domenica 19 marzo 2023

** RECENSIONE ** LA SIGNORA DALLOWAY di Virginia Woolf



Con La signora Dalloway (pubblicato nel 1925) Virginia Woolf, con grande intensità e sapienza narrativa, attraverso il flusso di emozioni e pensieri dei suoi personaggi - di cui ci vengono svelati le fragilità, le luci e le ombre, le sofferenze e i turbamenti - racconta la precarietà della vita e l'affascinante complessità dell'animo umano.


LA SIGNORA DALLOWAY
di Virginia Woolf



Einaudi
trad. A.Nadotti
196 pp
In un tranquillo mercoledì di metà giugno del 1923 la signora Clarissa Dalloway, moglie di un deputato conservatore alla Camera dei Lords, esce di casa con l'intenzione di comprare dei fiori per la festa che terrà la sera nella sua casa e alla quale saranno presenti tante persone, tra cui le altolocate conoscenze del marito.

Mentre passeggia per le strade di Londra, si gode la piacevole mattinata e pensa alla festa, dentro di lei ha luogo un monologo interiore, un affastellarsi di pensieri e ricordi che la portano indietro di vent'anni, agli anni in cui era una ragazza non ancora sposata, con attorno un uomo innamorato come Peter e la bella e vivace Sally come amica (o forse per lei ha provato sentimenti più forti di una semplice amicizia?).

Quante cose possono accadere in un giorno! E quanto e quale valore esse possono più o meno avere a seconda di chi li vive - com'è la sua vita? cosa fa, di che umore è?... -, li osserva, li racconta!

In un giorno qualunque succedono fatti in grado di cambiare la vita ed altri (apparentemente) insignificanti.
La giornata di Clarissa è resa speciale ed eccitante dal fatto che terrà una festa ed infatti è tutta impegnata nell'organizzarla, a cominciare dall'acquisto dei fiori.

Ci sarà anche il suo vecchio amico (e amore di gioventù) Peter Walsh, da sempre innamorato di lei, che non trova pace a motivo di questo sentimento che a nulla lo condurrà, visto che lei è sposata con il buon Richard Dalloway.
E Richard - uomo gentile, discreto, impegnato in politica -, anche lui quel giorno ha qualcosa che lo agita: come tornare di corsa a casa per dire a Clarissa che l'ama! Riuscirà ad esprimere i suoi sentimenti?

Ma ci sono anche persone per le quali un giorno in più da vivere è un giorno in più di sofferenza, di depressione, di malessere.
È ciò che accade a Septimus Smith, un veterano di guerra che ha riportato dei disturbi di natura psicologica (oggi parleremmo con certezza di DPTS); è sposato con la dolce Lucrezia ma il loro matrimonio non sembra infondere gioia a nessuno dei due. Tutt'altro, sta per naufragare e questo non è che un altro dei "crolli" cui sta per andare incontro il povero e provato Septimus, la cui esperienza bellica non lo abbandona, anzi, lo ha seguito come un segugio e continua ad ossessionarlo.
Septmus e Clarissa non si conoscono e non si incontrano, ma a fine libro vedremo che tra essi si crea una connessione (l'amore e il terrore per la vita), che turba Clarissa.

La malattia mentale è un tema caro alla Woolf, la quale, in queste pagine, lo affronta attraverso Septimus (la stessa scrittrice ha sofferto di depressione, esaurimento nervoso; è morta suicida).

Clarissa ha superato i cinquanta, appartiene all'alta società londinese e la vediamo come, vista dall'esterno, si stia dando da fare per un avvenimento di per sé superficiale, frivolo, ma questo atteggiamento riflette ben altro: "c'era nelle profondità del suo cuore una paura terribile".

"Si sentiva molto giovane, e nello stesso tempo indicibilmente vecchio. Affondava come una lama nelle cose, e tuttavia non restava fuori, a osservare. Aveva la perpetua sensazione, anche mentre guardava i taxi, di essere altrove, altrove, in mare aperto e sola; la sensazione che fosse molto, molto pericoloso vivere anche un giorno soltanto."

 In un flusso incessante di parole, pensieri, ricordi, associazioni, emergono desideri, angosce e paure - della solitudine, della morte, della vita -; la paura di non essere vista né riconosciuta, considerata.

"Aveva la bizzarra sensazione di essere invisibile, non vista, non conosciuta; ormai non c'erano più né matrimonio né figli, ma solo questa stupefacente e piuttosto solenne processione insieme a tutti gli altri, su per Bond Street, questo essere la signora Dalloway, neppure più Clarissa, solo la moglie di Richard Dalloway."

Clarissa è una donna sensibile, con il senso dell'umorismo, che ama la vita e la gente e in cui non c'è acredine né "l'ombra di quel disgustoso moralismo così frequente nelle donne perbene." e chi - come Peter - la conosce bene, sa che ha un umore "fluttuante", capace di passare dalla felicità ai cattivi pensieri in un attimo.

Virginia Woolf ha scritto un romanzo che, fondamentalmente, non ha una vera e propria trama; accadono pochi fatti e la maggior parte delle azioni si svolgono principalmente nella coscienza dei personaggi; tutto è concentrato in una sola giornata di giugno a Londra e i piccoli avvenimenti quotidiani sono funzionali al risveglio in Clarissa di tutta una serie di impressioni e ricordi, che le rammentano come l'intera esistenza altro non sia che un continuo divenire.

È un romanzo introspettivo, psicologico, dove è evidente l'uso della tecnica del flusso di coscienza, che esprime mirabilmente tutta la vasta gamma di impressioni - visive, uditive, fisiche -, le associazioni, i ricordi, i pensieri che incidono sulla coscienza dei personaggi.
Ad essere importanti non sono solo i contenuti dei loro pensieri e monologhi interiori, ma ancor prima i meccanismi alla loro base.

Credo si possa dire con cognizione di causa che questo romanzo (ma anche gli altri) di Virginia Woolf rientri tra i libri da leggere almeno una volta nella vita; è un'opera di notevole valore letterario, scritta magistralmente, con un linguaggio altamente evocativo, lirico, di grande intensità.
Confesso di non essere entrata subito in sintonia con lo stile della Woolf ma, proseguendo nella lettura, la sua scrittura e quel filo di sofferta nostalgia che l'attraversa mi hanno sempre più affascinata. 

Citazioni

"...senza dubbio provava ciò che provano gli uomini. Solo per un istante, ma bastava. Era una rivelazione repentina, un tocco lieve come un rossore che si cerca di dominare e alla cui espansione, quando esplode, si cede, e si precipita sul margine ultimo e si trema sentendo che il mondo si avvicina, gonfio di un qualche significato sorprendente, una pressione simile all'estasi, che ne frantuma la crosta sottile e sgorga e si versa con sollievo straordinario sulle ferite e le piaghe!"

"Lei era come un uccello che trova riparo nella conca sottile di una foglia, che ammicca al sole quando la foglia si muove, e sussulta allo scricchiolio di un ramoscello secco. Era abbandonata, circondata dagli alberi enormi, dalle immense nubi di un mondo indifferente, abbandonata, torturata. E perché doveva soffrire? Perché?"

venerdì 17 marzo 2023

[[ RECENSIONE ]] CARNE E SANGUE di Michael Cunningham


Questa è la storia di una famiglia americana composta da uomini e donne dalla personalità complessa, che affrontano singolarmente e assieme piccole e grandi tragedie, ciascuno con i propri demoni, le proprie insicurezze, le ostilità e i tentativi di trovare ed affermare la propria identità.


CARNE E SANGUE
di Michael Cunningham



Ed. La nave di Teseo
trad. E.Capriolo
400 pp
Conosciamo uno dei protagonisti quando, nel 1935, ha solo otto anni.
Constantine (Con) Stassos è di origine greca ed è emigrato negli USA con la famiglia; quando è un giovanotto ambizioso e sicuro di sé sposa la bella italo-americana Mary, gentile e solare.

