mercoledì 8 giugno 2022

RECENSIONE ★ ★ LE VERITÀ DI MIRACLE CREEK di Angie Kim ★ ★


Questo thriller giudiziario di Angie Kim ruota attorno ad un tragico incidente e al processo che deve condurre ad accertare come si siano svolti i fatti e chi siano i colpevoli; ma arrivare alla verità non sarà semplice perché i personaggi coinvolti racconteranno ciascuno la propria versione, costellata da molte menzogne mescolate a  briciole di verità.
Alla fine si giungerà all'unica spiegazione che risolve ogni interrogativo, che dipana ogni nodo e che, se non rende completamente giustizia alle vittime innocenti, almeno restituisce un po' di serenità a chi non vuol farsi soffocare da bugie solo apparentemente comode e confortanti.


LE VERITÀ DI MIRACLE CREEK
di Angie Kim


Ed. Mondadori
trad. M. Gardella
384 pp
20 euro
Gennaio 2022
Pak e Young Yoo sono marito e moglie, hanno una figlia diciassettenne (Mary) e provengono dalla Corea del Sud; sono arrivati negli States per dare alla figlia e maggiori opportunità di costruirsi un futuro migliore.
Per guadagnarsi da vivere, gestiscono una camera iperbarica per l'ossigenoterapia (OTI), un metodo sperimentale nuovo e impiegato per la cura di alcune patologie, tra cui l'autismo e l'infertilità.
Ma a Miracle Creek - una piccola cittadina in Virginia - non tutti accettano e condividono l'uso di questa metodologia e sono pronti a manifestare con foga per palesare il proprio dissenso; in particolare, in quel fatidico pomeriggio del  26 agosto 2008 un gruppo di madri di bambini autistici sono nei pressi del Miracle Submarine (il fienile degli Yoo, che accoglie i pazienti nella camera iperbarica) per alzare la propria voce contro l'OTI, sostenendone la pericolosità (il rischio di incendi è comunque concreto) e anche l'inutilità a livello terapeutico.

Per tenere a bada la folla inferocita affinché non interrompa la corrente di proposito (e con conseguenze negative), Pak decide di occuparsene direttamente, lasciando la moglie Young a gestire i pazienti durante la seduta; un compito che la povera Young non ha mai affrontato da sola...
I timori della donna, sull'infausta eventualità che accada qualcosa di brutto, si concretizzano ed infatti quella sera la camera iperbarica esplode e nel tragico incidente perdono la vita due persone e altre restarono gravemente ferite.

A morire sono una madre (Kitt) e un paziente, il piccolo Henry, figlio di Elizabeth Ward; l'intervento tempestivo di Pak riesce a salvare le vite di altri due pazienti, vale a dire TJ (figlio della povera Kitt), Rosa (la figlia adolescente, gravemente disabile, di Teresa) e il dottor Matt Thompson, che partecipava alle sedute per tentare di risolvere i problemi di infertilità.
La mamma di Henry, Elizabeth, non era presente nel momento in cui esplodeva il macchinario, avendo affidato il bambino alla sorveglianza degli altri genitori mentre lei andava a prendere una boccata d'aria presso il ruscello.
Restano feriti Matt (che perde alcune dita), Pak (che finisce sulla sedia a rotelle) e Mary, che resterà in coma per alcuni mesi.
 
Un anno dopo si sta svolgendo il processo per stabilire le cause e, soprattutto, per trovare il colpevole.
Sì, perché nonostante il rischio di incendi non fosse un'eventualità trascurabile, lo scoppio al Miracle Submarine non è stata una casualità, un fatale incidente: qualcuno l'ha scatenato di proposito.
Chi e perché?

Sotto processo c'è Elizabeth Ward, la madre di Henry.
È accusata di incendio doloso, violenza su minori e tentato omicidio; sin dai primi sopralluoghi è emerso come a causare l’incendio sia stata una sigaretta accesa vicino a dei fiammiferi, collocata all’interno di una pila di rametti sotto un tubo d’ossigeno che, crepandosi, ha fatto uscir fuori l’ossigeno; questi, a contatto con il fuoco e con altre sostanze, ha provocato un’esplosione molto potente, che però non ha impedito di scoprire particolari importantissimi: la marca delle sigarette (Camel) e la presenza di fiammiferi venduti regolarmente nei 7-Eleven della zona.

Sigarette e fiammiferi erano presenti non solo sul luogo della tragedia ma anche presso il ruscello, proprio là dove si era fermata Elizabeth...

È stata lei ad appiccare l'incendio? Quali ragioni avrebbe mai avuto per compiere un'azione deplorevole come questa, che è costata la vita al suo stesso bambino?

E se fossero stati gli stessi coniugi Yoo, decisi a incassare una grossa somma dall'assicurazione? 
Certo è che qualcuno, nei giorni precedenti il fatto, ha chiamato all'assicurazione per chiedere informazioni circa il risarcimento in caso di un incidente alla camera iperbarica: ma chi è stato a fare quella telefonata? Ha davvero a che fare con l'esplosione?

E poi ricordiamoci delle arrabbiatissime manifestanti, pronte a urlare il proprio dissenso contro l'utilizzo della camera iperbarica! E se fossero state loro?

Seguiamo le fasi del processo grazie ad una narrazione corale che ci permette di leggere i fatti da diverse prospettive, vale a dire attraverso i punti di vista di Matt, Mary, Young, Pak, Elizabeth, Teresa e Janine (la moglie di Matt).

Di ciascuno leggiamo la "versione" di ciò che è accaduto, le bugie eventualmente dette, le cose nascoste, i timori, i segreti, e durante le udienze l'Autrice sa come darci pensare di aver capito cosa sia successo davvero e chi sia il responsabile, per poi gettare nuovi interrogativi, nuovi particolari rilevanti che conducono verso un'altra interpretazioni.
Come sempre accade nei romanzi in cui c'è da risalire alla verità attraverso diverse ricostruzioni, sono i dettagli a fare la differenza: sigarette fumate - da chi? - e comperate in un determinato posto; foglietti con su scritti messaggi segreti, tabulati telefonici che testimoniano che sono state fatte specifiche telefonate (ma risalire all'autore non è così automatico).

I dibattiti durante le udienze sono molto coinvolgenti, interrogatori e controinterrogatori fanno sì che determinate ipotesi - che a primo impatto potevano sembrare  plausibili - poi vengano smontate pezzo per pezzo, creando altre domande e gettando ombre su personaggi che sembravano avere un coinvolgimento diverso.

Tra l'adolescente figlia degli Yoo, Mary, e Matt, il medico che seguiva l'OTI per curare l'infertilità, pare ci fosse una relazione, e che Janine l'avesse scoperto: potrebbe essere un fatto collegabile all'incendio?

Young scopre che Pak si stesse attivando per tornare in Corea: e se avesse provocato egli stesso l'incendio per prendere i soldi dell'assicurazione (oltre un milione di dollari) e i ricominciare una nuova vita nella loro nazione?

Ed Elizabeth: può davvero una madre architettare un piano tanto diabolico per liberarsi del proprio figlio autistico e poter finalmente riappropriarsi della propria vita senza più un simile fardello?
Dopotutto, pare che qualcuno ricordi di averla vista trattare molto male il povero Henry e di essere ossessionata dall'idea di fargli provare qualsiasi tipo di terapia per i problemi legati all'autismo.

Procedendo di capitolo in  capitolo (che corrispondono alle singole e personali prospettive dei personaggi principali) veniamo messi davanti alle fragilità, alle paure, alle bugie degli imputati, dell'accusa e dei testimoni; c'è una progressiva rivelazione di segreti e dettagli fondamentali, che ci danno una lettura via via più chiara di chi abbia responsabilità per la morte di due innocenti nella camera iperbarica, e che  ci restituiscono la complessità dei rapporti umani, tra il desiderio di protezione dei propri cari (anche arrivando a mentire e a lasciare che la colpa cada su chi non ha fatto niente) e la voglia di giustizia. 

