Leggere Pasolini è come essere esposti a qualche deciso schiaffone sulla faccia, che ti spinge a spogliarti di moralismi, buonismo, "mentalità borghese" per farti entrare di forza in un microuniverso (diciamo pure "un buco nero") poco piacevole, forse lontano dal tuo qui e ora ma non per questo meno reale e degno di attenzione.
RAGAZZI DI VITA
di Pier Paolo Pasolini
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Alternano una violenza gratuita a una generosità patetica: Riccetto salva una rondine che stava per annegare ma non potrà far nulla dinanzi al piccolo Genesio trascinato via dalla corrente dell'Aniene; Agnolo e Oberdan assistono Marcello agonizzante, rimasto travolto dal crollo della sua scuola.
La Roma monumentale e quella della speculazione edilizia è lo spazio contraddittorio in cui avviene questa sorta di rito iniziatico di una giornata dei «ragazzi di vita».
Siamo a Roma, nell'immediato dopoguerra e facciamo subito la conoscenza di un gruppo di ragazzetti - Marcello, Riccetto, Agnolo... - che bighellonano tutto il giorno e se la spassano, tra bravate e tuffi al mare.
Quello di Pasolini non è propriamente un quadro edificante, eppure leggiamo le sventurate avventure di questi tipacci e ci sentiamo indecisi e a metà strada tra la disapprovazione per delle vite allo sbando, e la pietà, la tristezza perchè il corso che quelle vite così giovani stanno prendendo/hanno preso, è da attribuire allo sporco, allo squallore, alla miseria, allo sfacelo morale e sociale (e non solo, se pensiamo alle case che crollano sulle persone) che li circonda, prima che a loro personali scelte.
Ho letto ogni pagina con un bel po' di costernazione, ad esempio nel constatare come certi "dispetti" tra ragazzi possano risultare pericolosi e malvagi, senza che chi li fa si senta minimamente in colpa.
Ho letto di madri adirate fino all'estremo, da risultare delle belve indemoniate verso i propri figli, stanche di averli intorno, di dover dare un boccone di pane secco e nero a questi stessi figli scavezzacollo e perdigiorno, che si riducono solo a bocche da sfamare.
Ho letto di figli altrettanto arrabbiati ed esasperati dalle botte dei padri ubriachi e dalle continue lamentele delle madri..., tanto da inveire con furia contro di loro per farle azzittire; ragazzi che preferiscono starsene fuori a perdere tempo tutto il dì, pur di star lontani dalle mura crepate di una casa che di calore famigliare ne ha davvero poco.
Ho letto di come questi ragazzi di vita siano sì volgari, disgraziati, strafottenti, ladri, sporchi e brutti, che si vendano a far cose che non dovrebbero (con adulti privi di moralità), ma come altresì non smettano di essere dei miserabili vestiti di stracci, che si ammalano e muoiono totalmente soli, senza nessuno ad aiutarli, senza che qualcuno abbia cercato di tirar fuori quel po' di bene che di certo possiedono e che forse emergerebbe se una brutta sorte non piombasse loro addosso.
Un romanzo molto realistico, duro e spietato nel linguaggio, nelle scene descritte, che mostra senza veli e senza mezzi termini, senza addolcire nulla, senza ipocrisie e perbenismi, senza giudizi, la vita della gente povera in certi sobborghi di Roma, nell'immediato dopoguerra.
Un Pasolini diretto, che non si preoccupa di eventuali e probabili critiche e censure (che ha avuto infatti), che ci presenta un ritratto fin troppo onesto della vita quotidiana di ragazzacci senza gloria e senza sogni, che ogni giorno dovevano vedere come fare per raccattare qualcosa da mangiare o trovare un giaciglio su cui riposare; ragazzacci sboccati, che si rubano qualche soldo a vicenda, che commettono atti delinquenziali più o meno gravi sperando ovviamente di farla franca, e ridendoci anche su...
Pasolini ci racconta una Roma tutt'altro che invitante, non c'è nulla che ci restituisca il fascino della città eterna, perchè il giro che ci fa fare per le strade dei quartieracci romani è caratterizzato dalla bruttezza, dallo sporco, dalla volgarità, dalla povertà estrema, e tutto questo permea cose e persone: le case (ciò che ne resta) che stanno lì lì per venir giù, le vie puzzolenti e desolate, i bambini sciatti e magrolini, i ragazzi neri e con i panni lordi, le donne coi capelli unti, sgradevoli nel volto e negli atteggiamenti, gli adulti laidi e viscidi o ubriaconi e poveracci, le prostitute grasse e sudicie.
