In Apeirogon McCann dà voce a due padri, un palestinese e un israeliano, che hanno rispettivamente perso le loro figlie a causa della violenza e che hanno imparato, con non pochi sforzi, a trasformare il loro dolore in parole e gesti di pace.
APEIROGONdi Colum McCann
Ed. Feltrinelli trad. M. Magrì 528 pp 22 euro |
Le loro vite cambiano drammaticamente e irrimediabilmente quando subiscono entrambi un lutto gravissimo: la 13enne Smadar, figlia di Rami, rimane vittima di un attacco suicida a Gerusalemme, nel 1997; nel 2007, la decenne Abir, figlia di Bassam, viene uccisa da un proiettile di gomma mentre sta uscendo da un negozio, dove ha comperato un braccialetto fatto di caramelle.
Questo è il cuore del libro di McCann, il quale però non si limita a narrare le storie personali di queste due famiglie colpite dalla tragedia, ma attorno a questo nucleo ci vengono raccontate un'infinità di aneddoti, curiosità, storie ecc..., alcune delle quali anche apparentemente sconnesse dalla tematica principale.
Il titolo si riferisce a "un poligono dal numero infinito di lati", come infiniti (immagino che questo possa essere l'accostamento operato dall'autore) sono gli aspetti, i livelli, gli elementi di scontro che caratterizzano le esistenze dei due popoli - palestinese ed ebraico - su un'unica terra.
Questo libro l'ho letto in dieci tappe nell'ambito di una lettura condivisa con altri lettori, con cui poi ci ritrovavamo a commentare una volta a settimana e a esporre i punti che ci avevano maggiormente colpiti.
Vi riporto, quindi, alcune delle riflessioni e degli aspetti che personalmente mi sono rimasti maggiormente impressi:
❖ La sezione iniziale del libro è già particolare e singolare in quanto l'autore inizia parlandoci degli uccelli, e non ho potuto fare a meno di pensare che gli uccelli, in questa terra, sono più liberi degli umani, soggetti alle limitazioni e restrizioni dovute all'occupazione israeliana.
❖ Apprendiamo che Bassam, in gioventù, è stato detenuto nelle prigioni israeliane e mi ha impressionato la sua serenità nonostante le costanti umiliazioni da parte dei soldati, la sua "missione" di sopravvivere come essere umano che ha e mantiene una sua dignità.
"È una tragedia dover continuamente provare che siamo degli essere umani".
❖ Ovviamente i racconti relativi ai due fatidici giorni (separati da 10 anni di distanza) in cui Smadar prima e Abir dopo vengono uccise, è toccante e straziante, e tutta l'angoscia, la paura, la sofferenza di questi poveri genitori emergono in modo molto vivido e reale.
❖ Tanto la bimba palestinese (il cui nome significa "profumo, fragranza del fiore") quanto la ragazzina israeliana ("grappolo della vigna, fiore che si schiude") hanno nomi dal significato molto bello che richiamano alla bellezza di un fiore, ed entrambe queste creature sono state spezzate nel fiore degli anni.
❖ Gli israeliani creano modelli computerizzati e studiano per cercare di sfruttare alcuni dei movimenti degli uccelli così da perfezionare droni e missili. Per il paesaggio dell' animazione fu usata una mappa computerizzata di Gaza, con i suoi reali mercati, i veicoli, le capanne, le macerie... È una cosa, che soprattutto alla luce di ciò che sta accadendo dal 7 ottobre mi ha colpito molto, come anche il nome dei missili "Fire and forget", spara e dimentica.
Come si sta facendo ora e in tutte le guerre: punta un bersaglio, abbattilo, ammazza e dimentica, non pensarci più.
❖ Affascinante il concetto di numeri amicabili, numeri diversi ma connessi tra loro. Proprio come noi esseri umani: siamo tutti diversi ma inevitabilmente legati gli uni agli altri.
❖ Mi commuove il pensiero dei migliaia di palestinesi che, quando ebbe inizio la Nakba (1948), hanno dovuto lasciare le proprie case e hanno portato con sé la chiave, simbolo del desiderio di tornare un giorno nella propria terra, alle proprie umili ma preziose abitazioni.
❖ Attualissimo (se n'è parlato quest'anno, per ragioni che sappiamo) il pensiero di Bassam circa la possibile strumentalizzazione della Shoah per giustificare i crimini di Israele oggi.
"Onorava il Giorno della Memoria... ma nel tempo aveva cominciato ad accorgersi della strumentalizzazione di quegli anni, del senso di nostalgia, dell'industria sorta tutt'intorno. Il dolore. La paura. Il modo in cui il passato plasmava il presente. Senza alcun potere per contrastarlo."
Bassam ha studiato con accuratezza l'Olocausto, scrivendo una tesi sull'argomento.
