Lucia Salvo è la tenace e coraggiosa protagonista di questo romanzo storico ambientato nella Sicilia borbonica del 1848, anno di moti rivoluzionari e sommosse in nome della libertà dall'oppressore. Anche questa donna, da tutti considerata una stupida e una pazza, darà il suo contributo alla rivoluzione.
IL MORSO
di Simona Lo Iacono
Ed. Neri Pozza 238 pp 16.50 euro 2017 |
"Lucia non sa in che spazi interiori si annidi l'anima e in quali la vita, ma ha capito che anima e vita prendono strade opposte, alle volte, e che, se la seconda è capricciosa e di passaggio, l'altra è invece paziente e sepolta, segreta...".
Lucia Salvo nel 1847 è una ragazza di sedici anni, vive a Siracusa e sua madre, per contrastare la povertà della famiglia, decide di mandarla a servire in una nobile famiglia palermitana.
Del resto, se restasse a Siracusa, che possibilità ci sarebbero per lei di maritarsi come capita alle sue coetanee?
Lei, Luciuzza, pur non essendo brutta (ha gli occhi come «due mandorle dure»), è diversa dalle altre ragazze: ha una reputazione difficile da ignorare in quanto viene considerata una «babba», ossia una pazza.
Lei pazza non è, in realtà, ha tutte le "rotelle" al posto giusto, ma purtroppo è affetta da una malattia a quei tempi considerata ancora misteriosa, oscura, inquietante, quasi malefica: ogni tanto è vittima di improvvise e violente crisi convulsive, con tanto di bava alla bocca, occhi roteanti all'insù e conseguente perdita della coscienza.
Ogni volta che le accade "il fatto", Lucia si ridesta come un bimbo appena nato, come se fosse morta e poi rinata per l'ennesima volta; la sua malattia, al pari di una maledizione, aleggia pesante sulla sua esistenza, che scorre quotidianamente nel timore che inaspettatamente, senza preavviso alcuno, il fatto possa sopraggiungere e sconquassarla, senza che lei abbia modo di evitarlo.
A quel tempo nessun medico ha saputo formulare una diagnosi, eccezion fatta per un luminare di Londra che al «fatto» ha dato un nome balordo: epilessia; una definizione che i "grandi e illuminati" dottori siciliani hanno accolto con perplessità e scetticismo.
Sono contesti in cui i pregiudizi e le paure irrazionali per ciò che non si riesce a definire si fanno sentire prepotentemente, influenzando la vita del malcapitato, che viene "bollato" come diverso, strano, uno "scemo" da guardare con sospetto o derisione, tutt'al più con pietà.
Giunta a Palermo, presso la casa dei conti Ramacca, la ragazza apprende che il Conte figlio è un giovanotto molto esigente e bizzoso, le cui voglie - tanto a tavola quanto a letto - egli si aspetta che vengano soddisfatte con solerzia; il tutto mentre aspetta che la promessa sposa - la giovanissima Assunta degli Agliata (nobile famiglia palermitana) - "diventi donna", così da poter fare sto benedetto matrimonio.
E' compito del nano al suo servizio, Minnalò, affannarsi per trovare sia serve e prostitute disinibite che lo soddisfino con i loro esperti esercizi d'amore, sia cibi succulenti e variegati che compensino le volte (piuttosto frequenti) in cui il Conte figlio non trova appagamento tra le lenzuola.
Nonostante le tante donne a scaldargli le lenzuola, nel conte figlio c'è una sorta di eterna insoddisfazione che lo spinge a cercare sempre nuove sensazioni, come se nulla, fino a quel momento, fosse riuscito a placare i moti turbolenti della sua anima scontenta, inappagata che, sotto sotto, non desidera solo sesso..., ma forse anche un po' d'amore.
"Che equivoco è mai, si chiede stravolto il Conte figlio, questo essere divorati dal fuoco di un abbraccio? E perché questa sensazione costante di un oltre sempre vietato? Che imminenza cela, questo disperato bisogno? Quale terrore di finire e di perdersi e di dichiararsi falliti di fronte alla morte?"
Sarà che queste donnine che gli trova Minnalò sono troppo arrendevoli, nessuna che cerca di sfuggirli, di resistergli! Così, quando Lucia "a babba", invece di concederglisi sottomessa, gli sferra un morso veloce e ribelle, il conte figlio ne resta piacevolmente stupito.
