, sono molto ben caratterizzati e per lo più si tratta di uomini duri, privi di morale, che fanno della violenza e della sopraffazione il loro linguaggio; Clayton mi piace perché è complesso, non è un santo, ok, ma neppure un bruto, tanto meno è un uomo che si fa trascinare dagli eventi: lui vuol essere libero di operare delle scelte e di affrontarne le conseguenze, nel bene e nel male.

La descrizione del contesto e dell'ambiente naturale è sobria, equilibrata e soprattutto essenziale e funzionale alla storia, a cui fa da cornice e da contrasto: la vedete quant'è bella questa montagna? Ebbene, non lasciatevi ingannare: dietro di essa c'è un universo umano la cui bruttura, malvagità, spietatezza, è da brividi.

Leggendo e addentrandoci con sempre maggiore coinvolgimento nelle appassionanti vicende che coinvolgono il protagonista, la famiglia, gli amici e gli avversari, ci sembra di essere lì, di vedere il sole mentre sta per tramontare e il cielo, ancora di un morbido color mandarino, fare da sfondo alle Blue Ridge Mountains, accompagnandole verso la sera, mentre man mano diventano sagome scure che torreggiano in lontananza.
Ancora pochi minuti e quel cielo arancione fuoco svanisce sotto i nostri occhi: è lo sfondo perfetto, che ci ricorda come lassù c'è comunque posto per una bellezza perfetta... ma attenzione, è un'illusione destinata a durare poco: la luce del giorno sta per essere inghiottita dal buio e non ci resta che guardarci le spalle da chi vuol farci le scarpe.

Un libro che ho letto "di fretta", nel senso che mi sono adattata al ritmo narrativo, alla densità della storia in sé, piena di fatti e dinamiche tra i personaggi; Come leoni appartiene, per me, a quei libri adatti a questo periodo, in cui fuori fa freddo e io mi godo il calore del camino e intanto faccio un salto con l'immaginazione tra criminali, sceriffi e donne con non poca cazzimma.

mercoledì 14 dicembre 2022

LibriAtema - romanzi ambientati al college/a scuola

 

Dopo le storie ambientate in istituti psichiatrici, quelle all'interno di conventi e monasteri e nelle prigioni, è la volta di varcare la soglia di scuole/college.





I romanzi ambientati in istituti scolastici e università sono davvero tanti e si spazia anche tra diversi generi letterari: giallo, young adult, fantasy, thriller, romance ecc...

Lungi dal voler essere esaustivo, in questo post ne segnalo giusto alcuni. Se siete attratti dall'ambientazione scuola/università, date pure un'occhiata ;-) 


GIALLO/MYSTERY/THRILLER


Ne IL SEGRETO DI RIVERVIEW COLLEGE di Susanne Goga (Giunti Ed., 400 pp), il lettore viene trasportato nella Londra del secolo scorso, in un istituto per sole ragazze, le quali vengono educate a diventare delle future mogli, devote e mansuete. Ma ben nascosto nella stanza di una delle studentesse c'è un vecchio diario la ci lettura darà il via ad un'avventura ricca di suspense.


Atmosfere misteriose anche in DELITTI A FLEAT HOUSE di Lucinda Riley (Giunti Ed., 496 pp): in un austero collegio inglese avvengono delle morti tra gli studenti; quali torbidi segreti sepolti dal tempo si nascondono tra le mura di questa scuola?

Ne IL COLLEGE DELLE BRAVE RAGAZZE di Ruth Newman (Garzanti Ed., 391 pp), gli studenti - anzi, le studentesse - muoiono anche in UK, all'Ariel College, ma pare che il colpevole sia uno scaltro e intelligente serial killer, chiamato il "macellaio di Cambridge". Uno psichiatra è deciso a dare il proprio contributo per stanarlo ma prima deve poter entrare nella mente di una giovane vittima sopravvissuta a un omicidio.


YOUNG ADULT

IL SEGRETO DEL BOSCO. NIGHT SCHOOL di C.J. Daugherty (Newton Compton Ed., 436 pp): la giovanissima protagonista Allie ha un caratterino turbolento e, per aiutarla a darsi una calmata, i genitori la portano in un collegio per ragazzi difficili, la Cimmeria Academy. Si tratta di una scuola estremamente sui generis, con un regolamento molto rigido e dalla quale sono banditi cellulari e computer. 
La ragazza fa presto ad ambientarsi ma scoprirà l'esistenza anche della "Night School", una società segreta impegnata in attività a dir poco inquietanti... 