Angie Kim affronta temi importanti e delicati - prendersi cura di un famigliare con disabilità, conflitti generazionali, difficoltà di integrarsi nel nuovo paese in cui si è emigrati... - e lo fa attraverso una narrazione a più voci, mostrandoci come non sia sempre facile separare la verità dalla menzogna, ma come, anzi:  

"...era proprio quello il nocciolo delle menzogne: inserire qui e là briciole di scomode verità come esche per nascondere il vero tesoro. Com’era facile ancorare le sue bugie a questi frammenti di vulnerabile onestà, poi manipolare i dettagli per rendere la storia credibile."

Mi è piaciuto davvero tanto questo romanzo, è scritto in modo avvincente, accurato, ci presenta in modo efficace i personaggi dal punto di vista emotivo e psicologico (personalmente, su tutti, ho apprezzato molto il personaggio di Young, colei che più di tutti rivela una grande forza morale e un'ammirevole capacità di affrontare la verità e le sue conseguenze anche quando sono dolorose e amare); la narrazione corale, il racconto delle fasi del processo, lo sviscerare ogni dichiarazione dei testimoni, l'introduzione, andando avanti, di elementi nuovi che vanno a fornire ulteriori chiavi di lettura nella ricerca della verità, sono tutti elementi che rendono la lettura trascinante e spingono il lettore a procedere con sempre maggiore interesse per mettere ogni tassello al suo posto.
Lo consiglio assolutamente.


ALCUNE CITAZIONI

"Ogni essere umano era il risultato dell’unione di un’infinità di fattori diversi (...) Gli episodi belli e brutti – ogni nuova amicizia e storia d’amore, ogni incidente, ogni malattia – erano il risultato della combinazione di centinaia di dettagli di per sé insignificanti."

"Han. Non esisteva un termine inglese per tradurre quella parola con precisione. Esprimeva una pena e un rimorso soverchianti, una sofferenza e un desiderio tanto intensi da pervadere l’anima... ma con un accenno di resilienza, di speranza."

"...solo perché era già abbastanza, le cose non potevano peggiorare? La vita non funziona così. Le tragedie non ti rendono immune alle tragedie successive, e la sventura non è distribuita equamente; le disgrazie colpiscono a ondate violente quando meno te l’aspetti."


lunedì 6 giugno 2022

❤ Storie dietro storie ❤ "Le verità di Miracle Creek" di Angie Kim

 

Domani sera cercherò di pubblicare la recensione dell'ultimo romanzo terminato: Le verità di Miracle Creek di Angie Kim, che ha uno sfondo a mio avviso originale e particolare: le sedute di ossigenoterapia iperbarica, che permettono la somministrazione dell’ossigeno a puro al cento per cento a una pressione atmosferica tre volte superiore a quella normale e si svolgono in una camera iperbarica concepita appositamente.


Il romanzo è un thriller giudiziario che affronta tematiche importanti, come l'immigrazione e le sue

source
foto di Tim Coburn

tante difficoltà d'integrazione, il rapporto genitori-figli, la disabilità (in particolare l'autismo) e come ci si rapporta ad essa, che siano i genitori (in primis, il caregiver) o la gente attorno.


Quello dei tribunali è un mondo noto ad Angie Kim, che ha lavorato come avvocato in un grande studio; non solo, ma anche gli altri temi le sono familiari, a partire da quello dell'immigrazione.

La famiglia di Angie, infatti, è arrivata negli Stati Uniti dalla Corea del Sud quando lei era una bambina, cosa che accade anche ai personaggi centrali del libro. 
Per quanto riguarda la presenza di condizioni patologiche serie e gravi, la Kim ha tre figli, ciascuno dei quali ha affrontato problemi medici con conseguenti test e trattamenti ad essi associati.

L'input - che è poi il cuore del romanzo - viene proprio da questa singolare ambientazione (la camera iperbarica) e dalla domanda: potrebbe accadere qualcosa di tragico e terribile in un contesto del genere, che dovrebbe essere comunque protetto?

L'Autrice ha dichiarato di aver fatto esperienza (ai tempi non era ancora una scrittrice) dell'HBOT (Hyperbaric oxygen therapy) a motivo di  uno dei suoi figli e di ritrovarsi quindi a condividere con altre persone questo ambiente in cui sei "rinchiuso" con altre famiglie mentre si svolgono le sedute.

Inevitabili scattavano le confidenze personali, e la condivisione di quel tipo di esperienza  avrebbe potuto essere interessante da esplorare in un eventuale romanzo. 

Dopo avere iniziato a pubblicare racconti personali e brevi, ha pensato di buttarsi nell'avventura di scrivere, appunto, un romanzo e il pensiero è subito andato all'HBOT come a una delle idee principali, in special modo al fatto di stare in un ambiente di gruppo in cui potesse accadere un fatto tragico, in grado di provocare feriti (e ferite) e morti.

Ma questa era solo una delle due idee che le frullavano in testa; l'altra era decisamente differente e partiva dalla condizione personale della Kim, cioè della sua famiglia immigrata negli States: i suoi genitori lavoravano al centro di Baltimora in un negozio di alimentari ed Angie aveva in mente di partire proprio dall'idea del negozio di un droghiere coreano e da un mistero ad esso legato (una pistola nascosta, un cadavere o forse un corpo ferito...); i limiti dovuti alla lingua avrebbero avuto il loro peso, impedendo all'uomo di parlare di questo mistero, che faceva parte della sua vita. 

Nel sottoporre entrambe le idee ad un amico scrittore (che fa parte del suo gruppo di sceneggiatori), questi le consigliò di  unire le due storie e fare in modo che la famiglia di immigrati coreani fossero proprietari e operatori di questa attività legata all'HBOT. 

Più pensava a questa storia, più ne era intrigata... fino ad arrivare a dar forma al romanzo.


Vi ho presentato in questo post i temi affrontati e l'idea di partenza del libro d'esordio di Angie Kim, sperando abbiano stuzzicato il vostro interesse.
A domani per la recensione!!



Fonti consultate:

https://www.writeordietribe.com/author-interviews/interview-with-angie-kim
https://www.elle.com/culture/books/a27253585/angie-kim-interview-miracle-creek/

domenica 5 giugno 2022

[[ RECENSIONE ]] PRIMAVERA, INDOMABILE DANZA di Guglielmo Aprile

 


PRIMAVERA, INDOMABILE DANZA 
di Guglielmo Aprile




Oedipus Ed.
88 pp
L'Autore guarda e descrive con ammirato stupore le meraviglie della natura attorno a sé, che in primavera esplode in tutta la sua bellezza, in una varietà di colori e profumi.

Di fronte a tale naturale magnificenza non si resta indifferenti e ci si chiede chi sia il sublime artefice che con la sua mano e il suo estro ha dato e continua a dar vita a tutto ciò che ci circonda, che sia la luna splendida nel cielo o i fiori, che siano i colori meravigliosi delle farfalle o le misteriose rotte dei gabbiani nel cielo.

La natura stessa, nella sua semplicità e perfezione, ci parla di Dio meglio di qualunque savio:

"La mia è la fede nell’erba che spunta
nei campi e in ogni crepa dell’asfalto...".

L'uomo, davanti a tale meraviglioso creato, è come un esegeta che tenta di leggere una storia lunga secoli e racchiusa tra le "rughe" della "pelle" degli alberi, che il poeta paragona a "salmi incisi dal sole e dalla pioggia".

Belle e suggestive le similitudini, le metafore, le personificazioni impiegate per descrivere la primavera nel suo splendore: il mandorlo in fiore sembra una ragazza agghindata per il primo appuntamento; i fiumi sono ora placidi ora impetuosi nel loro scorrere, e la loro corsa verso la propria "oscura foce" è un continuo ricominciare.
Con la primavera tutto rinasce e torna alla vita, proprio come una specie di resurrezione, a fronte di un inverno che con i suoi rami spogli simili a "monconi nudi di corpi contusi, oltraggiati"nei mesi precedenti ha avviluppato la terra nel letargo come un ragno.