Inizialmente egli vede la servetta come un trofeo da conquistare:
"...la voglia di Lucia gli stravolge il corpo. Sente la necessità di rubarle qualcosa, quel bene che va difendendo come fosse cosa sua. La verginità e forse l'amore. Tutto ciò che non le appartiene, cioè, e che è stato affidato all'uomo violare."
Intanto, Lucia si affeziona al Conte padre, un uomo di cui si dice che avesse pericolose idee democratiche, rivoluzionarie, progressiste, ma che ormai è ridotto a un vegetale, che non parla, sta sempre a letto, con la mente offuscata dalle droghe somministrategli per farlo stare buono.
La "babba" si prende amorevolmente cura di lui e anzi, sembra che grazie alle sue premure, l'uomo manifesti miglioramenti...
Le cose subiscono una virata significativa quando il Conte figlio e Minnalò assistono sconvolti a una crisi epilettica di Lucia; l'evento turba il nobile a tal punto da decidere di allontanare quella strana ragazza da casa sua e mandarla dagli Agliata.
Da quel momento scatta qualcosa di indefinito nel Conte figlio, che lo induce a mutare completamente atteggiamenti e stile di vita, ad allontanarsi pian piano anch'egli da casa Ramacca e a cercare nella solitudine il senso della propria esistenza e della libertà, quella vera, interiore, che appartiene solo a chi non si rende schiavo della ricerca sfrenata e patetica di piaceri che soddisfino voglie e capricci.
E proprio il desiderio di libertà si sta spandendo, come un profumo forte e inarrestabile, per le strade e i vicoli poveri e sudici di Palermo, dove gruppi di uomini stanno preparando in segreto una rivoluzione che restituisca dignità alla popolazione e cacci via il tiranno, l'usurpatore, l'oppressore borbonico, perchè ormai è arrivata la sua ora, e si sa...
"...niente è più pericoloso di un popolo disperato per la fame".
In seguito a varie vicissitudini, Lucia si ritrova, suo malgrado, protagonista inconsapevole della rivoluzione siciliana del 1848, il primo moto di quell'ondata di insurrezioni popolari che sconvolse l'Europa in quel fatidico anno e che porterà, per quanto concerne il nostro Paese, a quel 17 marzo 1861, giorno in cui nacque il Regno d'Italia.
CONSIDERAZIONI
Le pagine di questo romanzo ci scorrono davanti come un fiume in piena, che travolge e trasporta il lettore in quegli anni frenetici; il linguaggio incisivo, efficace, ricercato, accurato nei particolari ed impeccabile nella prosa, delinea un personaggio femminile di notevole spessore e lo colloca al centro di una storia che mescola fatti e personaggi realmente esistiti con elementi fittizi che impreziosiscono le vicende e il contesto.
Il paradosso che ci sottopone l'Autrice - e che ci induce ad ammirare la protagonista - è come Lucia, considerata da tutti una matta, una minorata innocua, di cui nessun sano di mente sospetterebbe mai, sia per questa ragione lo strumento ideale per raggiungere scopi politici su cui vige il massimo riserbo, quando in realtà ella è una ragazza intelligente, acuta, con un livello di istruzione insolito per una del suo ceto, il che la rende tutto fuorchè una stupida ignorante di cui si può disporre a piacimento.
Fragile e forte al contempo, animata da sentimenti veri, puri, resa viva da un amore acerbo e non vissuto appieno eppure radicato nella sua anima sensibile, nel suo cuore pieno di fervore, nella sua mente colta, fine, Lucia dimostrerà un'ammirevole capacità di sacrificio, che la spingerà a mettere da parte se stessa pur di impedire che l'oggetto del proprio amore venga tradito e ingannato.
Un amore, il suo, nato tra le sbarre di un carcere, tra un uomo e una giovane donna che formano una coppia davvero male assortita:
"una pazza e un detenuto, due mezzi scarti che, accoppiati, fanno uno scarto intero. Hanno imparato quello che imparano tutti gli amanti quando il mondo ci si mette di mezzo: a rendersi creature notturne, notturne, con diritto d'accesso solo nei sogni. Un'altra cosa hanno imparato: a vivere per sempre nell'attesa."
