Una delle letture più belle dello scorso anno è stata “Tutto chiede salvezza” (recensione libro) di Daniele Mencarelli; ebbene, il libro diventerà una serie tv targata Netflix, diretta da Francesco Bruni e con Federico Cesari nei panni del protagonista.
Ha vent'anni Daniele quando, in seguito a una violenta esplosione di rabbia, viene sottoposto a un TSO: trattamento sanitario obbligatorio. È il giugno del 1994, un'estate di Mondiali. Al suo fianco, i compagni di stanza del reparto psichiatria che passeranno con lui la settimana di internamento coatto: cinque uomini ai margini del mondo. Personaggi inquietanti e teneri, sconclusionati eppure saggi, travolti dalla vita esattamente come lui. Come lui incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura. Dagli occhi senza pace di Madonnina alla foto in bianco e nero della madre di Giorgio, dalla gioia feroce di Gianluca all'uccellino resuscitato di Mario. Sino al nulla spinto a forza dentro Alessandro.
Accomunati dal ricovero e dal caldo asfissiante, interrogati da medici indifferenti, maneggiati da infermieri spaventati, Daniele e gli altri sentono nascere giorno dopo giorno un senso di fratellanza e un bisogno di sostegno reciproco mai provati.
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Il romanzo “La vita bugiarda degli adulti” (The Lying Life of Adults) di Elena Ferrante diventerà una serie tv per Netflix, prodotta da Fandango, con Edoardo De Angelis alla regia e Valeria Golino nel ruolo di zia Vittoria. Le riprese inizieranno a ottobre a Napoli.
Il bel viso della bambina Giovanna si è trasformato, sta diventando quello di una brutta malvagia adolescente. Ma le cose stanno proprio così? E in quale specchio bisogna guardare per ritrovarsi e salvarsi? La ricerca di un nuovo volto, dopo quello felice dell’infanzia, oscilla tra due Napoli consanguinee che però si temono e si detestano: la Napoli di sopra, che s’è attribuita una maschera fine, e quella di sotto, che si finge smodata, triviale. Giovanna oscilla tra alto e basso, ora precipitando ora inerpicandosi, disorientata dal fatto che, su o giù, la città pare senza risposta e senza scampo.
Alessandro Borghi sarà il protagonista di "The Hanging Sun", un film diretto da Francesco Carrozzini e scritto da Stefano Bises, tratto dal romanzo "Sole di mezzanotte" di Jo Nesbø.
Un progetto internazionale prodotto da Sky, Cattleya e Groenlandia.
Le riprese inizieranno a settembre in Norvegia, tra Oslo e Ålesund.
“The Hanging Sun” è un thriller noir ambientato tra le atmosfere rarefatte dell’estate norvegese dove il sole non tramonta mai, la vita e la morte si intrecciano, presente e passato si sovrappongono.
John è in fuga. Trova riparo nel fitto della foresta, vicina a un villaggio isolato dell’estremo Nord, dove domina la religione, il sole non tramonta mai e le persone sembrano appartenere a un’altra epoca. Tra lui e il suo destino ci sono solo Lea, una donna in difficoltà ma dalla grande forza, e suo figlio Caleb, un bambino curioso e dal cuore puro. Mentre il sole di mezzanotte confonde realtà e immaginazione, John dovrà affrontare il tragico passato che lo tormenta.
"Figlie del mare" è la storia di due sorelle legatissime l'una all'altra ma costrette a separarsi quando la maggiore viene rapita per diventare una "donna di conforto", una prostituta per i soldati dell'esercito imperiale giapponese prima e durante la Seconda guerra mondiale.
FIGLIE DEL MARE
di Mary Lynn Bracht
Longanesi Ed. trad. K. Bagnoli 370 pp
"La compassione è gentilezza (...). Ognuna di noi merita compassione, ma in questa terra abbandonata nessuno ha la compassione di riservarci un po' di gentilezza. Perciò siamo prigioniere di questa umiliazione, torturate giorno dopo giorno. A noi non resta altro che concederci a vicenda quel poco di gentilezza che abbiamo".
Nel 1943 Hana ha sedici anni, vive con i genitori e la sorellina Emiko (di sette anni più piccola) nell'isola di Jeju (Corea) ed è una bravissima haenyeo, una figlia del mare che si tuffa tra le acque in cerca di tutto ciò che può essere venduto al mercato, così da guadagnare qualcosa e contribuire alla vita famigliare; la ragazza è orgogliosa di questo lavoro che non è solo un modo per campare, ma è molto di più: è una tradizione di famiglia (anche sua madre è un'esperta tuffatrice ed è un'attività che si tramanda di generazione in generazione) portata avanti con impegno, devozione, preghiere, e una haenyeo è tale fino a quando riesce ad immergersi, a restare in apnea e a pescare, e tante donne lo fanno anche a ottant'anni.
Hana è una ragazzina sveglia, libera, che ama la propria famiglia e ha molto rispetto per i genitori e per i loro grandi sacrifici.
E poi c'è Emiko, la sua sorellina: ha tanto desiderato una sorella e, adesso che ce l'ha accanto, è disposta a tutto pur di proteggerla.
E purtroppo, questo sacrificio arriva in un brutto giorno d'estate del '43.
La Corea è sotto il dominio giapponese, in Europa è scoppiato un conflitto che ben presto ha assunto una portata mondiale, e un destino atroce sta bussando alla porta di Hana e della sua famiglia.
Un giorno, mentre è con sua madre in acqua ed Emi è sulla spiaggia (è ancora troppo giovane per diventare una haenyeo), Hana vede in lontananza un soldato giapponese che avanza lungo la spiaggia, proprio verso il punto in cui è seduta la piccola Emiko.
Hana ha sentito dire che quei maledetti soldati giapponesi vanno in giro a rapire le ragazze coreane per portarle chissà dove...!
La ragazza comincia a correre disperatamente verso la riva, pronta a salvare la sorellina da quell'orco malvagio che si sta avvicinando a lei, e ci riesce: si pone davanti al soldato, in modo che non veda Emi (che intanto si è nascosta come può) e si lascia portar via di peso da altri due militari sopraggiunti in spiaggia.
Da quel momento, la povera ragazza viene portata via, assieme ad un gruppo di altre giovani come lei, tra cui addirittura una bambina poco più grande di Emi; le rapite vengono trattate come oggetti senza valore e alcune di loro subiscono i primi stupri nel corso del tragitto che le condurrà in Manciuria, compresa Hana, che sarà violentata proprio dal soldato che l'ha trovata presso il suo mare a Juju. L'uomo si chiama Morimoto e dal primo momento manifesta un interesse pericolosamente morboso verso la ragazzina, che ne è ovviamente terrorizzata.
In Manciuria, lontana dalla famiglia e da tutto ciò che conosce e ama, Hana viene imprigionata in un bordello gestito dall’esercito giapponese.
statua donne di conforto, San Francisco
Lì incontra altre donne, alcune giovani come lei, altre un po' più grandi, che sono rinchiuse da diverso tempo; le condizioni di vita sono all'insegna della miseria, della mancanza di igiene e della scarsità di cibo e, soprattutto, della violenza più bestiale.
Leggere cosa subisce Hana all'interno di quelle squallide mura è stato qualcosa di molto forte dal punto di vista emozionale, perché c'è la consapevolezza che non è frutto dell'immaginazione dell'autrice, ma è ciò che realmente accadeva a queste ragazze/donne costrette a prostituirsi.
Come fantocci senza vita, private della dignità, di ogni diritto sul proprio corpo, tolte brutalmente alle loro famiglie, queste "donne di conforto" (già soltanto l'espressione fa rabbrividire per quanto è crudele: è deplorevole già solo pensare che si possa obbligare una donna a subire violenze quotidiane per tenere alto il morale dei soldati) venivano costantemente picchiate, brutalizzate, stuprate, schernite, umiliate da decine di militar
Esatto, avete letto bene: decine. Una donna poteva essere costretta ad "accogliere" anche fino a trenta-quaranta depravati a notte.
È qualcosa di tremendo, di inimmaginabile, ancor più se pensiamo che la narrativa ufficiale giapponese ha fatto passare per anni la versione secondo cui queste donne non erano state rapite e costrette a prostituirsi, bensì avevano accettato questo ruolo volontariamente.
Ma grazie a diversi storici e alle testimonianze delle coraggiose sopravvissute, nel corso del tempo è emerso invece come siano state almeno 200mila le ragazze (principalmente coreane e cinesi) rapite e rese schiave del sesso durante gli anni della guerra.