Ma la Cimmeria non è l'unica scuola che nasconde affari loschi, c'è anche la CATHERINE HOUSE di Elisabeth Thomas (Ed. Mondadori, 336 pp): è una scuola d'eccellenza che ha sfornato premi Nobel e personalità di primo piano nel mondo dell'arte, della cultura e della politica. Richiede grossi sacrifici ma alla fine gli studenti avranno davanti a sé carriere brillanti, potere e prestigio in qualunque campo desiderino. 
Per Ines Murillo, Catherine House è la cosa più vicina a una casa che abbia mai avuto. Ma i rigidi rituali della scuola presto trasformano l'edificio in una prigione tanto affascinante quanto ambigua. E quando scoppia la tragedia, Ines inizia a sospettare che l'istituto nasconda un pericoloso segreto.


Restiamo in queste atmosfere fitte di avvenimenti sinistri che avvengono col favore delle tenebre per affacciarci in un'altra scuola, il Grace College, una prestigiosa università riservata a studenti di un certo livello. 
Ne IL SEGRETO DEL GRACE COLLEGE di  Krystyna Kuhn (Editrice Nord, 302 pp) Julia è convinta che accadano cose inspiegabili tra le montagne che circondano l'istituto; dopotutto, tempo fa una donna è sparita senza lasciar traccia: si trattava di Angela, la caporedattrice del giornale universitario. Quando suo fratello diviene oggetto di scherno da parte degli studenti, la ragazza cerca di difenderlo ma soprattutto di fare in modo che nessuno indaghi sul loro passato e su quel terribile segreto che li ha costretti ad abbandonare tutto ciò che avevano di più caro...


ROMANZO DI FORMAZIONE

Con DIO DI ILLUSIONI di Donna Tartt (Rizzoli Ed., 622 pp) siamo in un piccolo e raffinato college nel Vermont, tra ragazzi ricchi, viziati, che vivono di eccessi e illusioni, tra studi classici e riti dionisiaci, alcol, droghe e sottili giochi erotici; proprio lì, lontani dalla realtà che li circonda e immersi nella celebrazione di un passato mitico e idealizzato, durante una notte maledetta, esplode la violenza. 


Si cambia sinfonia con L'ARTE DI VIVERE IN DIFESA di Chad Harbach (Rizzoli Ed., 513 pp, dove a far da sfondo non sono i vizi giovanili bensì lo sport: l'ambientazione è il Westish College, sulle sponde del lago Michigan, dove il lettore incontra diversi personaggi - dalla promessa del baseball al suo mentore e migliore amico, dal compagno di stanza al rettore in crisi di mezz'età.
Tra drammi nascosti dietro l'angolo e amori che iniziano, ogni personaggio di questo romanzo tutto americano sarà costretto a fare i conti con quella cosa luminosa e terribile che chiamiamo vita.



FANTASY

LEGENDBORN di Tracy Deonn (Fazi Ed., 574 pp) è il primo capitolo di una serie fantasy in cui l'intrigante mondo delle società segrete dei college americani fa da cornice a un'avventura che affonda le sue radici nella leggenda di re Artù.
Bree Matthews, dopo aver perso la madre in un incidente, pensa di dare nuovo impulso alla sua vita frequentando l'Università della Carolina del Nord, ma durante la sua prima festa al campus nota delle misteriose presenze soprannaturali che seminano caos e violenza fra gli studenti per nutrirsi della loro energia. In seguito, la ragazza comincia a ricordare particolari relativi alla scomparsa della madre: possibile che la sua morte nasconda dei segreti magici? 
Quando conosce il bel Nick, apprende l'esistenza della società segreta dei Leggendari, che si rivelano essere i discendenti dei cavalieri di re Artù e annunciano che una guerra magica sta per scoppiare...


ROMANCE 

E per chi volesse qualcosa di squisitamente romantico e sensuale, ecco il primo libro della serie The Campus Series" di Elle Kennedy, IL CONTRATTO. THE DEAL: Hannah Wells è una studentessa modello che si è presa una bella cotta per il più bello della scuola, il quale però non si accorge neppure della sua esistenza.
Garrett Graham è un ragazzo tanto sexy quanto popolare; è un fuoriclasse sul campo da hockey ma una schiappa nello studio. E qui entra in gioco Hannah, che gli farà da tutor fino alla fine dell’anno. In cambio, Garrett fingerà di uscire con lei per accrescere la sua fama: a quel punto tutti la noteranno di sicuro. Ma qualcosa va storto e quel bacio in pubblico, tra Hannah e Garrett, non sembra poi così costruito...


lunedì 12 dicembre 2022

** RECENSIONE ** SIAMO TUTTI FIGLI UNICI di Giacomo Casaula



Arriva per tutti, prima o poi, il momento di chiederci se stiamo vivendo appieno la nostra vita o se, al contrario, essa ci stia scorrendo come sabbia tra le dita, senza che noi riusciamo ad afferrarla, a tenerla stretta, a coglierne tutta la bellezza e la pienezza.
Troppo di sovente ci lasciamo sopraffare da paure, fragilità, insicurezze, che diventano dei limiti, quando invece esse andrebbero semplicemente accettate come parte di noi e della nostra imperfetta ma meravigliosa umanità.


