Seconda recensione della giornata.
L'AMANTE
di Marguerite Duras
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Ed. Feltrinelli
I Narratori
Trad. L. Prato Caruso
123 pp
1985 |
Sinossi
L'amante (L'Amant) è un romanzo di Marguerite Duras, pubblicato per la prima volta nel 1984, anno in cui ottenne anche il premio letterario Goncourt. In Italia appare per la prima volta nel 1985 con il titolo L'amante.
Il romanzo narra le vicende in gran parte autobiografiche di Marguerite Duras nel periodo in cui, tra i quindici e i diciassette anni, visse con la madre e i fratelli nell'Indocina francese, a Vinh Long, piccolo centro situato presso il fiume Mékong.
La storia è quella dell'incontro tra la 15enne Marguerite e il figlio di un ricco possidente cinese: un amore proibito non solo dall'età della ragazza, ma anche dalle convenzioni sociali (differenza di razza e ceto non potevano essere ignorate).
Racconto di lucidità struggente, di terribile e dolce bellezza, "L'amante" trasfigura e risolve integralmente in una scrittura spoglia e intensa, il complice gioco che la memoria e l'oblio ricalcano sulla trama della vita.
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recensioni
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Guardare al proprio passato con la consapevolezza di essere diventata “vecchia”… da giovane, a soli 18 anni.
Da questa consapevolezza, la protagonista (che rappresenta un po' l'Autrice, essendo questo un romanzo dalle forte tinte autobiografiche) ci conduce immediatamente, sin dalle prime righe, con
accento nostalgico ma non tenero, alla sua adolescenza, a quando aveva poco più di 15 anni ed è
diventata donna.
Dal presente si salta al passato, a quando questa fanciulla, di nazionalità francese, viveva nell'Indocina francese con la madre e i due fratelli; loro, quattro bianchi tra gli indigeni dalla pelle più scura, venivano guardati con curiosità mista a rispetto.
A quel tempo, un giorno, mentre si trova su un traghetto, da sola, la ragazza incrocia lo sguardo di un affascinante e ben vestito signore, un giovane uomo, che la fissa con insistenza, seduto nella propria limousine.
Quest’incontro sconvolgerà l’adolescenza di lei e l’uomo (trentenne) l’avvicinerà all’amore, al sesso, e lo farà con voracità, con passione, con devozione e dolcezza insieme; ma anche con disperazione, perché i due sanno di dover nascondere la loro relazione.
Non solo lei è minorenne e lui correrebbe qualche rischio davanti alla legge, ma soprattutto lui è cinese (un cinese miliardario, con una tradizione familiare e dei voleri paterni da rispettare) e lei è una giovane ragazza bianca.
Tutto è contro di loro, contro questa relazione che deve quindi restare clandestina.
Seguiamo il racconto che la protagonista e narratrice fa del proprio passato e sentiamo di trovarci davanti ad una donna che anche da ragazza mostra un carattere sì sensibile, acuto, ma anche deciso e poco propenso ai sentimentalismi, a volte quasi indifferente davanti agli spasmi d’amore dell’amante cinese.
Perché questa “freddezza”?
Saltando da un periodo all’altro della propria vita, dall’incontro e dalla relazione col cinese ai periodi successivi, conosciamo anche i suoi rapporti con la famiglia: una madre apprensiva, presente nella vita dei figli, ma ossessionata dal figlio maggiore, che le darà non pochi dolori e delusioni; un figlio da aiutare, sostenere, proteggere, perdonare, elogiare, sempre e qualunque cosa faccia.
Un figlio minore messo quasi all’angolo ed un’unica figlia femmina il cui futuro la mamma pensa di aver già programmato, mal gradendo eventuali deviazioni di programma da parte della figlia (compresa la “tresca” col cinese).
Ricordi narrati a singhiozzi e senza seguire necessariamente un ordine cronologico, a volte in prima persona (come a dare un tocco intimo alla “confessione”), altre in terza, in modo impersonale, come se la donna guardasse a se stessa da una prospettiva esterna, come se stesse sfogliando un album di foto e si rivedesse, ormai lontana nel tempo e dal presente, e ne volesse immortalare i gesti, gli sguardi, l’abbigliamento, le parole.
La narrazione l’ho trovata un po’ (troppo) fredda, troppo essenziale e distaccata, non è riuscita ad emozionarmi e a coinvolgermi, probabilmente a causa proprio del “tono” usato dalla protagonista, che ho trovato troppo anaffettivo, come se guardasse ai propri sentimenti (che sia verso l’amante o i fratello o la mamma) semplicemente per “analizzarli” con distacco.
Ciò non significa che non vengano espressi sentimenti o stati d'animo, anzi: c’è un’atmosfera di nostalgia che pervade il racconto, c’è la rabbia della ragazza verso la famiglia, la sua curiosità e il suo buttarsi a capofitto nella sua prima esperienza sessuale, vissuta con una consapevolezza quasi da adulta.
Non mi è piaciuta l’assenza delle sequenze dialogiche; cioè, i dialoghi ci sono ma non sono introdotti dalle virgolette bensì inseriti nella narrazione, come un monologo o come se, più che leggere, "stessimo ascoltando" il racconto.
Non si indica neppure il nome di lei né dell’amante o della madre, ma solo di altri personaggi meno rilevanti.
Un romanzo breve, che però non so quanto mi lascerà, ma conto di leggere altro della Duras e di farmi un’idea più completa del suo modo di scrivere e delle sue opere.