Ad Hana e alle sue compagne viene "tolto" anche il loro nome ed assegnato uno giapponese: cosa resta a queste poverette se non arrendersi ad un triste e crudele destino, cercando di resistere e non soccombere, con la segreta speranza che... chissà!, magari alla fine della guerra tutte loro possano essere liberate da questa prigione infernale?
Hana resiste, infatti: lei è e resta, a dispetto dell'ignobile tentativo dell'impero giapponese di spersonalizzarla, di strapparle di dosso la sua dignità e il suo valore in quanto persona, una figlia del mare, per cui non può arrendersi senza lottare: la ragazza sa che dovrà fare ricorso a tutte le sue forze per riconquistare la libertà e tornare a casa, dalla sua famiglia, da Emi.
La narrazione della disumana esperienza vissuta da Hana negli Anni Quaranta si alterna a quella di sua sorella Emiko, che nel 2011 vive in Corea del Sud ed è un'abile pescatrice, una haenyeo instancabile nonostante abbia superato i settanta.
Si è sposata con un soldato coreano, con cui ha avuto due figli (un maschio ed una femmina), ma la sua vita non è stata tutta rose e viole, nè il matrimonio un nido d'amore.
Emiko ama i propri figli (ha anche un nipote), ma non ha saputo dimostrare loro il proprio amore apertamente e con spontaneità; attraverso i suoi ricordi di persona in là con l'età, ma ancora molto presente a se stessa, apprendiamo le traversie sue e della madre dopo la fine della guerra; disgraziatamente, nonostante il sacrificio della sorella l'abbia sottratta allo sfruttamento sessuale, Emi non se l'è vista comunque bene e si è trovata costretta a sposare un giovane soldato per garantire a se stessa e alla mamma la sopravvivenza.
Col passare degli anni, la sua mente - forse per "proteggerla" - aveva quasi rimosso il pensiero di Hana, eppure nei suoi sogni la donna rivedeva questa figura femminile famigliare, ne sentiva la voce, ne avvertiva la presenza in modo forte, e il suo cuore le suggeriva che quella ragazza che le compariva in sogno era una parte importante di lei, e non poteva dimenticarla o fingere di non sapere chi fosse.
statua della pace, Seul
Ma non si può trovare la pace continuando a fuggire dal passato: bisogna affrontarlo, guardarlo in faccia; ora che lei, i suoi figli e il suo Paese vivono ormai una vita serena, forse è arrivato il momento di pronunciare il nome di quella sorella perduta, strappatale via a causa della ferocia di una guerra che non ha pietà di nessuno, e di raccontare che se lei è lì ed è viva, lo deve a lei, ad Hana e al suo coraggioso sacrificio.
A offrirle questa importante opportunità è una delle cerimonie che le "donne di conforto" sopravvissute organizzano ogni anno per far sentire la propria voce, per innalzare il proprio sdegno e far valere il proprio diritto a non essere dimenticate, perché il mondo deve sapere cosa hanno vissuto e sopportato; a Seul, durante uno di questi incontri, Emiko osserva turbata la statua dedicata a queste donne e capisce che non può più tacere e far finta che Hana non ci sia mai stata.
"Figlie del mare" è un romanzo emozionante, che mi ha coinvolta molto e per il tema delicato e grave che viene affrontato attraverso le tristi vicissitudini di Hana, e per il contesto storico difficile e cupo (come può esserlo quello bellico), tratteggiato con cura dall'Autrice, che a fine libro ci lascia una ricca bibliografia sull'argomento e di cui si è servita lei stessa per scrivere il romanzo.
Ho letto questo libro provando un senso di grande tristezza ed impotenza davanti alle violenze subite da queste donne schiavizzate; ho sperato insieme alla protagonista che lei potesse avere la propria rivincita sulla barbarie di certi "uomini" e su Morimoto in primis; mi ha commossa la sofferenza, intrisa di sensi di colpa, di una Emiko ormai anziana e con un peso troppo grosso per il suo cuore fragile.
La penna di Mary Lynn Bracht è realistica e cruda nel racconto degli abusi fisici e psicologici, ma anche sensibile ed intensa nel presentarci due sorelle teneramente forti, che la guerra ha messo duramente alla prova, piegandole, ferendole, separandole, ma che non è riuscita a spezzare.
È l’estate del 2014 quando Israele lancia l’operazione Protective Edge in risposta al rapimento e all’uccisione di tre giovani coloni. Inevitabilmente, la Striscia di Gaza diviene ancora una volta triste teatro di una guerra senza fine ed è in questo contesto che, tra queste pagine, le esistenze di persone molto differenti tra loro per età, nazionalità, religione e cultura, si incrociano, e ciascuno ci offre i propri occhi, i propri pensieri e speranze per guardare a questo complesso dramma umano, che dura ormai da troppi anni, da più angolazioni.
GAZA
di Massimiliano Vertuani
42 pp
"La Striscia di Gaza restava esattamente ciò che era da tempo immemore. La più grande prigione a cielo aperto del mondo, in cui anche donne e bambini venivano segregati, in una nuova e perniciosa forma di apartheid."
La raccolta di Vertuani è composta da dieci racconti, tutti ambientati a Gaza.
A dare il via a questo viaggio nel quotidiano di chi vive costantemente e in prima persona la disperazione, la miseria, la paura, l'odio per il nemico, i bombardamenti, le privazioni di vario genere, è un giovane israeliano, pronto a premere il pulsante per lanciare un razzo su Gaza.
Pochi attimi prima, gli scorrono davanti immagini di un passato che l'ha segnato: non avrebbe voluto essere lì dov'è adesso, a far fuori nemici come in un videogame! Il suo sogno era quello di fare il chirurgo e, quindi, di salvare vite, non toglierle.
Ma poi il destino - o chi per lui - ha fatto sì che un evento tragico e doloroso cambiasse i suoi progetti e inoculasse nel suo cuore il desiderio di vendetta verso i vili terroristi.
Leggiamo le piccole storie di uomini e donne che si trovano coinvolte, per varie ragioni, negli scontri tra israeliani e palestinesi: attivisti pronti a rischiare anche la propria vita pur di fare la loro parte e difendere chi è oppresso, giovani soldati disposti a morire per la Patria, giornalisti che vorrebbero essere altrove e non a fare gli inviati in una terra bagnata dal sangue; ma anche madri costrette a portare avanti la famiglia in condizioni difficilissime, tali da non potersi concedere il tempo di piangere in santa pace per le sofferenze affrontate, o nonne che con dolcezza cercano di spiegare a giovanissimi nipoti quanto terribile sia la guerra, che è in grado di trasformare le persone, accecandole di odio.
Sono racconti che commuovono, fanno riflettere e contribuiscono a spingere il lettore a interessarsi all'annosa e drammatica "questione israelo-palestinese".
Tra queste pagine ho avvertito, da parte dell'Autore, sì l'empatia verso il popolo palestinese, ma altresì il concetto di come sia fin troppo semplice ridurre tutto a una decisione di "schierarsi dalla parte di", quando poi a mettere pesi sulle nostre coscienze dovrebbe essere la consapevolezza che è l'odio, da ambo le parti, a far sì che la Palestina sia sporca di sangue.
Sono storie di giovani vite forgiate nella disperazione e trasformate in modo radicale da certi tragici eventi che li hanno travolti personalmente e instillato germi di vendetta, rancore, animosità.
"...l’abisso che alberga nell’animo umano è senza fondo. Come puoi sapere come agiresti, in quelle condizioni? Riusciresti a conservare la tua umanità? Io lo spero, ma al tuo posto non ne sarei così sicuro."
Potranno mai le future generazioni affrancarsi dall’odio?
Ho condiviso il fatto che l'Autore sottolinei come quello che avviene da decenni in questa striscia di terra non sia più una guerra solo sul campo, ma un conflitto che si combatte ferocemente anche sul piano mediatico, dell’informazione e della disinformazione. Ergo, sarebbe giusto e logico aspettarsi da parte di chi fa cronaca e diffonde informazioni, farlo puntando sempre alla verità, accogliendo anche le idee considerate «estremiste» e differenti/opposte alla versione "ufficiale", dominante.
Resta ferma, però, la responsabilità di ciascuno a informarsi seriamente e senza preconcetti, per avere delle idee proprie e motivate sulla questione.
"Se vuoi farti un’opinione, su questa come su altre faccende, devi informarti, leggere e ascoltare i pareri più disparati, compresi quelli di parte. Solo così puoi costruirti un’idea tua, non imposta dagli altri."