È primavera e ognuno fa la sua parte, è una festa alla quale tutti partecipano: il tiglio sta per fiorire, i prati sono pronti a scalare le rocce mandando via gli ultimi resti di ghiaccio, gli uccelli esultano allietando l'aria profumata con i loro canti.

La natura va amata e custodita, come fosse una sorella o una madre, fragile ed incerta come lo è l'Uomo stesso, e proprio come gli elementi della natura bramano di ritornare alla vita, così è per l'essere umano:

"...come l’albero e, connubio unico
di terra e di cielo, protendiamo
verso l’alto, verso l’azzurro
gli occhi in una elemosina
di più spazi, più luce, l’attesa
mai doma, dolcemente divorante
di anche noi rifiorire."


Le poesie sono davvero tutte molto belle, trasmettono un senso di lieta serenità, una sintonia speciale con il mondo della natura; non per nulla, spesso è preferibile la silente compagnia degli alberi a quella della gente!

"Non ci so stare con la gente,
preferisco la compagnia degli alberi
a quella degli uomini:
posso parlargli, perché mi capiscono,
li sento vicini..."

Un linguaggio molto ben strutturato - l’autore sceglie con accuratezza le parole e come collocarle  all’interno del componimento -, ricco di figure retoriche, di parole ed espressioni che evocano nel lettore immagini chiare, dandogli la sensazione di essere al cospetto di un bellissimo quadro, in cui il poeta-pittore ha attinto dalla propria tavolozza i colori più brillanti, usandoli con sapienza, grazia e in modo efficace.


"Ho bisogno di spazi
aperti,
non limitati dal cemento,
per respirare,
ho bisogno di scrivere
un poema di passi
sulla pagina dell’erba –
perché Dio è ovunque siano
liberi cieli, e vasti."

Leggere questa raccolta è stato molto piacevole e, se amate le poesie, ve la consiglio; sono certa che l'apprezzerete anche voi, come me.


Concludo aggiungendo un'osservazione assolutamente personale: immergendomi in questi versi non ho potuto fare a meno di pensare ad un particolare salmo della Bibbia (Sal 19:1-6), che è lo stesso che mi viene in mente quando contemplo l'incanto della natura:

"I cieli raccontano la gloria di Dio
e il firmamento annuncia l'opera delle sue mani.
Un giorno rivolge parole all'altro,
una notte comunica conoscenza all'altra.
Non hanno favella, né parole;
la loro voce non s'ode,
ma il loro suono si diffonde per tutta la terra,
i loro accenti giungono fino all'estremità del mondo.
Là, Dio ha posto una tenda per il sole,
ed esso è simile a uno sposo che esce dalla sua camera nuziale;
gioisce come un prode lieto di percorrere la sua via.
Egli esce da una estremità dei cieli,
e il suo giro arriva fino all'altra estremità;
nulla sfugge al suo calore."




giovedì 2 giugno 2022

SEGNALAZIONI EDITORIALI SUL BLOG [ saggio, narrativa, noir ]

 

Buon pomeriggio e buon 2 giugno, cari lettori!

Oggi vi presento alcune pubblicazioni che mi sono state segnalate e che, spero, possano incuriosirvi.

Partiamo da un noir appassionante che vede Delia, l’anziana e bizzarra magliaia, detective per passione, impegnata in un nuovo caso.


C'E UN CADAVERE SUI BASTIONI DI PORTA VENEZIA
di Mauro Biagini


Fratelli Frilli Editori
14.90 euro
21 marzo del 1985. Una telefonata anonima nella notte avverte la polizia di zona della presenza di un cadavere sui Bastioni di Porta Venezia. 
Si tratta del corpo del giovanissimo Tommaso Marangon, originario della provincia di Vicenza, trasferitosi solo pochi mesi prima a Milano per studiare economia all’Università Bocconi.
Trentasette anni più tardi, l’anziana magliaia Delia incontra un giovanotto, Costantino, incaricato di svuotare la cantina impolverata di una nota affittacamere del quartiere, Magda; dopo la morte della donna, il grande appartamento è passato a un nuovo proprietario ed è necessario liberare la cantina. 
Costantino individua tra i tanti cimeli anche un vecchio libro universitario di Diritto Privato e lo regala a Delia. 
E dalle pagine ingiallite del libro cade una busta e, al suo interno, cinque Polaroid dai colori sbiaditi che fanno barcollare l’anziana magliaia.
Comincia così un’indagine impossibile su un caso che, ai tempi, fu archiviato come la classica rapina ‘finita male’. 
Ma se Delia aveva già dubitato a suo tempo di quella tesi, ora più che mai è convinta che i fatti andarono diversamente. Intravede, infatti, nelle vecchie Polaroid nuovi elementi che decide valga la pena approfondire, anche senza l’aiuto del suo amico commissario, troppo preso a vivere la sua nuova storia d’amore con Ada, dopo tanto tempo trascorso in solitudine.

Tutto questo tra ricordi, incontri con persone quasi dimenticate, colpi di scena e poi un nuovo efferato omicidio, che darà ancora più consistenza alle intuizioni della magliaia Delia e la indirizzerà verso la pista giusta facendole scoprire la tragica verità.

L'autore.
Mauro Biagini è nato a Genova e dopo la laurea in Lettere Moderne si trasferisce a Milano, nel quartiere di Porta Venezia, dove ama ambientare le sue storie noir. Creativo pubblicitario fin dalla fine degli anni ’80, ha lavorato nelle più importanti agenzie internazionali, firmando popolari spot televisivi per clienti quali Averna, Fastweb, Mercedes-Benz. Attualmente è consulente di comunicazione per diverse aziende e tiene corsi di “Copywriting”. Nei suoi “romanzi con delitto” (come gli piace definirli) ha dato vita a una figura di detective particolare, l’anziana magliaia Delia, che fa il suo esordio con “Il rumeno di Porta Venezia” (Fratelli Frilli Editori, 2019), finalista al Concorso Letterario “Crimini d’Amare”. Il personaggio è poi protagonista dei romanzi “La ragazza del Club 27” (Fratelli Frilli Editori, 2020) e “Morte a Porta Venezia” (Fratelli Frilli Editori, 2021), così come dei racconti presenti nelle antologie “44 gatti in noir”, “Tutti i sapori del noir”, “I luoghi del noir” e “Odio e Amore in Noir” sempre per la Fratelli Frilli Editori. Ha pubblicato anche i romanzi “Soprattutto viole” (goWare) e “Marcantonio detto Toni” (Robin Edizioni, scritto con Silvia Colombini), oltre a racconti inseriti in antologie edite da Edizioni della Sera, Covo della Ladra e Neos Edizioni.

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Il secondo libro è un saggio edito da Dialoghi Edizioni >>  LINK

TIm Burton e il catalogo delle Meraviglie.
 Un saggio pop tra letteratura e cinema
di Maria Cristina Folino


Questo saggio "pop", che spazia tra diversi media e modalità di comunicazione, intende evidenziare le
valenze metaforiche assunte, di volta in volta, dal Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll all’interno della trasposizione cinematografica di Tim Burton. 
In questo modo, conduce il lettore per mano alla scoperta di un gioco di rimandi e innovazione tra l'opera letteraria originale e i film Disney. 
Esaminando la natura della nuova Alice adolescente, se ne vedranno i molteplici aspetti e implicazioni: quale significato è insito nei dubbi, nei ricordi e nella paura della rivalsa da parte della nuova Alice? 

Dopo aver viaggiato dalla carta stampata al cinema, e ritorno, la risposta definitiva – in ogni caso – spetta al lettore.

L'autrice.
Nata a Salerno nel 1989, Maria Cristina Folino è giornalista, copywriter e social media manager. Laureata in Lettere e Filologia Moderna presso l'Università degli Studi di Salerno, è specializzata in Programmazione e Gestione d'interventi per gli Archivi e le Biblioteche digitali. Dal 2008 ha collaborato con stampa locale e testate online. È social media manager presso MTN Company, scrive per Alpi Fashion Magazine e collabora con Gruppo Eventi per Casa Sanremo. Il suo sito web è www.mcfolino.it


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L'ultima pubblicazione è il terzo volume di una trilogia; i precedenti volumi si intitolano "La domenica della cattiva gente" e "Dancing Days" e si possono leggere separatamente, ma i personaggi che l'autore ci propone e l'ambiente sociale nel quale si svolgono le trame di ciascun volume sono gli stessi.