SIAMO TUTTI FIGLI UNICI 
di  Giacomo Casaula

Guida Editori
194 pp
15 euro
Maggio 2022
"Soli. Noi siamo soli.
Non l'abbiamo scelto, non ce l'hanno imposto. Siamo soli per natura, perché la solitudine non è una malattia da combattere ma solo una condizione. 
Anche se molti di noi hanno fratelli e sorelle, siamo più figli unici dei figli unici. (...)
Siamo semplicemente fragili senza compromessi o ipocrisie".

Viola è sempre stata una donna intelligente, arguta, riflessiva, profonda, con una grande memoria, ma gli anni passano per tutti e l'Alzheimer le sta giocando brutti scherzi; e così, dalla stanza della clinica in cui è ricoverata, guarda il mondo che continua a girare e i suoi famigliari che si affannano, forse senza rendersene conto, per afferrare una felicità che pare sempre sfuggire loro.
Sebbene non riesca più né a ricordare né a parlare ed interagire come prima, pure un minimo contatto con la realtà c'è ancora e una parte di lei si rende conto di quanto sia tormentata la quotidianità dei suoi famigliari.
E per essi ha preparato, già da diversi anni, un piccolo e personale dono, che potrebbe aiutarli nei momenti di smarrimento, di solitudine e di tristezza.

I Ricci sono una famiglia romana come se ne vedono tante, dove   l'amore, il rispetto, la comprensione, lo scherzo, hanno sempre regnato; ma è da un po', ormai, che qualcosa s'è spezzato e un'inesorabile cappa di angoscia, dolore, preoccupazione... ha reso l'aria in casa cupa, irrespirabile, triste: un giorno di otto anni prima, infatti, il figlio maggiore, Luca, ha deciso all'improvviso di andare via da casa, da Roma, per tentare di vivere una nuova vita a Londra.

Luca - irrequieto, insoddisfatto, desideroso di cercare di dare alla propria giovane esistenza una spinta,  una direzione e degli obiettivi che lo appagassero, gli mettessero le ali e lo rendessero libero, indipendente, felice - lascia tutto e tutti e va via, senza dare grandi spiegazioni, mollando anche Stefania (la fidanzata) e, soprattutto, non dando più notizie di sé, né scrivendo né telefonando né tanto meno tornando a trovare genitori, nonna e fratello.

Da quel giorno in cui Luca ha preso il volo per altri orizzonti, la vita in casa dei Ricci sembra essersi congelata, come in attesa di un ritorno, di uno squillo sul cellulare, di una porta finalmente aperta per riaccogliere il figlio/fratello fuggitivo.

Ambra e Riccardo si sono chiusi ciascuno nel proprio dolore, nella loro legittima apprensione per il destino di questo figlio che non sanno che stia facendo: sta bene? lavora? si è sposato? è morto? Che ne è di lui?? Perché non si è mai fatto sentire?
E se Ambra ha trovato nello scrivere un diario una via per sfogarsi, per buttare fuori pensieri, timori, sentimenti, il marito Riccardo ha dovuto ricorrere allo psicologo.
Dal canto suo, Francesco, il figlio minore, ha cercato di andare avanti con la propria vita, dedicandosi agli studi, ma in realtà anche lui ha subito un arresto: l'assenza di Luca è pesante, si fa sentire ogni giorno e per lunghi otto anni condiziona le vite di tutti, disegnando sui loro visi tensione, malinconia, senso di impotenza, a volte rabbia (di fronte all'egoistico silenzio di Luca), e ha creato un vuoto che di giorno in giorno si è allargato sempre più.