Gaza è una raccolta che si legge in un attimo, per la scorrevolezza e la brevità, caratteristiche che non tolgono nulla all'importanza e alla complessità dell'argomento, ma che anzi possono stimolare ad approfondirlo e a interessarsi a ciò che succede,in questa piccola parte di mondo, a tanti bambini/ragazzi, a uomini e donne come noi.
"Non poté tuttavia fare a meno di domandarsi quante lacrime può versare un essere umano. Un palestinese era forse in grado di versarne più di un americano o un russo? Probabilmente sì, perché solo al suo popolo spettava il compito di portare da decenni il greve peso dell'occupazione straniera."
IL MARE DI GAZA è una raccolta contenente dodici articoli scritti da Vittorio Arrigoni tra il 2009 e il 2010 e pubblicati su il manifesto e, oltre ad essi, il racconto del sequestro che il 15 aprile 2011 portò all'omicidio di Vittorio, con il lutto mondiale che ne scaturì.
122 pp
"Questo figlio perduto, ma così vivo come forse non lo è stato mai, che come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi." (Egidia Beretta Arrigoni)
Le parole di Vittorio, riportate in questa pubblicazione, rispecchiano tutto il suo amore per i senza voce, per i deboli, per gli oppressi, e in un certo senso ci spingono a prendere in mano il testimone da lui lasciato.
Ci ricordano il motto (e il monito) più famoso di Vik e che deve riecheggiare nelle nostre orecchie e responsabilizzarci: Restiamo umani.
Dai suoi articoli traspare tutta l'empatia e la concreta solidarietà provate da Vittorio al cospetto della sofferenza e della disperazione del milione e mezzo di abitanti che, nella Striscia di Gaza, devono ogni giorno lottare per sopravvivere in quello che è un vero e proprio lager a cielo aperto.
Vik denuncia le ingiustizie, la miseria e la disperazione dei palestinesi - i terreni coltivabili resi inaccessibili o distrutti dall'esercito israeliano, i continui attacchi delle navi da guerra israeliane ai rudimentali vascelli palestinesi.
"Secondo un rapporto della Croce Rossa, il 90% dei 4000 pescatori di Gaza sotto la soglia di povertà, e nella loro battaglia per la sopravvivenza rischiano ogni giorno di venire uccisi navigando oltre il limite delle tre miglia imposto dalla marina israeliana."
E poi il duro lavoro che tocca alle donne (giovani, madri, mogli), che devono prendere il posto di fratelli/mariti/padri che non possono più tirare avanti la famiglia, perchè magari sono stati uccisi o resi inabili, come Madeleine Kulab, la prima pescatrice di Gaza, la sedicenne che è ha dovuto sostituire il padre, costretto a smettere di fare il pescatore in seguito a una paralisi.
I bambini, anche loro pagano un prezzo, e non da poco: infanzie negate, private di un'istruzione decente, del diritto a cure mediche, costretti a fare lavori duri e pericolosi.
E' a Gaza, Vittorio, quando nel dicembre 2008 iniziano i bombardamenti israeliani dell'operazione «Piombo fuso», l'offensiva militare contro la Striscia che si concluderà il 18 gennaio 2009 e che registrerà un bilancio di circa 1400 palestinesi morti (per due terzi civili).
Vittorio è lì che scrive e racconta ciò che vede, si sposta in ambulanza, parla con le famiglie delle vittime, raccontando dal vivo la risposta israeliana al lancio di razzi nello stato ebraico: esecuzioni mirate che finiscono per uccidere tanti innocenti.
"Ho una videocamera con me, ma sono un pessimo cameraman,
perchè non riesco a riprendere i corpi maciullati e i volti in lacrime.
Non ce la faccio.
Non riesco perchè sto piangendo anche io.
Ambulanze e sirene in ogni dove,
in cielo continuano a sfrecciare i caccia israeliani con il loro carico di terrore e morte."
Affamato di giustizia, libertà, Vittorio sapeva raccontare con passione la realtà che lo circondava, perché lui Gaza la conosceva e la viveva ogni giorno; faceva suoi i sentimenti di un popolo intero e sapeva comunicarli agli altri.
Vik era innamorato di Gaza e dei palestinesi e da essi era ricambiato, e si è speso per dar loro voce con la speranza di arrivare, così, a tutti quei cittadini del mondo che si dichiarano sensibili alla pace e ai diritti umani, affinché non si limitino a esprimere solidarietà da lontano, ma tramutino le parole in fatti e azioni concrete.
Vittorio a Gaza ha rischiato più di una volta la vita, fino a perderla in modo atroce per mano di un (presunto) gruppo islamico salafita, che lo ha rapito e dopo alcune ore ucciso.
Ma la sua voce, il suo esempio, la sua lotta... restano e perché siano vivi più che mai hanno bisogno di altri "testimoni" che si pongano concretamente accanto agli oppressi, condividendone tragedie, sofferenze e speranze, legittime richieste di diritti.
“Ci sono esistenze più spendibili di altre, più dedite al sacrificio avendo testato sulla propria pelle tutta la sofferenza del mondo, e non riuscendo a scrollarsela di dosso, si impegnano per prevenirla, lenirla a chi sta più a cuore.
La mia è una di queste esistenze.
Tutto sta nel spenderle per qualcosa d’impagabile, come la lotta per la giustizia, la libertà. Sono convinto che cercare di lenire il dolore di un intero popolo oppresso da più di 60 anni, se è una buona ragione per vivere, lo è anche per morire.”
Nella seconda parte dell'ebook, vi sono le testimonianze di coloro che Vik l'hanno conosciuto da vicino, così come leggiamo le parole di dolore e sgomento di chi ne apprezzava l'impegno umanitario e civile; non mancano i commenti più freddi, distaccati e di circostanza di chi (mondo politico in primis) non aveva e non ha davvero a cuore la sorte dei palestinesi e che non è stato minimamente toccato dalla morte di Vittorio Arrigoni. Chiudono il libro alcune informazioni sul processo.
Da leggere. Per informarsi, capire e aggiungere la propria voce a quella forte di chi si batte ogni giorno sul campo per difendere chi è oppresso.
A quattordici anni si hanno tanti sogni ed è giusto che sia così; ma quando un evento imprevisto e terribile rischia di far crollare tutti quei sogni gelosamente custoditi dentro di sé, la vita può diventare di colpo un incubo da cui ci si vorrebbe svegliare.
È ciò che succede alla giovanissima Angela, che si trova a vivere una prova troppo grande per lei, ma non la vivrà da sola: accanto ha una famiglia e delle amiche che la amano e le daranno tutto il supporto e l'affetto di cui ha bisogno per capire che un futuro pieno di sogni da realizzare è ancora lì per lei.
"Il diritto di vivere. La voce di Angela"
di Imma Pontecorvo
145 pp
Angela ha quattordici anni ed è una ragazzina piena di vita, con grandi progetti ed ambizioni; ama cavalcare e sogna di poterlo fare a livello agonistico.
Ma in un brutto sabato pomeriggio la sua vita cambia drasticamente e, a causa di una caduta da cavallo, si ritrova su una sedia a rotelle.
Esmeralda: questo è il nome che decide di dare alla sua compagna a due ruote, consapevole di come essa ormai farà parte della propria quotidianità, che lo voglia o meno.
Come si reagisce ad una condizione tanto traumatica?
La madre Luciana, all'inizio, non riesce ad accettare le conseguenze di quell'incidente: possibile che la sua bambina abbia definitivamente perso l'uso delle gambe?
Suo padre è forse colui che, pur soffrendo ugualmente tanto, più di tutti cerca di avere un atteggiamento positivo, di reagire in modo da sostenere moralmente tutti, dalla moglie a, soprattutto, la figlia, che è così giovane e già la vita ha costretto ad una prova così grossa e dolorosa.
Anche il fratellino, dopo lo sconvolgimento iniziale, cerca in tutti i modi di far sentire la propria vicinanza e il proprio amore alla sorella maggiore.
Ma nonostante tutti si sforzino di incoraggiarla, per la ragazzina è tutt'altro che facile: ritrovarsi di colpo sulla sedia a rotelle, costretta a dipendere dagli altri, a dire addio a cose normalissime, come correre, fare una passeggiata dove e quando vuole con le amiche Ilaria e Giada, andare alle feste, al mare...: per lei, ormai, tutto questo è praticamente precluso, perché se anche volesse provare ad avere una vita sociale, farlo in carrozzina non è la stessa cosa che reggersi sulle proprie gambe in piena autonomia!