BLUE SUNDAY
di Marco Lepori


CATARTICA EDIZIONI
Data di uscita: 9 maggio 2022
Genere: Narrativa contemporanea
Collana: In Quiete
Prezzo: 14.00 €
Nº pagine: 168
1916. Matteu è un giovane costretto a partire dall'isola per andare a combattere nell'inferno della Prima Guerra Mondiale.
2016. Matteo e i suoi amici attraversano tutta l'isola per andare a manifestare contro la guerra e la presenza di basi militari nella loro terra.

«A questo punto ditemelo voi come posso fare, visto che sapete tutto, provate a spiegarmi come si può sbrogliare questo intreccio esistenziale, senza commettere altri errori dolorosi. Se ogni volta che muovo un dito la situazione volge al peggio, se mi basta anche solo pensare a una possibile mossa che possa acquietare questi cuori in burrasca, per complicare irrimediabilmente le cose. D’altronde se piove di traverso, neanche il migliore ombrello del mondo può salvarti da una bella inzuppata, o almeno così si dice dalle mie parti! Ma davvero credete che io sia onnipotente? Che conosca ogni angolo di questa vostra terra insignificante e puzzolente?»

L’autore
Marco Lepori è nato nel 1983 e vive a Castelsardo. Laureato in Teoria e Tecniche dell’Informazione. Con Catartica ha già pubblicato “La domenica della cattiva gente” (Collana In Quiete, ottobre 2018), “Dancing Days” (Collana In Quiete, settembre 2019) e “Castelsardo nel cinema” (Fuori Collana, luglio 2021).

mercoledì 1 giugno 2022

** RubRicordiamo ** Giuseppe Ungaretti



Il 1° giugno del 1970 moriva il poeta Giuseppe Ungaretti.
Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1888, studia alla scuola svizzera École Suisse Jacot, una prestigiosa scuola della città egiziana. 
Si avvicina alla letteratura francese e inizia a leggere le opere dei simbolisti francesi Rimbaud, Mallarmè, Baudelaire;  si trasferisce a Parigi nel 1912, dove conosce il poeta Apollinaire; incontra anche Aldo Palazzeschi, Picasso, De Chirico e Modigliani.

Interventista, si arruola volontario, scopre ben presto il dramma della guerra combattendo sul Carso, un paesaggio che Ungaretti ritrarrà nella sua prima raccolta Il porto sepolto, pubblicato in 60 copie nel 1916.
Nel 1918 combatte sul fronte francese. 

Nel 1919 pubblica Allegria di naufragi, le cui poesie ripubblica nel 1923 con il primo titolo, Il porto sepolto, con la prefazione di Benito Mussolini. 
Alla fine della guerra si stabilisce a Parigi, dove, nel 1920, sposa Jeanne Dupoix. 
Nel 1921 si trasferisce a Roma dove lavora all'Ufficio stampa del Ministero degli Esteri
Nel 1925 aderì al fascismo firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti.
Nel 1928 Ungaretti si converte al cattolicesimo, conversione che emerge nell'opera "Sentimento del Tempo" del 1933.

Nel 1936 si trasferisce a San Paolo del Brasile a insegnare letteratura italiana e nel 1942 torna in Italia, nominato Accademico d'Italia e professore per “chiara fama” di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università “la Sapienza” di Roma. 
Nel 1939 muore il figlio Antonietto. Questo tragico evento è evidente in molte poesie delle raccolte Il Dolore (1947) e Un Grido e Paesaggi (1952).

Nel 1969 l'intera opera poetica è raccolta col titolo Vita d'un uomo come primo volume della collana I Meridiani

Muore a Milano nel '70 a causa di una broncopolmonite.

Tutta l’opera di Ungaretti dimostra che per lui il poeta ha una funziona morale: deve testimoniare di un’epoca, far riflettere, educare, essere uno strumento per analizzare la condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo, raccontandone le inquietudini.

Giuseppe Ungaretti è considerato un precursore dell'Ermetismo, movimento letterario che il nome dal suo aspetto “chiuso”: una poesia che si chiudeva interamente entro i significati della parola, e negli schemi dell’analogia – figura retorica per eccellenza di questo movimento.
I poeti ermetici, in modi concentrati ed essenziali, esprimono il senso di vuoto, la solitudine morale dell'uomo contemporaneo, il suo “male di vivere” in un'epoca travagliata da tragiche esperienze sociali e politiche come quelle della prima guerra mondiale e del ventennio fascista.


La Madre (1930)

E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.


Sentimento del tempo (1931)

E per la luce giusta,
Cadendo solo un'ombra viola
Sopra il giogo meno alto,
La lontananza aperta alla misura,
Ogni mio palpito, come usa il cuore,
Ma ora l'ascolto,
T'affretta, tempo, a pormi sulle labbra
Le tue labbra ultime.

"È il mio cuore il paese più straziato"

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato,


"Per i morti della Resistenza"

Qui Vivono per sempre
Gli occhi che furono chiusi alla luce
Perché tutti Li avessero aperti
Per sempre 
Alla luce.


Tramonto (1916)

Il carnato del cielo
sveglia oasi
al nomade d’amore.



Fonti:

http://www.club.it/
https://www.raicultura.it/
https://library.weschool.com/
https://www.sentascusiprof.it/
http://www.novecentoletterario.it/
scialetteraria.altervista.org

martedì 31 maggio 2022

LE MIE LETTURE DI MAGGIO 2022

 

Buongiorno, cari lettori!

E anche maggio, soleggiato e caldo,  se ne sta andando ed io sono qui a riepilogare le mie letture del mese.





  1. DIVORZIO DI VELLUTO di .J Karšaiová: anche le separazioni apparentemente meno traumatiche e brusche si portano dietro strascichi, ferite, perdita di radici, ma anche il desiderio di reinventarsi (3,5/5)
  2. NOVA di F. Bacà: anche se fai il neurochirurgo e lavori con i cervelli altrui, non è detto che tu riesca a prevedere quando nella mente di chi ti circonda cominciano a depositarsi i pericolosi semi della violenza incontrollabile. Nè prevedi che questa spirale coinvolga anche te, che sei sempre stato razionale e pacifista (4.5/5).
  3. CINQUE QUARTI D'ARANCIA di J. Harris: una bambina di soli nove anni può commettere dei guai dalle conseguenze terribili, per testardaggine ed ingenuità, mentre attorno a lei il mondo è afflitto dalla guerra (4/5).
  4. RANDAGI di M. Amerighi: romanzo di formazione, in cui tre amici vivono raminghi e liberi alla ricerca del proprio posto nel mondo (3.5/5).
  5. LA CASA DEGLI SGUARDI di D. Mencarelli: romanzo autobiografico commovente, intenso, ricco di umanità. Confrontarsi con la malattia e la morte di creature innocenti offre una preziosa chiave di lettura per i propri problemi r occhi nuovi con cui guardare dentro se stessi e al futuro (5/5).
  6. IL DIRITTO DI OPPORSI di B. Stevenson: la storia di un avvocato giovane ma tenace, che ha dedicato la propria vita a combattere le ingiustizie presenti nel sistema giudiziario americano (4/5).
  7. NIENTE DI VERO di V. Raimo: romanzo di formazione autobiografico. Ridi che ti passa, e se non passa, facciamo che sia così, sennò sì che si arriva al paradosso! (4.5/5).
  8. La mia favola da Le mille e una notte di I. Carioti: una storia d'amore dei nostri giorni ma inserita in un'esotica cornice da Le mille e una notte (3.5/5).
  9. LA SORELLA PERDUTA di K. Furnivall: narrativa storica. Parigi, secondo conflitto mondiale. Una coraggiosa ragazza è intenzionata a scoprire la verità sull'assassinio del padre - di cui lei è sempre stata accusata -, sfidando bugie, segreti, depistaggi (4,5/5).