E lui, Luca, che fine ha fatto? Come se la sta passando a Londra? Ha trovato la realizzazione che cercava?
E cosa troverebbe in casa Ricci, dopo tutto quel tempo di assenza e silenzio assoluti, se dovesse rimettere piede a Roma?
Nonna, mamma, papà, Fra', Stefania...: la voglia di sapere che fanno e come stanno è tanta, ma con essa c'è il timore di trovarli arrabbiati con lui (e avrebbero ragione di esserlo); se lo rivedessero sulla soglia di casa, cosa farebbero? Gli chiuderebbero la porta in faccia, risentiti, o lo accoglierebbero comunque a braccia aperte, pronti a riempire con il suo ritorno quello spazio lasciato vuoto quando decise di andarsene?
E lui, cosa potrebbe raccontare loro: di essere tornato più sereno e appagato di quando era partito o di essersi trascinato dietro sempre gli stessi dubbi, le medesime paure ed incertezze...?


"Siamo tutti figli unici" è un romanzo che ha al centro una normalissima famiglia con le proprie vicissitudini; le voci di ciascun membro si alternano per raccontare, ognuno dal proprio punto di vista, come vivono giorno per giorno, cosa provano, pensano, desiderano, temono, ricordano.
In un continuo passaggio dal presente al passato e di cambi di prospettiva, conosciamo Francesco e i suoi famigliari un po' alla volta: come in un film, la "regia" si sofferma ora su un personaggio, ora su un altro, scegliendo per ciascuno la giusta inquadratura, cambiando la "scena" e lo sfondo quando è necessario, fermando l'immagine su un dialogo in particolare o su dei silenzi ricchi di cose che si volevano dire ma non si è avuto il coraggio di farlo, su sorrisi carichi di affetto, su gesti che avvicinano o allontanano, su rapporti lasciati in sospeso e su quelli, inattesi e belli, da costruire.

Nonna Viola è un po' il punto di riferimento per tutti ed è colei che, appassionata com'è dell'affascinante fenomeno del deja vù, desidera trasmettere ai suoi cari un messaggio fondamentale: ci sono esperienze che la mente ci porta a rivivere, a riportare alla memoria, perché la prima volta non ne abbiamo colto tutta l'inesauribile Bellezza.
Come anticipavo più su, sempre lei, Viola, lascerà ai suoi famigliari un'eredità profonda, fatta di parole su cui riflettere, di consigli da cui ripartire, di ricordi da custodire, di amore e incoraggiamento.

Tutti i personaggi, proprio come suggerisce il titolo, si sentono un po' come dei figli unici, ciascuno con il proprio fardello di solitudine silenziosa - una condizione sofferta di cui si nutrono inconsapevolmente -, vivendo come "trottole spinte da un flusso che non si vede", cercando di combattere l'angoscia, il "mal di vivere", nascondendo agli altri le proprie fragilità, la paura di fallire, di non sapere quale sia il proprio posto nel mondo e chissà se mai lo capiranno.
Il lettore può facilmente immedesimarsi in essi perché a tutti noi può succedere (o è successo) di perderci, di non sapere che strada prendere, di andare in crisi, di aver paura di deludere chi ci è vicino, quando basterebbe smettere di vergognarci di essere ciò che siamo e accettarci con tutto il nostro carico di contraddizioni, ansie, sfiducia, paura di essere giudicati. 

Mentre leggevo, pensavo a come spesso accada di desiderare tanto qualcosa (o qualcuno) per anni ma poi, quando essa si presenta all'improvviso sotto i nostri occhi - magari quando ormai ci eravamo messi l'animo in pace e convinti che quella mancanza era parte della nostra esistenza e, con essa, anche i solchi profondi creati dall'assenza -, non saper che fare e come reagire.

Un libro che viaggia sui binari di quella sensazione di essere sostanzialmente soli che ci accompagna pur stando in mezzo agli altri e che altresì ci ricorda come "la solitudine ha bisogno degli altri perché, se è vero che siamo tutti isole in cerca di un mare migliore, lo siamo perché possiamo comunicare, abbracciarci, parlare, stringerci, lottare".

La penna di Casaula è davvero molto fluida, piacevole, la lettura scorre senza intoppi e il lettore viene coinvolto dalle prime righe dai toni intimi e confidenziali con cui ogni personaggio racconta di sé, della propria solitudine, dei vuoti, delle assenze, delle paure; è una lettura densa e intensa, costellata di frasi e considerazioni che fanno riflettere senza voler dare lezioni di vita, ma anzi con la delicatezza di una mano rassicurante, di un sorriso amichevole e di una carezza al momento giusto. 

domenica 11 dicembre 2022

Donne e sportive in un mondo di uomini

 

Nel  mondo del lavoro - come nel mondo dello sport - non è facile per le donne far carriera in quanto ancora oggi la percentuale di esse parte spesso svantaggiata. 

