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sabato 28 gennaio 2023

MACELLAI, BELVE E DIAVOLI: TRE CRIMINALI NAZISTI

 

Amon, Joseph, Irma: nomi comuni per esseri umani che, purtroppo, la Storia ricorderà come straordinariamente malvagi, disumani, votati ad un'ideologia folle e crudele nella quale questi - come tanti altri con loro - hanno riposto ogni cieca fiducia, vendendo la propria anima e finendo per lasciarsi alle spalle ogni briciola di umanità.


(Primo Levi)



I protagonisti di questi tra audiolibri molto brevi sono: Amon Göth, Joseph Goebbels e Irma Grese, tutti e tre militanti nelle file naziste.


Amon il macellaio


Di: Lucas Hugo Pavetto, Giancarlo Villa
Durata: 48 min
Audiolibro
Editore: Saga Egmont
Letto da: Corrado Niro


Amon Göth: un nome che evoca crudeltà, sadismo, assenza di empatia, di pietà.
Tutto ciò che sappiamo di lui ruota intorno alle sue azioni nei campi di concentramento.
Era un omone dal brutto carattere (per usare un eufemismo), facile all'ira, malvagio, e la facilità con cui non si faceva problemi e scrupoli ad ammazzare non solo non era affatto un mistero per chi lo conosceva, gerarchi nazisti compresi, ma anzi forse faceva di Amon il candidato ideale per prestare i propri servigi nei lager. 
Lo chiamavano "il macellaio di Płaszów": i prigionieri erano terrorizzati da lui perché sapevano quanto potesse essere rabbioso, accanendosi sulle proprie vittime con un livello di perversione spregevole, sfogando su poveri innocenti i suoi istinti peggiori, i suoi frequenti accessi d'ira e tutto il suo folle disprezzo per gli ebrei. 
Si faceva accompagnare spesso dai suoi cani Ralf e Rolf, che sguinzagliava sui prigionieri per dar loro una morte atroce, dolorosa, terribile...
Il comandante nazista che incontrò Oscar Schindler, il quale gli "soffiò" più di mille ebrei, mettendoli in salvo.
Un soggetto abominevole che mai dimostrò pentimento per le proprie azioni.



.
Goebbels, il diavolo zoppo

Di: Lucas Hugo Pavetto, Giancarlo Villa
Letto da: Corrado Niro
Durata: 39 min
Audiolibro
Editore: Saga Egmont

Joseph Goebbels è stato uno dei più devoti tra i gerarchi nazisti; credeva in Hitler, era il suo idolo, il punto di riferimento; per il dittatore nazista e per le sue idee, Goebbels era pronto a sacrificare tutto, a rinunciare ai propri affetti, pur di vivere all'ombra del suo mito.
Principale artefice delle campagne di “arianizzazione” della cultura nel Terzo Reich e Ministro per l’educazione popolare e della propaganda, era chiamato "il diavolo zoppo" perché aveva una gamba più corta dell’altra a causa di una malattia che lo colpì nell'infanzia, ma il difetto fisico non compromise la sua natura: colto, intelligente, efficiente, esperto di meccanismi della comunicazione; ai suoi comizi usava arrivare volutamente in ritardo perché in questo modo aumentava la tensione nell'uditorio, e le persone lo avrebbero ascoltato con più attenzione. 
Il suo "amore" per l'adorato Führer era talmente forte da spingerlo a scegliere il suicidio, per sé e la sua famiglia, solo il giorno dopo la morte di Hitler.


Irma Grese. La iena di Auschwitz

Di: Lucas Hugo Pavetto, Fiammetta Bianchi
Letto da: Daniele Denora
Durata: 47 min
Audiolibro
Editore: Saga Egmont


È stata probabilmente la guardia donna più sadica in assoluto; possiamo dire che sia stata il corrispettivo femminile di Göth: stessa crudeltà, stesse psicopatie, stesso godimento nell'esercitare la violenza più brutale e, soprattutto, nel veder soffrire (e morire, tra le più atroci sofferenza) le loro vittime preferite, ossia i prigionieri ebrei dei campi di concentramento in cui operavano.
Anch'ella suscitava il terrore quando compariva, e anche questa ragazza (fa impressione pensare che fosse poco più che ventenne...) si divertiva a servirsi dei cani per i propri sadici "giochetti"; anzi, li lasciava di proposito a digiuno per qualche giorno così che poi fossero belli affamati e sbranassero con più ferocia i poveri malcapitati...
A vederla, l'avresti definita un angelo (per il suo aspetto avvenente, gli occhi azzurri, i capelli biondi e la pelle candida) e invece era la bestia bionda di Belsen, di cui erano note non solo l'assenza di umana pietà ma anche la promiscuità sessuale, tanto da intrecciare relazioni stabili (per quel che era possibile in contesti simili) con colleghi (maschi e femmine) e prigionieri/e.

Tre ritratti brevi, essenziali (non esaustivi), che caratterizzano in modo succinto questi tre nazisti, tutti accomunati da una devozione totale a un'ideologia folle e antisemiti nel sangue (ma qui c'è proprio un odio verso i propri simili in generale che fa paura).
Di essi ci vengono date le informazioni principali circa la giovinezza, la vita privata, l'adesione al nazismo, tratti caratteriali, comportamento all'interno dei lager.
La lettura è drammatizzata, rendendo l'ascolto piacevole e coinvolgente.
Ci sono particolari che fanno accapponare la pelle, pur essendo comunque noti a quanti si siano già interessati all'argomento.

venerdì 27 gennaio 2023

PORRAJMOS di Andrea Giuseppini - la persecuzione nazifascista di rom e sinti - ✤ GIORNATA DELLA MEMORIA, 27 gennaio 2023 ✤

 

 In occasione della Giornata della Memoria, l'anno scorso ho ricordato le vittime dell'Olocausto e proposto una breve bibliografia e sitografia per chi volesse approfondire l'argomento.

Quest'anno ho avuto modo di ascoltare su Audible un interessante audiodocumentario riguardante la persecuzione nazifascista dei rom/sinti. 


(Primo Levi)



PORRAJMOS.
La persecuzione nazista e fascista dei rom e dei sinti
di Andrea Giuseppini



Tracce.studio
1 ora 22 minuti
Audiodocumentario
Se vi dico "Porrajmos", cosa vi viene in mente?

Forse non sono in tantissimi a sapere il significato di questa parola ed è proprio per questa ragione che ne parliamo (nel post del 2022 ne diedi solo un piccolo accenno).


Porrajmos, nella lingua della maggior parte dei rom e dei sinti, significa "divoramento"; un'altra parola, da affiancare a questa, è Samurdaripen, cioè “il grande genocidio”

Entrambi i vocaboli indicano lo sterminio che il Terzo Reich attuò nei confronti delle popolazioni rom e sinti.
Fu una vera e propria persecuzione su base razziale,  scientificamente programmata con lo scopo di distruggere l’intero popolo, la sua cultura e la sua lingua e
 che portò alla morte di oltre 500.000 persone.

Ma, a differenza di quanto accaduto con gli ebrei, per i rom il riconoscimento del loro genocidio è arrivato più tardi e non senza polemiche; inoltre, non c’è stato nessun tipo di risarcimento né umano né sociale.


Nel documentario intervengono Otto Rosenberg (uno dei pochi “zingari” sopravvissuti allo sterminio), Gnugo de Bar (nato all’interno del campo di concentramento riservato ai sinti e attivo a Prignano sulla Secchia (MO) tra il 1940 ed il 1943), Milka Goman (che fu arrestata e portata nel campo di concentramento di San Bernardino ad Agnone), Giovanna Boursier (giornalista), Mirella Karpati (pedagoga e studiosa del mondo zingaro e della Romanologia), Luca Bravi (ricercatore).


Era il 16 dicembre 1942 quando Heinrich Himmler ordinava la deportazione di rom e sinti che vivevano in Germania nel campo di sterminio di Auschwitz. Ha così inizio «la soluzione finale» per questo popolo.

Ascoltiamo, quindi, l'intensa testimonianza di Otto Rosenberg, nato a Berlino nel 1927, che già nel 1936 fu deportato nel lager di Marzhan; sette anni dopo, Rosenberg sarà internato nello Zigeunerlager, il lager degli zingari di Auschwtz-Birkenau (dove incontra Josef Mengele, l'angelo della morte), poi trasferito nel campo di Buchenwald e infine liberato a Bergen-Belsen.