Come se ci scorressero davanti agli occhi degli scatti fotografici, conosciamo tutta la famiglia mentre è impegnata in diversi momenti della loro vita insieme; incontriamo i figli degli Stassos - Susan, Billy e Zoe - quando sono molto piccoli ma già l'Autore - attraverso gli occhi dei genitori - ce ne dà un'infarinatura circa i loro caratteri, e nel corso degli anni certe caratteristiche non potranno che emergere con chiarezza e orientarli verso quel tipo di vita, di condotta, di scelte, che ora li allontaneranno, ora li riavvicineranno, ora li renderanno infelici, ora soddisfatti.

Susan è la bella di casa e il padre stravede per lei; il suo affetto per Susan è, però, poco "sano", molto ambiguo e crea il formarsi di situazioni che non sono normali tra un padre e sua figlia.
Quest'ultima, proprio per sfuggire a qualcosa che la spaventa, sposa il fidanzato Todd, un giovanotto di buona famiglia, studioso, serioso, con alte ambizioni in ambito professionale.
Ma ben presto, la vivace Susan comincia ad avvertire un grande vuoto, una insoddisfazione verso quella vita matrimoniale - tra l'altro neppure rallegrata dall'imminente arrivo di figli - che le sta stretta, che sta rendendo la sua esistenza piatta e monotona, pur avendo danaro a sufficienza, una bella casa, un marito innamorato e che tante donne le invidiano.

Billy è il cocco di mamma. Sin da piccolo mostra una personalità particolare, fragile e delicata ma, allo stesso tempo, c'è in lui un atteggiamento oppositivo e ribelle verso il padre.
Constantine, infatti, percepisce che il suo unico figlio maschio è troppo delicato, troppo coccolato dalla moglie; sembra quasi.., no, Constantine non vuole neppure pronunciare la parola gay, ma è questa l'idea che danno un certo tipo di gestualità, di modi di parlare... e Con non ne è affatto contento. Un uomo come lui, virile, con tanto d'amanti a rallegrargli i momenti fuori casa, dalla mentalità borghese e perbenista, come potrebbe accettare di buon grado un figlio omosessuale? Giammai!!
Quello tra Con e Billy è un rapporto ricco di episodi di violenza, di parole taglienti, di urla, di silenzi ostinati e pieni di rancore, e nel tempo le cose non miglioreranno, tanto più che i dubbi di Constantine circa l'omosessualità del figlio sono fondati.

E poi c'è la piccola di casa, Zoe: la più strana dei tre figli, uno scrigno chiuso a chiave, che sin da piccina sembra amare la sofferenza, e che crescendo, dall'adolescenza in poi, non farà che "farsi del male" facendo uso di alcool, droghe e psicofarmaci, nonché conducendo una vita sregolata e facendo scelte moralmente discutibili, che bene non le faranno.
Il suo punto di riferimento adulto non è né Mary né Con, entrambi presi dai loro problemi coniugali, bensì una drag queen, il travestito Cassandra, che farà da madre a Zoe (e non solo).

Il romanzo, coprendo un arco temporale che va dal 1935 al 2035, narra gli anni della giovinezza e della maturità dei tre fratelli, si concentra in special modo sul periodo Cinquanta-Sessanta e poi gli anni Novanta, e lo fa ora più dettagliatamente, ora più "di volata", in base all'importanza di determinati avvenimenti, relazioni, disgrazie, incontri con persone vecchie e nuove (amanti, amici...) e scontri con il padre, il quale, anche se man mano pare restare sullo sfondo (in quanto l'attenzione si sposta sui figli, Billy e Zoe specialmente), in realtà la sua ombra, la sua presenza conflittuale, "disturbante", resta sempre lì, come nascosta nell'angolo meno illuminato di una stanza: c'è, anche se si prova a non guardarlo.

Mary, invece, ha un rapporto con i suoi ragazzi meno ostile; ha le sue enormi insicurezze, è essenzialmente sola e infelice, sembra un'anima inquieta e, allo stesso tempo, rassegnata, che nulla si aspetta più dalla vita; ma quando avrà il coraggio di dire basta ad un matrimonio ormai deteriorato, potrà darsi finalmente la possibilità di "ricostruirsi", di sentirsi libera e di agire senza condizionamenti.
Da sempre messa un po' ai margini da questi figli che si sono allontanati sempre più dal nido famigliare, perché tutto era fuorché un luogo rassicurante e amorevole (a causa di Con, essenzialmente), proverà a instaurare con essi (Billy e Zoe saranno quelli che le daranno più spazio) un legame più sincero, onesto, lasciando loro capire che rispetta scelte e stili di vita senza giudicare, ma essendo disponibile ad aiutare e accogliere qualora essi lo vogliano.

Mary trova in Cassandra una cara amica, perché quest'ultima la tratta da subito con rispetto ma anche con schiettezza, senza formalismi e ipocrisie, aiutandola a mettere da parte pregiudizi e mentalità ristrette, perché questo farà bene a lei e al suo rapporto coi figli.

Non voglio dire troppo sulla trama e sulle tante cose che accadono ai protagonisti, vi dico soltanto che le loro vite sono vivaci e ne accadono di cose: tradimenti coniugali, malattie, relazioni naufragate, gravidanze inaspettate, tragedie, qualcuno incontrerà l'amore vero, qualcun altro un vero amico ma non l'amore, ma qualsiasi cosa accadrà alle tre generazioni Stassos, i componenti la vivranno in toto, con tutto il fuoco che hanno dentro, con le loro paure, la voglia di essere liberi, di vivere come vogliono e, se ci scappa, di essere anche un po', se non felici, almeno sereni e, più di tutto, di essere sé stessi.

I protagonisti - con le loro esperienze, i fallimenti e le piccole conquiste personali, con i loro rapporti conflittuali con i genitori e quelli più affettuosi e altruisti tra fratelli - mi hanno lasciato di sovente, nel corso della lettura, una sensazione di solitudine e malinconia; essi sono in continua tensione, alla costante ricerca della propria identità (a cominciare da Bill, che a un certo punto rifiuta il suo nome, quello datogli dal padre, per "battezzarsi e rinascere" come Will), della propria dimensione, desiderosi di trovare il coraggio per vivere liberamente, lasciandosi alle spalle le "zavorre", i pesi e le inibizioni dovuti a quella "rete di guai"  tessuta dai genitori sin dalla loro infanzia.

È un romanzo che si lascia apprezzare per il linguaggio molto realistico, esplicito, asciutto ma che, in certi frangenti, sa essere poetico e commovente e, soprattutto, sa come farci entrare nelle esistenze dei personaggi, lasciandoci camminare accanto ad essi e guardarli mentre prendono decisioni, commettono errori e cercano di dare una direzione alla propria vita che sia coerente con la propria natura, con i propri desideri. Sono personaggi vividi, molto ben definiti e a questa famiglia disfunzionale in qualche modo ci si affeziona, pagina dopo pagina.

Lo consiglio a chi cerca storie di famiglie complicate, disordinate, anticonformiste nonostante il moralismo e il perbenismo di cui sono ammantate, narrate con grande maestria, con forza e sensibilità insieme.

martedì 14 marzo 2023

♠️ RECENSIONE ♠️ OGNI MATTINA A JENIN di Susan Abulhawa

 

"Anche se i personaggi di questo libro sono fittizi, la Palestina non lo è, né lo sono gli eventi storici e i dati riportati in questa storia".

Sono parole di Susan Abulhawa nelle note a fine libro e, anche se le ho lette una volta giunta al termine, è una consapevolezza che ha mi ha accompagnato da subito e durante tutta la lettura: i personaggi saranno pure inventati, e così gli specifici avvenimenti che ne caratterizzano le esistenze, ma ciò che è - purtroppo! - fin troppo reale è ciò che i palestinesi vivono ogni giorno da 75 anni.