LE LETTURE PIÙ BELLE DI MAGGIO.

 Ho avuto letture interessanti, grazie anche al tour Strega; volendo scegliere, tra i preferiti pongo NIENTE DI VERO di Veronica Raimo, per il suo parlare di disastri famigliari con ironia;  NOVA per avermi tenuta incollata alla storia e affascinata con un linguaggio raffinato e intrigante; LA CASA DEGLI SGUARDI: Mencarelli, entri nel cuore ogni volta.

CITAZIONE DEL MESE

"...là fuori non c'è niente di meglio 
Per colui che decide di non cercarlo, non può esserci nulla.
È ora di proseguire, anche se non si sa per dove.
Non aver paura di diventare una persona diversa; ama il tuo passato ma poi... va oltre!"

domenica 29 maggio 2022

** RECENSIONE ** NIENTE DI VERO di Veronica Raimo



Veronica Raimo (Verika per sua madre, Oca per suo padre) si racconta tra le pagine di questo romanzo candidato al Premio Strega 2022 e lo fa con schiettezza e dissacrante ironia, donando al lettore aneddoti esilaranti e divertenti sulla propria famiglia e su sé stessa, impegnata nell'universale compito di crescere e diventare adulta, e poiché è impossibile scrollarsi di dosso il bagaglio di ferite, incertezze, dubbi, fallimenti, smarrimenti che ognuno si porta dietro, tanto vale parlarne senza perdere il gusto di riderci su con acume e autoironia!
Per la serie: ridi che ti passa, e se non passa, facciamo che sia così, sennò si arriva al paradosso! 


NIENTE DI VERO 
di Veronica Raimo



Ed. Einaudi
176 pp

Occhi strizzatissimi e fronte corrugata nello sforzo di ricordare (o di fare qualcos'altro?): l'Autrice, in questo romanzo autobiografico, viaggia sui binari della memoria e alza il velo sulla propria storia, sulla propria famiglia, facendocene conoscere manie, abitudini, stranezze e ponendoci davanti a certi particolari tratti caratteriali o episodi che - a prescindere dal fatto che siano accaduti davvero o in parte o per nulla - fanno sorridere, e non poco.

Fa sorridere questa madre super apprensiva, che comincia ad andare in crisi se i figli non rispondono immediatamente ai suoi messaggi o chiamate, non limitandosi a tartassare loro, ma anche eventuali fidanzati o amici, pur di tranquillizzarsi una volta appreso che non è successo loro nulla di tragico.
Una madre che elogia il figlio maschio, l'enfant prodige di casa, mentre della figlia femmina si limita a un semplice "È brava a disegnare" (cosa che, tra l'altro, non corrisponde a realtà); una donna che spesso "se ne va in depressione" - in particolare quando discute col marito - e si chiude in casa ascoltando Radio 3.
In quei giorni in cui l'emicrania teneva a letto la donna, e fratello e sorella dovevano farsi andar bene il silenzio e la semioscurità delle tapparelle abbassate, la casa diventava "una palude di vaporosa angoscia".

Stare in casa ed evitare di incappare in brutta gente o fare cattive esperienze è stata una costante per Veronica e il fratello Christian, cui non era consentito andare, ad es., a giocare fuori in cortile con altri bambini, o semplicemente andare in bicicletta:

"Abbiamo passato l’infanzia chiusi dentro casa a romperci le palle. Era un’attività talmente intensa che presto divenne una posa esistenziale. Sapevamo annoiarci come nessun altro."

Mica solo la madre aveva le sue ubbie esagerate: pure il padre non scherzava.
Ha sempre avuto la mania di dividere le stanze costruendo muri, di sottoporre i figli a rituali di disinfezione attraverso infiniti rotoli di scottex ed alcool, di spaventare i compagni dei figli urlando loro in faccia e di commentare ogni situazione per lui incomprensibile o assurda sempre con la stessa frase: "Siamo arrivati al paradosso".

L'Autrice ci racconta dei primi approcci con l'altro sesso, della prima fuga da casa per raggiungere il ragazzo di cui era infatuata, dei rapporti con i parenti pugliesi di un paesino triste nel foggiano, del perfido sarcasmo della nonna Muccia circa le tettine di Veronica (altro che coppa di champagne: la tazzina del caffè era il metro di misura del seno piatto di quella nipotina esile e inappetente), le mani del nonno che, in un moto di solidarietà, stringevano quelle della nipote mentre questa si sforzava di "fare al bagno" - aneddoto che nel tempo, diventando un ricordo d'infanzia, assume una sorta di valore simbolico:

"Non ho mai più avuto una persona che mi stringesse le mani mentre pativo sulla tazza del cesso. Chiederlo non è facile. Mi sono restate solo la solitudine e l’inadeguatezza. Ogni volta che vado incontro a quell’afflizione, comincio a rileggere tutta la mia vita in questi termini: un conflitto costante tra abbandonare qualcosa e cercare di riprenderlo. La maledizione perpetua della terra di mezzo."

Ci parla del soggiorno a Berlino, di perdite, di scelte non facili ma prese con la consapevolezza di essere una donna libera che ha il diritto di decidere del proprio corpo, a prescindere da cosa dice l'orologio biologico, da cosa sogna sua madre per lei (la donna avrebbe voluti tanti figli - ma s'è dovuta accontentare di due - e ha ripiegato sulla figlia, sperando le desse dei nipoti) e dai giudizi non richiesti di un ginecologo che non sa farsi i fatti propri.

Come dicevo, si legge questo libro avendo il sorriso sulle labbra ed è quello che è successo a me, che mi sono lasciata trascinare dalla penna della Raimo, dal suo modo intelligente e disilluso di presentare questa famiglia "allegramente difettosa", di cui confessa le bizzarrie in modo comico ma non per questo superficiale, tutt'altro: scrivere è un modo per curare le ferite ridendo, perché dopotutto la vita è un po' commedia e un po' tragedia (più la prima che la seconda, si spera).

"«Una storia è un concetto ambiguo». 
Per me scrivere è essenzialmente questo. Scrivo cose ambigue e frustranti."

Durante la lettura le pagine scorrevano veloci, merito tanto dell'argomento in sé, così personale - la famiglia con i suoi disastri e quella sua unicità che ti porti dietro ovunque vai e per tutta la vita, il "diventare grandi", con tutto il suo carico di incertezza, dubbi, fallimenti, smarrimenti - quanto dello stile di scrittura, che mi è piaciuto molto perché pungente e brillante, buffo ma non frivolo, disincantato ma non spietato né distaccato; la scrittrice esprime molto bene quel senso di inadeguatezza e "indeterminatezza costante" che la caratterizza e che sembra accompagnarla da sempre, dovuta alla sensazione che gli altri facciano fatica a conoscerla davvero, a riconoscerla. 
Forse scrivere può servire a questo: a riconoscersi, a ritrovarsi o, perché no?, a reinventarsi.

"...è cosí che mi sento in ogni istante della mia vita: ma sí, dài, facciamo che sono io."

Sono rimasta colpita molto positivamente dalla prosa della Raimo, vorrei leggere altro di suo e intanto non mi resta che consigliarvelo. Tra gli otto candidati Strega che sono riuscita a leggere, questo rientra fra i tre che preferisco.


❤★❤★❤★❤★❤★❤★

Di seguito vi riporto alcune citazioni;  l'ultima ve la trascrivo perché quando ho letto quel passaggio sono scoppiata a ridere e ho pensato: "Dai, ma allora non sono l'unica matta che nel letto, nella smania nervosa di non riuscire a prendere sonno, si muove come se stesse andando in bicicletta o se volesse prendere a calci qualcuno (facendo sussultare il povero marito)!"


"Ogni esperienza per me ha bisogno di una precisa spiegazione linguistica o empirica, di un sussidiario illustrato con tanto di esempi, altrimenti mi sfugge il fatto che la stia vivendo."


