La testimonianza vera, lucida, chiara e illuminante di un servitore dello Stato il cui grande lavoro per combattere la Mafia deve restare vivo nella memoria di tutti noi, affinchè del sacrificio di uomini come Giovanni Falcone non resti solamente qualche targa commemorativa nelle piazze o le cerimonie (pur giuste!) tenute una volta all'anno per onorarli, ma si imprima il loro esempio nelle coscienze di ogni cittadino e, ancor più, di quanti hanno il dovere e i poteri per proseguire l'enorme e prezioso lavoro da essi incominciato.
COSE DI COSA NOSTRA
di Giovanni Falcone
(a cura di M. Padovani)
Questo breve libro è la raccolta di venti interviste che la giornalista francese Marcelle Padovani fece al giudice Giovanni Falcone nel 1991, dopo che egli aveva lasciato Palermo; ed è proprio il dottor Falcone, in prima persona, a fornirci dettagliate narrazioni suddivise in sei capitoli, disposti come altrettanti cerchi concentrici attorno al cuore del problema-mafia: lo Stato.
L'analisi razionale ed ordinata fatta da Falcone parte dalla violenza, dai messaggi e i messaggeri, per arrivare agli innumerevoli intrecci tra vita siciliana e mafia, all'organizzazione in quanto tale, al profitto - sua vera ragion d'essere - e, infine, alla sua essenza: il potere.
Giovanni Falcone, ancor prima che un eroe - come giustamente noi tutti lo ricordiamo - è stato un servitore dello Stato.
Uomo appassionato, curioso, preciso, serio nel proprio lavoro non privo di ironia e senso dell'umorismo; da queste pagine emerge tutto il suo essere estremamente corretto e rigoroso negli interrogatori a personaggi mafiosi - i famosi "pentiti" -, ai quali non ha mai mancato di rispetto ben sapendo che per poter indagare al meglio nel fenomeno mafia doveva "abbassarsi" al loro livello, cercare di vedere le cose dal loro punto di vista, quasi ragionando con la loro testa, imparando a riconoscere i significati e le finalità di gesti, sguardi, parole enigmatiche, anche dei silenzi.
Ogni particolare di Cosa Nostra ha infatti un preciso scopo e significato, nulla è lasciato al caso, perchè stiamo parlando di un'organizzazione criminale molto complessa e assolutamente ordinata al suo interno.
Falcone era un siciliano illuminista, convinto che lo Stato possa sconfiggere la Mafia ma perchè ciò avvenga deve fornirsi degli strumenti adeguati.
Era un giudice-eroe scomodo che aveva compreso e spiegato perchè la Mafia siciliana fosse logica, razionale, implacabile molto più dello Stato.
Anzi, la Mafia si fa Stato lì dove lo Stato è tragicamente assente, e lo è quando non accetta di riconoscere l'identità specifica del fenomeno mafia, che è quella di un'associazione criminale seriamente organizzata e gerarchizzata.
Falcone esamina importanti aspetti di Cosa Nostra, come le violenze, che nel corso degli anni sono cambiate, nel senso che Cosa Nostra ha saputo evolversi e modificare anche gli strumenti di morte, cercando sempre di scegliere i metodi più facili e meno rischiosi, che non accendessero troppi riflettori sugli affiliati, sui soldati che di volta in volta obbedivano agli ordini, commettendo crimini feroci.
Sin dai primi anni in magistratura, il dottor Falcone si interrogava sulla mafia e questo suo "immergersi" senza pregiudizi nel complicato mondo di Cosa Nostra ha fatto sì che egli divenisse in grado, più e meglio di tanti colleghi scettici, di comprenderne i messaggi e i loro significati, i modi di comunicare, ottenendo di conseguenza la fiducia di tanti "uomini d'onore" pentiti, che non di rado decidevano di rompere con Falcone (e con pochi altri colleghi) quel mutismo ostinato elargito invece in presenza di altri giudici.
Falcone capisce certe logiche interne e questo gli dà modo di condurre indagini ed interrogatori in maniera proficua, raccogliendo informazioni e materiali importantissimi; ad es, un assunto da cui bisogna partire quando si ascolta un uomo d'onore è che egli ha l'obbligo della verità, non può e non deve mentire (se lo fa è perchè o sa che lui stesso è prossimo alla morte o lo è la persona con cui sta parlando, cui quindi non conviene dire la verità) ma anzi deve attenersi rigidamente a tutta una serie di regole proprie della grande famiglia che è Cosa Nostra.