OGNI MATTINA A JENIN
di Susan Abulhawa


Ed. Feltrinelli
trad. S. Rota Sperti
400 pp
17 euro
"Il campo profughi di Jenin era lo stesso di un tempo, un brandello di terra di due chilometri quadrati e mezzo, escluso dal tempo e imprigionato in un eterno 1948."

Conosciamo la protagonista, Amal Abulheja, quando è ormai una donna adulta e si trova a Jenin, nei terribili giorni in cui - nell'aprile del 2002 - le forze di difesa israeliane hanno invaso il campo profughi palestinese a Jenin, uccidendo centinaia di persone e compiendo uno spietato massacro.

Pur essendo nata a Jenin, Amal non vi ha trascorso tutta la sua vita; da ragazzina se n'era andata per cogliere l'opportunità di un futuro migliore, e in seguito dovette volare (di nuovo) negli USA per cercarvi rifugio.

Cosa ci fa, allora, nel 2002, nel campo profughi della sua infanzia?

È la sua stessa voce, ripercorrendo un periodo di tempo che va dal 1941 fino ai primi anni del Duemila, a narrarci la storia della famiglia Abulheja: del nonno, il patriarca Yehya, di sua moglie Bassima e dei loro due figli, tutti residenti ad 'Ain Hod, un villaggio della Palestina. 
Ci sembra di vederli, impegnati nella raccolta delle olive e nel condurre la loro vita semplice, come quella della maggior parte dei contadini palestinesi prima che la Nakba ("catastrofe") si abbattesse su di loro nel 1948 e fossero costretti a lasciare i loro villaggi e le loro case, per trovare rifugio in città e terre straniere. 

"Nel dolore di una storia sepolta viva, in Palestina l'anno 1948 andò in esilio dal calendario, smise di tenere il conto di giorni, mesi e anni per diventare solo foschia infinita di un preciso momento storico."

Amal ci racconta di Dalia, la sua mamma beduina, forte, testarda, che ha sposato Hassan (il figlio di Yehya), dandogli tre figli: Yussef, Isma'il e Amal.

Quando Amal nasce (nel 1955), la sua famiglia ha già subito sofferenze, privazioni, espropri, lutti; in particolare, ad aver segnato irrimediabilmente l'animo della povera Dalia è stata la perdita del secondogenito, Isma'il, sottratto alle sue braccia durante la fuga da 'Ain Hod, assediata dalle truppe israeliane nel '48.

Cosa è accaduto al piccolo Isma'il (ancora in fasce) in quel maledetto giorno? Qualcuno l'ha rapito o forse il piccolo è "semplicemente" e disgraziatamente morto nella confusione della gente che correva per le strade disperata?

Durante i primi anni di vita, Amal si è svegliata tra le braccia di suo padre Hassan, respirando l'aroma di miele e tabacco e lasciandosi cullare dall'incanto dell'alba e della poesia.
Ogni mattina quel dolce risveglio costituiva un tesoro speciale per la bambina, cresciuta all'ombra dello sguardo rassicurante e amorevole del suo papà, un uomo semplice e amante della poesia; negli anni, il ricordo di quelle mattine le avrebbe donato il conforto necessario per continuare a vivere nonostante la morte nel cuore.

Amal, nonostante le scarse risorse e la vita non facile in un campo per rifugiati, è una bimba serena, che viene su con un carattere deciso e determinato, sempre pronta a giocare e correre mano nella mano con l'amichetta del cuore (Huda) e a fare da messaggera d'amore per suo fratello Yussef e la ragazza di cui è innamorato, la dolce Fatima.

Ha solo 12 anni quando, nel 1967, vive il trauma della guerra ("dei sei giorni"), che le strapperà via suo padre, ma non Yussef, il quale però di lì a poco deciderà di unirsi alla resistenza palestinese.

In un paesaggio costellato di torrette di controllo israeliane, Amal e la sua gente continuano a vivere un incubo terribile e senza fine. 

"Pervasi dal sapore terroso della morte, quei giorni si conficcarono nei miei ricordi come particelle di polvere insanguinata, come l'odore dolciastro della vita in decomposizione e della terra bruciata. Ci spostavamo, ma senza andare da nessuna parte. (...) Eravamo profughi, tutti quanti. Quelli che erano scappati, erano diventati profughi ancora una volta (...) E quelli di noi che erano rimasti diventarono prigionieri a Jenin."


Sensibile e dalla mente brillante, Amal, come dicevo, non resterà sempre a Jenin, ma prima se ne allontanerà per andare a Gerusalemme, per studiare e concedersi “la possibilità di far fiorire la vita che giace addormentata..." e in seguito, la vita la porterà in America (a Filadelfia) e poi in Libano, dove vivrà momenti di pace famigliare assieme ai cari che le sono rimasti, e la sua vita verrà arricchita dalla presenza di un uomo, che sarà il suo grande amore, da cui nascerà Sara, la loro unica figlia. 
Ma quel miraggio di un'esistenza felice crollerà nel momento in cui, ancora una volta, soffieranno venti di guerra e Israele attaccherà il Libano nell' "Operazione Pace in Galilea".

"...com'era facile usare il termine 'incidente' in Libano – che era anche un'atrocità. Andava al di là di ciò che gli israeliani in altre circostanze avrebbero chiamato atrocità terroristica. Era un crimine di guerra."


➤Le pagine che descrivono l'atroce massacro di Sabra e Chatila (settembre 1982) sono strazianti e leggerle è davvero un colpo al cuore.


La vita di Amal viene nuovamente stravolta, colpita e affondata; anche se ella (con la creatura che porta in grembo) riesce a salvarsi ritornando negli USA, le separazioni, il dolore, la morte... viaggiano con lei, la seguono, e il suo soggiorno americano sarà solo un sopravvivere per amore di Sara ma avendo ormai perduto per sempre ogni gioia e motivo per vivere.

"Mi chiusi in me stessa. (...)
La mia vita sapeva di cenere e vivevo nel perpetuo silenzio di una canzone senza voce. Nella mia amarezza e paura, mi sentivo sola come nella solitudine più nera."

L'Amal madre ripete, suo malgrado, il modello materno: Dalia era stata una madre sì presente e attenta, ma molto riservata e, soprattutto, emotivamente poco generosa; a renderla fredda e chiusa erano state le tante disgrazie vissute e, in particolare, il dolore per la perdita del piccolo Isma'il; quando ci fu la guerra del '67 la sua salute mentale non fece che peggiorare sempre più.
Amal sapeva che sua madre l'amava ma vedeva come non sapesse dimostrarglielo con gesti o parole affettuose; il suo motto era: "Qualsiasi cosa senti, tienila dentro".

Similmente, anche Amal si ritrova ad affrontare i doveri della maternità trattenendo l'amore ardente che prova per quell'unica figlia, barricandosi dietro alle fredde mura della paura e preferendo trascorrere più tempo possibile al lavoro per non permettere all'angoscia di sopraffarla.

Ma il richiamo della Palestina si fa strada prepotentemente nella sua vita in terra americana e una telefonata giunge improvvisa a sconvolgerla, riportandola bruscamente nel passato e, nello stesso tempo, donandole qualcuno che le era stato tolto e che credeva essere ormai perso per sempre: suo fratello Isma'il.

Yussef, Isma'il e Amal: "tre fratelli, emersi dalla culla di una tragedia senza fine. Ciascuno separato dall'altro, ma continuamente inseguiti dai sussurri strappati dalla consapevolezza degli altri."


Yussef, il combattente, colui che non poteva accettare passivamente che altri (gli occupanti) scrivessero per i palestinesi delle vite che non erano altro che prolungate sentenze di morte, degli atroci calvari senza fine. "Io non vivrò questo copione. Se morirò da martire, che sia."