"Nella mia vita non vedo mai il bicchiere mezzo pieno. Nemmeno mezzo vuoto. Lo vedo sempre sul punto di rovesciarsi. Oppure non lo vedo proprio. Non c’è nessun bicchiere. Non c’è niente. Sono di fronte a un tavolino brutto e sopra il nulla. Potrebbe sparire anche il tavolino. Anzi, è già sparito. Non mi resta l’assenza, ma la perplessità."


"Possono toglierci tutto tranne i nostri ricordi, si dice. Ma chi mai sarebbe interessato a questa espropriazione? La maggior parte dei ricordi ci abbandona senza che nemmeno ce ne accorgiamo; per quanto riguarda i restanti, siamo noi a rifilarli di nascosto, a spacciarli in giro, a promuoverli con zelo, venditori porta a porta, imbonitori, in cerca di qualcuno da abbindolare che si abboni alla nostra storia. Scontata, a metà prezzo."


"Quando non riesco a dormire, continuo a rigirarmi nel letto seguendo una mia personale coreografia. Credendo di non essere vista, do libero sfogo a tutti i tic che ho cercato di tenere a bada durante il giorno. Poi puntualmente arriva l’eco dell’esasperazione. «Ti prego, Vero, la smetti di picchiettare il tallone sul materasso?»"

venerdì 27 maggio 2022

[[ CINEMA ]] BELFAST di Kenneth Branagh || THE HOUSE



Ultimamente ho guardato un paio di film che mi sono piaciuti.

Il primo è la storia di un ragazzino nato e cresciuto in una Belfast tanto bella quanto pericolosa, attraversata, alla fine degli anni '60, da scontri e tumulti politico-religiosi.

BELFAST


Film diretto da Kenneth Branagh, ha sullo sfondo il conflitto nordirlandese, che ebbe inizio nel 1968 e
che si protrasse per ben trent'anni.

Il protagonista è il giovanissimo Buddy (Jude Hill), un bambino di 9 anni che vive a Belfast, appunto, con i genitori (Jamie Dornan e Caitriona Balfe - la mia adoratissima Claire Beauchamp di Outlander!- ) e i suoi nonni, un'anziana coppia bella arzilla. 

La sua famiglia è di fede protestante e lì nel quartiere in cui abita la vita procede tranquilla, come se tutti facessero parte di una grande famiglia in cui ci si conosce, ci si aiuta, insomma si respira un'atmosfera di appartenenza ad una collettività.

Buddy è un tipo allegro, curioso, intelligente, e trascorre le giornate nei pressi di un cinema o di fronte la TV a guardare film e programmi americani; a scuola è molto bravo e sta cercando di conquistare una compagnetta di cui si è invaghito.

Sono gli anni '60 e la placida vita a Belfast subisce improvvisamente un colpo molto duro: si comincia a respirare un'aria satura di malcontento generale, che vede schierarsi cattolici contro protestanti. 

Iniziano rivolte e attacchi, tutti ne sono spaventati e si sentono minacciati; la bella e famigliare Belfast diventa teatro di conflitti che porteranno inevitabilmente ai tumulti della guerra civile.

L'infanzia di Buddy smette di essere spensierata; egli vede gli adulti attorno a sé seriamente preoccupati: i genitori litigano spesso, suo padre va e viene perché lavora in Inghilterra, la madre - una donna determinata, con un carattere forte e deciso - cerca con fatica di proteggere la famiglia ed è certa di una cosa: qualunque cosa accada, Belfast è la loro casa, solo tra quelle strade e in quel quartiere in cui i loro figli sono nati, essi sono a casa.
A casa, sì, ma non al sicuro.
Restare in questa città tormentata da scontri quotidiani, in cui si commettono crimini e violenze e soprusi, è davvero la scelta più saggia da fare? E lo è in particolare per i figli, che hanno diritto di crescere tranquilli e non certo in un posto in cui i negozi vengono incendiati, o saccheggiati e poi distrutti, e chi ha una fede diversa deve avere paura di uscir di casa se non vuol essere aggredito?

I genitori di Buddy dovranno prendere una decisione importante, anche se questo vorrà dire lasciare qualcuno indietro...

È un film molto bello, emozionante, e l'attore protagonista è davvero bravo nel trasmettere tutta l'innocente spensieratezza della sua età, quel guardare il mondo con gli occhi stupiti di chi vede questi adulti attorno a sè che si fanno la guerra perché non accettano di avere come vicino di casa uno che prega Dio in modo differente.

Ispirato alla storia personale del regista, "Belfast" è sensibile, delicato, poetico, malinconico, va dritto al cuore e a questo contribuiscono le musiche bellissime e suggestive e la fotografia in bianco e nero.
Bello bello, lo consiglio!!

❤♣❤♣❤♣❤♣❤♣❤♣

L'altra pellicola è un film d'animazione molto particolare e che ruota attorno al tema della casa e di quanto ad essa si possa essere così attaccati da divenirne schiavi, con conseguenze poco piacevoli.


THE HOUSE


Il film è in pratica un'antologia composta da tre storie slegate tra loro per protagonisti, contesto, periodo di ambientazione, ma aventi un unico filo conduttore: l'attaccamento morboso alla casa in cui vivono.

Nella prima (diretta da Emma De Swaef e Marc James Roels) i protagonisti vivono alla fine del XIX secolo e sono molto poveri: si tratta del signor Raymond, sua moglie e le loro figliolette, tra cui la piccola Mabel.
Un giorno la famiglia riceve la visita di alcuni ricchi parenti che non risparmiano umilianti critiche; amareggiato, il padre di Mabel esce nel bosco a ubriacarsi ma a un certo punto viene avvicinato da un misterioso individuo che, al pari di un benefattore, si offre di costruire una casa per la famiglia gratuitamente.

E così, la famiglia si trasferisce in questa casa immensa mentre la loro vecchia casina viene demolita e i lavori nella nuova sembrano procedere-

Ma l'abitazione da subito si rivela strana, misteriosa, inquietante: al suo interno, infatti, si manifestano fenomeni sinistri e da pelle d'oca, che però solo Mabel riesce a notare!

Il soggiorno in questa dimora grande, con tante stanze buie, diventa per Mabel un'esperienza spaventosa, che la vede impegnata a prendersi cura della sorellina (la vediamo, infatti, sempre con lei in braccio) e a cercare di capire se i suoi genitori si stiano accorgendo delle cose strane che accadono tra quelle mura: voci, risate, presenze inafferrabili..., e come se non bastasse, ad aver mutato atteggiamento e a essere diventati molto strani, sono proprio mamma e papà, che si estraniano e si allontanano dalle loro bambine, smettendo di prendersene cura.

Cosa nasconde quella casa? È davvero quel luogo sicuro e confortevole in cui una povera famiglia potrebbe essere felice?

Questo episodio è il più dark di tutti, una fiaba nera ("alla Tim Burton"), claustrofobica, in cui -
,
benché non 
avvengano effettivamente avvenimenti classificabili come horror - la tensione narrativa viaggia costantemente sul filo della paura, si percepisce che nella casa c'è qualcosa di oscuro e che terrorizza proprio perché non è definibile né visibile.  
Ad aggiungere questa cupa sensazione di minaccia, oltre alla casa in sé (io non sono un'esperta dell'orrore, ma mi pare pacifico che solitamente le case infestate da oscure presenze siano molto ricorrenti in questo genere di film), ci pensano gli stessi personaggi: dei "pupazzi" dalle fattezze non proprio attraenti, ma anzi... un tantino inquietanti, ideali per creare incubi ai bambini.


La seconda storia è ambientata ai giorni nostri ed è diretta da Niki Lindroth von Bahr: il protagonista è un ratto (una sorta di programmatore sempre attaccato allo smartphone, a prendere appuntamenti e a far chiamate ad una presunta amante), che decide di rinnovare la propria casa grande e fatiscente (il problema principale sta nella presenza di un esercito di odiosi coleotteri, che sbucano ovunque) per rivenderla in tempi brevi, ma il progetto sarà meno semplice di quel che immagina.
Molti ospiti (tutti animali come lui) inaspettati cambieranno il suo modo di vedere le cose; verranno sì a vedere l'immobile ma trovare un acquirente serio si rivelerà un'impresa complicata, in particolare quando dentro casa si infilerà una coppia di toponi grossi, goffi e ridicoli che, con naturalezza e prepotenza insieme, prenderanno dimora nella casa senza che il padrone - sgomento - riesca a cacciarli.
Insomma, il povero ratto - che ha già i suoi problemi - dovrà affrontarne altri sgradevoli a causa di questi inquilini indesiderati...

