giovedì 25 luglio 2024

LA STAGIONE BELLA di Francesco Carofiglio [ RECENSIONE ]



Viola ha appena perso sua madre e si sente sola, smarrita, privata del suo unico vero punto di riferimento. La dolorosa assenza, però, fa nascere domande e perplessità sul passato della madre,  su quella fase della sua vita in cui Viola non c'era ancora, di cui non sa nulla e che adesso vuol conoscere, seguendo odori, voci, indirizzi, nomi... in grado di guidarla verso risposte necessarie per ritrovare non solo l'amata mamma ma soprattutto sé stessa.



LA STAGIONE BELLA
di Francesco Carofiglio



Garzanti
288 pp
A quarant’anni Viola è rimasta orfana.
Di madre, perché di padre lo è da sempre, nel senso che non l'ha conosciuto e ha vissuto con quest'assenza come un dato di fatto, un dettaglio della sua vita assodato e immodificabile.
Di quel padre - che da qualche parte c'è (c'è stato) per forza - sua madre Barbara non ha mai parlato, chiudendo ogni discussione e domande nascenti su di lui con la frase "Non abbiamo bisogno di nessuno, noi due".

Per quarant'anni, effettivamente, Viola e Barbara si sono bastate, ma adesso che la mamma non c'è più e restano soltanto le sue cose da portar via da casa, la figlia si sente come una bambina che s'è persa, che ha lasciato d'improvviso la mano al genitore e si ritrova a guardarsi attorno non sapendo che strada prendere.

L'assale una grande infelicità, un'opprimente malinconia e l'amara sensazione di non riuscire a stare nel mondo senza la confortante presenza costituita da sua madre.

Senza di lei, Viola non ha null'altro che dia senso alla sua esistenza.

"Quando Barbara è morta sono rimasta sola, in un fragore immobile, mutilata, immobilizzata in un mondo stretto. Imprigionata dalla libertà di esistere."

Non ha un legame sentimentale (mai avuto nulla di stabile), non ha figli; ciò che prova è tanta solitudine che lei cerca di soffocare come può: attraverso il lavoro, ad es., e andando a nuotare.

Viola nuota, ogni giorno, sin da quando era bambina, ritrovando nell'acqua il suo elemento, in cui si sente sé stessa, a proprio agio, separata dal mondo circostante nel quale, invece, si sente sempre un po' come "un pesce fuor d'acqua".

"È quello che so fare meglio: essere altro da me. Essere altrove."

Viola sembra sempre altrove, come se i suoi giorni fossero un susseguirsi di ore sospese nell’ipnosi leggera di un tempo che scorre lento e scandito costantemente dalle stesse azioni, luoghi, persone, in una continua atmosfera di struggente malinconia.

Anche il suo lavoro - per quanto abbia una componente creativa - porta con sé inevitabili accenti nostalgici e si basa molto sui ricordi e sul tornare indietro nel tempo con la memoria, attraverso odori e profumi unici e particolari.
Nella sua bottega a Milano, infatti, Viola e il suo socio (e amico di vecchia data) Marcello creano fragranze per una Maison francese; nel suo laboratorio ricevono clienti che grazie agli odori cercano, e a volte ritrovano, ricordi d'infanzia che sembravano perduti per sempre e che invece, una volta recuperati, sono in grado di lenire una ferita, di infondere pace, tranquillità.

"Siamo tutti alla disperata ricerca di un segnale, una traccia, qualcosa che riporti al passato e dia un senso al presente."

Viola (laureata in psicologia) ascolta con empatia le storie dei suoi clienti e cerca, con la maestria e la professionalità che le appartengono in qualità di "naso profumiere", di creare essenze e profumi adatti ad ogni occasione, così da aiutare le persone a incamminarsi in un viaggio sensoriale  che permetta loro di riconnettersi con qualcosa che ha a che fare col passato e che desiderano "risentire", ritrovare.

"La commozione dell'olfatto. Gli odori hanno il potere straordinario di raccontare le emozioni, senza passare attraverso le regole dell'intelletto, senza dover entrare nelle strettoie della mediazione linguistica. Ecco, volevo studiare il modo di usare questo potere, e cercare di aprire alcune stanze segrete dell'inconscio."