Quali sono le possibili spiegazioni di questo fenomeno?
Oggi tutto sembra possibile e ormai tantissime bambine in tutto il mondo non sognano più di diventare delle ballerine o delle principesse ma magari di diventare delle sportive, astronaute, piloti o chef.

Abbiamo sicuramente tutti notato che nei film in cui c'è da andare nello spazio, non è un caso che gli astronauti siano quasi tutti uomini; ma nel mondo reale, una donna è riuscita ad abbattere tutti i pregiudizi: Samantha Cristoforetti.

Grazie al suo duro lavoro e ad anni di sacrifici è sbarcata sulla luna e oggi è la prima donna europea comandante della Stazione Spaziale Internazionale. Nel 2012, l’Esa (European Space Agency) rese noti i nomi degli astronauti selezionati per la missione “Futura” (che sarebbe durata 199 giorni) e  Samantha era fra questi. Furono necessari due anni di preparazione, durante i quali l’astronauta italiana decise di iniziare a scrivere un diario giornaliero in cui raccontava tutti gli step e le difficoltà da lei affrontate durante questo percorso.
Questo diario - pubblicato in lingua inglese e tradotto in italiano, francese e spagnolo - si prefiggeva l'obiettivo di abbattere le barriere tra questo mondo così complesso e il grande pubblico.


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Un’altra donna che è riuscita a brillare in un mondo prettamente maschile è Ana Carrasco Gabarrón. 

Era una bambina piccolina quando si appassionò al mondo dei motori, facendolo diventare il perno della sua vita. A 15 anni debutta nel Motomondiale in Qatar sotto la categoria Moto3 e poco dopo passa a Moto2 gareggiando anche nel campionato mondiale SuperSport 300. 

In un'intervista Ana ha affermato: “Il fatto di essere donna ha reso più difficile questo percorso. La cosa più difficile è stata soprattutto convincere gli sponsor che una donna potesse vincere tanto quanto un uomo”.
Ana ha lottato e ha cambiato l'opinione di tanti che pensavano che non ce l’avrebbe fatta. Oggi Ana ancora non è riuscita ad arrivare in MotoGP a causa di una serie di infortuni che l’hanno costretta a rallentare, ma chissà che un giorno non la vedremo sul podio proprio a fianco ai suoi colleghi uomini.


La scalata delle donne è difficoltosa anche nel settore sportivo, a livello agonistico, per tanto tempo appannaggio dei soli maschietti.

Le donne hanno iniziato a far parte di questo mondo solamente dal 1928 e nonostante questo grande traguardo ancora oggi c’è tantissimo lavoro da fare; ciò non toglie che sono tantissime le atlete che, con costanza, determinazione e tanto coraggio, sono riuscite a portare a termine i propri obiettivi, superando non poche difficoltà. 

Pensiamo ad esempio a Sofia Goggia, Antonella Palmisano e Vanessa Ferrari.

Sofia Goggia, nata a Bergamo nel 1992, inizia a sciare all’età di tre anni e quella che sembrava una passione si trasforma ben presto in un lavoro. A 16 anni debutta alla Coppa Europa e nel 2018 diventa la prima sciatrice italiana a vincere una discesa libera femminile alle Olimpiadi di PyeongChang.
Le difficoltà non sono mancate: Sofia si è più volte infortunata al ginocchio e ai legamenti e questo le ha impedito, in molteplici occasioni, di partecipare alle competizioni sportive, tra cui anche ai mondiali di Cortina d’Ampezzo del 2021. 
Ma Sofia non si è lasciata scoraggiare e nel 2022 è riuscita a primeggiare nei giochi olimpici invernali di Pechino e oggi è conosciuta come la prima sciatrice italiana a salire sul podio in 4 diverse specialità: Gigante, Super G, Discesa e Combinata. La sua forza di volontà ha prevalso sulle mille difficoltà incontrate.

Antonella Palmisano, classe 1991, è riuscita a brillare come campionessa alle Olimpiadi di Tokyo 2020 vincendo la medaglia d’oro nella marcia 20km. 
La sua prima vittoria sul podio risale al 2009, quando durante gli Europei under 20 è riuscita ad aggiudicarsi l’argento per la marcia 10km. Da quel momento in poi nulla l’ha fermata e la sua collezione di medaglie non ha fatto che allargarsi. 
Nella marcia il segreto è avere persistenza e tenacia e questi due elementi si riflettono anche nel carattere di Antonella, che si è dimostrata essere una donna forte che non ha nulla da invidiare ai suoi colleghi uomini. 