Otto Rosenberg è l'unico superstite della sua famiglia e di questo ha sempre portato il "peso": perché solo io sono sopravvissuto? Commuovono le sue parole che rivelano il dolore sempre vivo e che si fa sentire più forte nei giorni di festa. Per anni egli ha mantenuto il silenzio per anni, fino a quando ha sentito che fosse giusto lasciare la propria preziosa testimonianza.

Ascoltare la voce di questi sopravvissuti all'inferno, che in quei maledetti lager hanno perso i propri cari, induce a porsi delle domande e a fare delle riflessioni su come mai questo genocidio è stato a lungo negato, "sminuito", dimenticato, anzi si è cercato proprio di negare che tale genocidio fosse avvenuto per motivi razziali, adducendo che fossero piuttosto motivi di natura sociale, ma gli "zingari" non furono deportati perchè asociali o come saltimbanchi e giostrai, bensì vennero internati e uccisi in quanto considerati razzialmente inferiori.

«Gli Zingari risultano come un miscuglio pericoloso di razze deteriorate»: queste parole le pronunciò Robert Ritter, medico e psicologo tedesco nonché direttore del Centro Ricerche per l’Igiene e la Razza di Berlino; è tristemente noto per le sue teorie discriminatorie proprio sugli zingari, da lui ritenuto tarati geneticamente, irrecuperabili, pericolosi e quindi da sterminare. 
Ad essere precisi, le origini degli "zingari" non sarebbero da considerare "non ariane" (in quanto indoeuropee) e quindi "impure", ma avendo loro vagabondato ed essendosi "contaminati" con altri popoli di “razza inferiore”, hanno irrimediabilmente compromesso la loro purezza.

Purtroppo, anche in Italia, durante il regime fascista, si registrò un tipo di politica discriminatoria verso le persone di origine sinti e rom, che il governo giustificò con esigenze di sicurezza interna e di igiene pubblica. Il primo provvedimento del governo di Mussolini risale al 1926, quando venne ordinato il respingimento alla frontiera italiana di zingari, saltimbanchi e simili, che cercavano di entrare nel nostro Paese.

Un altro aspetto importante che emerge nell'audiolibro è la cifra dei morti tra i sinti durante la guerra; essa non è semplice da determinare e questa difficoltà nel documentarne il numero preciso risale già a prima della guerra; del resto, se per gli ebrei sono stati presi in considerazione le comunità (e chi non era tornato, a guerra finita), per i sinti questo non è stato possibile.

La cosa che mi ha lasciata perplessa e anche un po'... amareggiata è stato ascoltare come la richiesta di riconoscimento, da parte di Sinti e Rom tedeschi, del genocidio della propria gente, sia stato per anni giudicato quasi un insulto all'onore della memoria delle vittime dell’Olocausto; anche lo stesso Elie Wiesel si oppose all'inserimento degli zingari nel memoriale  di Washington.

C'è da dire che, durante la cerimonia di consegna del Nobel per la pace, lo stesso  Wiesel dichiarò: “Confesso che mi ritengo in qualche modo colpevole verso i nostri amici Rom. Non abbiamo fatto abbastanza per ascoltare la vostra voce angosciata. Non abbiamo fatto abbastanza per sensibilizzare la gente ad ascoltare la vostra voce sofferente”.

Personalmente, trovo sbagliato pensare che riconoscere le sofferenze di un altro popolo  sminuisca quelle di un altro, e neppure se ne può fare un discorso puramente numerico (più morti ➡️ più considerazione). Credo semmai che riflettere su quante e quali malvagità l'essere umano, in nome di ideologie di varia natura, sia capace di compiere verso i propri simili, senza escluderne alcune (per qualsivoglia ragione) ma anzi ricordando tutti coloro che hanno subìto ingiustizie, senza operare distinguo tra vittime di serie A e B, sia fondamentale affinché i "per non dimenticare", i "mai più" e la stessa Giornata della Memoria mantengano fede all'obiettivo di agire perché certe brutalità non accadano più a nessuno, in nessuna parte del mondo e a nessun popolo o categoria di persone, che sia per religione, orientamento sessuale, motivi politici, razziali...

Includere, nella celebrazione del ricordo, e non escludere, perché il rispetto del dolore va dato a tutti, fosse anche a una singola persona.

Non posso che consigliare l'ascolto di questo audio documentario, breve ma molto interessante.


Sito consigliato per l'approfondimento personale:  http://porrajmos.it/


Siti consultati:

  • www.treccani.it
  • museonazionaleresistenza.it
  • https://www.combattentiereduci.it/notizie/genocidio-degli-zingari-il-dovere-della-memoria
  • http://sucardrom.blogspot.com/2015/10/giacomo-gnugo-de-bar-lultimo-grande.html
  • www.lameridiana.it
  • https://memoria.comune.rimini.it/news/porrajmos-genocidio-dei-sinti-dei-rom-sottoil-terzo-reichhttps://www.lageredeportazione.org/wp-content/uploads/2021/04/MIRELLA-KARPATI.1149865963.pdf

lunedì 14 novembre 2022

Ultimi acquisti in libreria 📚

 

Nell'augurarvi un buon inizio di settimana, condivido con voi i miei ultimi acquisti librosi 📚


LA PRIGIONE PIÙ GRANDE DEL MONDO di Ilan Pappè (Fazi Ed., trad. M. Zurlo, 400 pp., 20€).

.

Dall’autore di La pulizia etnica della Palestina, uno sguardo incisivo sui Territori Occupati, che riprende la storia da dove si era interrotta nel precedente libro. Il noto storico israeliano, attingendo a ricerche d’archivio rivoluzionarie, documenti di ONG e resoconti di testimoni oculari, rivolge la sua attenzione all’annessione e all’occupazione di Gaza e della Cisgiordania.

In questa esplorazione completa di uno dei conflitti più prolungati e tragici del mondo, Pappe utilizza materiale d’archivio recentemente declassificato per analizzare le motivazioni e le strategie dei generali e dei politici, nonché lo stesso processo decisionale, che hanno gettato le basi dell’occupazione.
Da un’indagine sulle infrastrutture legali e burocratiche messe in atto per controllare oltre un milione di palestinesi, ai meccanismi di sicurezza che hanno imposto vigorosamente quel controllo, Pappe dipinge un quadro di ciò che è a tutti gli effetti il più grande carcere del mondo.

♠♥♣♦

NEL BOSCO di Tana French (Einaudi, trad. M. Benuzzi, 512 pp., 14.50€)

Un pomeriggio di agosto, tre ragazzini

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scendono dalle loro biciclette per andare a giocare nel bosco lì vicino, e la sera non fanno ritorno a casa.
Soltanto uno di loro viene ritrovato, in stato catatonico, avvinghiato a una grossa quercia, le scarpe da ginnastica sporche di sangue.
Non ricorda niente di quanto è accaduto e dei suoi compagni non c'è alcuna traccia.

Vent'anni dopo, Rob Ryan, detective della Omicidi della polizia di Dublino, viene incaricato di indagare sull'uccisione di una ragazzina di dodici anni.
Ma, nel raggiungere la scena del delitto, si rende conto che il suo passato traumatico è legato proprio a quello stesso bosco:  è giunto il momento per lui di affrontare i fantasmi che popolano la sua mente.

🔵🔶🔴🔷

LA MASSERIA DELLE ALLODOLE di Antonia Arslan (Rizzoli Ed., 233 pp.).

Ispirato ai ricordi familiari dell'autrice, il

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racconto della tragedia degli armeni e la struggente nostalgia per una terra e una felicità perdute.
La masseria delle allodole è la casa, sulle colline dell'Anatolia, dove nel maggio 1915, all'inizio dello sterminio degli armeni da parte dei turchi, vengono trucidati i maschi della famiglia, adulti e bambini, e da dove comincia l'odissea delle donne, trascinate fino in Siria attraverso atroci marce forzate e campi di prigionia.
In mezzo alla morte e alla disperazione, queste donne coraggiose, spinte da un inesauribile amore per la vita, riescono a tenere accesa la fiamma della speranza; e da Aleppo, tre bambine e un "maschietto-vestito-da-donna" salperanno per l'Italia...







martedì 8 novembre 2022

[ DIETRO LE PAGINE ] "L'isola delle anime" di Johanna Holmström e l'ospedale di Själö



Ho in lettura L'isola delle anime, un romanzo di Johanna Holmström ambientato a Själö, in un manicomio per donne ritenute incurabili, un luogo di reclusione dal quale in poche se ne andavano, dopo esservi entrate.

Cosa spinse la scrittrice a concentrarsi su un tema delicatissimo quale la follia, e a farlo da una prospettiva unicamente femminile?

