Un’estate ricca di
avventure in cui il giovane protagonista si affaccia alla vita adulta,
scoprendo tante cose che lo faranno crescere: l’amore, l’amicizia… e la mafia.
L'INCANTESIMO DELLE CIVETTE
di Amedeo La Mattina
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Ed. E/O
176 p
15 euro
2016 |
E’ l’estate del 1967 a
Partinico, in Sicilia, dove vive il 14enne Luca
Lamanna, un ragazzino di buona famiglia che odia libri e
scuola e che passa il tempo libero in compagnia di amici che, come lui,
appartengono alla medesima banda capeggiata dal carismatico leader Sasà: i Guerrieri
della Rocca, tutti ragazzini di famiglie agiate e in vista nel paese,
perennemente in guerra con l’altra banda, i Mezzocuore, formata invece da
ragazzacci brutti, sporchi e poveracci, con a capo lo storpio e gigantesco
Saverio (chiamato Maciste per la mole),
con i quali si contendono il campetto per giocare a calcio.
Ma quell’estate non
sarà come le altre né per Luca per i suoi compaesani.
Infatti, un giorno
arrivano “le Civette”: a Partinico il
regista Damiano Damiani ha deciso di girare un film, tratto dal romanzo di
Leonardo Sciascia, “Il giorno della civetta”, che nel cast ha due attori
d’eccezione: l’affascinante Django,
Franco Nero, e la bellissima Claudia Cardinale.
Tutti in paese sono
elettrizzati dalla novità, in primis il
nostro Luca, che ha la fortuna di vedere da vicino gli attori perché alloggiano
a casa di un suo amico.
E se Franco Nero
stimola la curiosità soprattutto delle signore, risultando scontroso e
antipatico a Luca, a rapirgli completamente il cuore è lei, la star più bella e
acclamata del momento: Claudia, di cui
il giovanotto si innamora perdutamente, cui pensa ogni minuto, cercando
sempre nuove occasioni per parlarle o per farle piccoli favori.
Le
riprese portano una ventata di fresche novità in questo placido paesotto in cui
la vita scorre tale e quale tutti i giorni: gli esercizi commerciali guadagnano
di più, le ragazze cominciano a vestire con più modernità, molti ragazzi
ottengono piccoli ruoli di comparsa e si sentono importanti…: insomma, tutto
sembra bello:
“La
normale incoscienza adolescenziale si mescolava alla mia innata voglia di sognare
e le Civette avevano messo le ali alla mia fantasia. Non era il cinema che mi
affascinava. A colpirmi erano quelle persone, venute da un altro pianeta, che
aveva travolto le regole morali, lo stile di vita, il modo di parlare,
vestirsi, perfino di muovere il corpo. Era il cinema che si faceva vita
quotidiana”.
Ma non a tutti il film
– o meglio, la storia che racconta – va giù…
Basta che qualcuno
cominci a chiedersi: “Sì, ma di che parla ‘sto film?” perchè qualcosa cambi.
Qualcun altro,
imbarazzato, prova a spiegare che “il film della civetta” è la storia di un
capitano di carabinieri che si trova a indagare su un delitto… “Cose
di mafia”, in pratica; ok, sullo sfondo, ma sempre mafia è.
La
parola mafia non andrebbe neppure
pronunciata perché è una favoletta, mica esiste davvero, e al boss di
Partinico, un certo Sugnuruzzu, si rizzano le antenne e comincia a interessarsi a questo film dalle idee pericolose.
Pericolose e strane
come quelle di quel rompiscatole di Danilo Dolci, che non si fa i fatti suoi, e
anche come lo stesso maestro Sciascia, autore di questo benedetto Giorno della civetta.
Bisogna intervenire: Liborio, un
perditempo, sborone aspirante mafioso, a servizio del boss, si prende l’impegno
di organizzare un rapimento, ma non uno qualsiasi, bensì uno convincente che
faccia capire alla troupe di Damiani che deve “sloggiare”, che a Partinico
non sono più ben graditi, perché sono civette
del malaugurio.
E quale migliore
avvertimento che rapire il pistolero Django, Franco Nero?
Quando Luca viene a
sapere di questo piano, si mette in testa di mandarlo all’aria, non tanto per
Django quanto per non dover vedere partire la “sua Claudia”, che lo chiama
“Occhi belli” con la sua voce incantevole, che gli sorride e lo guarda con il
suo sguardo malizioso e intanto gli affettuosamente scompiglia i capelli.