Angela si sente in trappola in un corpo che è suo, certo, ma sul quale non ha più il pieno controllo: non potrà più camminare, questa è la verità, che le piaccia o no, ed è una condizione che la rende per forza diversa dai suoi coetanei.
Tornare a scuola è il primo ostacolo da superare: Angela teme gli sguardi dei compagni, pieni di compassione, imbarazzo o, peggio, di scherno (sui volti di alcuni, decisamente immaturi e stupidini).
Ma i problemi non sono solo quelli: la sua scuola, purtroppo, non è attrezzata per accogliere persone con disabilità, e presto la povera Angela si renderà conto che sono tanti, troppi, i contesti di vita in cui le barriere architettoniche impediscono l'accesso a una persona in carrozzina, limitando di fatto la sua libertà e condizionando la scelta dei posti da frequentare.
La consapevolezza di non poter accompagnare le proprie migliori amiche ovunque, rattrista molto Angela, che spesso rifiuta gli inviti sinceri ed entusiastici di Ilaria e Giada, e si rassegna a starsene chiusa in cameretta, annegando in un mare di tristezza e non riuscendo a vedere prospettive future positive...
Ma la sua famiglia e le sue amiche non si arrendono e continueranno a spronarla ad uscire, a stare con gli altri, a continuare ad essere la ragazza solare e ottimista che è sempre stata e che sicuramente è ancora, nonostante i tanti disagi incontrati (e che ancora ci saranno).
I mesi passano, Angela si butta nello studio, passa a pieni voti l'esame di terza media e si iscrive al Liceo Classico, insieme alle sue due affezionatissime amiche, che non la mollano un attimo.
Non sarà semplice e ogni nuovo giorno porterà con sé una piccola battaglia da affrontare, ma Angela imparerà a lottare, dimostrando tenacia e forza d'animo.
A distanza di un paio di anni dall'incidente, l'incontro con una persona speciale le farà capire che anche nelle proprie condizioni di "diversamente abile" è possibile vivere la propria vita con pienezza e soddisfazione, e la forza che ha scoperto di avere è un bene prezioso da condividere affinchè altri - che vivono situazioni simili alla sua - possano sentirsi motivati ed incoraggiati a non arrendersi, a far sentire la propria voce, lottando insieme per un obiettivo comune, perché l'unione fa la forza e ciò che conta è non abbattersi qualsiasi cosa accada.
"Se il fatto di non essere soli nelle difficoltà ti rende più forte, più capace di resistere alle tempeste della vita, ti fa scorgere la luce in fondo al tunnel, ti regala energie sempre nuove, la consapevolezza che altre persone lottano insieme a te e per te per realizzare un obiettivo comune può farti sentire invincibile."
La storia di Angela, pur essendo drammatica e raccontata con realismo, non ha toni pietistici e non lascia addosso sensazioni di tristezza perché è, al contempo, intrisa di forza, di tenacia, di speranza; è vero, la giovanissima protagonista viene messa davanti a degli ostacoli notevoli, che butterebbero giù il morale di chiunque, tanto più di un'adolescente; le problematiche legate all'essere su una sedia a rotelle non sono poche e l'Autrice, con estrema delicatezza e con un linguaggio semplice, immediato ed efficace, sa come farci sentire gli stati d'animo di Angela, il sapore delle sue lacrime, l'amarezza di non poter rapportarsi con i coetanei con la spontaneità dei suoi anni, ma sorridiamo di tenerezza nel vedere come l'amore dei famigliari e l'amicizia leale e sincera delle due amiche del cuore, siano due pilastri fondamentali, importantissimi per Angela, che si può aggrappare con sicurezza ad essi e trarne forza, coraggio, autostima, fiducia in se stessa.
Di notevole importanza è poi il messaggio riguardante la necessità dell'abolizione delle barriere architettoniche, un limite davvero grande per tanti diversamente abili, che si vedono limitati (più di quanto non lo siano già) nella propria vita sociale a causa della mancanza di attenzione verso le loro esigenze pratiche; ovviamente, si sottolinea anche come le prime barriere a dover essere abbattute siano quelle mentali, a partire dalla terminologia >> disabile - diversamente abile - handicappato - portatore di handicap.
Nota personale: nella lettura, mi sono imbattuta in un episodio in cui la protagonista ha dovuto rinunciare ad andare in spiaggia perché inaccessibile alle carrozzine; ebbene, questa situazione spiacevole si è presentata a me e alla mia famiglia quando ci siamo recati al lido (dove avevamo affittato l'ombrellone) a luglio. Mia madre è disabile (non in carrozzina, usa un deambulatore e/o la stampella) e nessun lido era munito di una pedana per l'accesso ai diversamente abili: constatarlo ha prodotto delusione e amarezza, oltre che uno snervante senso di impotenza e di ingiustizia. Possibile che nessuno abbia pensato che anche una persona con difficoltà di deambulazione potesse avere il desiderio di scendere in spiaggia?
Ci definiamo "società civile", ci sentiamo avanti e progrediti, ma in realtà c'è tanto da fare affinché i diritti di ogni persona a vivere una vita ricca e piena di opportunità siano garantiti e ogni discriminazione venga smantellata.
Consigliato; trovo sia una lettura formativa, utile per chi voglia soffermarsi sull'argomento della disabilità, magari anche proponendola a lettori giovani, della stessa età di Angela.
Ida è una delle tante giovani donne laureate che hanno deciso di lasciare l'Italia per cercare qualcosa di più di un lavoretto sotto-pagato col quale permetterti a malapena l'affitto; ora è a Londra ed è in questa città, di cui è innamorata, che vuol restare. È vero, la fortuna non sembra essere dalla sua parte, e ciò da cui è fuggita (la solitudine, la disoccupazione, i sacrifici mai ripagati adeguatamente...) l'hanno seguita come segugi fedeli.
Lo scoraggiamento è ad ogni passo, resistere in una metropoli multietnica e affollata in cui ci si può sentire più soli che mai, non è affatto semplice. Ce la farà Ida a tenersi stretta la sua amata Londra o tornerà nel suo paese natio, in Veneto, delusa e con un inevitabile senso di fallimento?
MIND THE GAP - Distanze Londinesi
di Luisa Multinu
Aporema Ed. 224 pp 13.90 euro
"Mind the Gap. Magari è proprio quello, il senso di tutto. Fare sempre attenzione al vuoto presente tra l’aspettativa e la realtà. Evitare di lanciarsi con troppa fretta o speranza oltre il limite. Mind the gap, si ripete, between your life and your dreams."
A trent'anni, con una laurea in tasca e tanti sogni nel cassetto, non è semplice adattarsi ad un lavoretto faticoso in un bar londinese, sopportare gli insulti rabbiosi di superiori frustati che ti umiliano ad ogni piè sospinto e rendersi conto, alla fine del mese, che la paga ricevuta è da fame e con essa riesci solo a pagarti la stanza in una casa condivisa con altri ragazzi rumorosi e disordinati.
Questo pensa Ida, che per risparmiare si accontenta di ingurgitare durante il giorno caffè e sigarette, e latte e biscotti a cena.
Nel seguire la protagonista e nell'immergerci nelle sue giornate scandite dal lavoro e dai pochi momenti di riposo chiusa dentro la propria stanzetta, viene spontaneo chiedersi: ma conviene restare in un Paese straniero a fare la fame, a farsi sfruttare da datori di lavoro spocchiosi e tirchi, giusto per poter dire "Vivo a Londra"? Povertà per povertà, non è meglio casa tua, dove almeno hai una famiglia e degli amici?
Ma il problema, per Ida, è proprio quello: in Veneto lei non ha lasciato nessuno d'importante, fatta eccezione per la nonna, l'unica persona che le vuole bene e con cui è in contatto.
Suo padre è morto tempo fa, dopo aver passato gli ultimi anni della propria vita annegando nell'alcool, lontano dalla figlia, che s'è sentita da lui tradita proprio perché amava molto il genitore; la madre di Ida si è rifatta una vita e ogni contatto con l'unica figlia è andato sempre più diradandosi, fino ad arrivare ad una dolorosa e frustrante indifferenza.
Perché tornare in Italia, dove sbocchi professionali non ce ne sono?
Ida è venuta a Londra con poca roba e tanta, tanta speranza di potersi costruire un futuro luminoso.
Da subito, però, ha dovuto scontrarsi con una realtà tutt'altro che facile e con una Londra che non è stata il massimo dell'ospitalità.
Insomma, diciamocelo: le cose non vanno proprio bene, ma Ida non vuol demordere; travolta da una sconfinata passione per Londra e per tutto quanto la capitale britannica rappresenta e contiene, la ragazza stringe i denti e cerca di resistere e restare.