Ho apprezzato molto la bravura della scrittrice nel tratteggiare tutti i personaggi, compresi i secondari, e di trasmetterci sapientemente i loro sentimenti, desideri, infelicità; ad es. mi ha colpito molto il "castrato signorino", una figura quasi angelica, dalla voce sublime, che cammina in punta di piedi all'interno di questa storia, che nulla ha da spartire con la rivoluzione. E come potrebbe essere diversamente? Il castrato è un uomo ma, al contempo, non lo è del tutto, è una sorta di "eterno fanciullo", tutt'altro che virile e forte; il suo sguardo malinconico e mesto ma anche onesto e sensibile è forse il solo in grado di guardare senza paraocchi il Conte figlio, e di essere per lui l'unico vero amico, che lo accetta per ciò che è, per i suoi silenzi come per le sue bizzarìe.
Ma Lo Iacono è brava anche nell'immergere il suo lettore nella Sicilia di allora, e così assistiamo tanto ai vezzi e alle stravaganze dei ricchi, le cui annoiate giornate trascorrono a suon di vizi, cibi appetitosi, amori occasionali, volti incipriati e abiti all'ultima moda, quanto alla colorata e vivace realtà popolare, con le sue strade connotate da odori pungenti, voci sguaiate, mocciosi vivaci e birichini, panni stesi al sole...
In questo romanzo la siracusana Lucia Salvo, donna realmente esistita e che ha davvero dato il proprio consapevole contributo ai moti insurrezionali del 1848, viene legittimamente ricordata, e non è più solo un nome tra tanti, che la Storia tende a relegare in un cantuccio (del resto, è più facile che vengano studiati e ricordati gli uomini che hanno lottato per la libertà, piuttosto che le donne), ma diventa protagonista di una sua storia (anche d'amore), intensa e tormentata, in cui emerge tutta la sua passionalità, la sua purezza, la sua consapevolezza di essere una persona interiormente libera, e di esserlo nonostante l'ombra opprimente del "fatto", che la strazia ma, allo stesso tempo, le dà l'opportunità di rinascere ogni volta, come una fenice che risorge dalle proprie ceneri, e ogni volta acquisisce maggiore forza e uno sguardo insospettabilmente privilegiato da cui guardare il mondo.
Io amo i romanzi storici e mi coinvolgono molto le narrazioni in cui l'elemento fantasioso è così ben inserito in uno specifico contesto storico da non stonare affatto con esso, ma anzi anzi donando noti vibranti e una rinnovata vitalità a fatti, luoghi e personaggi.
Ma Lo Iacono è brava anche nell'immergere il suo lettore nella Sicilia di allora, e così assistiamo tanto ai vezzi e alle stravaganze dei ricchi, le cui annoiate giornate trascorrono a suon di vizi, cibi appetitosi, amori occasionali, volti incipriati e abiti all'ultima moda, quanto alla colorata e vivace realtà popolare, con le sue strade connotate da odori pungenti, voci sguaiate, mocciosi vivaci e birichini, panni stesi al sole...
In questo romanzo la siracusana Lucia Salvo, donna realmente esistita e che ha davvero dato il proprio consapevole contributo ai moti insurrezionali del 1848, viene legittimamente ricordata, e non è più solo un nome tra tanti, che la Storia tende a relegare in un cantuccio (del resto, è più facile che vengano studiati e ricordati gli uomini che hanno lottato per la libertà, piuttosto che le donne), ma diventa protagonista di una sua storia (anche d'amore), intensa e tormentata, in cui emerge tutta la sua passionalità, la sua purezza, la sua consapevolezza di essere una persona interiormente libera, e di esserlo nonostante l'ombra opprimente del "fatto", che la strazia ma, allo stesso tempo, le dà l'opportunità di rinascere ogni volta, come una fenice che risorge dalle proprie ceneri, e ogni volta acquisisce maggiore forza e uno sguardo insospettabilmente privilegiato da cui guardare il mondo.
Io amo i romanzi storici e mi coinvolgono molto le narrazioni in cui l'elemento fantasioso è così ben inserito in uno specifico contesto storico da non stonare affatto con esso, ma anzi anzi donando noti vibranti e una rinnovata vitalità a fatti, luoghi e personaggi.
"L'amore sovrasta la realtà e la percorre come l'odio; si mescola alla vita, si confonde tra la gente; e la unisce, la divide, la scompiglia."
"L'enigma infatti è uno solo, ha presto scoperto: amare o essere amati. Subire l'amore o comandarlo."