Uno dei motivi che l'hanno spinta è stato constatare come molti dei suoi lettori tendessero a vedere nei suoi personaggi femminili immaginari delle patologie di tipo psichiatrico, indicando queste donne come borderline, depresse o psicotiche. 
Johanna aveva già scritto di donne in situazioni di crisi di vario tipo, ma qualcosa la indusse a chiedersi con quali occhi stesse guardando alla salute e alla malattia mentale.

Nel 2012 cominciò a cercare su Google "storia delle malattie mentali femminili in Finlandia", imbattendosi subito nella tesi della ricercatrice Jutta Ahlbeck-Rehn sulle donne di Själö nel periodo 1889-1944
All'epoca non sapeva nulla di Själö, ma intuì di aver appena trovato il soggetto per un nuovo libro.

Nel romanzo il lettore incontra un certo numero di donne e la domanda sorge spontanea: avendo raccolto dati e fatti basandosi sulla tesi di Jutta Ahlbeck-Rehn "Diagnosi e disciplina: discorso medico e follia femminile all'ospedale di Själö 1889- 1944" (a cui lei stessa fa riferimento nella postfazione), quanto e cosa di questo materiale Johanna Holmström ha inserito nel proprio libro?

La Holmström ha dichiarato che i personaggi del romanzo sono frutto di un mix di diverse storie di pazienti.

Quando lesse per la prima volta la tesi di Juttas Ahlbeck-Rehn, immaginò di avere davanti a sé le donne di cui la sociologa raccontava le vicende personali all'interno della struttura ospedaliera; si trattava allora "solo" di sceglierle e farle prendere vita, anche se ovviamente le storie specifiche di ciascun personaggio di per sé sono inventate e anche i loro nomi non sono quelli reali (documentati negli archivi), visto che sarebbe stato poco rispettoso menzionare le donne realmente esistite. 
Così decise di creare le proprie storie di vita, plausibili e basate su eventi reali e sulle persone rimaste a Själö.

Johanna Holmström
fonte
Prima di iniziare a lavorare al progetto del libro, aveva un'immagine piuttosto stereotipata dell'assistenza sanitaria: nella sua immaginazione, il tipo di infermiera che lavorava in un manicomio, somigliava alla inquietante Miss Ratched (personaggio che compare nel romanzo "Qualcuno volò sul nido del cuculo" e attorno al quale ruota la serie RATCHED), fredda e poco sensibile verso i poveri malati. Ma questi pensieri sono cambiati durante il processo di scrittura.
La scrittrice si è presa del tempo per fare ricerche negli archivi di Turku, guidata dal prezioso studio di Ahlbeck-Rehn; ha studiato le storie dei grandi ospedali psichiatrici in Finlandia, ha letto Foucault, Freud, Lacan, consultato i giornali degli anni ’30 e vari materiali.


L'ospedale di Själö è stato chiuso definitivamente nel 1962, in quanto ritenuto troppo lontano rispetto alla terraferma. Paradossale, se si pensa che si scelse quest'isoletta proprio per il fatto che fosse remota, distante, così da lasciare i ricoverati al loro destino...

Själö o Nagu Själö (in svedese) o Seili (in finlandese) è una piccola isola al largo della costa sud-occidentale della Finlandia; fa parte del comune di Pargas. 
Il nome Själö si riferisce, etimologicamente, al fatto che l'isola sia stata dimora di foche.

L'isola è nota per la sua chiesa e la sua natura, per ospitare un istituto di ricerca e, certamente, per l'ex ospedale; quest'ultimo viene menzionato per la prima volta nel 1689, sebbene i pazienti si trovassero sull'isola già da molto prima.

ospedale visto dall'alto
(Wikipedia)


Infatti nel 1619 fu costruito il lebbrosario per ordine del re svedese Gustavo II Adolfo, che scelse Själö per la sua posizione remota. 
Quando, nel 1700, la lebbra iniziò a scomparire dalla Finlandia, sull'isola principale fu costruito un manicomio; più precisamente, nel 1785 l'ospedale da lebbrosario fu convertito in una struttura per malati di mente. 
Nel 1889 tutti gli uomini furono trasferiti da Själö e il nosocomio divenne esclusivamente dedicato alle pazienti di sesso femminile. Alcune di loro erano molto giovani; una aveva solo 9 anni.

Il numero di pazienti a Själö variava tra 30 e 50; all'interno, l'edificio era diviso da un lungo corridoio fiancheggiato da stanze (ciascuna accoglieva una sola persona) di 1,87 x 2,07 metri. 
Il personale si assicurava che i pazienti fossero tenuti in isolamento e non era molto attenta a che le "celle" fossero curate per bene.
Ad essere ricoverati erano persone ritenute incurabili e i "pazzi", che restavano là praticamente fino alla morte e le loro proprietà passavano alla chiesa.

l'interno di una camera
source

I soggiorni delle donne a Själö, dunque, erano spesso molto lunghi, quando non terminavano con la loro morte.

I "metodi di trattamento" dell'ospedale di Själö erano la terapia occupazionale, la camicia di forza, l'isolamento in una cella "calmante" con figure geometriche marroni; non mancò l'utilizzo anche di bagni bollenti o ghiacciati.

Durante i periodi di guerra, le donne non ricevevano molto cibo e spesso si ammalavano; attorno a loro solo sporcizia, fame e miseria.

Dopo la chiusura del manicomio (1962), gli edifici furono rilevati dall'Università di Turku e l'istituto di ricerca concentrò i propri studi sugli ecosistemi del Mare dell'Arcipelago e sull'intera area del Mar Baltico. 

Come dicevo più su, la ricercatrice Jutta Ahlbeck-Rehn ha studiato cosa è successo alle donne di Själö e in che modo l'appartenenza a determinate classi sociali influenzasse il loro destino; anche lo stesso genere sessuale contava: le donne, infatti, erano classificate come malate molto più degli uomini. 
Dei quasi 200 pazienti presenti nei dati di Ahlbeck-Rehn, 52 non avevano una diagnosi psichiatrica precisa.
Pochi furono coloro che lasciarono l'istituto; ci sono state donne che hanno fatto ritorno a casa solo dopo essere state sterilizzate...
Le donne povere delle classi sociali inferiori o le donne sessualmente "disinibite" (o ritenute tali) erano le tipologie più frequenti di pazienti.
Negli anni '30 del secolo scorso, criminali appartenenti alla classe inferiore furono mandati all'ospedale psichiatrico di Själö. Secondo la teoria dell'igiene razziale, c'era la convinzione che il sottoproletariato fosse biologicamente incline a malattie, follia e ubriachezza.

In pratica, la follia era un fenomeno sociale, non soltanto un fatto medico.



Fonti consultate:

Articolo 3 (da "Il manifesto")
Wikipedia.org 

sabato 29 ottobre 2022

* 29 ottobre 1956 * IL MASSACRO DI KAFR QASIM



Il 29 ottobre 1956, 66 anni fa, avvenne il massacro del villaggio di Kafr Qasim un villaggio palestinese passato a Israele dopo l’armistizio con la Giordania.

Quarantanove furono i palestinesi indifesi ammazzati dalla Magav, la polizia di frontiera israeliana; fu un massacro  pianificato ai massimi livelli, che mirava a terrorizzare la popolazione e rientrava tra le fasi di un’operazione volta alla pulizia etnica dalla regione.

Il 29 ottobre 1956, Israele decise di anticipare il coprifuoco notturno dalle 21:00 alle 17:00 con effetto immediato nelle città arabe israeliane situate nell'area del Triangolo, vicino all'allora confine con la Giordania, un'area triangolare nel centro di Israele abitata da molti palestinesi, appena a nord-est di Petach Tikva.

Nonostante fossero state avvertite che centinaia di residenti, che lavoravano come agricoltori, non sarebbero stati a conoscenza del nuovo coprifuoco (in quanto erano uscite di casa al mattino), le truppe israeliane avevano ricevuto l'ordine di sparare per uccidere qualsiasi persona avvistata fuori dalla propria casa dopo le 17:00, senza fare alcun distinguo tra uomini, donne, bambini e coloro che tornavano da fuori. 
Quando gli abitanti del villaggio tornarono alle loro case dopo le 17:00, la polizia di frontiera li fermò, li fece scendere dai loro veicoli e iniziò a sparare a distanza ravvicinata, uccidendo a sangue freddo 49 persone, tra cui sei donne e 13 bambini sotto i 15 anni. 