Amal, che ha lasciato il cuore e i suoi affetti più cari in quella terra straziata, dalla quale non s'è mai allontanata davvero, perché "La Palestina ci possiede e noi apparteniamo a lei."

E poi c'è lui, il figlio perduto, Isma'il, cresciuto "dall'altra parte del muro" ma nel cui viso Amal ritrova i tratti delle persone amate.

Imprevedibile come solo essa sa esserlo, la vita ora divide, ora riunisce; come ti lacera strappandoti via con crudele ferocia chi ami, creandoti un vuoto dentro che, per non soccombere, riempi di indifferenza e freddezza, così ti ricorda che lì, in mezzo al petto, c'è ancora un cuore capace di amare.

Susan Abulhawa ha scritto un romanzo che dà voce a chi è stato silenziato a favore di una narrativa "ufficiale" che inevitabilmente distorce la verità, la rende opaca, la nasconde, finendo per ribaltare i ruoli di "aggressore" e "aggredito", di occupante e occupato, di vittima e carnefice.

La scrittrice racconta con sensibilità e intensità la storia di quattro generazioni di palestinesi costretti a lasciare la propria terra dopo la nascita dello stato di Israele e a vivere la triste condizione di "senza patria".

Cercando di raccontare la verità della propria gente e di farlo il più onestamente possibile, l'autrice non si lascia andare a riduttive e fin troppo ovvie demonizzazioni,  non esprime giudizi, ma racconta semplicemente le vicende di una famiglia che, intrecciandosi con la storia della Palestina, diventa simbolo di tutte le famiglie palestinesi: la gioia e la vita degli uni contro la morte e la tragedia dell'esilio degli altri, la guerra, la perdita della terra e degli affetti, la vita nei campi profughi, come rifugiati, condannati a sopravvivere in un eterno stato di sospensione, di attesa che qualcosa cambi, che si possano infilare di nuovo le chiavi in quelle che sono state le proprie umili abitazioni e che possano tornare a vivere in quella terra come avevano sempre fatto.


Leggendo, ci si affeziona ai personaggi: alla tenace Dalia, a questa madre che il dolore ha portato alla perdita della ragione; al coraggioso Yussef, dal cuore grande, tanto da contenere l"amore per i suoi cari e quello per il proprio paese, per il quale è disposto a combattere, a resistere; alla sua Fatima, dolce, allegra, generosa, che è stata come una sorella per Amal.

Soprattutto ci si sente vicini a lei, ad Amal, che vediamo crescere e passare dall'essere una bimba felice a diventare una ragazza chiamata a fare delle scelte per cercare di andare avanti.

La vediamo nelle sue fragilità e contraddizioni, mentre da universitaria e ragazza libera cerca di lasciarsi alle spalle la povera e disgraziata vita di una palestinese circondata da soldati, in una quotidiana condizione di occupazione militare.

Ma anche se per qualche anno vive libera da soldati, trasformandosi in un'araba  occidentalizzata e senza radici, la Palestina riemerge dal profondo del suo cuore senza preavviso, costringendola a ricordare chi è e da dove viene.

Leggendo, si empatizza con queste persone che, "prima che la storia marciasse per le colline e annientasse presente e futuro, prima che il vento afferrasse la terra per un angolo e le scrollasse via nome e identità", conducevano un'esistenza semplice ma serena.
Fino a quel giorno in cui, denudate della propria umanità, furono buttate come spazzatura in campi profughi, lasciati senza diritti, senza casa né nazione, " mentre il mondo si voltava dall'altra parte a guardare e ad applaudire l’esultanza degli usurpatori che proclamavano il nuovo stato che chiamavano Israele."

Tra queste pagine si parla di lotta, di resistenza all'occupante, di amore per le proprie radici, di ingiustizie e morti davanti alle quali o ti rassegni o combatti.

"La durezza trovò un terreno fertile nei cuori dei palestinesi e i germi della resistenza si radicarono nella loro pelle. La sopportazione diventò una caratteristica distintiva della comunità dei profughi. Ma il prezzo che pagarono fu l’annientamento della loro dolce vulnerabilità. Impararono a esaltare il martirio. Solo il martirio offriva la libertà. Solo nella morte potevano essere invulnerabili a Israele. Il martirio diventò il rifiuto supremo dell'occupazione israeliana.".


Ogni mattina a Jenin è un romanzo intriso di profonda umanità: è una storia che ci parla di memoria, di identità (personale e nazionale), di amicizia e amore, di famiglia, di guerre e massacri, di coraggio e speranza. 

E io non posso che consigliarvene caldamente la lettura, che regala molte emozioni, commuove e fa arrabbiare, e soprattutto porta a riflettere su ciò che da decenni accade in questa piccola porzione di terra. 


ALCUNE CITAZIONI 

"Il nocciolo della loro esistenza era il legame con Dio, con la terra e la famiglia, ed era questo che volevano difendere e custodire."

“Possono portarti via la terra e tutto quello che c'è sopra, ma non potranno mai portarti via quello che sai o le cose che hai studiato”.

"Veniamo dalla terra, le diamo il nostro amore e il nostro lavoro, e lei in cambio ci nutre. Quando moriamo, torniamo alla terra. In un certo senso, le apparteniamo. La Palestina ci possiede e noi apparteniamo a lei."

"Ogni centimetro di questa città racchiude i segreti di antiche civiltà, le cui morti e tradizioni sono impresse nelle sue viscere e nelle macerie che la nebbia. (...) Gerusalemme trasmette umiltà. In me suscita un innato senso di familiarità – l'indubbia, inconfutabile sicurezza palestinese di appartenere a questa terra. Mi possiede, indipendentemente da chi la conquista, perché il suo suolo è il custode delle mie radici, delle ossa dei miei antenati."


"Sono figlia di questa terra, e Gerusalemme mi rassicura di questo titolo inalienabile molto più degli atti di proprietà ingialliti, dei registri catastali ottomani, delle chiavi di ferro delle nostre case rubate, di tutte le risoluzioni o i decreti che potranno emanare l’Onu o le superpotenze."


"Pensa alla paura. Quella che per noi è semplice paura per altri è terrore, perché ormai siamo anestetizzati dai fucili che abbiamo continuamente puntati contro. E il terrore che abbiamo conosciuto è qualcosa che pochi occidentali proveranno mai. L'occupazione israeliana ci ha esposto fin da piccoli a emozioni estreme, e adesso non possiamo che sentire in maniera estrema. “Le radici del nostro dolore affondano a tal punto nella perdita che la morte ha finito per vivere con noi, come se fosse un componente della famiglia che saremmo ben contenti di evitare, ma che comunque fa parte della famiglia. La nostra rabbia è un furore che gli occidentali non possono capire. La nostra tristezza può far piangere le pietre. E il nostro modo di amare non è diverso, Amal. “È un amore che puoi conoscere solo se hai provato la fame atroce che di notte ti rode il corpo. Un amore che puoi conoscere solo dopo che la vita ti ha salvato da una pioggia di bombe o dai proiettili che volevano attraversarti il corpo. È un amore che si tuffa nudo verso l’infinito. Verso il luogo dove vive Dio.”


domenica 12 marzo 2023

BREVI MA INTENSI [ libri con meno di 200 pagine ]

 

I titoli che vorrei condividere oggi con voi sono accomunati dal numero limitato di pagine; ma, si sa, il fatto che un libro sia "piccolo"non vuol dire che non abbia tanto da dare.

E allora eccomi qui con una mia personalissima shortlist, di poche pretese e senza dubbio non esaustiva; e anzi, se avete titoli da suggerire, mi farà piacere accogliere i vostri consigli circa quelle letture brevi ma intense che vi sono rimaste impresse.

Precisazione: per libro breve intendo un volume che non superi le 200 pagine.