E tutto questo culmina nel linguaggio e nello stile immediati, veraci, pittoreschi, nell'uso abbondantissimo del romano (c'è il glossario dei termini romani a fine libro per chi non fosse avvezzo), che non ti permette di estraniarti dalla lettura ma pretende che tu lettore ne sia immerso totalmente, quasi sentendoti addosso tutta la negatività presente nella storia narrata.
Ammetto che certe volte il dialetto romano mi ha un po' distratta nella lettura ma allo stesso tempo ha reso tutto inevitabilmente più vero e spontaneo.
Consiglio la lettura di questo Pasolini a chi non cerca eroi belli, muscolosi e vincitori, donne sexy o innocenti, ambientazioni amene, intrecci ricchi di buoni sentimenti..., ma a chi non si tira indietro dall'infilarsi per qualche ora in un piccolo mondo che di magico non ha niente, in quanto popolato da persone non attraenti, bensì da un nugolo di perdenti che devono fare i conti con una sorte tutt'altro che buona e con una vita che sembra aver ben poco di bello da riservare loro.
Non cercate per forza una redenzione dei "cattivi", leggendo Pasolini.
Non cercate per forza il buono e il bello tra le sue righe.
Ci sono altri autori che possono darvi ciò.
Pasolini vi porta da tutt'altra parte. Sta a voi decidere se "sporcarvi le mani" o meno.
Siamo a Roma, nell'immediato dopoguerra e facciamo subito la conoscenza di un gruppo di ragazzetti - Marcello, Riccetto, Agnolo... - che bighellonano tutto il giorno e se la spassano, tra bravate e tuffi al mare.
Siamo alla presenza - come il titolo stesso del libro indica - di ragazzi di strada, che non dicono una parola in italiano e che tra loro si chiamano con appellativi tutt'altro che gentili, adulti in miniatura, che sembrano già vissuti e con chissà quali esperienze sulle magre spalle, privi di delicatezza e sentimento, salvo poi impietosirsi di fronte ad una rondine che rischia di annegare.
Sono ragazzi poveri, che spesso spendono quel po' che hanno per "divertirsi" con intrattenimenti più adatti ad adulti che a ragazzetti, e sono anche sfortunati, se pensiamo a Marcello e al crollo della scuola che ha avuto conseguenze tragiche per lui.
Il personaggio sempre presente e che fa un po' da filo conduttore alla storia è Riccetto, del quale seguiamo una sorta di "evoluzione" negli anni, anche se non necessariamente tutta positiva.
E così vediamo il Riccetto bimbo in procinto di fare la Comunione; Riccetto cresciuto che insieme all'amico Caciotta va in giro a cercare di fare "affari" per rimediare qualche soldo: rubare e poi rivendere oggetti, fregare la gente con furtarelli sulle circolari, dispetti e spintoni ai poveri passanti e tentativi di rimediare pasti gratis alla mensa dei poveri.
E poi ci sono compagni che fregano te, come Amerigo, un tipaccio prepotente e sfruttatore, cui Riccetto presta malvolentieri qualche soldo per giocare in una bisca clandestina.
Insomma, ragazzi senza uno scopo nella vita, senza una meta durante il giorno, incredibilmente soli, senza nulla nello stomaco, che non vogliono tornare a casa perchè sanno di non trovare cibo o amore ma solo botte e rimproveri.
Sono degli sguaiati, strafottenti, dispettosi, che ridono per un nonnulla, si prendono a male parole per divertimento, picchiano e danno fastidio ai coetanei più "fessacchiotti", pensano solo a rubacchiare, a fare i bagni nel fiume, a vedere se trovano qualche femmina con cui intrattenersi...
Eppure a me fanno molta tristezza più che rabbia o fastidio, perchè alla fine di ogni giornata, di ogni scorribanda, si ritrovano senza neanche quella "mezza piotta che avevano in saccoccia la mattina" e, soprattutto, terribilmente soli, sporchi e con la pancia più vuota che mai.
