lunedì 29 novembre 2021

Recensione: CON IL VENTO NEI CAPELLI di Salwa Salem



La storia della palestinese Salwa Salem e della sua famiglia permette al lettore di avvicinarsi anche alla storia di un pezzo di Palestina dagli anni Trenta ai Novanta.
Da questo racconto autobiografico emerge non soltanto l'accusa di una donna colta, fiera, libera ed intelligente contro il dominio economico, sociale e religioso maschile, ma al contempo il desiderio che i soprusi subiti dal proprio popolo non siano dimenticati e che sia ancora possibile costruire una strada verso la mediazione e il rispetto reciproco.


CON IL VENTO NEI CAPELLI 
di Salwa Salem



Giunti Ed.
L. Maritano (a cura di)
192 pp
"Ho ancora voglia di partecipare, di dare, di lavorare, di vedere la Palestina libera, di vedere i miei figli crescere, proteggerli ancora e dar loro altro amore. (...) tutto viene dimenticato e io sono una persona qualunque. Per questo desidero tanto raccontare la mia storia, farne un libro. (...) Chiudo gli occhi, ripenso alla mia vita, alla strada che ho fatto prima di ritrovarmi qui, alle mie radici. Rivedo le luci della mia terra, i riflessi d'argento delle distese di ulivi, riesco a sentire il profumo dei fiori d'arancio, l'aria fresca e il sole finalmente tagliente delle prime giornate di primavera."

Salwa è nata nel 1940 in una terra da troppo tempo teatro di aspri e sanguinosi conflitti e dalla quale è stata, negli anni, costretta a un lungo esilio, alla ricerca costante di un posto in cui poter indossare ali di libertà, per spiccare il volo come donna libera, indipendente,  capace di costruirsi il proprio futuro.
Senza mai dimenticare le proprie radici palestinesi.

Ha solamente otto anni Salwa quando con la sua famiglia viene sradicata dal suo villaggio (Yafa, vale a dire Giaffa), dalla sua terra, e con loro tre quarti della popolazione palestinese, in seguito alla fondazione dello Stato di Israele.

Si trasferisce a Nablus, dove trascorre l'infanzia e l'adolescenza, mostrando sin da piccola un carattere risoluto, grande curiosità e vivacità intellettuali, che la spingono ad osservare l'ambiente (famigliare e oltre) con quello spirito critico che non perderà mai, ma che anzi si affinerà sempre più.
Il suo modello è il fratello maggiore, impegnato nella lotta politica, alla quale si avvicina anche lei, e a soli 15 anni Salwa entra nel partito Ba'ath, fa volantinaggio per la causa palestinese, discute con le compagne sui diritti delle donne, contravvenendo ai voleri dei genitori, che la vorrebbero sottomessa, tranquilla, obbediente, lontana da velleità di ragazzina ribelle e recalcitrante verso i dettami della propria religione e tradizione. Insomma, preferirebbero poter organizzare il suo fidanzamento con un buon ragazzo piuttosto che vederla per le strade a manifestare.

Da noi esiste un'espressione particolare per indicare le ragazze troppo libere: ala hall shàriha che significa “con i capelli sciolti”. Ho sempre trovato molto singolare che un'immagine così bella, l'immagine di una ragazza con i capelli al vento, fosse un'espressione offensiva


Crescendo, il vento non lascia i suoi capelli, anzi; negli anni successivi lotta per poter studiare, lavora come insegnante in Kuwait - acquisendo la tanto agognata libertà e l'indipendenza economica - e riesce a iscriversi all'università di Damasco. 

Si sposa per amore, e col marito si trasferisce a Vienna e poi in Italia.
Nella prima delle città europee non si sentirà mai a proprio agio a causa del razzismo nei confronti degli arabi, mentre in Italia (a Parma, dove vivrà fino alla fine sei suoi giorni) si sentirà accolta e proseguirà la sua battaglia per dar voce alle donne palestinesi.

La storia di Salwa è anzitutto quella della sua vita e di tutti quei fattori storici ed economici che hanno influito su di essa, delle sue convinzioni politiche, delle non facili né scontate scelte effettuate, divise fra emancipazione e tradizione, fra desiderio di pace e necessità di lotta.

È la storia di una donna dalla grande e definita personalità, che ha sempre avuto puntato ad essere ed esprimere se stessa e la propria voglia di emancipazione, autorealizzazione personale, senza con questo venir meno alle proprie responsabilità di figlia, sorella, madre, moglie.
Salwa è sempre stata avida di cultura, si è formata leggendo i libri passateli dal fratello - non solo politici ma anche filosofici e i classici -, amava Kafka e Simone de Beauvoir insieme alla letteratura araba.