SOGNI INAFFERRABILI


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Se dovessimo pensare alla figura del sognatore per eccellenza, in letteratura, credo che tanti  penserebbero immediatamente a lui, al romantico protagonista de LE NOTTI BIANCHE di Fedor Dostoevskij (Ed. Einaudi, 158 pp., 2014): una vita chiusa in un mondo di fantasticherie in cui irrompe per un breve attimo la giovane Nasten’ka, che finalmente offrirà per la prima volta al sognatore scampoli di vita vera.
Ma il risveglio arriverà presto, riportandolo alle sue illusioni.

SETA di Alessandro Baricco (Ed. Feltrinelli, 108 pp, 2013): un libro breve, dove contano più i silenzi, gli sguardi intensi, languidi o sfuggenti, i momenti fatti di immobilità o di gesti lenti, accompagnati da una musicalità flemmatica ma insieme suggestiva; in un centinaio di pagine il lettore viene trasportato in una piccola storia effimera ed improbabile, in cui ciò che conta e colpisce non è tanto la storia in sé, quanto l'atmosfera creata dalla penna poetica, ammaliante e musicale di Alessandro Baricco.


DONNE..., DUDUDU'...


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"Mare d'inverno" di Grazia Verasani
 
(Giunti Ed., 176 pp, 2014): un romanzo tutto al femminile che ruota attorno a una solida amicizia: tre donne di oggi, in un'età di bilanci, fatti con coraggio e battute caustiche, dialoghi divertenti e avvelenati, emozioni messe a nudo, verità che non si possono nascondere.

LE DEE DEL MIELE di Emma Fenu (Officina Milena Edizioni, 136 pp., 2019): un piccolo ma ipnotico romanzo che racconta la storia di alcune donne le cui esistenze sono strettamente intrecciate tra loro; a fare da cornice a questi pezzi di vita tutta al femminile, che si snoda attraverso tutto il Novecento, è una affascinante Sardegna intrisa di mito e memoria.


TESTIMONIANZE DI VITA VERA


SHARON E MIA SUOCERA. Diario di guerra da Ramallah, 
.
Palestina
di Suad Amiry
(Ed. Feltrinelli, 135 pp):
con l'ironia e l'intelligenza che la contraddistinguono, l'architetto palestinese Suad Amiry racconta, sotto forma di diario, i grossi disagi vissuti durante i quarantré giorni di coprifuoco imposti dai militari israeliani ai residenti di Ramallah nel marzo 2002. La scrittrice ci "presta" i suoi occhi perché possiamo puntare gli sguardi sui tanti ostacoli quotidiani, le umiliazioni, le sofferenze di chi vive sotto un'occupazione militare, come accade ai palestinesi da 75 anni.

DIECI GIORNI IN MANICOMIO di Nellie Bly (Ed. Clandestine, 127 pp.): quando a Elizabeth Jane Cochran (più nota con lo pseudonimo Nellie Bly) fu chiesto dal direttore del World, il giornale per cui ella lavorava, se accettasse di farsi internare per dieci giorni in un ospedale psichiatrico nell'isola Blackwell, per poter descrivere resoconti dettagliati sul trattamento delle donne recluse e sulla gestione della struttura, ella non si tirò indietro, pur con le iniziali e naturali perplessità.
Grazie alla sua tenacia e intraprendenza abbiamo un racconto preciso, per quanto relativamente breve, delle misere condizioni in cui versavano le donne ritenute malate mentali nei manicomi americani di fine Ottocento.


ATMOSFERE INQUIETANTI


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CORALINE di Neil Gaiman
(Ed.Mondadori, ed.ill, 189 pp.)
: fiaba per ragazzi dalle tinte dark con tutti gli elementi tipici del genere fantasy horror, dalla giovanissima protagonista, curiosa e inconsapevolmente impavida, all'antagonista brutta, dalla presenza di oggetti magici e talismani alla casa apparentemente tranquilla ma poi...


ZUCCHERO FILATO VOLANTE di Fernando Camilleri (Eretica Ed., 140 pp.). Un tranquillo paesino, circondato dal verde di un bosco ameno, viene scosso da una serie di eventi inquietanti, surreali, spaventosi, che vedono come protagonista un ragazzino e il suo incontro con un nano, pronto ad eseguire un macabro piano; e tutto sotto l'influsso della luna che, beffarda, guarda dall'alto compiersi il destino di uomini ignari dei suoi influssi. Breve romanzo particolare e originale nella trama, con elementi fantastici/fantascientifici e sfumature horror, che creano momenti misteriosi, di tensione e suspense durante la lettura.


TU CHIAMALE SE VUOI... EMOZIONI


I PONTI DI MADISON COUNTY di R. James Waller (Ed.Sperling&Kupfer, 192 pp.)un incontro casuale; poche parole scambiate; un pomeriggio
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come tanti, afoso, assolato; due paia di occhi che si incrociano per perdersi l'uno nell'altro e riscoprire insieme la vera ragione per cui sono sulla terra: amarsi. Una storia d'amore intensa, profonda, che supera i limiti della distanza, del tempo, che resta viva nel cuore e nella mente, alimentata da ricordi e lacrime, da pensieri ed emozioni rivissute anno per anno solo nella propria memoria.

A PROPOSITO DI LEI di Banana Yoshimoto (Ed. Feltrinelli, 160 pp.): intenso e suggestivo, questo romanzo è caratterizzato da molta introspezione, flashback, con un filo di suspense e mistero che ci accompagna pagina dopo pagina, assieme alle protagoniste, le gemelle Yumiko e Soichi, nel loro "viaggio" verso la loro libertà interiore, un viaggio difficile affrontato con coraggio; un coraggio che l'uno prende dall'altra con naturalezza, dolcezza, complicità, affetto sincero, attraverso mille domande, ipotesi, volte a cercare insieme risposte utili ad allontanare, una volta per sempre, gli spettri scomodi e dolorosi lasciati in eredità da una famiglia che più complicata non poteva essere.

DIARIO DI UN DOLORE di C.S. Lewis ( Adelphi ed., 85 pp.). L'esperienza del lutto è qualcosa di oltremodo doloroso; non è facile parlare del dolore, non solo perché trovare le parole giuste per esprimerlo è complicato, ma anche perché è qualcosa di molto intimo, che preferiamo tenere per noi, fosse anche soltanto per evitare di apparire deboli o di suscitare compassione. L'autore di questo breve diario autobiografico prova a mettere nero su bianco i propri tristi pensieri, con onestà e precisione.

L'APPUNTAMENTO di Piergiorgio Pulixi (Ed. E/O, 144 pp.): sorprendente noir psicologico, dove la suspense tiene compagnia al lettore dall'inizio alla fine, vengono a galla il marcio e la brutalità latente nell'essere umano, le sue perversioni, la voglia ossessiva di controllo e manipolazione, e ancora il pericolo che questo mondo virtuale, in cui siamo immersi ogni giorno, costituisce per ciascuno di noi e per la nostra privacy, visto che, acquattati nelle fitte e impalpabili maglie della rete, si nascondono lupi alla ricerca di agnelli da divorare.


VITA IN FAMIGLIA


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LE SORELLE LACROIX di Georges Simenon
 (Adelphi, 171 pp.)
: una famiglia in apparenza come tante, in cui sembra regnare l'armonia, la tranquillità; ma, a ben guardare, tra le mura della grande casa dei Lacroix non si odono voci allegre e non si vedono uscire dalla porta persone con un sorriso felice: c'è molto silenzio, poche parole dette a voce bassa, accompagnate da sguardi carichi di diffidenza, di odio e vendetta, di rabbia covata e vecchia di anni. Un'aria vischiosa, cupa ed irrespirabile si percepisce in quella silenziosa dimora; il lettore ne avverte tutta la pesantezza e sente come i personaggi che vi abitano ne siano contaminati, nel corpo e nell'anima

IL POSTO di Annie Ernaux (L'Orma ed., 120 pp). La scrittrice francese Annie Ernaux tratteggia, in questo libro breve e autobiografico, la figura del padre, di quest'uomo prima contadino, poi operaio, infine gestore di un bar-drogheria in una città della provincia normanna, e lo fa con scrupolosità e senza cedere a inutili compatimenti e patetiche nostalgie.