Londra è anche un po' sua, la sente sua, le è entrata dentro; le sue strade, le sue piazze, i suoi locali, i palazzi..., tutto le scorre dentro come il sangue nelle vene. Londra pulsa di vita e lei vuol farne parte, e sa che questo vuol dire prendere ogni giorno a morsi, assecondando la fame di vivere che, di certo, non l'ha lasciata, anzi.
Ma ogni tentativo di auto-incoraggiarsi e di convincersi che rimanere nella capitale sia sempre meglio che tornare in Italia, deve fare i conti con la realtà dei fatti e Ida non è una sciocca o un'illusa: si rende conto che il lavoro al bar è diventato ingestibile, mortificante. Non sarà il caso di compiere un atto di coraggio e andarsene, cercando un'altra occupazione?
E così si infila nuovamente nel circuito sconfortante della ricerca di un lavoro che le consenta di vivere con dignità.
Alzarsi ogni mattina, infilare il cappottino consunto (che neanche la scalda più benissimo, ma è meglio di niente, visto che non può permettersene uno nuovo, per ora) e andarsene in giro per la Londra che ha imparato a conoscere ed amare, a lasciare curricula e candidature, con il cuore gonfio di speranza: questo è ciò che fa ogni giorno, dopo essersi licenziata.
Che cavolo, ci sarà posto anche per lei nell'immensa Londra?
Il lettore fa compagnia alla protagonista ed ella gli fa inconsapevolmente da cicerone, portandolo in giro per la metropoli londinese e facendo sì che la guardi con i suoi occhi pieni di meraviglia, sempre pronti a lasciarsi incantare da luoghi, tramonti, dal cielo troppo spesso grigio e pallido, dal mare di gente di qualsiasi etnia, dai locali sempre pieni, dai giovani in giro la sera a divertirsi.
Mi ha affascinata immaginarmi passeggiare accanto a Ida, e anche a me Londra è parsa incantevole, seducente... ma inevitabilmente ho sentito forte anche la sua consapevolezza di essere sola, smarrita e impaurita all'idea di fallire e di non riuscire ad integrarsi, a realizzarsi, a metter l'uno sull'altro piccoli ma importanti mattoncini di futuro.
Eppure, nonostante le riflessioni di Ida siano per la maggior parte intrisi di tristezza, delusione, timore, solitudine, amarezza e rabbia, ogni volta che qualche brutta sorpresa la butta giù, lei riesce incredibilmente a sollevare lo sguardo e dire a se stessa: Non mollare. Resisti.
"Nonostante la stanchezza e le deprimenti incertezze che sta affrontando, non ha alcuna intenzione di mollare. Dentro di sé, sente ancora forte il bisogno di credere che sia per lei possibile una rivalsa: la conquista della propria felicità. È il desiderio di non arrendersi, nient’altro, che associa alla smania di conoscere e vivere più da vicino la città in cui ha sempre sognato di poter risiedere. Non chiede nulla di speciale, in fondo; le basterebbe soltanto un’occasione. Una chance."
Ida non si ferma e, se un lavoro va male, ne cerca un altro.
Certo, le lacrime scendono - lacrime di rabbia, amarezza, frustrazione, impotenza... -, il morale va sotto i piedi e può succedere anche a una testarda come lei di chiudersi in camera a piangersi addosso..., ma fortunatamente c'è sempre qualche ragione per cui rialzarsi.
C'è qualcuno che le è affezionata e che cerca di scuoterla: Marta, coinquilina spagnola dal carattere effervescente, allegro, ottimista; a costo di risultare anche brusca ed insensibile, Marta prova a dare i giusti scossoni a Ida, quando la vede giù di corda, affinché questa la smetta di lamentarsi ed isolarsi.
Se non ci fosse lei, Ida sarebbe davvero sola a Londra!
Certo, c'è anche un ragazzo delle sue parti, con cui a volte si sente e, più raramente, si vede: Giacomo, sfuggente, riservato, distante. Isa ne è attratta e a volte sembra che lei non gli sia indifferente, altre, lui pare scocciato e scostante.
Come sei davvero, Giacomo? Ci si può fidare di te? Si può contare sulla tua presenza a Londra, dovessi averne bisogno?, si chiede perplessa Ida, rimproverandosi per il suo perdere la testa per i ragazzi sbagliati, che la fanno soltanto soffrire.
Davanti alle cocenti delusioni che le piovono addosso, forse Ida dovrebbe chiedersi se scappare da Londra - che sa essere tanto ricca di fascino quanto crudele e spietata, avara di allettanti possibilità - non sia forse la cosa più saggia a fare.
"Anche lei può trovare il suo posto nel mondo, trovarlo lì, nella città di cui è innamorata, tra le strade che sanno ipnotizzarla e sconvolgerla, prenderla a pugni, ma anche abbracciarla come una madre."
Resisterà, nonostante lavori umilianti, colleghi poco solidali, superiori meschini, rari sprazzi di umanità e di amicizia? Rinuncerà a cercare la propria strada in questa città che ama disperatamente e da cui vorrebbe essere amata nello stesso modo?
"Mind the gap" è un romanzo che, tra citazioni prese dalla letteratura inglese e altre dal mondo musicale punk e britpop, affronta un tema attualissimo, che è quello dei giovani che, carichi di speranza, lasciano il proprio Paese per emigrare e cercare di farsi una vita altrove, là dove son convinti che ci siano maggiori opportunità - di crescita, di studio e di lavoro - per poter dare una svolta alla propria vita e ai propri sogni.
Ma, lungi dal raccontarci le esperienze esaltanti di una protagonista piena di talento, bella e affascinante, che riesce a ritagliarsi in breve tempo il proprio posto in un mondo di avvoltoi, l'Autrice ha scelto di restare coi piedi ben piantati a terra e di levare inutili strati di cipria dal volto della sua Ida, di svestirla dei panni di eroina sempre positiva che, con la sola forza di carattere e le proprie capacità, riesce a vincere ogni ostacolo, e di presentarcela per quella che è: una trentenne che ha difficoltà a trovare una stanza da affittare, figuriamoci un lavoro dai lauti guadagni o uno consono agli studi fatti.
Ida non è una di quelle protagoniste da romanzo alle quali, dopo un inizio duro, poi va tutto bene e il successo arriva all'improvviso; non c'è nulla di dorato o sbrilluccicante, tra queste pagine, non ci sono sconti e baci da parte della dea fortuna; Ida non è sempre allegra, ottimista ed è lontana dall'avere la Sindrome di Pollyanna; anzi, ci sono momenti in cui angoscia e tristezza prendono il sopravvento e i frangenti di gioia sono rari.
Ma proprio per questo è così... vera. Sì, vera, perché lei è ciò che sarebbe qualunque persona al posto suo nelle sue condizioni, e il modo di affrontare i problemi è assolutamente realistico, perché non è facile vivere in queste metropoli, consapevoli di dover fare un mucchio di sacrifici quotidianamente, pagando a caro prezzo il desiderio di integrarsi in un Paese che non è il proprio e che accoglie sì, ma allo stesso tempo ti guarda con indifferenza, anzi, forse non ti guarda proprio perché sei uno dei tanti e quindi un fantasma, uno dei tanti che va ad infoltire la schiera degli invisibili.
Ecco, se dovessi dare un aggettivo a questo romanzo di Luisa Multinu direi che è realistico: racconta la realtà nuda e cruda, senza fronzoli e ottimismi da serie tv; Ida è una giovane donna come tante, la cui prima sfida da affrontare è quella di aprire gli occhi ad ogni alba e iniziare una nuova giornata sapendo che nessuno le regalerà nulla.
Il cielo londinese è troppo spesso nuvoloso e Ida lo sa, e anche nella sua mente si addensano spesso nubi di scoramento; ma sa pure che è sotto quel cielo che vuole stare perché è lì che si sente viva davvero.
Consigliato a chi ha voglia di leggere un libro che ruota attorno ad una protagonista e ad un contesto di vita concreti, veri, con le difficoltà, le speranze, gli scoraggiamenti e la voglia di farcela che, seppur in misura e in modi differenti, fanno parte del vivere quotidiano di ciascuno di noi.
Oggi facciamo un piccolo giro a Londra, per le strade attraversate da Matilda Gray, protagonista di "Il segreto di Riverview College".
Partiamo da una strada percorsa dalla donna per andare in stazione.