Ho letto ogni pagina con un bel po' di costernazione, ad esempio nel constatare come certi "dispetti" tra ragazzi possano risultare pericolosi e malvagi, senza che chi li fa si senta minimamente in colpa.
Ho letto anche, viceversa, la paura provata da chi ha ha commesso certe bravate incoscientemente - forse prima ancora che con vera cattiveria - al pensiero delle possibili conseguenze drammatiche, che non si sanno affrontare, nonostante i ragazzi facciano tanto i duri e i grandi.
Ho letto di figli altrettanto arrabbiati ed esasperati dalle botte dei padri ubriachi e dalle continue lamentele delle madri..., tanto da inveire con furia contro di loro per farle azzittire; ragazzi che preferiscono starsene fuori a perdere tempo tutto il dì, pur di star lontani dalle mura crepate di una casa che di calore famigliare ne ha davvero poco.
Ho letto di come questi ragazzi di vita siano sì volgari, disgraziati, strafottenti, ladri, sporchi e brutti, che si vendano a far cose che non dovrebbero (con adulti privi di moralità), ma come altresì non smettano di essere dei miserabili vestiti di stracci, che si ammalano e muoiono totalmente soli, senza nessuno ad aiutarli, senza che qualcuno abbia cercato di tirar fuori quel po' di bene che di certo possiedono e che forse emergerebbe se una brutta sorte non piombasse loro addosso.
Un romanzo molto realistico, duro e spietato nel linguaggio, nelle scene descritte, che mostra senza veli e senza mezzi termini, senza addolcire nulla, senza ipocrisie e perbenismi, senza giudizi, la vita della gente povera in certi sobborghi di Roma, nell'immediato dopoguerra.
Un Pasolini diretto, che non si preoccupa di eventuali e probabili critiche e censure (che ha avuto infatti), che ci presenta un ritratto fin troppo onesto della vita quotidiana di ragazzacci senza gloria e senza sogni, che ogni giorno dovevano vedere come fare per raccattare qualcosa da mangiare o trovare un giaciglio su cui riposare; ragazzacci sboccati, che si rubano qualche soldo a vicenda, che commettono atti delinquenziali più o meno gravi sperando ovviamente di farla franca, e ridendoci anche su...
Pasolini ci racconta una Roma tutt'altro che invitante, non c'è nulla che ci restituisca il fascino della città eterna, perchè il giro che ci fa fare per le strade dei quartieracci romani è caratterizzato dalla bruttezza, dallo sporco, dalla volgarità, dalla povertà estrema, e tutto questo permea cose e persone: le case (ciò che ne resta) che stanno lì lì per venir giù, le vie puzzolenti e desolate, i bambini sciatti e magrolini, i ragazzi neri e con i panni lordi, le donne coi capelli unti, sgradevoli nel volto e negli atteggiamenti, gli adulti laidi e viscidi o ubriaconi e poveracci, le prostitute grasse e sudicie.
E tutto questo culmina nel linguaggio e nello stile immediati, veraci, pittoreschi, nell'uso abbondantissimo del romano (c'è il glossario dei termini romani a fine libro per chi non fosse avvezzo), che non ti permette di estraniarti dalla lettura ma pretende che tu lettore ne sia immerso totalmente, quasi sentendoti addosso tutta la negatività presente nella storia narrata.
Ammetto che certe volte il dialetto romano mi ha un po' distratta nella lettura ma allo stesso tempo ha reso tutto inevitabilmente più vero e spontaneo.
Consiglio la lettura di questo Pasolini a chi non cerca eroi belli, muscolosi e vincitori, donne sexy o innocenti, ambientazioni amene, intrecci ricchi di buoni sentimenti..., ma a chi non si tira indietro dall'infilarsi per qualche ora in un piccolo mondo che di magico non ha niente, in quanto popolato da persone non attraenti, bensì da un nugolo di perdenti che devono fare i conti con una sorte tutt'altro che buona e con una vita che sembra aver ben poco di bello da riservare loro.
Non cercate per forza una redenzione dei "cattivi", leggendo Pasolini.
Non cercate per forza il buono e il bello tra le sue righe.
Ci sono altri autori che possono darvi ciò.
Pasolini vi porta da tutt'altra parte. Sta a voi decidere se "sporcarvi le mani" o meno.