Viola conosce bene la forte componente emotiva legata a queste esperienze che è lei stessa a rendere possibili con la propria abilità, e quando inizia a riordinare la casa della sua infanzia, dopo la morte di Barbara, succede qualcosa, tra gli odori di canfora e di lavanda: in un cassetto c’è una scatola, mai vista prima, in cui Viola trova lettere, fotografie e un nastro registrato di quando la sua amatissima madre viveva a Parigi, prima che lei nascesse. 

E forse, dentro quella scatola, si nascondono delle verità su Barbara che Viola, pur avendo avuto con lei un rapporto simbiotico e indistruttibile, non conosce.

Viola inizia così a chiedersi quanto conoscesse realmente Barbara e, in effetti, a pensarci ora, la sente e la "vede" per ciò che è sempre stata: inafferrabile, con quegli occhi che si perdevano e andavano lontano, a giorni in cui Viola non c'era ancora e in cui la vita di Barbara era piena di altre persone, altre sensazioni ed esperienze.

È il tempo di Parigi, quando sua madre ha vissuto nella capitale francese da ragazza libera, indipendente, ammirata per la sua bellezza, il suo fascino (la belle italienne la chiamavano gli amici), in cui - scopre man mano leggendo e informandosi - Barbara era un'altra persona: solare, luminosa, piena di vita e voglia di sperimentare, e non la donna assente e riservata che è stata invece in quanto madre di Viola.

"Chi era mamma, prima di me? E poi la domanda alla quale non c'è stata mai una risposta, né mai ci sarà. Chi era mio padre ?"


Chi era Barbara da giovane? Come ha vissuto, chi erano i suoi amici e, soprattutto, chi è l'uomo con cui ha avuto la sua unica figlia? Perché non le ha mai voluto parlare di lui? Forse perché l'ha fatta troppo soffrire?

"Di cosa non abbiamo parlato, mamma?
Quel grumo che ti sei portata dentro, quel dolore. E io quella forma simmetrica di sofferenza, quell'assenza mai colmata che neanche adesso riuscirò a colmare."

Intenzionata ad avere le risposte che cerca, Viola arriva a rintracciare delle persone che hanno conosciuto Barbara quando era nella sua "stagione più bella", quella parigina; per Viola sarà un tuffo in un passato a lei sconosciuto, che sembra quasi quello di un'estranea, ma che in realtà la riguarda da vicino.

La narrazione segue tanto le vicende di Viola (presente) quanto quelle di Barbara (passato), anche se poi il lettore scoprirà il "segreto" di Barbara assieme a Viola, nella sua determinata ricerca dei tasselli che le permettano di completare il puzzle del passato della madre, che è poi è la via necessaria affinché Viola stessa possa trovare quella quiete interiore che sembra essere troppo distante da lei.

Quello di Viola è principalmente un viaggio emotivo che lei intraprende non soltanto per il bisogno di sapere, conoscere, ma ancor prima per dare un'origine, un senso, a "quello stupido dolore del mondo di quando ero bambina", che le sta attaccato addosso e che lei non sa come lasciar andare. 
Viola si sente svuotata dentro ("dimagrita nell'anima") e non capisce perché; si accorge di non essere mai stata davvero felice e si sente continuamente 

"trascinata nelle sabbie mobili di una solitudine compiaciuta, nel mio non essere altro che recipiente di altre vite. Mai viva, io stessa, mai presente."

Un "mal di vivere" che la fa sentire - e la mostra agli occhi del lettore - fragile, piena di contraddizioni e insicurezze, di vuoti affettivi che non sa come e con chi colmare, il che l'ha portata (e la porta ancora) a lasciarsi andare a brevi e fugaci esperienze fisiche (sessuali) in cui a "parlare" e a guidarla sono il suo corpo e quella frenesia, quell'urgenza di chi vuole a tutti i costi sentirsi vivo, come se attraverso l'abbandono al piacere Viola volesse accertarsi di avere ancora e di saper rispondere a sensazioni, impulsi, carezze, baci.
Di non essere morta anche lei come Barbara.