Quando il governo israeliano e il comando militare appresero dell'uccisione di questi abitanti del villaggio, dapprima cercarono di nascondere l'orribile massacro, ma inutilmente, in quanto la notizia di diffuse; questo costrinse il governo israeliano a portare i responsabili in tribunale, ma in realtà non furono processati coloro che diedero ordine di sparare sui civili, bensì solo i soldati sul campo, i quali ricevettero tra l'altro condanne troppo lievi (e comunque vennero rilasciati entro un anno); cosa ancor più assurda (se possibile), il comandante della brigata, Issachar Shadmi, fu condannato a pagare solamente una multa simbolica di 10 centesimi per eccesso di autorità.

Centesimi. Tanto valeva la vita di decine di innocenti.


«Il massacro di Kafr Qasim non ha un giorno commemorativo. Non è un episodio su cui l’oblio avrà la meglio. È una storia d’odio che si dipana da quando Herzl ha sguainato la spada dalla Torah e l’ha puntata in faccia all’Oriente. (...)
 Per che cosa sono morti? Sicuramente non per noi. Sono vittime, non martiri. Quello è il loro duplice  dramma, perciò siamo doppiamente addolorati per loro. Possiamo dire che sono morti per accrescere il nostro odio contro l’oppressione e l’usurpazione, per accrescere la nostra devozione alla terra. Ma non abbiamo bisogno di questa prova feroce. Noi siamo capaci di sviluppare il nostro senso di amore e di odio senza questa morte inutile. Per cosa sono morti dunque? Non per noi, ma per gli assassini. Per far sentire i sionisti capaci d’interpretare nella storia un ruolo diverso da quello di vittima. Per dimostrare loro che possono provare piacere a uccidere. “O sei l’assassino o sei la vittima.” Questa è la scelta obbligata che  si sono trovati davanti.»  *         



Vittima n. 18 
(poesia di Mahmud Darwish, trad. A. Cafagno) **

Una volta, l’uliveto era verde
Lo era! E il cielo era
una foresta azzurra. Lo era, mio amore.
E quella notte, cosa è cambiato?

Hanno fermato il camion all’angolo della strada.
Erano così calmi.
E svoltato ad est. Erano così calmi.

Una volta, il mio cuore era un canarino blu… Il nido del mio amore!
Lo era! E i fazzoletti che mi hai dato erano tutti bianchi. Lo erano, mio amore.
Cosa li avrà mai macchiati quella sera?
Non capisco proprio, mio amore.

Hanno fermato il camion all’angolo della strada. Erano così calmi.
E svoltato ad est. Erano così calmi.

Per te, io ho tutto:
Per te ho ombra e luce,
Una fede nuziale o quel che vuoi
Un campo di ulivi o di fichi.
E, come ogni notte, verrò da te
Entrerò dalla tua finestra, mentre dormi, e getterò un gelsomino.
Non incolparmi se tarderò un po’
Loro, mi hanno fermato

L’uliveto è sempre stato verde
Lo era, mio amore.
Ma, al tramonto,
Cinquanta corpi sono divenuti
Una pozza rossa. Cinquanta corpi.
Non incolparmi, mio amore.
Mi hanno ucciso. Mi hanno ucciso.
Mi hanno ucciso.




*  Mahmud Darwish, UNA TRILOGIA PALESTINESE
articolo consultato >> QUI
articolo consultato >> QUI
articolo consultato >> QUI
articolo consultato >> QUI 

venerdì 16 settembre 2022

16-18 settembre 1982. SABRA E SHATILA, IL MASSACRO SENZA COLPEVOLI



Quarant'anni fa, tra il 16 e il 18 settembre 1982, all'interno del campo profughi palestinese di Shatila, situato nel quartiere di Sabra, alla periferia ovest di Beirut, ebbe luogo un eccidio brutale e agghiacciante: tra i 1500 e i 3.000 palestinesi furono uccisi dalle falangi cristiano-maronite e dall’esercito del Libano del Sud, con il sostegno e la complicità di Israele, che aveva invaso il Libano per la seconda volta. 

La guerra, iniziata nel giugno del 1982 su suolo libanese e condotta da Israele per combattere l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) guidata da Yasser Arafat, stanziata ormai in Libano dal 1948, raggiunse il suo apice all’inizio del mese di settembre. 
Dopo l’attentato dinamitardo al neoeletto Presidente del Libano Bashir Gemayel, le forze israeliane, alleate del governo libanese, occuparono Beirut Ovest. 
Il generale dell’esercito israeliano Ariel Sharon decise di chiudere ermeticamente i campi profughi e di mettere cecchini sui tetti di ogni palazzo. Niente e nessuno poteva entrare nei campi.

Tre lunghi giorni di massacri: migliaia di rifugiati palestinesi indifesi - donne e anziani, tanti, troppi bambini -, stuprati, torturati, uccisi, con l’esercito israeliano a impedire la fuga dei civili. 

L’Assemblea generale dell’Onu definì l’operazione un genocidio con una risoluzione approvata il 16 dicembre dello stesso anno. 
Condanne, nessuna.

Sandro Pertini: “Io sono stato nel Libano, ho visto i cimiteri di Sabra e Chatila. È una cosa che angoscia vedere questo luogo dove sono sepolte le vittime di quell'orrendo massacro e il responsabile di tale massacro è ancora al governo in Israele e quasi va baldanzoso delle azioni compiute. È un responsabile che dovrebbe essere bandito dalla società".


NON DIMENTICARE è un dovere morale, civile, UMANO, come anche chiedere che ci siano verità, giustizia, ammissione di colpa. E arriverebbero comunque con quarant'anni di ritardo.


Riporto qui alcune testimonianze.


Oum Chawki 

«Hanno bussato alla porta di casa. Qualcuno ha detto: “Siamo libanesi, veniamo a fare una perquisizione, cerchiamo armi...”. Mio marito ha aperto la porta, non era particolarmente preoccupato perché non apparteneva a nessuna organizzazione militante. Lavorava al club del golf, vicino  all'aeroporto». 
Oum Chawki racconta di tre soldati israeliani e di un militare delle forze libanesi, le milizie cristiane di destra, che sono entrati in casa, hanno preso i braccialetti di sua figlia, le hanno strappato gli orecchini e le hanno picchiate.

Come altre famiglie palestinesi, quella di Oum Chawki è stata trasportata all'interno dei campi.
«Ci hanno fatto salire su una camionetta che si è diretta verso l'ingresso del campo di Shatila. I militari hanno separato gli uomini dalle donne e dai bambini. Il libanese ha preso i documenti di tre nostri cugini, prima di abbatterli di fronte a noi. Mio marito, mio figlio e altri cugini sono stati portati via dagli israeliani. Le donne e i bambini si sono diretti a piedi verso la Città sportiva. Ai margini della strada c'erano donne in lacrime, che urlavano che tutti gli uomini erano stati uccisi... ».

Chawki riesce a a fuggire con i figli ma il giorno dopo, ben presto, va a cercare informazioni sulla sorte del marito e del figlio. Si dirige verso il quartiere di Orsal, scavalcando centinaia di cadaveri di libanesi, siriani e palestinesi. 

«Erano irriconoscibili. Volti deformati, gonfi... Ho visto 28 cadaveri di una famiglia libanese, fra cui due donne sventrate... Cercavo di riconoscere gli indumenti che indossavano mio figlio e mio marito. Li ho cercati per tutto il giorno. Sono tornata il giorno dopo... Non ho riconosciuto nessun cadavere di gente di Bir Hassan». Oum Chawki ha visto alcuni soldati libanesi scavare le fosse per ammucchiarvi i
cadaveri... Non ha mai ritrovato il marito e il figlio. Ma le è più difficile parlare della figlia,
che è stata violentata... «Penso a tutto questo, giorno e notte. Ho dovuto tirar su da sola i miei figli .... Sono stata costretta a chiedere l'elemosina. Non dimenticherò mai. Voglio vendicare tutto questo. Il mio cuore è dello stesso colore dei miei abiti. Tramanderò tutto quello che ho visto ai miei figli, ai miei nipoti...».