"Volevo parlare di come il passato fosse utilizzato nella giustificazione del presente. Della spirale della storia, in cui ogni momento è legato al successivo. Dei punti in cui il passato si interseca con il futuro."
❖ Fanno riflettere moltissimo le considerazioni sull'occupazione, il vero e comune nemico di ebrei e palestinesi, e sul potere della parola, che è il jihad più grande, l'arma più affilata.
Un'occupazione che non può mai essere positiva o neutrale, tanto meno compassionevole.
"Lui non odiava gli ebrei, non odiava Israele. Quello che odiava era essere occupato, l' umiliazione che ne derivava, il senso di soffocamento, la quotidiana degradazione, l' avvilimento.Finché non fosse terminata, niente sarebbe stato sicuro. Provate l'esperienza di un checkpoint, anche solo per un giorno. Di un muro che taglia in due il cortile della vostra scuola. Dei vostri ulivi sradicati da un bulldozer. Del vostro cibo che marcisce fermo a un posto di blocco."
❖ Quando comincia a partecipare agli incontri dell' associazione Parents circle, Rami dichiara di aver cominciato solo allora a realizzare come tutti quei genitori, che avevano perduto tragicamente un familiare in questo sanguinoso status quo che caratterizza da oltre 70 anni la Palestina, fossero accomunati dal medesimo dolore, ebrei e palestinesi ("era la prima volta che vedevo i palestinesi come esseri umani (...) che portano lo stesso fardello che porto io, gente che soffre esattamente come soffro io. Un' uguaglianza nel dolore").
Giustissime le sue parole circa la necessità di comprendere ("quello che fanno è scatenato da rabbia e frustrazione e umiliazione. Gli è stata presa la terra") per poter trovare una soluzione.
"Non possiamo continuare a ripudiare la possibilità di vivere gli uni accanto agli altri".
❖ L' episodio dell'ambulanza che trasportava Abir mi ha fatto inevitabilmente pensare alle giustificazioni dell' IDF che spara o bombarda ambulanze (e non solo, anche edifici religiosi o scuole eccetera) perché convinti vi si nascondano terroristi.
❖ Mi sono piaciute molto le parti dedicate ai familiari di Rami e Bassam: i figli di Rami tutti impegnati nell'esercito israeliano pur cercando di mantenersi saldi nei propri principi etici e provando a conciliare la difesa della patria con il rispetto per i palestinesi;
Salwa, la mamma di Abir, dignitosa e silenziosa nel suo dolore, non espresso a parole.
Nurit, la mamma di Smadar, invece non sceglie il silenzio, anzi parla e scrive per esporre il proprio punto di vista sull'occupazione israeliana a danno dei palestinesi.
Il dolore per la perdita di Smadar non le fa perdere la lucidità nell'attribuire colpe e responsabilità: sì, è stato un attentatore terrorista a uccidere sua figlia ma sono l'industria del terrore e l'occupazione a generare i terroristi.
❖ Ho provato una grande ammirazione Bassam per il suo coraggio a non rassegnarsi all'ingiusta morte (assassinio) della propria bambina e la decisione di intentare niente meno che una causa (penale/civile) contro lo stato di Israele, consapevole che vincere sarebbe stato molto difficile e altamente improbabile.
Nel complesso il libro l'ho apprezzato per la tematica, ovviamente, che mi è molto cara e che, per ragioni che abbiamo sotto gli occhi, è purtroppo drammaticamente attualissima.
È stato commovente leggere le esperienze dolorose vissute dalle queste due famiglie - palestinese ed ebraica -, immaginare le due giovanissime vittime e quanto dolore abbia portato la loro morte ai familiari.
Ammiro la forza interiore di questi genitori che decidono di affrontare il dolore non lasciando spazio a sentimenti di vendetta, odio e rancore ma coltivando desideri di pace e di rispetto reciproco, basi imprescindibili per una convivenza pacifica che, come vediamo, finora non si è assolutamente realizzata ed è anzi ben lontana dal verificarsi.
Mi fa piacere che l'autore abbia sottolineato più di una volta che il problema alla base del (cosiddetto) conflitto israelo-palestinese sia l'occupazione da parte degli israeliani nei confronti del popolo palestinese, perché ignorare questo problema significa non voler analizzare le cause dell' "inimicizia" e non volere contestualizzare, pure in merito alle origini di Hamas e degli stessi attentati terroristici (preciso che per me analizzare i rapporti di causa-effetto non implica la giustificazione ma quanto meno la comprensione critica di tutto il contesto), il che allontana qualsiasi discorso di pace e tolleranza, perché se non si va alla radice di un problema, non lo si potrà mai risolvere.
Tra gli elementi che mi sono piaciuti c'è anche il fatto che offra molteplici spunti di ricerca su avvenimenti e personaggi a me totalmente sconosciuti o solo sentiti nominare superficialmente, nonché l'attenzione dell'autore circa l'etimologia di determinate parole.