Vanessa Ferrari

Nella ginnastica artistica se vuoi diventare campionessa, i tempi sono molto stretti. La competizione è altissima e lo stress a cui viene sottoposto il fisico non permette di prolungare di troppo la propria carriera. 
Eppure Vanessa, a 32 anni, è stata la prima azzurra a laurearsi campionessa mondiale di ginnastica artistica.
Negli anni, ha partecipato a 4 competizioni olimpiche e altrettante gare mondiali ed europee riuscendo a vincere numerose medaglie tra cui anche otto ori. 
Purtroppo, a causa della rottura del tendine,è stata costretta ad un lungo stop dal 2017 al 2019 da cui però si è ripresa. 
Nel 2020, è riuscita a partecipare alle Olimpiadi di Tokyo 2020 diventando la prima ginnasta italiana a partecipare ai giochi olimpici. 
Vanessa Ferrari è una delle icone nel mondo della ginnastica, tanto che nel 2012 è riuscita a creare un nuovo elemento - “il Ferrari" - che è oggi parte del codice dei punteggi mondiale. 

Ci sono tanti settori professionali, sport compreso, in cui le donne ancora oggi non sono considerate abbastanza e le differenze di genere si fanno sentire, nonostante esse stiano riuscendo pian piano a farsi spazio e a imporsi come un valido esempio e un grande incoraggiamento per altre donne che vogliono intraprendere determinate carriere.


Questo post (che contiene alcune mie piccole modifiche rispetto al materiale originale) si prefigge di dare spazio all'associazione "Fondazione Idea" e vuol condividerne le tematiche attraverso questa serie di articoli.

Fonti consultate:

>> DONNE IN UN MONDO DI UOMINI <<

>> DONNE NELLO SPORT <<

Fondazione Idea è un progetto creato da donne per le donne, in cui si celebrano i successi di tantissime figure femminili che sono riuscite a realizzarsi in diversi campi, nonostante i tantissimi ostacoli.



Leggi anche:

venerdì 9 dicembre 2022

♣ RECENSIONE ♣ LE TRANSIZIONI di Pajtim Statovci

 

"Sei un uomo o una donna? A volte rispondo uomo, a volte donna, altre non rispondo affatto...": un romanzo sulla ricerca della propria identità, sui tanti passaggi e fasi che si attraversano nella vita, sui sentimenti che legano un individuo alla famiglia, al proprio Paese, alle proprie radici e su come spesso, da essi, si desideri - o meglio, si senta il bisogno di - prendere le distanze, necessarie per ritrovarsi e per tentare di trovare una pace, un equilibrio.


LE TRANSIZIONI 
di Pajtim Statovci

Sellerio Ed.
trad. N. Rainò
272 pp
16 euro
2020
"...è sempre la stessa antica maledizione: ciascuno desidera quel che non ha..." ed essere ciò che non è, aggiungo io.

Chi di noi, infatti, non ha mai desiderato, anche solo per una volta e "per gioco" di poter essere una persona diversa da quella che è, o magari anche più d'una nel corso di un'intera esistenza?

Bujar non solo lo desidera ma vive così: è tante cose, ora è uomo ora è donna, in un certo periodo della sua vita racconta di essere originario di Sarajevo, in un altro si mostra come un giovanotto affascinante che fa innamorare le ragazze.
Nel corso della sua giovane esistenza lo vediamo passare di nazione in nazione, di città in città, in Europa e non solo, e ogni volta provare a tirare avanti facendo tante cose e allacciando legami d'amicizia e d'amore: se in Germania sente il desiderio di iscriversi ad un corso di scrittura creativa, in Italia e a New York gli si spegne tutto, pure la voglia di vivere, e gli si accende un senso spaventoso di inutilità; magari in Finlandia le cose potrebbero andar meglio? 

La verità è che, a prescindere dalla città in cui decide di provare a stanziarsi, dal nome con cui si presenterà, dal Paese che sceglierà quale patria, dal lavoro che vorrà fare, dall'identità che avrà voglia di vestire, dagli uomini o dalle donne che amerà, la solitudine e un onnipresente guscio di malinconia lo accompagneranno sempre.


"Andai in Germania, e dalla Germania in Spagna, e poi dalla Spagna negli Stati Uniti, e per anni fui così sola da essere molto vicina a togliermi la vita, e non sapevo cosa farne di tutta quella solitudine, non potevo sbarazzarmene, era come l’aria, era lo spazio che divideva me e la persona che mi sedeva di fronte, era il volto di tutte le persone che guardavo e non ricambiavano lo sguardo, era ogni schiena che si allontanava e ogni parola che non mi veniva rivolta."