Nel terzo e ultimo atto, diretto da Paloma Baeza, siamo nel futuro. 
Anche qui abbiamo la proprietaria di una casa, circondata dall'acqua perché le inondazioni sono diventate sempre più frequenti; si chiama Rosa ed è una gatta gentile ma anche testarda, fissata con l'idea di restaurare l'edificio e poterci vivere lì per sempre.
Con lei vivono il pescatore Elias e la mistica Jen, e ben presto si aggiunge Cosmos, una specie di guru; con grande delusione di Rosa, Elias lascia la casa partendo su una barca; anche gli altri due sono intenzionati ad andarsene, ed esortano Rosa a non restarsene lì da sola, in quella casa che è praticamente impossibile da sistemare, ma a partire con loro alla ricerca di qualcosa di meglio.
Ma la padrona non riesce ad aprirsi al cambiamento ed è disposta - sebbene ne soffra - a veder partire gli amici pur di non abbandonare quel posto.

"...là fuori non c'è niente di meglio 
Per colui che decide di non cercarlo, non può esserci nulla.
È ora di proseguire, anche se non si sa per dove.
Non aver paura di diventare una persona diversa; ama il tuo passato ma poi... va oltre!"

Riuscirà a far sue le incoraggianti e sagge parole di Jen e ad andare verso una nuova vita, in un altro posto?

I tre racconti sono quindi collocati nel passato, nel presente e in un futuro distopico e hanno a che fare con il concetto di casa, come luogo da abitare fisicamente ma anche come un bene che permette a chi lo possiede di vivere meglio (a almeno è ciò che crede e spera); c'è la casa vista nel suo valore economico ma che trasuda solitudine e che basta poco perché diventi una topaia; e infine la casa come rifugio affettivo, un luogo noto e rassicurante che non si vuole abbandonare neanche quando i presupposti per viverci bene vengono meno.

Mi è piaciuto questo film d'animazione, in particolare il primo per le atmosfere cupe, gotiche e intriganti, e il terzo perché c'è una sottile vena d'ottimismo verso la fine.
In questi tre racconti incontriamo tanti difetti e debolezze umane (anche se in realtà, in due storie su tre, i personaggi non sono esseri umani, ma gatti e topi antropomorfi, che fanno il verso all'uomo, vestendo come lui e manifestando i suoi stessi vizi, stranezze, paure, desideri...): l'avidità, la brama di possedere beni materiali e l'attaccamento ad essi, la solitudine, la difficoltà di aprirsi al cambiamento; è un film allegorico, surreale, che ha il suo messaggio e risulta senza dubbio intrigante e piacevole da guardare
Consigliato!!

martedì 24 maggio 2022

RECENSIONE: ✔ DIVORZIO DI VELLUTO di Jana Karšaiová ✔



In Divorzio di velluto leggiamo una storia che non è solo quella personale - contrassegnata da ferite, delusioni, perdite, separazioni, litigi, tentativi di rinascere... - della protagonista, Katarìna, ma è anche la storia di uno strappo culturale, linguistico, politico, che - per quanto sia stato definito "di velluto", quindi non violento o "traumatico" - inevitabilmente si è riversato nelle vite dei singoli, influenzandole nel bene e nel male.

DIVORZIO DI VELLUTO
di Jana Karšaiová


Ed. Feltrinelli
160 pp
Era il 1992 quando la Cecoslovacchia si "dissolveva" per dar vita a due nuovi Paesi: la Slovacchia e la Repubblica ceca.

La giovane Katarìna è nata nel 1978 "in una Cecoslovacchia comunista appena matura che dopo quindici anni sarebbe morta per vedere sorgere dalle proprie ceneri due stati nuovi, una fenice moderna, gemella ma non troppo, un matrimonio il cui apice sarebbe stato il divorzio, battezzato anche quello di velluto. Come la rivoluzione dell’89, la Rivoluzione Gentile la chiamavano gli slovacchi, di Velluto, ribattevano i cechi."

Adesso che è una donna adulta e indipendente, torna a Bratislava (da Praga) in occasione delle festività natalizie, ma se ne pente immediatamente.

Come al solito, l'atmosfera in casa è greve, soffocante, resa tale dal rapporto conflittuale tra i suoi genitori - dalle personalità molto diverse - e da quello di Katarina stessa con la madre.

Infatti, se con suo padre ha sempre avuto un rapporto sereno, nonostante la debolezza caratteriale dell'uomo, che col tempo ha deciso di ripiegare nel demone dell'alcolismo le proprie delusioni ed amarezze, è con la madre che è difficile comunicare e interagire.

La donna è un tipo forte, rigido, poco affettuoso e anzi è sempre pronta a criticare le scelte e le condotte dei figli, in special modo di Katarìna (di cui, ad es., non ha mai approvato il matrimonio) e di Dora (più grande di Katka; hanno anche un fratello, Jojo), la figlia che se n'è andata di casa, trasferendosi negli Stati Uniti, non facendo più ritorno e non dando scarse notizie di sé; con lei, Katarìna è rimasta in contatto tramite email.

Ad aggiungere malumori nei giorni di festa è la notizia che Katarìna, con ostentata indifferenza, dà circa il proprio rapporto con Eugen: dice, infatti, che il marito se n'è andato di casa.

Si sono lasciati, dunque?

Katka non si sbilancia granché ma il lettore ne segue il filo dei ricordi e apprende in che modo i due si sono innamorati, la passione che li ha travolti, la decisione - forse troppo affrettata - di sposarsi in quattro e quattr'otto, e poi le tante difficoltà di integrarsi a Praga e, soprattutto, un episodio doloroso che ha creato uno strappo nel matrimonio, mandandolo in crisi.

Un dolore su cui Katarìna stende una coltre spessa di silenzio, soffrendone e chiudendosi in se stessa.

Andando avanti nella narrazione, quella che inizialmente può sembrare una voce narrante/protagonista fredda e chiusa dal punto di vista emozionale ed empatico, si rivela, piuttosto, come una giovane donna che è cresciuta in un contesto famigliare in cui i problemi e i dissidi venivano affrontati a suon di urla ed insulti da parte della madre, e a questo modo di fare ella ha imparato ad opporre silenzi impenetrabili ed atteggiamenti di chiusura per fronteggiare il vuoto attorno a sé:

"Sentiva un peso che le premeva sul petto. Lei non viveva i dolori in quel modo, li seppelliva, non sapeva come fare altrimenti."

"Il buio che si portava dentro era solo buio, sotto scorreva la vita, per tutti, anche per lei."

Oppressa e irritata dai musi della madre e dai suoi rimbrotti, la ragazza finisce per trascorrere il capodanno con l’amica Viera (con cui ha condiviso gli anni del liceo e la passione per l’Italia) a Bologna, dove questa si è trasferita grazie a una borsa di studio.
Le due amiche hanno modo di riavvicinarsi e di raccontarsi esperienze e ferite, e mentre  Katarína le parla di Eugen e del suo abbandono di due mesi prima con un biglietto sul tavolo della cucina, l'altra le racconta della liaison con Barbara, che era stata la loro insegnante di italiano.

Subito dopo Katarìna ed Eugen si rivedono in una circostanza molto triste. 

Questo incontro inaspettato ricucirà il loro rapporto in crisi o ne decreterà la fine in modo definitivo?

Il matrimonio (e la conseguente separazione) della slovacca Katarina con il ceco Eugen è un po' una raffigurazione (in piccolo) del rapporto tra due paesi e quindi tra due culture, due popoli, due lingue.