VITE COME LE NOSTRE


UN GIORNO DI FESTA di Graham Swift (Ed. Neri Pozza, 139 pp.): una 
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vecchia e famosa scrittrice si guarda indietro, tornando con la memoria ad un giorno specifico - il 30 maggio 1924, giorno della Festa della Mamma - per raccontare "una storia d'amore" sensuale, breve, proibita, che le resterà impressa negli anni in ogni particolare, come un dolce segreto da custodire gelosamente.


VELOCE LA VITA di Sylvie Schenk (Keller Ed. 176 pp.): tra leggerezza e malinconia, la storia di una donna, della sua forza, delle sue scelte e dell'amore, dei libri letti, dei desideri, di ciò che unisce e divide popoli e lingue differenti, delle ombre e delle colpe che ci portiamo dietro - a volte anche quelle di cui non siamo responsabili -, della drammatica velocità con cui passa il tempo e con cui anche la vita più piena, alla fine, si consuma.


UN CLASSICO È PER SEMPRE


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LADY SUSAN di Jane Austen
 
(Newton Compton Ed., 128 pp)
: novella scritta in forma epistolare basata su una protagonista dalla personalità assolutamente forte, determinata e carismatica,  Lady Susan appunto, che grazie alla penna elegante e arguta di Jane Austen, fa breccia nel cuore dei lettori, che finiscono ammirarla divertiti per la sua sfacciataggine e la spontanea sfrontatezza che guida le sue azioni.


IL VIAGGIATORE INCANTATO di Nikolàj Leskòv (Adelphi, 182 pp): racconto del 1872 in cui predomina la figura di un monaco sui generis, Ivan, cantastorie che narra ad ogni capitolo  un particolare episodio della sua vita, che risulta divertente e assurdo insieme, a metà tra fatti realistici e altri decisamente favolistici.

mercoledì 8 marzo 2023

🪵 RECENSIONE 🤎 LA STRADA PER VIRGIN RIVER di Robyn Carr (#1)

 

Lui non ha mai avuto relazioni d'amore serie, né è intenzionato a cercarsele; lei sta cercando di riprendersi da un grave lutto che l'ha destabilizzata e le ha chiuso il cuore, convincendola che molto probabilmente non ci sarà più posto per un altro grande amore nella sua vita (non subito, almeno).
Ma anche a Virgin River, in una piccola e tranquilla cittadina incastonata in un paesaggio paradisiaco, la vita sa essere imprevedibile e donare numerose sorprese.



LA STRADA PER VIRGIN RIVER
di Robyn Carr


HarperCollins Italia
trad. C. Rey
378 pp

"Cercasi ostetrica / infermiera professionista a Virgin River, popolazione seicento abitanti. Il tuo lavoro ideale sullo sfondo delle imponenti foreste di sequoie e dei fiumi cristallini del Nord California. Cottage incluso senza spese di affitto".

Melinda Monroe è un'infermiera specializzata e ostetrica, vive a Los Angeles ma sente l'urgente bisogno di cambiar vita, radicalmente, così risponde all'annuncio di cui sopra e accetta l'incarico.

Ad assumerla è una benefattrice del posto, Hope McCrea, che le ha assicurato che ad accoglierla ci sarà uno chalet delizioso e ben arredato.

Ma quando giunge nel paesino di montagna di Virgin River, il benvenuto non è dei più incoraggianti.
Il vecchio dottore, Doc Mullins, al quale deve affiancarsi, non la vuole: è burbero e poco gentile, e non fa nulla per nasconderle che lui non la vuole un'infermiera tra i piedi, perché - nonostante l'età - è in grado di vedersela da solo con i suoi pazienti, come ha sempre fatto.

Alle resistenze di Doc si aggiungono le condizioni dello chalet: sporco, incasinato, maleodorante, con la veranda a pezzi, materassi ammuffiti..., insomma una tragedia!

L'unica nota positiva è costituita dal bar (l'unico) e dal suo proprietario, il bello e affascinante Jack Sheridan.

Jack è ammaliato dalla bella bionda che dovrebbe fare da infermiera a Virgin River; i due da subito entrano in sintonia, chiacchierano, ridono..., il feeling è evidente e anche quel pizzico di attrazione che a Jack mette qualche brivido e a Mel...
A Mel spaventa, confonde.

Lei è vedova da solo un anno e ha deciso di lasciare Los Angeles per elaborare il lutto, per sfuggire al dolore e trovare nuovi stimoli per continuare con il suo amato lavoro in un luogo diversissimo dalla grande città e, si presume, più tranquillo.

Quello che non può immaginare è che pure la bellissima Virgin River conserva il suo carico di imprevisti, belli e brutti, e di sorprese, che metteranno Melinda davanti alla scelta: restare in quel posticino dimenticato dal mondo o tornare tra grattacieli, boutique e ritmi frenetici?

Lei vorrebbe andarsene e anche subito, ma qualcosa comincia a trattenerla: una neonata viene trovata abbandonata sulla soglia dell'ambulatorio di Doc e Mel non può certo infischiarsene, così decide di restare almeno fino a quando la piccola (alla quale lei stessa dà il nome, Chloe) non avrà trovato una giusta e sicura sistemazione.
Poi si aggiungono altre donne incinte che le chiedono di seguirle, e poi Jack - che non vuole lasciarla partire - le sistema lo chalet, che diventa stupendo e confortevole.
E ancora, pian piano pure Doc comincia ad ammorbidirsi e ad ammettere che la presenza di Mel è un dono per i cittadini...: tante sono le cose che succedono e che contribuiscono a convincere la bella Melinda a restare, a dare una possibilità a Virgin River e, soprattutto, a sé stessa.

"Sono venuta qui perché credevo di aver perso tutto..., e ho finito per trovare molto di più... tutto quello che ho sempre desiderato. Sì, resterò (...), questo è il mio posto. Qui è casa mia".

Il primo romanzo della serie su Virgin River è il classico romance contemporaneo che procede con molta scorrevolezza, con abbondanza di dialoghi, tanti personaggi che intervengono a creare dinamiche, imprevisti, così da rendere quel paesino di montagna tutto fuorché noioso.

Virgin River è, infatti, una località stupenda dal punto di vista naturalistico, e vivace da quello umano: sì, gli abitanti possono sembrare dei sempliciotti abituati a una piccola realtà, con una mentalità "di paese", ma questo non vuol dire che non ci siano problemi anche lì, a cominciare dai coltivatori di erba (situati nei dintorni), che non sono proprio persone rassicuranti e, anzi, possono risultare pericolosi.

Per il resto, si respira aria di comunità: le persone si conoscono, si fanno visita, prendono sempre tè nelle case di tutti, spettegolano l'uno sull'altro ma poi, se c'è da dare una mano, non si tirano indietro; Mel mai avrebbe immaginato di potersi ritirare in un luogo del genere, di non indossare stivali da centinaia di dollari, di trovare adorabile trascorrere le serate a sorseggiare una birra al "Jack's bar", e di trovare attraente lo stesso Jack.

Il pensiero del defunto marito, l'amore vissuto con lui, è ancora così forte in lei che Mel non sa se sia davvero pronta per aprirsi ad una nuova relazione, per voltare pagina...
E poi lo stesso Jack - un ex-marine che non parla sempre volentieri del suo passato da militare - non sembra intenzionato a intrecciare legami seri, abituato com'è a posarsi di fiore in fiore.
Ma alla magia di Virgin River non si può resistere facilmente e i cuoricini sono assicurati :-D

Consigliato a chi ama il genere, a chi cerca una storia d'amore dolce, semplice, inserita in uno scenario country, gradevole e che trasmette serenità.