Ma, vi chiederete, chi è davvero Bujar? Da dove viene, quanti anni fa? Ha dei sogni, delle ambizioni? Dei famigliari e un focolare al quale ritornare dopo tanto peregrinare? Amici? Uno o più amori, braccia pronte ad accoglierlo, volti e corpi da accarezzare, accanto ai quali stendersi per poter parlare, di notte, a voce bassa, sussurrando fino a sentire null'altro che un bisbiglio, eppure con la consapevolezza che l'altro ti ascolta, ti capisce, ti ama per come sei e anche con i tuoi silenzi?

Bujar è un albanese e il lettore fa la sua conoscenza quando ha 22 anni e vive a Roma (nel 1998); la narrazione non è lineare, a volte fa dei balzi indietro ed altre in avanti; il protagonista ci racconta della sua infanzia povera in Albania, della sua famiglia, dei discorsi politici fatti in casa, della situazione del Paese ai tempi della dittatura comunista di Hoxha, ci dà dettagli della propria esistenza, sia reali che inventati, e lo fa mentre si racconta a un amico o a una sconosciuta, dando un resoconto (triste, drammatico) di una vita trascorsa in viaggio e in fuga, dall’Albania all’America, come dicevo, passando per Roma, Madrid, Berlino, Helsinki.  

Conosciamo, quindi, l’adolescenza poverissima a Tirana, «la discarica d’Europa, il fanalino di coda dell’Europa, la prigione a cielo aperto più grande d’Europa»  e Bujar narra la sua storia in prima persona: i genitori, la sorella maggiore, l'amico del cuore Agim, coetaneo e vicino di casa, rifiutato dalla famiglia per il suo orientamento sessuale; Agim con il suo carisma, il carattere determinato, sempre con le idee chiare, pronto a sfidare la vita con la sua intelligenza vivace; Bujar ci racconta di come la famiglia si sia disgregata dopo la morte del padre e di come, spinto proprio da Agim, abbia lasciato la madre e abbia incominciato ad andarsene in giro, prima con l'amico sempre in Albania, e poi fuori.

Bujar non fa che inventare continuamente sé stesso e la propria storia, ma in queste bugie una cosa è chiara: si vergogna di essere albanese e non vuole dire di esserlo, né ama parlare della famiglia d'origine.
È un piccolo e innocente impostore che costruisce la propria storia personale "rubando" frammenti di esistenze di altre persone, i loro nomi e il loro passato, scegliendo di volta in volta "...cosa sono, posso scegliere il mio sesso, la mia nazionalità e il mio nome, il luogo di nascita, semplicemente aprendo la bocca. Nessuno è tenuto a rimanere la persona che è nata, possiamo ricomporci come un nuovo puzzle."

Certo, non è facile,

"...bisogna essere preparati. Per vivere innumerevoli vite, devi essere in grado di coprire le menzogne con altre menzogne..."
  
Il periodo insieme ad Agim è costellato da problemi economici e di brutte esperienze, fatte di umiliazioni, maltrattamenti e abusi da parte di chi sembrava un angelo custode e invece...

Entrambi si sentono fuori luogo in questo loro paese così povero, devastato, ma la comune povertà li rende sempre più dipendenti l’uno dall’altro: vivono all'avventura e alla giornata, per le strade di Tirana, poi sulla costa, fino al viaggio da clandestini in Italia attraverso l’Adriatico.

Certi avvenimenti e incontri negativi finiscono per plasmare il povero Bujar, che dalle macerie di vergogna, cattiverie, solitudine, costruisce una creatura nuova senza più origine e nazionalità, pronta a sfidare e ad abitare il mondo intero, ad essere una sorta di "cittadino del mondo" senza patria.

"...non ho più avuto una patria ma solo altri Paesi, Stati stranieri che ho dovuto far diventare la mia patria".

Il racconto della tante vicissitudini e peripezie alle quali va incontro è contrassegnato dal dolore, dalla sofferenza, dalla tristezza, dalla difficoltà di mettere radici, di riuscire ad affidare il proprio cuore e la propria serenità nelle mani di qualcuno perché c'è sempre qualcosa che gli manca, che lo indispone anche verso colui o colei con cui, per un certo periodo, ha condiviso un amore, una convivenza ma che poi s'è rivelato insufficiente o inadeguato a colmare i tanti vuoti affettivi di Bujar, il quale più cerca di sfuggire alle proprie origini, meno ci riesce.

