Ed. Tea
Trad. di F. Oddera
336 pp
9 euro
2011
(QUI per info libro)
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Si potrebbe dire che questo libro sia appunto un romanzo al femminile, pur essendoci molta componente maschile.
Protagonista di questo romanzo è Giglio Bianco che, ormai 80enne, ci narra la propria vita, la propria storia, le proprie vicissitudini, traversie e momenti di gioia provati durante le fasi della propria esistenza; esistenza scandita da "periodi" determinati e definiti dalla cultura cinese di allora e che dividono anche la narrazione: giorni da figlia, giorni di capelli raccolti, giorni di riso e sale.
Giglio Bianco nasce in un periodo della storia (identificato con il terzo anno del regno dell'imperatore Dao Guang, 1823) in cui la donna era considerata meno di niente: un ramo sterile, una serva: serva della famiglia d'origine, serva della famiglia del marito se si sposava..., e le conveniva sposarsi, altrimenti la sua reputazione e il suo destino sarebbe stati di gran lunga peggiori.
L'Autrice ci lascia entrare in una realtà difficile da concepire per noi occidentali, almeno in apparenza; in Cina, fino a un certo momento storico, la figura femminile è stata grandemente svalorizzata e l'unica parola che scandiva la propria esistenza era obbedisci; ai genitori, ai fratelli, al marito, alla suocera, al figlio maggiore...
Non c'era posto per una vera e propria libertà di movimento e parola per la donna, il cui obiettivo nella vita era quello di sposare un buon partito, un uomo rispettato nella contea, e sperare di dargli dei figli maschi, per poter ricevere un minimo di rispetto.
Partorire una figlia femmina era una vergogna, oltre che una inutilità, visto che l'unica cosa che la femminuccia costituiva era "essere una bocca in più da sfamare"; il ciclo era sempre lo stesso: se una bimba nasceva, la sua sola utilità per la famiglia era fare un buon matrimonio, altrimenti... meglio la morte...!
Sono rimasta scioccata più di una volta dal trattamento riservato alla donna; non voglio dire molto su questo, perchè è parte integrante della narrazione; accennerò soltanto a una delle pratiche più note e più tremende della Cina del passato: la fasciatura dei piedini delle bambine...; una pratica crudele e inconcepibile, visto che era non solo causa di sofferenze fisiche e psicologiche, ma anche di morte (il rischio di infezioni era altissimo)!
E la cosa più incredibile - ai miei occhi, certo - era che senza questa fasciatura maledetta (perdonatemi l'espressione) la donna aveva dinanzi a sè un futuro ancora più nero, fatto di disprezzo da parte di tutti, di isolamento, di soprusi e cattiverie che rendevano, per forza di cose, il dolore per la fasciatura e la prospettiva di avere "piedini come gigli", la via più desiderabile, la soluzione migliore, l'unica speranza di essere considerata una vera donna, degna di rispetto.
Leggere la modalità di fasciatura mi ha fatto rabbrividire...; ma del resto, quella è solo una delle prime forme di maltrattamento cui verrà sottoposta la bimba nel corso del tempo; ad essa ne seguiranno altre, sia fisiche che emotive e sarà bene che dalla sofferenza la poverina sappia trarre sempre più forza per affrontare le difficoltà della vita, altrimenti il suo destino sarà soccombere.
Giglio Bianco ci narra dunque la propria vicenda esistenziale, lasciando ampio spazio alle proprie emozioni, ai sentimenti provati nelle diverse circostanze, ai rimpianti, ai dolori e ai tentativi di "riscatto", agli occhi del marito, della madre..., con il desiderio in lei sempre presente di ricevere un briciolo d'amore.
All'interno del contesto disegnato dall'Autrice, un elemento che apre uno spiraglio di luce in uno scenario alquanto triste per la donna è l'importanza data all'amicizia, alla fedeltà nei rapporti amicali, tant'è che si parla di "sorelle giurate" (una sorta di gruppo ristretto e selezionato di amiche che si promettono amicizia e aiuto) e soprattutto di laotong, quali figure che vanno a dare senso e un pizzico di speranza e conforto a tante povere vite lasciate nella solitudine e nel dolore di una vita abitudinaria, limitata socialmente e praticamente priva di affetti reali e profondi .
Chi è una laotong?
E' più di una sorella giurata: è una "vecchia se stessa", una sorta di alter ego, di "altra se stessa", con la quale si instaura una relazione di amicizia e amore profondi, che nulla e nessuno potrà mai spezzare: un legame eterno (se consideriamo anche il valore della vita nell'aldilà per i cinesi, profondamente "credenti" nei loro dèi, nel paradiso, negli spiriti...), fonte di gioia, conforto... ma a volte anche di sofferenza e malintesi, come nel caso della nostra storia.
Giglio Bianco è una figura che impariamo a conoscere davvero bene in tutto l'arco della narrazione, perché di essa conosciamo tutto: l'infanzia, l'adolescenza, il matrimonio... e il suo animo è completamento aperto al lettore, che entra in punta di piedi in un mondo che forse non gli apparterrà a livello di tradizioni, usi e costumi, ma nel quale sarà facile trovarvi (parlo in particolare di lettrici) sentimenti, paure, desideri... proprie di tutte le donne, di ogni tempo e luogo.
Giglio Bianco vuole essere amata ma sin da piccola impara la lezione che l'amore non le sarà mai manifestato nel modo da lei voluto e che anche le persone che dovrebbero amarla, in realtà la trattano (per il suo bene..?) con freddezza, asprezza, maltrattandola...., in un circolo vizioso che sembra doversi ripetere all'infinito (visto che ciò che riceviamo, in fin dei conti, è ciò che impariamo a dare a nostra volta....), di madre in figlia...
Ma ecco una luce ad illuminare la vita e il futuro di Giglio: la prospettiva di essere una laotong per un'altra bambina, con la quale condivide alcuni caratteri, fondamentali e necessari.