King's Road (che deve il nome a re Carlo II), lunga quasi due miglia, parte da Sloane Square e attraversa il quartiere di Chelsea, uno dei più ricchi di Londra.
https://londonita.com/
Matilda lavora al Riverview College (luogo di fantasia), situato nei pressi di Old Deer Park e i Kew Gardens.
Old Deer Park è un'area di spazio aperto all'interno del distretto londinese di Richmond. A dispetto del nome, non vi troverete cervi!
https://www.richmond.gov.uk/
I Kew Gardens sono un esteso complesso di serre e giardini ubicati tra Richmond upon Thames e Kew, a circa 10 km a sud-ovest di Londra; questigiardini botanici - patrimonio mondiale dell’Unesco - ospitano sei meravigliose serre e una straordinaria collezione di piante provenienti da tutto il mondo, tra cui oltre 14 mila alberi.
https://www.visitlondon.com/
https://www.getyourguide.it/
Il negozio del collezionista Mr. Arkwright (luogo di fantasia) è ubicato nell'area di Spitalfields sita nell'East End di Londra; in questa zona c'era uno dei cimiteri romani posti all'esterno del London Wall.
La presenza del cimitero romano è confermata dall'antiquario John Stow sin dal 1576 e fu oggetto di interesse per gli archeologi quando, negli anni novanta, fu ricostruito lo Spitalfields Market.
Il ritrovamento più importante fu realizzato nel 1999 ed era un sarcofago contenente i resti di una donna romana patrizia, vestita con abiti in seta e ornata con gioielli.
(wikipedia)
mercato
Famoso in quest'area è, quindi, l'Old Spitalfields Market, un affascinante mercato coperto dall'architettura vittoriana (risalente al 1876) e considerato uno dei maggiori della città per estensione; si vende di tutto sulle bancarelle, dai vestiti al cibo ad oggetti vari.
A Laurence Pountney Hill si trova la casa di famiglia degli Ancroft, disabitata; e in effetti, in questa zona ci sono le più belle case di mercanti sopravvissute al Grande Incendio del 1666 (fatto menzionato anche nel romanzo).
Laurence Pountney Hill prende il nome dalla chiesa di St Laurence Pountney, una delle 34 chiese bruciate in quell'occasione e mai ricostruita. Il suo cimitero continuò ad essere utilizzato come luogo di sepoltura.
Il nome Pountney deriva da Sir John Pulteney, ricco mercante che, nel XIV secolo, dotò la chiesa di un collegio di sacerdoti e costruì nelle vicinanze un grande palazzo. In epoca Tudor questa grande casa era conosciuta come il Manor of the Rose e ospitava la Merchant Taylors' School dove fu educato il poeta Spenser.
casa elegante situata in questa zona https://commons.wikimedia.org/
Vista di Suffolk House e Norfolk House, 5-7 Laurence Pountney Hill.
Le tombe che si possono vedere in primo piano si riferiscono
all'ex sagrato della chiesa di St Laurence Pountney,
bruciato nel Grande Incendio del 1666.
Entrambi gli edifici furono demoliti nel 1994 (foto del 1968)
La chiesa di St Mary Abchurch, al largo di Cannon Street nella City; di origine medievale, essa fu distrutta dal grande incendio del 1666 e sostituita dall'attuale edificio, ricostruito tra il 1681-87 e restaurato nel 1708.
Risaliva al Medioevo anche St Swithin, una chiesa anglicana sul lato nord di Cannon Street, distrutta sempre dal Grande Incendio di Londra e ricostruita, per poi però essere gravemente danneggiata dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale; i resti furono demoliti nel 1962.
St Stephen Walbrook è un luogo di culto anglicano situato al centro della City e una delle prime chiese ricostruite (nel 1680) da Christopher Wren dopo il Grande Incendio e considerata anche dal nostro scultore italiano, Canova, un vero capolavoro.
St Stephen Walbrook fu costruito sul sito di un tempio romano del II secolo e successivamente di una chiesa del VII secolo.
St. Stephen
Temple Church (chiesa anglicana) si trova tra Fleet Street e il Tamigi. È una delle chiese più belle e importanti dal punto di vista storico di Londra e sul pavimento della zona centrale si trovano 10 lastre lapide e di altrettanti cavalieri Templari sepolti nella chiesa.
Ha quarantacinque anni, Gordon Bloom, da dieci è tra le sbarre di una prigione nel Massachussets e sa che non ne uscirà: su di lui pesa una condanna di ben tre ergastoli e tra queste pagine, che - ci tiene a precisare il narratore - non costituiscono un testamento morale bensì il desiderio di raccontare la propria incredibile storia a un pubblico immaginario, apprendiamo chi egli sia e quali azioni ed avvenimenti abbiano fatto di lui un criminale detenuto in un carcere di massima sicurezza.
"La mia penna (...) vi racconterà di un uomo che ha messo le proprie aspirazioni davanti a ogni altra cosa, infrangendo il muro della legge e distruggendo molte vite, incurante dei princìpi morali che regolano la razza umana. Vi racconterà di come quest’uomo pensasse di controllare gli eventi, e di come questi eventi si siano fatti più grandi di lui e abbiano finito per travolgerlo. Allora, siete pronti? Andiamo."
Se è vero che l’ambiente familiare è il primo (e principale) luogo in cui si sviluppano le fondamenta di una persona - la sua personalità, il carattere, le capacità, le attitudini e i valori -, allora un individuo che nasce in una "buona famiglia", amorevole e dai sani principi, dovrebbe (potenzialmente) crescere in maniera altrettanto sana ed equilibrata.
Beh, non è il caso di Gordon Bloom.
Figlio di due genitori modello, lavoratori, umili, che hanno sempre guadagnato ogni centesimo onestamente, Gordon è cresciuto in una famiglia normale, come tante, diventando però... un pericolosissimo criminale.
Com'è potuta accadere una tale deviazione? Cosa ha portato un ragazzo, nato e cresciuto in una famiglia americana sana, a diventare un pluriomicida?
Gordon ce lo racconta con sfrontatezza, lucidità e un pizzico di ironia, chiarendo come non solo egli non sia affatto pentito di tutte le scelleratezze commesse, ma come sia stato, in un certo senso, costretto a commetterle per cercare di farla franca.
"Non ho fatto il male perché mi piaceva, ma perché mi serviva. Non sono un immorale, sono un amorale".
Gordon sviluppa sin da giovane atteggiamenti egoistici, indifferenti e privi di affetto; sembra non aver bisogno di dare e ricevere amore, tratta tutti con distacco e sufficienza; non ha una grande stima dei suoi genitori e la sorella gli è praticamente indifferente.
Anche quando accetta di compiere un gesto altruistico verso quest'ultima, non lo fa per amore, bensì per opportunismo, per poter ottenere ciò che vuole.
E ciò che vuole è lasciare la famiglia e andare a Boston, a divertirsi, conducendo una vita fatta di agi, comodità, donne... e soprattutto soldi: "quello che mi interessavano erano i soldi, non le persone".
Gordon ha le idee chiarissime: vuole essere ricco, potersela godere come, dove, quando e quanto vuole, senza dover rendere conto a nessuno, senza avere legami personali intimi di alcun genere; per lui le persone acquisiscono interesse e valore in base al denaro e alla possibilità che, tramite esse, egli stesso possa averne sempre più.
A Boston, lasciata l'università (che, a dire il vero, non ha mai frequentato, in quanto vi era iscritto solo per spillare soldi all'ignaro padre), comincia a cercare di guadagnarsi di che vivere facendo il mercante d'arte, vale a dire l'agente artistico di pittori emergenti, alcuni più promettenti di altri.
La sua vita procede allegra e abbastanza soddisfacente, fino al fatidico giorno in cui un cliente importante, Philippe Rogg (imprenditore immobiliare impegnato in grossi affari poco puliti), gli ordina di fargli avere cinque dipinti di un pittore messicano (anch'egli cliente di Gordon), Gondalòn, che ha mostrato di possedere delle ottime qualità artistiche ed è più che pronto per fare carriera.
Il compenso per Gordon è molto alto e lui non vede l'ora di dire a Gondalòn di questo meraviglioso affare; peccato che, per ragioni personali, il pittore non abbia alcuna intenzione di venire in affari con quel delinquente di Rogg, che in passato gli ha rovinato la vita. Di vendergli i propri quadri - che sia uno soltanto o addirittura cinque! - non se ne parla proprio!
Bloom non crede alle proprie orecchie: convinto che non ci sarebbero stati ostacoli di alcun genere, egli ha promesso a Rogg, con la sicumera che gli è propria, di fargli avere quei dipinti... e così dev'essere.