Siham Balkis

«Il massacro è iniziato giovedì verso le 5,30 del pomeriggio. Non ci credevamo... Siamo rimasti chiusi in casa fino al sabato mattina, e non abbiamo saputo granché, se non che giovedì e venerdì un gruppetto di palestinesi e di libanesi aveva tentato di difendersi, ma non erano abbastanza numerosi e le munizioni scarseggiavano. Di notte, abbiamo visto dei razzi luminosi e abbiamo sentito degli spari. Credevamo che gli israeliani volessero soltanto prendersela con i combattenti e trovare le loro armi... Quando è tornata la calma, il sabato mattina, siamo saliti sul balcone e abbiamo scorto un gruppo delle forze libanesi (Fl), accompagnato da un ufficiale israeliano. I libanesi ci hanno gridato di uscire. E noi abbiamo obbedito, seguiti dai loro insulti. L'israeliano aveva un walkie-talkie. Uno dei libanesi glielo ha preso e ha detto: “Siamo arrivati alla fine della zona bersaglio”»

Siham e altre persone sono state portate verso l'ospedale Gaza. I loro accompagnatori hanno radunato i medici stranieri e tutta la gente che si era riparata all'interno dell'ospedale e nelle vicinanze.

«Hanno ucciso una decina di combattenti. Hanno catturato un giovane palestinese in camice bianco che si trovava in mezzo ai medici e agli infermieri, e lo hanno ucciso. Quando hanno radunato tutti - centinaia e centinaia di persone - ci siamo diretti verso l'ambasciata del Kuwait. Le strade erano disseminate di cadaveri. Ragazze con i polsi legati. Case distrutte. Blindati, probabilmente israeliani. I miseri resti di un neonato erano rimasti incastrati nei cingoli di uno dei blindati. Prima di arrivare alla Città sportiva, hanno diviso gli uomini dalle donne. I militari chiedevano ai giovani di strisciare per terra. Quelli che sapevano farlo bene venivano considerati combattenti e sono stati fucilati dai militari delle forze libanesi. Gli altri sono stati presi a calci ...
Ho visto un gran numero di soldati israeliani. Un colonnello israeliano ha detto che le donne e i bambini potevano tornare nelle loro case. In seguito, ho scorto mio fratello salire su una jeep, mentre altre persone salivano sui camion. Sono corsa verso di lui. Invano. Ho sentito un ufficiale dire in arabo: “Questi li consegniamo alle FL. Sapranno farli parlare meglio di noi”». 

Roberto Fisk

"Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l’odore. Grosse come mosconi, all’inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti. Se stavamo fermi a scrivere, si insediavano come un esercito – a legioni – sulla superficie bianca dei nostri taccuini, sulle mani, le braccia, le facce, sempre concentrandosi intorno agli occhi e alla bocca, spostandosi da un corpo all’altro, dai molti morti ai pochi vivi, da cadavere a giornalista, con i corpicini verdi, palpitanti di eccitazione quando trovavano carne fresca sulla quale fermarsi a banchettare".

Ben Alofs 

Medico olandese che nell'estate del 1982 lavorava a Beirut ovest, all'epoca era assediata dall'esercito israeliano.

"Mentre veniva compiuto il massacro, io lavoravo al Gaza Hospital di Sabra. La situazione era caotica e confusa. Il nostro obitorio si riempì di cadaveri in pochissimo tempo, mentre i feriti venivano trasportati senza sosta. Il 17 settembre fu chiaro che i falangisti di Saad Haddad (assoldati ed armati da Israele) stavano massacrando la popolazione civile. Un bambino di 10 anni fu trasportato agonizzante all'ospedale. Era vivo, ed aveva trascorso tutta la notte sotto i cadaveri dei suoi genitori, fratelli e sorelle. Durante la notte, gli assassini venivano aiutati dagli elicotteri israeliani, che illuminavano i campi con le torce.
Sabato mattina 18 settembre fummo arrestati dai miliziani falangisti di Haddad.
Appena prima di uscire dal campo, vidi un'immagine che resterà per sempre nella mia mente: un grosso cumulo di terra rossa da cui fuoriuscivano braccia e gambe.
Swee, un ortopedico del nostro team, mi raccontò che una mamma palestinese aveva tentato di mettergli tra le braccia il suo figlioletto per tentare di salvarlo, ma il piccolo gli fu strappato di mano e ridato a sua madre. Domenica 19 settembre, tornai a Sabra e Shatila accompagnato da due giornalisti danesi ed un olandese. L'esercito libanese circondava i campi e cercava di tenerne lontani i giornalisti. Riuscimmo ad entrare. Tutti eravamo atterriti dalla ferocia degli assassinii. L'esercito civile libanese aveva cominciato il recupero dei cadaveri non ancora sepolti dai bulldozer. 
Non sapremo mai quanti civili furono effettivamente trucidati durante quei terribili giorni di settembre 1982. Forse 1500? 2000? O più? 
Quando le piogge autunnali iniziarono a cadere, alla fine di novembre, le fogne congestionate inondarono Sabra e Shatila. La congestione era causata in parte dai cadaveri gettati nelle fogne. Altri corpi erano stati sepolti in fosse comuni, coperte da massi che non avrebbero mai dovuto essere aperti, per ordine del governo libanese nella persona del presidente Amin Gemayel, fratello di Bashir. 

Il primo ministro israeliano Begin commentò: "I goyim uccidono altri goyim e accusano gli ebrei".

"Animali a due piedi", definì Begin i palestinesi nel 1982. Eitan li paragonò a "scarafaggi impazziti in bottiglia": questa disumanizzazione dei palestinesi era ed è ancora la causa dell'insensibile noncuranza dell'esercito israeliano verso la vita dei palestinesi."

















Siti consultati:

- Le monde diplomatique, settembre 2002



Libri sui massacri di Sabra e Chatila:

- Amnon Kapeliouk, Sabra e Chatila. Inchiesta su un massacro, 1982;
- Genet a Chatila, testi riuniti da Jérôme Hankins, Babel, 1992;
- I fantasmi di Sharon. Il massacro dei palestinesi nei campi di Sabra e Shatila
- Sabra and Shatila di Abraham Weizfeld




domenica 12 giugno 2022

Eilean Mòr e i guardiani del faro svaniti nel nulla



Domani troverete online la recensione de I GUARDIANI DEL FARO di Emma Stonex; l'Autrice, per scrivere il romanzo, si è ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1900: la misteriosa scomparsa di tre guardiani del Faro di Eilean Mòr.


È il giorno 26 dicembre del 1900 quando una piccola nave si dirige verso le Isole Flannan nelle remote 
eilean mòr

Ebridi Esterne; la sua destinazione è il faro di Eilean Mòr, un'isola disabitata, o meglio, abitata solo dai guardiani.
Eilean Mòr, la più grande delle isole, è circondata da un alone di mistero e superstizione; coloro che si avventuravano per visitarla si impegnavano in strani rituali per proteggersi, convinti che fosse un luogo  maledetto.

Quando la nave raggiunge la piattaforma di atterraggio, il capitano è sorpreso nel non vedere nessuno in attesa del loro arrivo, nonostante fossero in ritardo di sei giorni.
Il guardiano che deve dare il cambio, Joseph Moore, sbarca, sale la ripida rampa di scale che porta al faro e una volta dentro avverte che c'è qualcosa di stonato, di strano, una sorta di calma sinistra: la porta del faro è aperta, nell'androne mancano due dei tre cappotti cerati (perché non tre? possibile che uno dei guardiani fosse uscito fuori senza cappotto in pieno inverno?); in cucina sul tavolo c'è del cibo che qualcuno ha cominciato a consumare ma non ha terminato, una sedia capovolta, il camino inutilizzato, i letti sistemati e l'orologio è fermo.

Moore cerca segnali di vita nel resto del faro ma niente: dei guardiani, che dovevano essere lì e che aspettavano il cambio, neanche l'ombra.

Harvey invia subito un telegramma sulla terraferma in cui si rende noto che a Flannan è successo un terribile incidente. I tre custodi, James Ducat (43 anni), Thomas Marshall (40 anni) e il terzo assistente, Donald McArthur (28), sono scomparsi dall'isola. Al loro arrivo nel pomeriggio non si vedeva alcun segno di vita.

Pochi giorni dopo, cominciano le indagini per capire cosa possa essere successo e dove siano finiti i tre.
L'unico dettaglio in più, rispetto al resoconto di Moore, è dato dal registro del faro...
In esso erano riportate le trascrizioni del meteo ed altri particolari; nella giornata del 12 dicembre, Thomas Marshall, il secondo assistente, scrisse di "venti severi come non avevo mai visto prima in vent'anni". 
Erano riportate due note sui colleghi: James Ducat, il custode principale, era stato "molto silenzioso" e  Donald McArthur "stava piangendo".

Cosa potevano voler dire queste due precisazioni sugli stati emotivi dei due custodi?