Luca non può permettere
che lei vada via:
“Non
era solo Claudia che mi sarebbe mancata maledettamente, era quell’atmosfera, il
rumore creativo di uomini e donne impegnati a dare forma, colore, voce e luce a
un libro, a un’idea, a una denuncia. La magica porporina che era stata sparsa
nel’aria mi era entrata nelle narici rimanendo appiccicata sula pelle. (…)
sentivo attorno a me sbarre invisibili che mi veniva voglia di spezzare”.
Similmente
al giovanissimo e simpatico protagonista di “La mafia uccide solo d’estate”,
Luca viene finalmente a contatto con il “fenomeno mafia”: cos’è? Chi ne fa
parte? Ma poi, esiste davvero?
E
cosa può importare a questa mafia di un film? Forse l’argomento sollevato da
Sciascia è scomodo per qualcuno?
“L’incontro” con
Sciascia, attraverso la lettura del romanzo in
questione farà scattare una sorta di campanello nella mente di Luca, portandolo a
chiedersi perché questo scrittore sia malvisto dai siciliani; forse
perché egli è, come dice il padre del ragazzo, “la
coscienza critica dei siciliani perbene, è il grillo che parla poco ma svela
verità ce a noi siciliani danno fastidio”?
È un’estate che forma e
fa crescere il nostro Luca, perché in quel mese afoso d’agosto fa tante
piccole ma importanti scoperte: l’infatuazione per la bella star del cinema; l’esistenza
della mafia; il valore dell’amicizia a prescindere dal ceto sociale, perchè a
volte ci sono amici anche lì dove non credevi potessero essercene ed il vero
amico è chi viene in tuo aiuto sempre.
E come lo scopre tutto
questo?
L’Autore, a un certo punto
della narrazione, nel raccontarci quello che è poi il momento clou della storia, mescola le carte, confonde il delirio e il sogno con la realtà, ma ciò che conta è
che Luca ne uscirà diverso, più maturo e prenderà coscienza di quei fili invisibili
ma reali (pregiudizi, omertà, ignoranza, mentalità chiusa, tutto ciò
che in generale è un riflesso dello spettro della mafia) che finora sono stati i
confini del suo mondo, ma che oltre i quali, oltre certi muri e certe sbarre, c’è tutto un mondo più grande e
interessante da scoprire.
Fa sorridere di simpatia e tenerezza lo sguardo
innocente, ingenuo ma anche intelligente del giovane protagonista che davanti a
qualcosa di tanto più grande di lui non si paralizza dalla paura (incoscienza
della gioventù?), ma oppone l'atteggiamento testardo di chi vuol
capire, forse anche ribellarsi (a modo suo) a quelle cose di cui si
parla a bassa voce o che si finge di non vedere e che invece, a ben guardare,
influenzano la vita di tutti.
“L’incantesimo delle
civette” è un bel romanzo di formazione,
piacevolissimo per stile e trama, oltre che in virtù del punto di vista del protagonista-narratore, con i cui occhi stupiti e onesti guardiamo tutto ciò che
accade, e sembra anche a noi di vivere il fascino del cinema e delle novità eccitanti di cui è portatore; è un libro intriso
di "sicilianità", a cominciare dal linguaggio (l'uso diffuso del dialetto siculo non interrompe affatto
la fluidità della narrazione, ma la vivacizza e ci avvicina al contesto), e poi per i personaggi stessi,
rappresentativi di quegli anni e di quella bella Sicilia dove “piante e fiori facevano e fanno ancora
fatica a crescere tra le pietre”.
Una Sicilia da amare e da
cambiare, sempre in meglio.
Una bella lettura, mi ha
rapita e catapultata in questo paesino del Sud degli anni ‘60, trasmettendomi
simpatia per le avventure adolescenziali del protagonista e per i suoi
pittoreschi compaesani, ammirazione per il coraggio incosciente di cui Luca è
pronto ad armarsi pur di non veder andar via il “suo amore”, e una gradevole nostalgia che sta lì acquattata sin
dall’inizio e che si fa avanti in modo evidente nelle ultime pagine lasciando a noi lettori,
come all’adulto Luca narratore, il profumo e l’incantesimo indimenticabile
delle Civette di un’estate speciale del 1967.