Al centro di questo romanzo vi sono tematiche quali il rapporto madre-figlia (forte, inscindibile, pieno di amore ma non privo di contrasti, acuiti dalla sensazione, che diviene poi certezza, che ci siano dei segreti a dividerle), la perdita di una persona amata, la potenza della memoria e l'aspetto evocativo dei ricordi (solleticato dalle odorose essenze create dalla stessa protagonista), la consapevolezza di come il sentirsi fragili, incompleti, insoddisfatti possa essere la conseguenza di qualcosa di irrisolto e sospeso, il bisogno di scavare nel passato per dare un senso al proprio presente.

Come già mi era successo con "L'estate dell'incanto", anche in questo libro di Francesco Carofiglio ho ritrovato una grande delicatezza e la capacità di tratteggiare con sensibilità i propri personaggi, mostrandocene le tante sfaccettature, le lacrime e gli struggimenti, i momenti di disperazione come quelli in cui si comincia a dar spazio alla speranza.

Mi piace il suo modo di scrivere perché vi (ri)trovo semplicità e chiarezza ma, allo stesso tempo, eleganza e raffinatezza: uno stile di scrittura minuzioso, accurato, in cui ogni parola non è messa lì a caso ma è pensata, scelta, utile a evocare e coinvolgere il lettore, è una qualità che apprezzo moltissimo e che questo scrittore possiede, assieme alla intensità emotiva delle sue storie e dei suoi protagonisti, entrambi carichi di suggestioni e note malinconiche che, lungi dal provocare una sterile tristezza, conferiscono al testo ricchezza, complessità, bellezza, contrasti, introspezione.

Non posso che consigliarne la lettura a chi cerca una storia intima e intensa che porta anche noi lettori in una sorta di viaggio sensoriale, avente una forte connotazione olfattiva grazie alle fragranze di spezie segrete capaci - al pari delle madeleine di proustiana memoria - di far volare la memoria lungo il viale dei ricordi, tornando indietro nel tempo, in quei luoghi in cui siamo stati genuinamente felici, in cui abbiamo lasciato la parte più spensierata di noi e a cui di sovente guardiamo e ripensiamo con uno stato d'animo ricco di malinconia mista a commozione e dolcezza.

 


Altre citazioni

"Ho desiderato scrivere sin da quando ero ragazza, ma ho sempre provato un impaccio nel maneggiare le frasi, le parole in sequenza, il pensiero è sempre stato più rapido, troppo più veloce della mia mano, più denso di qualsiasi parola potesse esprimerlo."

"Comincio a piangere, tanto non si vede, piango e non si vede. Sento il dolore venirmi addosso, penetrarmi, fondersi con me. E io lo accetto, come una cosa dovuta, come se qualcuno lo avesse assegnato, una parte di dolore del mondo che è mia. Sono la custode inconsolata di un dolore inspiegabile."

"Questa sofferenza mi sarà anche utile. Io annuisco. Tutti sanno come funziona, questa faccenda della sofferenza, tranne me. Tutti riescono a riprendersi, a reagire, soltanto io sono dentro una palude e non riesco a uscirne."


6 commenti:

  1. Ciao Angela, non ho mai letto i libri di Francesco Carofiglio, ma ne ho sentito spesso parlare bene e sono molto pubblicizzati. Chissà, magari un giorno ne leggerò uno, anche solo per togliermi la curiosità.
    Un saluto 😘

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    1. Sì, lui e il fratello (Gianrico) sono scrittori piuttosto famosi 😉
      Un abbraccio 😘

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  2. Ciao Angela, anch'io non ho mai letto nulla di Carofiglio, ma prima o poi colmerò anche questa lacuna ;-)

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    1. Un autore da conoscere, sicuramente.
      Ciao Ariel ^⁠_⁠^

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  3. Ciao Angela, leggere le tue recensioni è sempre un viaggio affascinante in cui emozioni e opinioni scandiscono un percorso ben dettagliato. Il romanzo che proponi è sicuramente interessante perché offre l'opportunità di riflettere sui grandi temi della vita. Il rapporto madre-figlia è un legame profondo e unico da proteggere sempre. Un caro saluto :)

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    1. È sicuramente un romanzo profondo, per temi e stile.
      Grazie Aquila per le tue opinioni sempre arricchenti.

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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