Chi glielo dice a Phil che la promessa di Gordon era campata in aria e non si realizzerà mai perché il pittore lo ritiene un delinquente?
Rogg non è un uomo comprensivo, con cui si può trattare e sperare di ricevere accondiscendenza e simpatia: è ricco sfondato, è potente, temuto, ha al seguito scagnozzi rozzi e animaleschi che non aspettano altro che un suo ordine per riempire di botte o far fuori, se è il caso, il primo che si azzarda a fare arrabbiare il loro padrone.
Gordon va un po' nel panico: proprio ora che la fortuna sembrava sorridergli con un affare allettante, il suo artista di punta che fa? Lo vuole abbandonare e metterlo nei guai!
Il giovane non ci sta: nessuno può mettere i piedi in testa a Gordon Bloom né tantomeno creargli problemi: Carlos Gondalòn ne farà le spese, ma prima il nostro mercante cercherà di risolvere il guaio in cui si è cacciato con una bugia. Una vera e propria truffa..., con la speranza che Rogg non lo scopra mai, altrimenti per Bloom si metterebbe molto male.
Quando il pittore scopre di essere stato preso in giro, va su tutte le furie ma Bloom lo mette a tacere. Per sempre.
A partire da questo omicidio, commesso per non essere lui vittima dell'ira di Phil, Gordon si infila in un meccanismo perverso in cui il male, inevitabilmente, attirerà altro male.
Bloom è un tipo che cerca di cadere sempre in piedi; il suo obiettivo è uscire sempre vincitore da qualsiasi difficoltà e conflitto, ed è disposto a passare sopra il corpo di chiunque pur di riuscire a svignarsela e a sfuggire alle mani di chi lo cerca, polizia in primis.
Eh già, perchè ovviamente i crimini non si fermano, in quanto per coprire un misfatto si renderà necessario compierne un altro e poi un altro ancora.
Insomma, Gordon si dà alla macchia come i briganti di un tempo, e sul suo cammino incontra diversi poveri disgraziati che verranno sacrificati sull'altare della spregiudicatezza di un uomo che pensa solo a salvare la propria pellaccia, e se per raggiungere questo scopo devono andarci di mezzo degli innocenti... beh pazienza, così è la vita: premia i più scaltri, quelli che sanno cavarsi dai guai grazie alla propria intelligenza e determinazione, senza farsi impietosire, senza lasciarsi prendere in trappola da sciocchi sentimentalismi.
Quando Gordon capisce di avere alle calcagna troppa gente - FBI, criminalità organizzata, cacciatori di taglie, giornalisti televisivi... - e, più di tutti, il perspicace detective Primey (polizia di Boston), dalle raffinate capacità investigative, inscena una fuga rocambolesca per tutti gli Stati Uniti.
Pur di non farsi acciuffare, accetta di passare per un fanatico suprematista bianco (una sorta di degenerazione del Ku Klux Klan) e di soggiornare per un po' in un campo di addestramento popolato da militari e civili folli, convinti della superiorità della "razza ariana" e intenzionati a far fuori chiunque sia ritenuto "diverso" e inferiore.
Che Gordon Bloom non riesca a sfuggire alla giustizia non è ovviamente uno spoiler, visto che il racconto della propria vita avventurosa parte proprio dalla consapevolezza che per lui non c'è speranza di libertà; ma la domanda che il lettore si pone, andando verso l'epilogo, è: si pentirà mai del male fatto? Avrà mai un sentimento, anche minimo, di pietà e rimorso per le vite da lui spezzate?
L'interrogativo è lecito, eppure il lettore comprende da subito che Gordon Bloom è fiero di essere quello che è, non è soggetto ad alcuna morale e non ha altri padroni che se stesso.
Nel corso del racconto, il narratore palesa ai suoi immaginari lettori le proprie idee su tante tematiche sempre vive ed attuali: il concetto di dio, l'inutilità di chi dice di credere in lui (se si accetta il presupposto che non esista una divinità al di sopra dell'uomo), le contraddizioni presenti nell'ipotetico rapporto dio-creatura, l'ipocrisia di chi crede di poter giudicare le azioni altrui prendendo a prestito i propri limitati parametri etici e morali, quando poi, se uno fosse tanto onesto da liberarsi da preconcetti e presunzioni, si renderebbe conto che il concetto stesso di giustizia è relativo, e che non ce n'è un solo tipo ma che esso dipende da contesti, ideologie, credenze e costumi propri di un gruppo di persone e in un dato momento storico.
"Io sono Gordon Bloom" è un romanzo ricco di situazioni drammatiche che però vengono raccontate con toni leggeri, essendo il protagonista (e voce narrante) dotato di un grande acume, di una invidiabile scaltrezza, di un umorismo cinico e di una tale sicurezza di sé che sono i suoi punti di forza, ci impediscono di considerarlo un essere spregevole e rendono perfino attraenti le tante peripezie cui va incontro.
È stata una lettura particolare, dal ritmo molto fluido e vivace e in grado di catturare la mia attenzione, proprio grazie a questa narrazione in prima persona coinvolgente, che sa come "pretendere" l'attenzione del lettore perché è a lui che si rivolge in modo diretto, confidenziale, con un tono provocatorio, facendogli domande e quasi sfidandolo a giudicarlo e condannarlo.
Tra le pagine di questo romanzo ambientato nel secolo scorso, il lettore viene trasportato in una Londra affascinante e misteriosa, alla scoperta di un passato che ha ancora tanto da raccontare, e di un segreto lungo quasi duecentocinquant'anni che aspetta di essere svelato.
IL SEGRETO DI RIVERVIEW COLLEGE
di Susanne Goga
Giunti Ed. trad. L. Ferrantini 432 pp
Nel prestigioso Riverview College le studentesse vengono istruite affinché sviluppino le conoscenze e le capacità richieste a giovani donne di buona famiglia, che devono saper stare in società e sfoggiare una cultura invidiabile ma pur sempre consona al loro destino di mogli e madri; tutto ciò che potrebbe anche solo lontanamente essere disdicevole e indecoroso per le ragazze, e mettere loro grilli in testa, solleticando smanie di ribellione e anticonformismo, va frenato, anzi soppresso.
Ragion per cui, la direttrice dell'istituto femminile londinese, Mrs Haddon, è bene attenta a far sì che le insegnanti siano selezionatissime e rigorose nell'attenersi alle regole del College, per il bene delle alunne e per il buon nome della scuola.
Matilda Gray lo ha capito molto bene e cerca in tutti i modi di tenersi questo lavoro - che ama e che le permette di essere indipendente - non venendo meno agli ordini della direttrice, ma al contempo - essendo lei uno spirito libero e un tipo anticonvenzionale - cerca, attraverso le sue lezioni di letteratura, di educare le sue studentesse a ragionare con la propria testa, a sfruttare intelligenza e talenti, a cercare di capire cosa vogliono fare nella vita, per essere donne indipendenti e consapevoli.
Matilda è una giovane donna che vive e lavora nella Londra del 1900; è orfana di entrambi i genitori e le è rimasto un fratello, Harry, il quale però è attualmente in Africa, coinvolto come soldato nella guerra anglo-boera.
Costretta a vedersela da sola per vivere, Matilda Gray ha promesso a se stessa di diventare una donna forte e indipendente, e per adesso può dire di esserci riuscita!
Il suo lavoro l'assorbe molto, ma fortunatamente ha l'opportunità di rilassarsi ogni sera bevendo una tazza di tè assieme alla padrona di casa (presso cui è in affitto), Mrs Westlake, una signora in là con gli anni, simpatica, chiacchierona, apprensiva, che ama intrattenerla lungamente attorno ai personaggi dei propri romanzi (è una scrittrice), chiedendo pareri sulla trama a una divertita Matilda.
Quando a settembre rientra dalle vacanze estive, Matilda apprende una notizia inaspettata, che la sorprende non poco: Laura Ancroft, una delle sue allieve più esuberanti e dotate, è partita per un viaggio con il suo tutore e molto probabilmente non rientrerà a scuola.
Matilda è stupita perché mai avrebbe pensato che una studentessa brillante come Laura potesse abbandonare gli studi, considerato che prometteva molto bene.
La donna si sente turbata e non può non chiedersi se lei stessa possa essere una delle cause dell'allontanamento di Laura da scuola; non è forse vero che tre mesi prima la ragazza, con tutta la passione e il coraggio dei suoi diciassette anni, aveva recitato con fervore i versi di una poesia e confessato a Matilda di essersi innamorata di lei?