Non fa che ricordare a sé stesso l'odio che che ha nutrito per certi atteggiamenti ipocriti dei genitori, giurando che lui mai sarebbe diventato come loro, che non gli sarebbe importato di quel che la gente pensava di lui, che "non sarei stato un albanese, in nessun modo, ma qualcun altro, chiunque altro."

Leggiamo dell'amarezza provata riflettendo sulla triste verità che a nessuno importa niente della sua terra insignificante, abbandonata, retta da psicopatici, di questo popolo asfissiato e stanco a cui lui, volente o nolente, appartiene.

Viaggiamo insieme al protagonista, ci fermiamo con lui in piccoli appartamenti e stanzette, conosciamo i suoi amori, ci impressiona quel lato del carattere inaspettatamente violento, aggressivo, che emerge quando si sente preso in giro, giudicato, schernito.

Il giovane autore sa trasmetterci con molta efficacia tutta la gamma di stati d'animo ed emozioni del protagonista: la disperazione, la sensazione di noia e di insoddisfazione, i continui sensi di colpa che gli stringono il cuore, la nostalgia per chi non c'è più, la rabbia quando non si sente accettato e accolto (perché essere diversi dalla massa dev'essere considerato un reato o una cosa di cui vergognarsi?).

Sentiamo tutta la sua ingombrante ed opprimente tristezza nei momenti di maggiore debolezza, la sua angosciante convinzione di non essere nulla per gli altri, la paura di essere un "signor nessuno" e di come questa percezione equivalga a morire un pezzettino alla volta.

"Se la morte fosse una sensazione, sarebbe questo: l’invisibilità, vivere la tua vita in abiti scomodi,  camminare con scarpe strette."

"Le transizioni" è un libro che appassiona il lettore dalle prime righe per la scrittura potente, poetica e cruda allo stesso tempo e che risulta sempre coinvolgente grazie al protagonista e alla sua personalità complessa: ora sembra tanto fragile, ora più deciso, e comunque in costante movimento, coerentemente con quella fluidità che è sessuale ma non solo: è qualcosa che parte da dentro e che si estende in altri ambiti della vita; c'è in Bujar una tensione a vivere mille vite, possibilità, identità, allontanandosi il più possibile da quella originaria (il suo essere un albanese di umilissime origini), un'irrequietezza che lo induce a non star fermo in nessun posto, a cercare sempre qualcosa di più, di meglio, di più vero.

Sono pagine che a me hanno trasmesso dolore, angoscia, smarrimento; Bujar vive nell'incessante ricerca di un equilibrio, diviso tra il timore di sentirsi sempre inadeguato, non accettato per quel che è (ma com'è? chi è? Sono domande alle quali lui stesso non ha un'unica risposta) e l'euforia di voler essere comunque sé stesso, non definibile né etichettabile (anche l'uso dei pronomi - sia femminile che maschile - lo conferma).

Solitamente non mi dà fastidio che si salti da un periodo temporale ad un altro, ma in questo libro tale scelta narrativa l'ho "sofferta" un po' perché gli anni erano praticamente sempre differenti e non veniva automatico orientarmi a ogni nuova "transizione".

Mentre leggevo, soffrivo con Bujar ed empatizzavo con i suoi sentimenti; le esperienze brutte sono un pugno nello stomaco e il linguaggio in quei momenti è rude e "forte".

Un romanzo che, con la sua narrazione intensa, innovativa e spiazzante, fa riflettere sul tema dell'identità, sui legami d’appartenenza, sul sentirsi esclusi e rifiutati per il proprio modo di essere, sul diritto di tutti e di ciascuno di essere amati, sull'ingiustificata crudeltà che invece si riceve per il fatto di essere additati come "diversi"; una lettura che mi ha colpito per il suo essere enigmatica, quasi inafferrabile, proprio come il suo particolare protagonista.



Bio Autore (Sellerio)
Pajtim Statovci, nato in Kosovo nel 1990, è cresciuto in Finlandia dove si è trasferito con la famiglia fuggita dalla guerra quando aveva due anni. Il suo romanzo d’esordio, uscito nel 2014 e pubblicato in Italia con il titolo L’ultimo parallelo dell’anima, ha vinto il Premio Helsingin Sanomat. Le transizioni (Sellerio 2020), il suo secondo romanzo, tradotto in molte lingue, finalista al National Book Award, ha vinto il Toi-sinkoinen Literature Prize nel 2016 e nel 2018 gli è stato assegnato l’Helsinki Writer of the Year Award. Gli invisibili (Sellerio 2021) ha ricevuto il prestigioso Finlandia Prize, che consacra l’autore come il più giovane vincitore di ogni tempo.




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