Dal punto di vista dello stile, la caratteristica principale - su cui siamo stati d'accordo tutti noi lettori della condivisa - è il continuo divagare e aprire digressioni abbastanza lunghe su fatti, personaggi o dettagli che distolgono l'attenzione dal tema principale; è vero che alcuni riferimenti a determinati personaggi e/o eventi erano legati in modo diretto a Israele/Palestina e mi hanno spinta a cercare informazioni per imparare qualcosa, ma in generale ho trovato che l'eccessivo uso di questi espedienti narrativi rallentasse non di poco il ritmo e fosse più che altro fonte di distrazione.
Per intenderci: solitamente amo consigliare libri su questo tema, soprattutto a persone che confessano di saperne poco e di volersi informare; nello specifico "Apeirogon" non lo consiglierei a chiunque, perché ritengo che per portarlo a termine ci debba essere una forte motivazione e, magari, è bene che non sia il primo libro sull'argomento, in quanto la tentazione di volerlo mollare può assalire, durante la lettura, proprio a causa di questo costante allontanarsi dal filone principale.
Concludo, inoltre, con una umile considerazione: per quanto sia bello e ammirevole scrivere un libro sui rapporti tra ebrei e palestinesi, e sulla possibilità che in tanti (??) di loro ci sia il sincero desiderio di non cedere all'odio, che divide e genera morte, ma anzi di unirsi per dimostrare che andare d'accordo, convivere come fratelli è possibile, in diversi momenti, durante la lettura, ho avuto la sensazione (immagino di essere stata influenzata inevitabilmente dal dramma ancora più intenso che stanno vivendo i palestinesi da sei mesi a questa parte) che le belle parole fossero tante ma, alla fine... a cosa servono quando poi non ci sono dei veri cambiamenti a livello pratico (politico, sociale...) e quotidiano?
Per intenderci: solitamente amo consigliare libri su questo tema, soprattutto a persone che confessano di saperne poco e di volersi informare; nello specifico "Apeirogon" non lo consiglierei a chiunque, perché ritengo che per portarlo a termine ci debba essere una forte motivazione e, magari, è bene che non sia il primo libro sull'argomento, in quanto la tentazione di volerlo mollare può assalire, durante la lettura, proprio a causa di questo costante allontanarsi dal filone principale.
Concludo, inoltre, con una umile considerazione: per quanto sia bello e ammirevole scrivere un libro sui rapporti tra ebrei e palestinesi, e sulla possibilità che in tanti (??) di loro ci sia il sincero desiderio di non cedere all'odio, che divide e genera morte, ma anzi di unirsi per dimostrare che andare d'accordo, convivere come fratelli è possibile, in diversi momenti, durante la lettura, ho avuto la sensazione (immagino di essere stata influenzata inevitabilmente dal dramma ancora più intenso che stanno vivendo i palestinesi da sei mesi a questa parte) che le belle parole fossero tante ma, alla fine... a cosa servono quando poi non ci sono dei veri cambiamenti a livello pratico (politico, sociale...) e quotidiano?
Voglio dire..., è fantastico che ci siano associazioni come Parents circle, ma ahimè... se l'occupazione - e tutto ciò che essa di negativo comporta - non cessa, le voci di questi genitori verranno continuamente soffocate e resteranno qualcosa di confinato a conferenze, incontri mirati, riunioni di gruppo o nelle scuole ecc..., un atteggiamento (per quanto genuino) di empatia fine a sé stesso o che, comunque, ha effetti solo nel "piccolo" ma che non va a incidere sulle esistenze di chi subisce l'occupazione da quando nasce.
Togliete le vostre armi dai nostri sogni
Vi lascio alcune citazioni.
"Ieri ero intelligente e volevo cambiare ilo mondo. Oggi sono saggio e ho cominciato a cambiare me stesso"
"Noi non parliamo della pace, noi facciamo la pace."
"giunsero gradualmente a capire che avrebbero usato la potenza del loro dolore come arma".
"Pace senza riconciliazione.
Perdonare ma non giustificare
Colonizzare la mente."
"Usiamo la parola sicurezza per tappare la bocca al prossimo. Ma non si tratta di occupare la vita di qualcun altro, la terra di qualcun altro, la mente di qualcun altro, Ha a che fare con il controllo. Che significa potere".
"l'Occupazione agisce in ogni aspetto della tua vita, ti sfinisce, ti amareggia in un modo che nessuno da fuori riesce davvero a capire. Ti sottrae il domani."
Ciao Angela, hai recensito un libro che tratta una tematica (purtroppo ancora oggi) molto attuale. Ben vengano autori che raccontano la sofferenza del popolo palestinese ed ebreo.
RispondiEliminaUn saluto e buon weekend 😘
Informarsi è importante 💗
EliminaCiao Fra 😘