Le voci di registro del 13 dicembre affermavano che la tempesta stava ancora infuriando e che tutti e tre gli uomini stavano pregando. 
Il che è strano per almeno due ragioni: anzitutto si parlava di tre uomini esperti del mestiere e poi essi erano comunque al sicuro su un faro nuovo di zecca a 150 piedi sul livello del mare. Di cosa avrebbero dovuto avere una tale paura da mettersi a pregare?
Ma a rendere bizzarra ed inquietante la trascrizione del registro è che in quella zona, nei giorni 12, 13 e 14 dicembre, non erano stati segnalati temporali. 
La tempesta avrebbe colpito l'isola solo verso il 17 dicembre.

L'ultima voce sul registro è del 15 dicembre: "Tempesta finita, mare calmo. Dio è sopra tutto". 
Anche qui: cosa si intende con 'Dio è sopra tutto'?

Ancora: giù dalla piattaforma di atterraggio sono state trovate delle corde sparse su tutte le rocce, corde che di solito erano tenute in una cassa marrone a 70 piedi sopra la piattaforma su una gru di rifornimento. 
Forse la cassa era stata spostata e abbattuta e i guardiani del faro stavano tentando di recuperarla quando un'onda inaspettata è arrivata e li ha trascinati in mare? 
Questa è stata la prima e la più probabile delle teorie, inclusa nel rapporto ufficiale fatto al Northern Lighthouse Board.

Ma come mai nessuno dei corpi è giunto a riva? Ed è possibile comunque che tre esperti guardiani del faro siano stati colti alla sprovvista da un'onda?

Di risposte certe non ce ne sono mai state; nel tempo tante ipotesi - anche molto fantasiose - sono state 
avanzate ma la più accreditata, come dicevo, resta quella dell'onda anomala che ha preso i tre alla sprovvista, portandoli giù, negli abissi di un mare che s'è preso le loro vite e non ha più neanche restituito i loro corpi.



Fonti consultate:

https://www.amazon.it/Lighthouse-Mystery-Eilean-Keepers-English-ebook/dp/B00JTJECFW

https://explorersweb.com/exploration-mysteries-eilean-mor-disappearances/

https://www.keithmccloskey.com/the-lighthouse-the-mystery-of-the-eilean-mor-lighthouse-keepers/

venerdì 18 marzo 2022

[[ RECENSIONE ]] "Josef Mengele. L'angelo della morte di Auschwitz" di Richard J. Samuelson


"Josef Mengele. L'angelo della morte di Auschwitz" di Richard J. Samuelson  è un libro che, seppur brevemente, ripercorre la cupa e terribile figura di un personaggio storico di cui tutti abbiamo sicuramente sentito parlare e che è associato ad uno dei capitoli più brutti della storia contemporanea.


letto da Marileda Maggi   
Credo di non sbagliarmi se dico che Josef Mengele sia davvero uno dei più inquietanti e sadici protagonisti della follia nazista. 
Basta il suo nome perché la nostra mente vada a fatti ed immagini terribili, legati ai campi di sterminio e, soprattutto, agli abominevoli e disumani esperimenti condotti proprio da quest'uomo, che lavorò come medico ad Auschwitz per 21 mesi. 
Un tempo sufficiente per provocare innumerevoli e irreversibili danni.

L'Autore parte dall'inizio, illustrandoci brevemente gli anni della giovinezza, la laurea in Antropologia e poi in Medicina, il morboso interesse per le ricerche sulla genetica (convinto che le differenze razziali e sociali avessero origini genetiche, appunto), l'iscrizione al partito naazionalsocialista, il ferimento in guerra, il congedo con onore e l'assegnazione al campo di sterminio.

Era chiamato "l'Angelo della Morte" e trasformò l'ospedale di Auschwitz in una vera e propria clinica degli orrori, torturando e seviziando le vittime del campo con esperimenti spietati e terrificanti:  bambini, nani, rom e, soprattutto, i gemelli, la vera ossessione del folle dottore nazista.

Questi era intenzionato a "studiare" la genetica delle povere cavie con l'infame scopo di incrementare la nascita di bambini ariani così da poter rafforzare il futuro Reich. 
Uno dei suoi obiettivi, ad es., era modificare la pigmentazione dell’iride al fine di ottenere più bambini con gli occhi azzurri; a tal fine, Mengele iniettava negli occhi dei bambini diverse soluzioni che non solo non sortivano l'effetto sperato, ma rovinavano gli occhi alle vittime, procurando loro gravi infezioni, cecità. 
Non tutti sopravvivevano ai crudeli trattamenti... 
Gli organi tolti alle vittime erano inviati all’Istituto per l'antropologia, la genetica umana e l'eugenetica a Berlino, etichettati come “materiale di guerra - urgente”.

Questo libro l'ho ascoltato, non letto, ma a livello emotivo è stato comunque angosciante sentire le crudeltà inferte a vittime innocenti da questo.... essere - che chiamare uomo è difficile, anche se, ovviamente, lo è, ed è questo che rende tutto più brutto -; pensare a ciò che hanno potuto soffrire riempie il cuore di un tremendo e profondo gelo, mette i brividi ogni volta che leggo queste storie.

È un viaggio nell'inferno, ma per quanto doloroso, non possiamo tirarci indietro dal ricordare che la memoria e la conoscenza sono fondamentali perché l'Umanità non commetta più gli stessi errori.

Certo, sembra strano dire una verità del genere in queste settimane in cui l'orrore della guerra è tornato prepotentemente ad angosciarci; le immagini della guerra in Ucraina ci fanno star male e ci confermano come l'Uomo sia davvero un cattivo scolaro, e poco impara dalle lezioni di "maestra Storia".

Tornando al medico nazista...: aveva poco più di trent'anni ed è stato capace di lasciare un'impronta nella storia... ma che impronta mostruosa! 

A farci innervosire, però, è il sapere che purtroppo quest'uomo non è mai stato consegnato "alla giustizia", non ha subito condanne per i suoi numerosi e sadici crimini; la vicenda di Mengele è continuata anche dopo la guerra.

Gli bastava cambiare nome e riusciva a passare frontiere come se niente fosse, fino ad arrivare in Paraguay, Argentina, Brasile, dove è vissuto indisturbato fino alla sua morte, avvenuta per cause naturali nel 1979.

Samuelson mette in campo alcune delle ipotesi per spiegare come sia stato possibile che questo individuo sia fuggito e abbia vissuto tranquillamente (e non sempre sotto falso nome) per molti anni dopo la guerra, senza che nessuno lo riconoscesse e ne permettesse l'arresto.

Chi l'ha aiutato a fuggire e chi l'ha protetto durante la sua latitanza? È possibile che ci fossero Paesi (ad es. gli Stati Uniti) con un qualche interesse a "proteggerlo"?

E inoltre, che fine hanno fatto gli appunti segreti redatti da Mengele ad Auschwitz? Ha impunemente proseguito i suoi folli esperimenti anche in Sudamerica? 
Domande a cui ancora oggi è davvero difficile dare risposte certe ed univoche.

Un particolare inquietante che non conoscevo (o forse l'avevo dimenticato) è che trascorse gli ultimi tre lustri della propria dannata esistenza in un paesino in particolare: Cândido Godói, un piccolo villaggio brasiliano al confine con l’Argentina, in cui era presente una minoranza di polacchi e tedeschi.
Fece di questa località una sorta di "laboratorio"; del resto, è una coincidenza se proprio dal 1963 (anno in cui Mengele si stanziò lì) la cittadina gradualmente è divenuta la località con la più alta incidenza di gravidanze gemellari dell’intero pianeta?

Concludendo, è un libretto che tratta un argomento senza dubbio interessante; certo, la sua brevità non permette di approfondire tanti aspetti, ma può costituire una motivazione per fare ricerche personali.

Noticina sulla voce narrante: il timbro è molto piacevole, ma in certi momenti il suo tono di voce era... irritante, ma tanto!! Perché? Beh, il volumetto tratta temi senza dubbio terrificanti e atroci ed infatti le musiche di sottofondo sottolineano l'atmosfera lugubre in certi specifici frangenti; la voce della narratrice, al contrario, in alcuni passaggi da brividi... aveva un tono troppo "leggero", come se stesse leggendo una favoletta per bambini....!





giovedì 10 marzo 2022

[[ Novità in libreria ]] L'ORCO DI MUSSOLINI di Marco Di Tillo (Mursia Editore) |I DELITTI DI GENOVA di Massimo Ansaldo (Frilli Ed.)


Buongiorno, lettori!