Questa rigida e convinta - quasi "religiosa" - osservanza agli ordinamenti interni dell'organizzazione - e all'obbligo di verità, in particolare - è stata per il giudice Falcone anche una lezione di moralità, per certi aspetti.
"Ho imparato a riconoscere l'umanità anche nell'essere apparentemente peggiore; ad avere un rispetto reale, e non solo formale, per le altrui opinioni."
L'uomo d'onore ha caratteristiche ben precise e un proprio codice morale da cui non deve discostarsi; ad es., i valori della famiglia, il rifiuto del libertinaggio (e di ogni eccesso in generale), della prostituzione, del gioco d'azzardo.
Questo chiaramente non significa che ci sia la benchè minima ombra di bene in Cosa Nostra: essa è un'associazione di mutuo soccorso, dice Falcone, che agisce a spese della società civile e a vantaggio dei propri esclusivi interessi e dei propri membri.
A Palermo la società sana si mescola con quella mafiosa in un modo sottile e non facile da individuare perchè nel tempo Cosa Nostra ha saputo infiltrarsi nelle pieghe della realtà di tutti i giorni, agendo praticamente indisturbata, acquisendo sempre più forza a causa dell'atteggiamento di tanti (in polizia, in magistratura, in politica...) che l'hanno sottovalutata, e là dove la struttura statale vacilla o non c'è proprio, la mafia sa come riempire il vuoto.
In fondo, per dirla in modo "estremo", la mafia manifesta il bisogno di uno Stato, che però è assente e mancante.
Lo Stato è dunque incapace di battere la Mafia?
Falcone è convinto che la mafia non sia eterna perchè è un fenomeno umano, e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà di certo anche una fine.
E' stato interessante leggere, immaginando di "ascoltarle dal vivo", le parole di questo grande uomo e magistrato, dall'ineccepibile rigore professionale, che mostra una conoscenza enorme della materia in oggetto, scandagliandola in ogni suo elemento, nei suoi rapporti con l'imprenditoria, la politica, la droga ecc.
Non si può non provare ammirazione per la sua precisione e la sua memoria nel riferire fatti, nomi, aneddoti, caratteristiche interne di Cosa Nostra, e ancor di più per la sua determinazione nell'andare avanti con le indagini, i processi, gli interrogatori nonostante le difficoltà e gli evidenti motivi di scoraggiamento, in special modo quando ricorda le tante vittime della mafia (tra giornalisti, colleghi e anche uomini politici) che lo hanno preceduto.
Falcone non smise mai di essere consapevole che doveva stare costantemente in guardia perchè la sua lotta contro la Mafia sarebbe terminata con la sua morte, accidentale o meno che fosse.
"Il pensiero della morte mi accompagna ovunque" e la possibilità concreta di essere ucciso era da lui vissuta con una buona dose di fatalismo.
Gli disse il pentito Tommaso Buscetta, prima di iniziare le sue "confessioni" di collaboratore di giustizia:
"L'avverto, signor giudice. Dopo questo interrogatorio lei diventerà una celebrità. Ma cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. E con me faranno lo stesso. Non dimentichi che il conto che ha aperto con Cosa Nostra non si chiuderà mai. E' sempre del parere di interrogarmi?".
Sappiamo che Giovanni Falcone non si è intimorito ed ha continuato a portare avanti il suo lavoro.
Mi è venuto un nodo alla gola verso la fine di questa lettura, nel cogliere, nelle dichiarazioni dell'intervistato, la malinconica consapevolezza che Cosa Nostra affonda i propri spietati colpi quando si trova davanti a uomini soli nelle loro battaglie; mi è salita una profonda tristezza sapendo che solo dopo poco tempo il dottor Falcone sarebbe andato incontro alla morte - insieme all'inseparabile scorta e alla sua compagna di vita - in quel dannato giorno del 23 maggio 1992 che sarà ricordato come "la strage di Capaci".
" Si muore generalmente perché si è soli o perché
si è entrati in un gioco troppo grande.
Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze,
perché si è privi di sostegno.
In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato
non è riuscito a proteggere."
Forse è superfluo aggiungerlo, ma è uno di quei libri che vanno letti perchè Giovanni Falcone è uno di quegli uomini che merita di essere conosciuto, ricordato, preso come esempio perchè ha affrontato il nemico guardandolo dritto in faccia, sfidando la solitudine e sempre con la certezza che la vittoria nella guerra contro la mafia è possibile.