Sto proseguendo con la serie, che si lascia guardare con piacere e, anzi, devo confessare che i cambiamenti apportati alla trama e ad alcuni personaggi li preferisco, rispetto a ciò che succede nel libro, che quindi risulta un po' più "piatto" rispetto alla serie tv.

lunedì 6 marzo 2023

► RECENSIONE ◄ PICCOLE COSE DA NULLA di Claire Keegan



La vita è scandita da tanti eventi e relazioni importanti, che la rendono unica, ma anche da piccole azioni quotidiane, che danno ad ogni giorno il suo valore; valore di cui spesso non ci accorgiamo, presi come siamo dalle svariate incombenze in famiglia, a scuola, al lavoro...
Il protagonista, però, è un tipo che fa caso alle "piccole cose da nulla" ed è serenamente soddisfatto e grato di quel che è e di quel che possiede, e sa che se vuol essere felice deve continuare a vivere tranquillamente come sta facendo, evitando colpi di testa e strambe curiosità per fatti che non lo riguardano.
Ma l'incontro con qualcuno meno fortunato di lui lo induce a riflettere e a chiedersi: come posso continuare ad occuparmi delle mie piccole cose di ogni giorno, ignorando il dolore e i problemi altrui, se è in mio potere dare aiuto?



PICCOLE COSE DA NULLA
di Claire Keegan


Ed. Einaudi
trad. M. Pareschi
104 pp
"...giunse alla conclusione che niente accadeva mai due volte: ognuno ha a disposizione giorni e possibilità che non torneranno più. E non era forse meraviglioso starsene fermi in un punto e lasciare che il presente per una volta ci ricordasse il passato, per quanto doloroso, invece di scrutare continuamente il meccanismo dei giorni e i guai a venire, che forse non sarebbero nemmeno arrivati?".

Il quarantenne Bill Furlong è un onesto commerciante di carbone e legname che nel periodo invernale lavora tantissimo e guadagna altrettanto; il gran freddo non piace quasi a nessuno, ma se gelo e basse temperature vogliono dire "più richieste" di carbone e legna, e beh, il nostro uomo non può che sfregarsi le mani dalla contentezza.

È quasi Natale e Bill non fa che girare per fattorie e villaggi con il camion carico di legna, torba e carbone, rifornendo case e istituti, conventi compresi. 

La neve scende su New Ross, una tranquilla cittadina irlandese, mentre le famiglie aspettano il Natale occupando il tempo con le azioni tipiche di questo periodo: si va a messa, nelle case si sente il buon profumo dei dolci natalizi..., insomma, la solita vita.
Bill è un brav'uomo, sposato con Eileen; la coppia ha ben cinque figlie, tutte educate, diligenti a scuola; la più grande aiuta il padre in azienda e qualcun'altra va nella scuola adiacente il convento per  studiare canto.

Non si può lamentare, Furlong, assolutamente no, tanto più se si guarda indietro: lui è il figlio di una ragazza madre, non ha mai saputo l'identità del padre biologico ed è cresciuto in casa Wilson, dove la caritatevole padrona di casa ha lasciato vivere e lavorare sua madre e ha dedicato non poche attenzioni proprio a lui, Bill, che quindi è stato tirato su in un ambiente sereno, stimolante, sostenuto dalle amabili attenzioni della signora.

È stata una vera fortuna che la padrona si sia fatta carico di lui e della sua povera mamma, perché altrimenti chissà che ne sarebbe stato di loro!
Forse proprio il fatto di essere cresciuto provando una sincera gratitudine verso la propria benefattrice, fa sì che anche adesso che è adulto, con una famiglia e un lavoro rispettabili, Furlong non smetta di essere riconoscente, di dare valore e importanza a quelle che lui chiama "le piccole cose da nulla" e alle quali si ferma a pensare mentre osserva ciò che accade intorno a lui.

Ciò che gli accade intorno.
Ma forse certe volte è meglio non guardare, non sapere, non fare domande.
Farsi i fatti propri, insomma.

Ma Bill Furlong, che tanto deve a un'estranea che avrebbe potuto infischiarsene di lui e di sua madre e non l'ha fatto, non è il tipo che si gira dall'altra parte.
E se finora l'ha fatto, qualcosa potrebbe convincerlo a non farlo più.

Un giorno porta il carbone al convento St Margaret, di cui si dicono tante cose. 
Tipo che le suore accolgono ragazze "deviate", ribelli, incinte, signorine che hanno avuto una condotta immorale e discutibile e che la famiglia manda lì perché siano "corrette", rieducate, "raddrizzate".
Tipo che queste ragazze, tra le mura di istituti religiosi come quello (e ce ne sono diversi, in Irlanda), vengono trattate molto male, con troppa durezza, sfruttate, costrette a lavorare nelle lavanderie tante, troppe ore al giorno.

Tante cose si sussurrano, si dicono sottovoce e vanno di bocca in bocca, da un orecchio all'altro, ma chissà quanto e cosa sia vero, poi!

Bill ne avrà un piccolo assaggio... e non gli piacerà.
Sarà un assaggio amaro, che gli smuoverà qualcosa dentro, che non lo lascerà tranquillo né tanto meno indifferente.
Certo, pensare ai fatti propri e chiudere la bocca sarebbe meglio e, agli occhi dei più, saggio; ma per Bill è il momento di seguire il cuore, di dare un senso a quel Natale, affinché non resti una festività fatta solo di regali e scambi di auguri, bensì sia accompagnata da gesti veri e concreti di generosità e solidarietà.

"...si ritrovò a domandarsi che senso aveva essere vivi se non ci si aiutava l’uno con l’altro. Era possibile tirare avanti per anni, decenni, una vita intera senza avere per una volta il coraggio di andare contro le cose com’erano e continuare a dirsi cristiani, a guardarsi allo specchio?"


Sin dalla dedica scritta in apertura al romanzo, veniamo messi davanti al fatto storico cui si fa riferimento in queste pagine: le Case della madre e del bambino e le Magdalene Laundries sparse sul territorio irlandese (anche in Inghilterra) a partire da XIX sec. e anche nel XX; l’ultimo istituto è stato chiuso solo nel 1996!

Le “Casa Magdalene” ospitavano ragazze orfane o considerate "peccatrici" per la loro condotta contro la morale; in queste comunità, le ragazze – alcune anche molto giovani – venivano trattenute spesso contro la propria volontà (su esplicita richiesta dei famigliari) ed erano costrette a lavorare secondo ritmi estenuanti e svolgendo mansioni faticose.
Con la scusa di doverle educare e di "aiutarle" ad espiare i propri peccati, queste giovani venivano in realtà sfruttate, in particolare nelle lavanderie... in cui lavoravano praticamente gratis, visto che non venivano di certo pagate e vitto e alloggio non erano granché.

Ma torniamo al romanzo.

Preciso subito che stiamo parlando di un libro di circa cento pagine, per cui se vi accostate ad esso con l'intenzione di poter approfondire l'argomento in questione, vi dico che non è la lettura che fa per voi.
L'obiettivo dell'autrice non è descrivere i fatti drammatici attinenti le Magdalene Laudries, quanto quello di raccontarci una storia che, a primo impatto, ha i contorni di una fiaba.

Il protagonista è davvero una brava persona, che ben si presterebbe a un racconto edificante, per di più inserito in una cornice natalizia, tutta fiocchi di neve, dolcetti e calore nelle case riscaldate dalla legna che lui stesso vende; e poi una moglie saggia, cinque figlie obbedienti, un passato modesto ma in fondo decoroso e non così triste, vissuto sotto l'ala protettrice di una signora buona che gli ha voluto bene.