Pur essendo sempre la stessa - in quanto a temperamento combattivo, a voglia di vivere, acculturarsi, migliorarsi, relazionarsi agli altri - la vediamo comunque evolvere e maturare negli anni: se a Nablus è un'adolescente con dei sogni, delle speranze che cozzavano contro un tipo di società e di educazione che alimentavano il suo spirito ribelle e i suoi tentativi di portare avanti le proprie idee a dispetto dei poveri genitori, in Kuwàit la ritroviamo più pacata (anche il ritmo narrativo lo è, rispetto al periodo di vita precedente, più frenetico e vivace), più adulta, desiderosa di mantenere la propria autonomia economica e raggiungere una realizzazione personale, sia attraverso il lavoro che costruendosi una famiglia.

L'Autrice si sofferma su diverse tematiche significative, come la condizione delle donne arabe, le difficoltà di integrazione per chi emigra e come e quanto questa esperienza influisca sul singolo e sulle famiglie a livello personale, sociale, culturale.

Attraverso una storia che è in prima linea personale e anche famigliare (interessanti i ritratti dei genitori, della madre in primis, una donna forte come lei), inevitabilmente veniamo avvicinati a quella di un popolo, alla sua società e alla sua identità.
Ma soprattutto, al suo diritto di esistere, di non essere dimenticato, cancellato, ignorato, sminuito.

Salwa mette di continuo enfasi sulle ragioni dei palestinesi tanto trascurate dall’informazione occidentale; ci racconta del difficile rapporto col regime giordano, dei contrasti con la società kuwaitiana e saudita, delle difficoltà vissute da chi è stato costretto a lasciare la propria casa negli anni '40, dell'impossibilità di non poterci tornare, della brutta esperienza che è stata, ad es, attraversare la frontiera giordana-israeliana, e di come si sia sentita ferita, umiliata.

"Vogliono negarci un diritto elementare. Ma nessuna forza al mondo, nessuna politica al mondo potrà mai convincermi che quella non è casa mia, la terra dove sono cresciuta, dove vivono i miei genitori e le mie sorelle."

Commovente l'episodio del padre che torna nella loro vecchia casa di Yafa (vi torna diciannove anni dopo averla dovuta lasciare, in un drammatico ed indimenticabile fuggi fuggi), con le chiavi di allora... ma la trova occupata (ovviamente, purtroppo), e di come questo lo abbia avvilito profondamente.

"L’idea di ritornare non si abbandona mai quando ti costringono a lasciare la tua terra in un modo così tragico. C’è sempre la nostalgia e la voglia di rimettere le cose come erano. Fu terribile sentirsi all’improvviso estranei, esclusi..."

Avvertiamo forte il dolore, la nostalgia, il senso di profonda ingiustizia provate a causa della tragedia vissuta dal proprio popolo, cacciato dalla terra in cui era stabilmente insediato, in cui aveva case, terreni, attività..., una terra alla quale appartiene, per far posto a un nuovo ordine di cose. 

"Era troppo difficile accettare che in un attimo tutto fosse andato perduto, che sulla nostra terra ora esisteva un nuovo stato, con persone nuove che non avevano mai visto la Palestina, che non ne conoscevano le tradizioni, la lingua, la terra, i profumi. Era una tragedia troppo grande. Io vivevo nel rimpianto del tempo felice di Yafa."

Salwa descrive la propria amata gente come condannata a non conoscere l’allegria, il divertimento, perché non ha avuto tempo di divertirsi per colpa della Nakba (il "disastro") e di tutto ciò che essa ha significato e a cui ha fatto seguito, perché le famiglie sono state divise e hanno dovuto vivere lontane dalle loro case, subendo un’oppressione psicologica e fisica che ha allontanato ogni felicità e spensieratezza: "E questo accomuna tutta la popolazione palestinese in esilio: noi non sappiamo divertirci."

Se negli anni in cui ha vissuto in Kuwàit, a Vienna e (per breve tempo) in Arabia Saudita, Salwa si è meno attivamente mossa per tenere i riflettori accesi sulle condizioni di vita dei palestinesi nei Territori Occupati, questo impegno civile si ridesta nel "periodo italiano", a partire dagli anni Ottanta, e la porta a partecipare e far sentire la propria voce in occasione di 
manifestazioni, riunioni politiche ecc..., dando così il proprio concreto contributo alla causa palestinese, raccontandone la storia, rimasta a lungo poco e mal conosciuta.

La vita di Salwa Salem ci scorre come un romanzo e personalmente la ritengo non solo una narrazione piacevole ma altresì interessante ed utile per chi voglia accostarsi alla tematica principale (ciò che ha vissuto e vive ancora il popolo di Palestina a motivo dell'occupazione israeliana) in modo non complesso o eccessivamente impegnativo.




Ho voluto pubblicare la recensione in questo giorno non a caso, ma perché oggi si celebra la Giornata internazionale della solidarietà con il popolo palestinese, istituita nel 1977 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. L'anno scorso ho segnalato alcune scrittrici palestinesi in QUESTO POST dedicato.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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