Questa mattina vi presento un paio di recenti pubblicazioni; il primo libro è tratto da una storia vera: l’ultimo romanzo di Marco Di Tillo narra di una vicenda che ha sconvolto l’Italia negli anni '20 del secolo scorso; il secondo è un giallo ambientato a Genova.



L'ORCO DI MUSSOLINI
di Marco Di Tillo



Ugo Mursia Editore
€ 17,00 

Anni Venti, Italia. Nel giro di pochi anni il terrore invade la città di Roma: sette sparizioni, tutte bambine molto piccole e, tutte e sette, hanno subito violenza prima di essere uccise. 
La caccia al colpevole è lunga e faticosa, le ricerche sembrano non portare da nessuna parte. 
Ci rimette un poveraccio di nome Girolimoni che viene accusato del crimine, ma non è lui l’orco. 
Verso la metà degli anni Venti viene chiamato a investigare il commissario Giuseppe Dosi, un poliziotto alto e robusto che, a soli trentadue anni, vanta già una lunga storia di straordinari successi in Italia e all’estero tant’è che è stimato perfino dal Duce in persona. Inizialmente riluttante, poiché impegnato in un caso rilevante in Francia, si decide infine a far luce sulla questione, riuscendo a smontare man mano tutte le prove contro il malcapitato e a provare l’innocenza di Girolimoni, fino a catturare il vero colpevole. 

Ma non sempre le cose seguono il corso della giustizia. 
Sarà il Duce in persona, infatti, a cambiare le carte in tavola e a stravolgere un finale che acquisterà un sapore tutto nuovo, che sa di beffa. 
Una storia complessa che si intreccia con le vicende storiche, tra cui la sparizione di Matteotti.

L'autore.
Marco Di Tillo, laureato in Psicologia, è stato per anni autore di programmi radiofonici e televisivi Rai, regista e sceneggiatore cinematografico, autore di fumetti, di romanzi per ragazzi e di favole illustrate per bambini. Scrive gialli pubblicati da molte case editrici, anche negli Stati Uniti
.


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I DELITTI DI GENOVA.
Un’indagine del commissario Nicola Teiro
di Massimo Ansaldo


Fratelli Frilli Editori
14.90 euro
Il commissario di polizia Nicola Teiro abita sulle alture di Genova. Tra il poliziotto e il nibbio reale che ha posto nel cortile di casa il suo nido, nasce uno strano rapporto fatto di complicità e di mistero, che non tutti possono capire. 
Infatti, da quando Teiro ha ritrovato per terra ai piedi del noce, la carcassa dell’uovo che ospitava quel che rimaneva di un pulcino ancora in stato embrionale, il rapporto tra i due diventa sempre più inteso e pieno di mistero.
Nel frattempo, la città è sconvolta da una strage avvenuta in pieno centro in cui le vittime sembrano essere colpite da un malvivente solitario durante una rapina in una gioielleria finita male. 
Un fatto, per come avvenuto, anomalo e inspiegabile sia per la modalità sia perché, di fatto, il malvivente non ha portato via nessun prezioso dal negozio, mentre i morti rimasti a terra sono ben cinque.

L’arresto di un ex terrorista e la presenza di un supertestimone non convincono il Commissario Teiro e nemmeno l’ispettore Ester Miniati, una giovane e bella mora calabrese che lavora in coppia con Nicola e, come lui, dotata in una mente acuta e brillante e di poche parole, al limite dello scontroso. 
Forse per questo che i due si capiscono al volo e con un solo sguardo.

Intanto Ramini, un dirigente del Ministero degli Interni giunto apposta da Roma, spinge per una rapida conclusione delle indagini, causa anche le imminenti elezioni politiche nazionali.

Teiro e la Miniati condurranno così un indagine parallela cercando di scoprire i segreti che le stesse vittime hanno portato con sé con la loro morte. 
I due poliziotti saranno aiutati da Vaclav, un clochard conosciuto da poco, ma anche dai misteriosi messaggi che il nibbio continua a trasmettere.

La verità non sarà solo scoperta, ma diventerà quasi una necessità per lo stesso assassino. La quiete dopo la tempesta. Una rivelazione, una vittoria ma anche una sconfitta, una resa dei conti.
Un finale che va oltre la sorpresa e l’inaspettato.


L'autore.
Massimo Ansaldo, nato a Varazze (Sv) nel 1959, vive nella città di La Spezia. Esercita la professione di avvocato con studi a Genova e La Spezia. Presidente del Centro Culturale Don Alberto Zanini della Spezia è cofondatore dell’Associazione culturale Chesterton’s cigars and spirits club della Spezia. Membro del Comitato Regionale delle Comunicazioni (Corecom) della Regione Liguria. Ha pubblicato con Leucotea i romanzi “Macerie” e “Il segno del sale”. Per Fratelli Frilli Editori ha contribuito alle antologie “Tutti i sapori del noir”, “Tutti i luoghi del noir” e “Odio e amore in noir” con i racconti “Il Coltello del cuoco”, “I cattivi sono buoni” e “Compito in classe”. Sempre con Fratelli Frilli Editori ha pubblicato “Qualcosa da tacere”.

giovedì 27 gennaio 2022

✤ Le vittime dell'Olocausto ✤ Giornata della Memoria, 27 gennaio 2022



In questo giorno, istituito nel 2005 quale ricorrenza internazionale da celebrare ogni anno, si ricordano le vittime dell'Olocausto, attuato dai Nazisti e dai loro collaboratori durante la Seconda Guerra Mondiale e che ha portato alla morte sei milioni di Ebrei e milioni di altre persone.

Non è semplice documentare il numero preciso delle vittime dell'Olocausto, in quanto non esiste alcuna lista ufficiale di coloro che morirono; per farne una stima più vicina possibile alla realtà, ricercatori,  organizzazioni ebraiche e agenzie governative hanno usato, sin dal 1940, fonti diverse quali censimenti, archivi tedeschi o dei paesi dell'Asse, e indagini condotte dopo la guerra.





Come dicevo, ad essere stati perseguitati ed assassinati sono stati 6 milioni di Ebrei.
Sul sito Enciclopedia dell'Olocausto (vi consiglio di visionarlo, se non l'avete ancora mai fatto), è possibile leggere i numeri delle altre vittime della follia nazista:

- circa 7 milioni (inclusi 1,3 milioni di civili ebrei sovietici, i quali sono anche inclusi nei 6 milioni di Ebrei) di civili sovietici;
- circa 3 milioni (inclusi circa 50.000 soldati ebrei) di prigionieri di guerra sovietici;
- 1,8 milioni  di civili polacchi, non-ebrei circa (inclusi tra i 50.000 e i 100.000 membri delle elites polacche);
- 312.000  civili serbi (in Croazia, Bosnia, ed Erzegovina);
- 250.000 circa tra le persone disabili che vivevano in istituti;
Rom (Zingari) fino a 250.000;
- Testimoni di Geova, circa 1.900;
- Criminali recidivi e individui definiti asociali, almeno 70.000;
- Oppositori politici tedeschi e membri della Resistenza nei paesi dell'Asse (numero indeterminato);
- centinaia e centinaia di omosessuali (inclusi i quasi 70.000 criminali recidivi e gli asociali elencati precedentemente).


Vi lascio - e lo faccio anche come promemoria per me - alcuni titoli per approfondire l'argomento delle persecuzioni verso queste altre categorie, di cui forse non si parla abbastanza...


Le donne di Ravensbruck. Testimonianze di deportate politiche italiane di Lidia Beccaria Rolfi, Anna Maria Bruzzone (Einaudi, 2020).

A Ravensbrück, il campo di concentramento destinato ad accogliere una popolazione in prevalenza 
femminile, morirono circa novantaduemila donne. 
Lidia Beccaria Rolfi (che là fu deportata e sopravvisse) e Anna Maria Bruzzone hanno raccolto le testimonianze di alcune prigioniere che raccontano la loro esperienza di deportate, coperte di stracci, divorate dai pidocchi, sfinite dalla denutrizione, dalle botte, dai bestiali turni di lavoro. 
Un libro sull’orrore patito, ma anche sulle forze del cuore, dell’anima e della mente che le cinque prigioniere seppero opporre all’atroce realtà del Lager.

Vedi anche Il cielo sopra l'inferno. La drammatica storia vera di Ravensbrück il campo di concentramento nazista per sole donne di Sarah Helm.


Il flagello della svastica. Breve storia dei delitti di guerra nazisti di Edward Russell (Pgreco Ed., 2017).