Forse Laura non vuol tornare a scuola perché pensa di non reggere l'imbarazzo di incontrare la professoressa Gray?
Ma ben presto Matilda capisce di non essere lei la ragione per cui Laura non tornerà: la ragazza non ha mantenuto i contatti neppure con la compagna di stanza e la stessa preside vuole a tutti i costi mettere a tacere la vicenda.
Come mai?
Tutto tace, finché una mattina di ottobre Matilda riceve una cartolina da parte di Laura (che è ancora in giro per l'Europa con Mr. Charles Easterbrook, il giovane avvocato che si occupa legalmente di lei, dopo la tragica morte dei suoi genitori) e scopre sotto i francobolli un messaggio cifrato, che la conduce proprio nella stanza di Laura: lì si nasconde un vecchio diario segreto! Chi è l'autrice di quel diario, che risale addirittura al 1665? Con esso, c'è anche uno scrigno con dentro degli oggetti particolari... Cosa ha che fare tutto questo con la scomparsa di Laura? E perché la ragazza ha fatto in modo che la sua insegnante ne venisse in possesso?
La donna sente salire l'eccitazione davanti a questi oggetti antichi: a chi appartengono? Quale storia si nasconde dietro di essi?
Per capirci qualcosa di più, le viene consigliato di rivolgersi ad un collezionista, Mr Arkwright, un uomo burbero ma molto colto, che le racconta cose bellissime ed interessanti su una Londra "sotterranea", che riposa sotto le case e il fiume e che ancora fa sentire la sua voce, se la si vuol ascoltare.
Ma l'aiuto di questo collezionista - dal carattere davvero difficile - purtroppo non sarà duraturo e ad affiancare la giovane professoressa curiosa c'è un insegnante di Storia, Mr. Stephen Fleming.
Stephen è un uomo di cultura, è giovane, sveglio e molto, molto interessato al racconto di Miss Gray su Laura e sulle ragioni che l'hanno spinta a cercare lo scrigno e il libricino nascosti a scuola.
I due si fanno coinvolgere a tutto tondo in quella che diventa, a tutti gli effetti, una vera e propria caccia al tesoro; facendo attenzione ai dettagli racchiusi nello scrigno e negli oggetti in esso conservati, e soprattutto grazie al diario di una ragazza vissuta a Londra, Matilda e Fleming risalgono all'epoca cui appartiene questo "tesoro" (il 1665) e mettono insieme i pezzi di un mosaico sì pieno di fascino... ma anche triste, drammatico e doloroso.
La loro sete di verità - che, comprendono col passare dei giorni, li potrebbe portare ad aiutare la giovane Laura, in balia del suo ambiguo tutore - li conduce dritti dritti verso una cantina nascosta sotto una dimora antica e abbandonata, che i più superstizioni credono sia infestata dai fantasmi; ebbene, con coraggio, curiosità e determinazione, i due "investigatori" riescono gradualmente a capire che qualcosa di terribile dev'essere accaduto all'autrice del diario, una ragazzina di nome Kate, e alla sua famiglia.
Non solo, ma Matilda è convinta che la sua alunna abbia cercato di lanciarle un messaggio attraverso il ritrovamento dello scrigno: cosa vuole che capisca la sua insegnante? Davvero ha lasciato volentieri la scuola per fare esperienze di viaggio di gran lunga più importanti ed utili dell'istruzione che stava ricevendo a Riverview?
Inevitabilmente, la ricerca del passato (storie di mercanti, di famiglie tradite e di vite crudelmente spezzate quando Londra era infestata dalla peste) è legata al presente di Laura, ai suoi genitori e al futuro che il suo scaltro avvocato sta tessendo per lei...
E se Laura stesse cercando di chiederle aiuto?
Fleming e Matilda si infilano negli angoli più nascosti della città, con audacia e intelligenza; lavorare l'uno accanto all'altra, come se fossero degli "archeologi" che cercano di portare alla luce verità nascoste sotto cumuli di polvere e anni trascorsi, permette ai due di conoscersi, apprezzarsi, stimarsi.
Matilda è, però, troppo orgogliosa per lasciar trasparire il turbamento che la coglie quando lui la guarda con simpatia e coinvolgimento; e Stephen, dal canto suo, è frenato, trattenuto, pur provando anch'egli un forte interesse per la donna.
Forse la sua è solo timidezza? Paura di ricevere un rifiuto? O c'è una ragione "oggettiva" per cui sta tentennando nel dichiararsi a Miss Gray?
Susanne Goga ha intessuto una trama che personalmente ho trovato avvincente e strutturata in modo vivace ed interessante, ricca di piccole scoperte che il lettore fa con la protagonista e il suo amico, e che svelano segreti, storie e avvenimenti del passato pieni di misteri, di dubbi e domande per le quali bisogna trovare le risposte.
C'è un filo che lega il passato al presente e solo scoprendolo Matilda potrà dare un senso e un fine all'elettrizzante viaggio che le ha fatto conoscere una città nascosta, una "casa sotto la casa", e indirizzarla verso il messaggio che sta cercando di inviarle Laura.
L'Autrice ha scelto uno sfondo ed un periodo storico intriganti, ha creato una storia costellata di enigmi, ha preparato per i suoi protagonisti un'avventura entusiasmante; è un mystery dalle sfumature romance che mi ha catturata, dove l'elemento romantico è appena accennato, come una pennellata delicata che, da un certo momento in poi, attraversa il romanzo ma sempre con discrezione e senza essere mai smielata e stucchevole.
Ritorna - come già in I MISTERI DI CHALK HILL - qualche riferimento a Jane Eyre, ma questo mi è piaciuto molto di più e sono arrivata alla fine soddisfatta e conquistata da ciò che ho letto e da come la Goga ha saputo custodire in uno scrigno una serie di fatti misteriosi e antichi lasciandoci scoprire, assieme a Matilda, le chiavi per scioglierli.
Se vi piacciono le storie ricche di suspense, con diversi ed interessanti collegamenti alla storia (la guerra anglo-boera, la condizione della donna, la peste...) e una protagonista indipendente, intelligente e risoluta, vi consiglio Il segreto di Riverview College.
A fine settembre mi aspetta un altro libro di Piergiorgio Pulixi, che debutta nel Giallo Mondadori con un noir sulle maschere a cui ricorriamo per preservare le emozioni che ci fanno sentire vivi – anche quando potrebbero esserci fatali.
PER MIA COLPA
di Piergiorgio Pulixi
Ed Mondadori 280 pp 17 euro USCITA 28 SETTEMBRE 2021
A volte l'unico modo per voltare pagina è andare via.
È quello che si rassegna a fare la vicecommissaria Giulia Riva, decisa a chiudere una storia clandestina con un superiore che le procura soltanto dolore.
Ha appena chiesto il trasferimento, che al commissariato di Cagliari si presenta Elisa, nove anni e una richiesta che raggela: ritrovare la mamma scomparsa.
Giulia non può tirarsi indietro, anche se Virginia Piras era una moglie e una madre serena, e dunque per sparire così probabilmente è stata uccisa. Ma da chi? E perché?
Tutti sembrano essersi dimenticati di lei, compreso l'ispettore Flavio Caruso, il partner e mentore di Giulia, a cui l'indagine è affidata.
Caruso però non è più il poliziotto di un tempo, e Giulia capisce che potrebbe aver commesso errori fatali.
Così si fa assegnare il caso, nella speranza di risolverlo ed evitare una possibile onta al suo partner.
Non immagina che la ricerca la spingerà a interrogarsi anche sui propri errori passati: perché il cuore ha due lati, uno con cui si ama e uno con cui si odia.
L'autore. Piergiorgio Pulixi fa parte del collettivo di scrittura Sabot creato da Massimo Carlotto, di cui è allievo. Insieme allo stesso Carlotto e ai Sabot ha pubblicato Perdas de fogu (Edizioni E/O 2008), e singolarmente il romanzo sulla schiavitù sessuale Un amore sporco, inserito nel trittico noir Donne a perdere (Edizioni E/O 2010). È autore della saga poliziesca di Biagio Mazzeo iniziata col noir Una brutta storia (Edizioni E/O 2012), miglior noir del 2012 per i blog Noir italiano e 50/50 Thriller e finalista al Premio Camaiore 2013, proseguita con La notte delle pantere (Edizioni E/O 2014), vincitore del Premio Glauco Felici 2015, e Per sempre (Edizioni E/O 2015). Nel 2014 per Rizzoli ha pubblicato anche il romanzo Padre Nostro e il thriller psicologico L’appuntamento.