Ma Bill ci porta fuori da questa cornice e ci dice: non dappertutto si respira un'atmosfera di misericordia cristiana e di benevolenza..., e questa constatazione è ancor più amara se parliamo di istituti religiosi.

È un romanzo piccolo, come piccole sono le azioni quotidiane e rassicuranti che avvolgono l'esistenza di Bill, fino al giorno in cui egli decide di mettere il naso fuori da quel contesto confortevole, a cui è abituato e in cui sta bene; è come se fino a quel momento avesse vissuto in una bolla fuori dal tempo che ora è scoppiata, rivelandogli qualcosa di brutto, che lo turba e gli impone di non starsene con le mani in mano.

Un libro pieno di buoni sentimenti, una sorta di mini coccola letteraria, da gustare mentre si è al caldo, con una tazza fumante in mano, e magari mentre fuori piove (come sta accadendo adesso, che sto scrivendo).
Mi è piaciuto lo stile della scrittrice, che ha un modo di narrare delicatissimo, quasi poetico, come se fossimo davvero in una favola contemporanea; il velo aperto sulle meschinità perpetrate nelle Case Magdalene è interessante e invita il lettore a informarsi e saperne di più.
Se ci fossero state altre pagine, lo avrei gradito di più, perché così com'è mi ha lasciato una sensazione di sospensione, di incompiutezza.

Consigliato a chi cerca un libro non impegnativo (ma non per questo banale o superficiale), che si legge davvero in poco tempo e che ha il tocco di una lieve carezza: quella carezza data da chi non è indifferente alle sorti del prossimo e non smette di interrogarsi e di rendere significativi i piccoli, grandi gesti che danno valore ad ogni singola esistenza.

Chi desiderasse avere un'infarinatura circa le lavanderie Magdalene, può dare un'occhiata qui:




sabato 4 marzo 2023

FEBBRAIO 2023, TRA LETTURE E SERIE TV

  

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Ed eccomi con il riepilogo del mese di Febbraio.

Partiamo dalle letture: cartacei, audiolibri e libri in formato digitale.


CARTA E INCHIOSTRO


LIBRI IN FORMATO DIGITALE:

AUDIOLIBRO

UNA DONNA IN FUGA di L. Castillo: poliziesco.Una poliziotta sta fuggendo da qualcuno che la vuole morta. Ad aiutarla, un Amish e una poliziotta (ex-Amish). 4/5.

Tra le letture "febbraiole" che menziono ci sono IL TAVOLO BLU, per lo stile delicato con cui l'autrice ha scelto di raccontare tre donne forti e vulnerabili allo stesso tempo; I NOSTRI CUORI 

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PERDUTI perchè è un distopico in realtà non molto lontano dai nostri tempi, sempre più di frequente caratterizzati da comportamenti razzisti e descriminatori.


Per quanto concerne specificatamente la Reading Challenge, gli obiettivi del mese di febbraio prevedevano  la scelta fra tre autori e il romanzo della Mazzantini.

Io ho scelto quest'ultimo: MANOLA : due gemelle antitetiche si lanciano in una lunga e surreale confessione; bizzarro nei contenuti, originale dal punto di vista linguistico (3/5).


CITAZIONE DEL MESE

"L’anima è in pace solo nei luoghi che conosce."
(Una minima infelicità, C. Verde)

"Le radici del nostro dolore affondano a tal punto nella perdita che la morte ha finito per vivere con noi, come se fosse un componente della famiglia che saremmo ben contenti di evitare,ma che comunque fa parte della nostra famiglia". (OGNI MATTINA A JENIN, Susan Abulhawa)


SERIE TV

Come già detto due post fa, sono finita in un paesino quasi-bucolico negli USA: Virgin River.

Ci sono arrivata in compagnia di Mel (Melinda) Monroe, determinata a lasciare la sua agiata
vita a Los Angeles e ricominciare da zero.
Perché questo drastico cambiamento - scoraggiato da amici e famigliari, in particolare dalla sorella maggiore Joey, che la vorrebbe con sé in Colorado? 
Mel un anno fa è rimasta vedova; non solo, ma lei e l'amatissimo marito Mark avevano da poco anche perso una bambina (nata morta a causa di complicazioni durante il parto), per cui a una tragedia - vissuta in coppia - si è poi aggiunta la morte improvvisa di Mark.

Per la povera Mel tutto questo è troppo, per cui non le resta che lasciarsi, per quanto possibile, il passato alle spalle e provare a cambiare decisamente aria.

In tutti i sensi, in questo caso.

Virgin River è sinonimo di aria purissima, meravigliosi laghi, boschi di sequoie, cielo azzurrissimo, prati che in primavera sono distese di un verde brillante...
Certo, Mel ci arriva in una stagione fredda, con tanto di brutto tempo, fango..., insomma, l'accoglienza non è delle migliori.
Al suo arrivo, però, è convinta di trovare ciò che l'è stato promesso: un meraviglioso e caldo chalet, dotato di tutti i comfort.
A offrirle l'allettante sistemazione è stata Hope McCrea, la sindaca di Virgin River, nonché colei che l'ha assunta per telefono.
Mel è un'infermiera specializzata e ostetrica e da quelle parti c'è un gran bisogno di una professionista come lei, anche perché il dottor Mullins è in là con gli anni e necessita di una valida collaboratrice.
Il contratto è di un anno, poi Mel potrà essere libera di andarsene.
Ma quando giunge nella località di montagna, si rende conto che... nulla di quanto aveva immaginato c'è!
Lo chalet è in condizioni disastrose e invivibili; Hope è scontrosa e poco propensa ad ammettere di aver mentito a Mel; l'auto si ingolfa a causa di un tempo terribile; Doc Mullins (il medico con cui deve lavorare) non la vuole un'infermiera tra le scatole e spera di indurla a fuggire a gambe levate con la propria ostentata maleducazione.

Insomma, una tragedia, altro che cambiar vita!! L'unico aspetto positivo è il bar di Jack Sheridan.
E Jack, ovviamente.
Jack è il proprietario dell'unico bar della cittadina ed è un bell'uomo attorno ai 40, possente, fisicamente ben piazzato e tanto, tanto gentile.
Quando vede la bella infermiera bionda che viene da Los Angeles, i suoi occhi si spalancano: e quando gli ricapita una pollastrella così in quel posto dimenticato dal mondo??
Comincia così il suo "piano" per fare in modo che la bellissima Mel resti tra loro.

Mel vuole andarsene, ne è convinta.
Ma intervengono alcuni eventi a convincerla a prolungare il suo soggiorno in quel paesino in cui tutti si conoscono (e si impicciano): una bimba di pochi giorni viene lasciata davanti all'ambulatorio e a trovarla sono proprio Mel e Jack.

Da quel momento, Mel resterà legata a Virgin River contro ogni aspettativa, integrandosi nella comunità, che la accetterà entusiasta.

Accanto alla storia d'amore tra lei e Jack, viaggiano altre vicende, che coinvolgono altri personaggi di Virgin River: adolescenti che vogliono vivere liberamente il loro amore nonostante la bigotta opposizione di certi adulti; criminali che coltivano erba e danno non poco fastidio alla brava gente; l'ex di Jack che ovviamente detesta Mel; il rapporto burrascoso tra Hope e Doc..., insomma, sarà pure un paesotto ma è vivace, eh!!

Sono giunta alla quarta puntata della terza stagione e il mio interesse non è calato; come dicevo, è quel tipo di serie in grado di farmi rilassare, di trasportarmi in un posticino delizioso, un po' country, dove accadono quegli inconvenienti "normali", comuni, che creano dinamicità, fanno sorridere, commuovono..., insomma io la sto apprezzando, pur non essendo amante di storie "troppo rosa" o smielate.

La consiglio a chi ama il genere.

Cast: Alexandra Breckenridge, Martin Henderson, Tim Matheson, Annette O'Toole, Lauren Hammersley.
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