La brutalità nazista, l'orrore dell'Olocausto e la tragedia dei lager. Tutto questo condensato in un amaro resoconto dei crimini di guerra perpetrati dalla Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale. Basato sulle testimonianze presentate ai processi di Norimberga e scritto da Lord Edward Frederick Langley Russell, che fu personalmente coinvolto nei procedimenti giudiziari contro i criminali di guerra, questo libro si pone come memoria irrinunciabile e dura condanna delle atrocità commesse dai nazisti. Dalle esecuzioni ad Auschwitz al massacro di Lidice o, ancora, alla distruzione del ghetto di Varsavia, siamo messi di fronte a ignobili massacri, verso i quali non è possibile chiudere gli occhi e tacere, ma occorre ricordare, nella misura in cui ricordare significa autenticamente capire.





Triangolo rosa. La memoria rimossa delle persecuzioni omosessuali di Jean Le Bitoux (Manni Ed., 2013).

Con l'avvento del nazismo in Germania si scatena l'odio contro gli omosessuali: i Tedeschi hanno
bisogno di futuri combattenti per la grandezza della nazione e della razza, e i gay diventano nemici da identificare ed eliminare. Inasprite le leggi, 100.000 omosessuali sono vittime di delazione, marchiati e perseguitati dalla polizia e dalle SS, più di 10.000 finiscono nei campi di concentramento, e le persecuzioni si estendono via via nei territori annessi dalla Germania. Finita la guerra, vittime, testimoni e storici tacciono. La deportazione omosessuale è rimossa dalla memoria collettiva, spesso le commemorazioni dei triangoli rosa sono osteggiate dalle altre categorie di deportati e non di rado continuano ad esistere per decenni leggi persecutorie e omofobe; in questo libro Jean Le Bitoux, utilizzando le fonti più varie, da testimonianze dirette a conversazioni e interventi di Sartre e Foucault, ci restituisce questa storia dimenticata e indaga le ragioni della rimozione, dell'oblio.





Fra Martirio e Resistenza, La persecuzione nazista e fascista dei Testimoni di Geova di Matteo Pierro (Ed. Lariologo, 2002).

Matteo Pierro è il responsabile del Centro di Documentazione sui Bibelforscher (Studenti Biblici) che ha sede a Salerno. Nei campi di concentramento nazisti, il triangolo viola cucito sull'uniforme carceraria, identificava i Bibelforscher (gli odierni Testimoni di Geova). "Fra martirio e resistenza" ricostruisce la loro vicenda attraverso inediti documenti dell'epoca, dichiarazioni di ex deportati e di storici di fama mondiale. Il libro inoltre descrive la denuncia delle atrocità naziste compiuta da questa minoranza e la repressione che subirono in Italia, sotto il regime fascista. Contiene una significativa documentazione fotografica e nella ricca appendice, la storia di Narciso Riet, arrestato dalle SS a Cernobbio nel 1943. 





Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute di Marco Paolini (Einaudi, 2014).

Questa è la storia di uno sterminio di massa conosciuto come Aktion T4. T4 sta per Tiergartenstrafte numero 4, un indirizzo di Berlino. Durante Aktion T4 sono stati uccisi e passati per il camino circa trecentomila esseri umani classificati come "vite indegne di essere vissute". Tale progetto era volto all'eliminazione del "diverso" e dell' "inutile"; un progetto tenuto segreto ma in realtà realizzato sotto gli occhi di tutti, con una regia attenta a cogliere il consenso della classe medica e della popolazione, indotta a credere che fosse la cosa giusta. Nel '41, anche a seguito delle crescenti proteste della popolazione che si interroga sul numero di decessi negli istituti e della Chiesa Cattolica che denuncia lo sterminio, Aktion T4 cessa ufficialmente, ma le uccisioni proseguono fino a dopo la fine della guerra: migliaia le persone che sparirono in questo modo, non solo in Germania e Austria. Gli esiti di questa operazione vedono coinvolti anche Ospedali Psichiatrici italiani (Trieste, Venezia, Treviso, Pergine Valsugana TN).
Cominciarono a morire prima dei campi di concentramento, prima degli zingari, prima degli ebrei, prima degli omosessuali e degli antinazisti e continuarono a morire dopo, dopo la liberazione, dopo che il resto era finito".

Altri testi: I medici nazisti di  Lifton R.J..,  Il nazismo e l'eutanasia dei malati di mente di Alice Ricciardi von Platen.





Porrajmos  è un termine poco noto, traducibile come "grande divoramento" ed è la parola usata da Rom e Sinti per indicare lo sterminio del loro popolo sotto il nazismo.
La persecuzione degli Zingari assunse caratteristiche molto simili a quella degli Ebrei, in quanto entrambi i popoli erano ritenuti “portatori di sangue estraneo”; nel caso degli zingari, essi furono oggetto della strategia nazista dell’annientamento biologico in quanto considerati  “asociali” e “parassiti schivi del lavoro”, quindi individui potenzialmente pericolosi e capaci di turbare l’ordine pubblico.


Cuore di zingara di  Marcella Delle Donne (Ediesse Ed., 2014)

Rosanna, una bimba di tre anni, è il filo conduttore della storia di un clan familiare rom, fatto di personaggi straordinari, in prevalenza donne intrepide e appassionate segnate dall’esclusione e dalla presenza di un capo clan tragicamente dominante. Rosanna ci conduce tra i campi rom di Firenze, Roma e Torino. Scopriamo mondi altri, dove passato e futuro si annullano nel presente. Mondi fatti di suggestioni, di magia, di disperazione e... amore sublime. Per non dimenticare, la sezione del libro posta a premessa della peregrinazione di Rosanna, racconta la storia del Porrajmos, il genocidio del popolo rom nei campi di sterminio della Germania nazista e non solo.

Altri testi: Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson (c'è la recensione sul blog), La persecuzione nazista degli zingari, di Guenter Lewy; Quando arrivammo c'era solo erba alta. L'Olocausto infinito di rom e sinti di Paolo Cagna Ninchi.





SONO RIMASTO IN BILICO (Rasim Sejdic)

Sono rimasto in bilico
sulla lama del coltello
sono rimasto gelato come la pietra.

Il mio cuore tremò
sono caduto sul filo del coltello.

M’è rimasta la mano destra
e l’occhio sinistro
ho versato lacrime
ad Auschwitz dove sono rimasti gli zingari.
La lacrima è scesa
la mano ha preso la penna
per scrivere parole qualunque.



OLOCAUSTO DIMENTICATO (Paula Schöpf)

Silenzio, desolazione, oscura notte
il cielo è cupo, pesante di silenzio!
Aleggia nell’aria la nenia della morte!
Da queste pietre, grigie pietre,
da ogni rovina, dalle cornici infrante
esala disperazione di sangue e lacrime.
Il mio spirito s’impiglia nel filospinato
E la mia anima s’aggrappa alle sbarre,
prigioniera in casa nemica!
Chi sono? Nessuno! Tu chi sei?
Nessuno!
Voi Sinti chi siete? Nessuno! solo ombre,
nebbia! Nebbia che per abitudine è rimasta
prigioniera della più grande infamia
della storia dell’uomo!





SE QUESTO È UN UOMO (Primo Levi)

Voi che vivete sicuri 
Nelle vostre tiepide case, 
Voi che trovate tornando a sera 
Il cibo caldo e visi amici: 

 Considerate se questo è un uomo 
 Che lavora nel fango 
 Che non conosce pace 
 Che lotta per mezzo pane 
 Che muore per un sì o per un no. 

 Considerate se questa è una donna, 
 Senza capelli e senza nome 
 Senza più forza di ricordare 
 Vuoti gli occhi e freddo il grembo 
 Come una rana d'inverno. 

 Meditate che questo è stato: 
Vi comando queste parole. 
Scolpitele nel vostro cuore 
Stando in casa andando per via, 
Coricandovi alzandovi; 
Ripetetelele ai vostri figli. 
 O vi si sfaccia la casa, 
 La malattia vi impedisca, 
 I vostri nati torcano il viso da voi.




Fonti consultate: 

http://www.romsintimemory.it/
https://encyclopedia.ushmm.org
http://www.informareunh.it/lolocausto-delle-donne-non-conformi-o-inutili/
http://www.superando.it/2015/01/20/quel-primo-olocausto/
https://www.jolefilm.com/spettacolo-tv/ausmerzen/
https://www.figlidellashoah.org/ 
http://www.deportati.it/ (N.B.: nella sezione "libri online" potrete leggere e scaricare legalmente molte testimonianze di ex-detenuti nei lager e tanti altri scritti)
Ibs.it
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