Jana Karšaiová intreccia le vicende della protagonista Katarìna con quelle del paese in cui è nata, la Slovacchia, e attraverso la voce asciutta e il racconto essenziale della protagonista, racconta com’è stato crescere sotto l’oppressione del regime comunista, la censura, subire la divisione del proprio paese, l’abolizione delle festività cattoliche, le code per la carne e per qualsiasi cosa; un elemento importante è l'amore per l’italiano, il cui studio diventa un modo per conquistare uno spazio personale, tutto per sé, dove potersi reinventare fuori da ogni condizionamento, ricrearsi attraverso l'uso di una lingua nuova.

"Divorzio di velluto" è un romanzo che affronta il tema della perdita delle proprie radici e della necessità di ricostruire sé stessi quando il mondo a cui si era abituati va praticamente in frantumi e ne viene fuori una realtà nuova (e vecchia insieme).

Quella di Katarìna è una storia di assenze e silenzi che pesano, di tradimenti, di desideri che si ha timore anche solo a pronunciare, di squarci che, per essere ricuciti, richiedono nuove risorse e la volontà di rinascere come un'araba fenice, superando la sensazione di sradicamento e di vivere come orfani di un passato chiuso per sempre.

Un romanzo che mi ha colpita positivamente per la scrittura profonda, che va dritta al punto senza risultare distaccata emotivamente; l'ascolto, poi, è stato oltremodo piacevole, considerato che a leggere il libro è la stessa autrice, Jana Karšaiová.

Un esordio letterario che merita attenzione.



sabato 21 maggio 2022

RECENSIONE: ✔ NOVA di Fabio Bacà ✔


Davide è un uomo abituato ad avere, nei confronti della vita, un approccio razionale, un occhio scientifico che cerca una spiegazione sensata a tutto. Fino a quando nelle sue giornate tranquille - cadenzate essenzialmente dal lavoro in ospedale e dalle relazioni famigliari - irrompono elementi imprevedibili, che lo mettono di fronte agli istinti più pericolosi e ingestibili che risiedono nella psiche di ogni uomo. Compreso se stesso.


NOVA
di Fabio Bacà



Ed. Adelphi
279 pp

"Questa è la sostanza di cui siamo fatti: sangue, furore e detriti di sogni al confine tra sonno e veglia. Dominare la violenza o esserne dominati."

Davide Ricci, appena sveglio, pensa alla morte.

È la prima informazione che il lettore apprende sul protagonista, un giovane uomo che lavora come neurochirurgo all'ospedale (siamo a Lucca), sposato con la bella Barbara - logopedista e super vegana - e padre del quattordicenne Tommaso.
Non è un tipo pessimista né ha particolari problemi, fatta eccezione per il rapporto poco sereno con il suo diretto superiore (il primario, dottor Martinelli) e con un vicino di casa, tale Massimo Lenci, che cova astio nei suoi confronti in quanto poco tempo prima Davide è riuscito a far chiudere il locale di cui l'uomo era proprietario perché durante la notte creava un gran baccano.

Per il resto, la vita di Davide procede fin troppo tranquilla, fino a quando non cominciano a verificarsi dei piccoli episodi che lo mettono in crisi.

Uno di questi  ha a che fare sempre col vicino arrabbiato e risentito, Lenci: un giorno, questi ferma Davide e gli parla..., gli parla con un tono apparentemente calmo ma il dottore "vede" nei suoi occhi, negli atteggiamenti, nel tono di voce, che l'altro vuol mandargli un messaggio ben preciso, presumibilmente per spaventarlo, altrimenti perché fargli sapere che in passato è arrivato a fare a botte con uno sconosciuto, a beccarsi una bottigliata in testa e a reagire in modo violento, tanto da beccarsi una denuncia?
Davide ascolta Lenci mentre gli fa questi discorsi strani e leggermente minacciosi, e resta sbigottito, un po' impaurito e soprattutto immobile, paralizzato. Non sa come reagire.

Questa reazione di immobilità non è isolata.
Una sera raggiunge moglie e figlio al ristorante, dove essi già sono lì ad attenderlo, e si ritrova davanti ad una scena bizzarra, incomprensibile, davanti alla quale egli resta paralizzato: un uomo che non conosce si è avvicinato al tavolo di Barbara e Tommaso e ha messo una mano sul braccio della donna, con fare prepotente. 
Chi è e cosa vuole da lei? Barbara lo conosce? 
Mentre mille domande gli affollano la mente, la situazione precipita: un altro individuo - anch'egli uno sconosciuto - interviene per "salvare" Barbara dalle avances insistenti e sgradevoli dell'altro, e lo fa con molta decisione, minacciando il "molestatore" con un coltello e intimandogli con fermezza di comportarsi bene.
Tutto questo sotto gli occhi scioccati di Barbara e Tommaso; quest'ultimo, poi, incrocia per qualche secondo lo sguardo del padre, che non interviene in soccorso di moglie e figlio ma lascia che le cose si "risolvano da sé".

Questi episodi cominciano a innescare una serie di domande, pensieri, dubbi su sé stesso: Davide Ricci, il neurochirurgo che salva vite umane e "cura i cervelli", è forse un vigliacco?
Sì, certo, lui odia ogni forma di violenza e mai gli verrebbe in mente di risolvere una qualsivoglia questione con le botte, ma addirittura restare impassibili e fermi davanti a un tizio che dà fastidio alla tua consorte è troppo pure per un pacifista come lui!

E Davide sarà pure uno che esita ad agire, ma a pensare e ripensare è bravissimo, per cui comincia a viaggiare con i ricordi e la mente gli porta a galla altri momenti del passato in cui, davanti a gesti - anche velati e non proprio espliciti - di prepotenza e/o aggressività, lui ha reagito con mollezza, come se volesse nascondersi o scappare, tutto pur di non affrontare a viso aperto il prepotente di turno.

Cosa indicano di lui episodi come questi? Che è un vile, un fifone senza attributi?

Quando vede suo figlio fare amicizia con il figlio di Massimo Lenci, vorrebbe poter intervenire perché quel ragazzo strano di nome Giovanni - che pare abbia trascorso gli ultimi quattro anni lontano dal padre, in Australia - lasci in pace suo figlio, ma in realtà non fa nulla.

La svolta arriva attraverso un uomo di nome Diego, il quale altri non è che il ragazzo che aveva aiutato Barbara e Tommaso al ristorante.
Diego e Davide diventano amici e il primo dà al secondo altri occhi con cui guardare dentro sé stesso: non più quelli pacati e razionali del medico che si accosta al cervello come ad una macchina perfetta e che egli ha imparato a conoscere tramite la propria carriera accademica e professionale.
Ciò che Diego fa, essenzialmente, è spingere Davide a porsi delle domande importanti su quei meccanismi del cervello più oscuri, latenti, da cui derivano impulsi che da sempre si preferisce soffocare perché ritenuti anticonvenzionali, non conformi alle norme del vivere civile.

Diego, a sua volta, gli parla con molta franchezza di sé, della propria infanzia, dei lutti subiti, delle esperienze fatte e di ciò che è adesso, del percorso che ha fatto per arrivare alle consapevolezze odierne e che lo rendono, agli occhi ammirati di Davide, una sorta di maestro, di mentore.

"La società moderna reprime gli istinti che non comprende o che non le fanno comodo. Inibisce l’aggressività individuale perché ritiene che confligga con l’idea di civiltà. "

"...la violenza è un potere ambiguo, che ha bisogno di essere controllato: se non lo domini, dominerà te. E non puoi controllare qualcosa che neghi a priori. Non puoi gestire una parte di te che rifiuti persino di concepire. Per convivere con il Potere devi nutrirlo e addomesticarlo."

«Fidati di me, dottore. Impara a cavalcare il tuo Potere, o te ne pentirai. Impara a domarlo, e ti porterà più lontano di quanto immagini».

Diego acquisisce una sicurezza di sé che non aveva mai posseduto e questo lo porta a cambiare negli atteggiamenti e nei discorsi, tanto che pure Barbara se ne accorge e non vede di buon occhio l'amicizia con quel Diego, che lei trova enigmatico, inquietante e con una cattiva influenza sul marito.

Ma le nuove certezze del dottor Ricci sull'uso della violenza, sulla necessità di riconoscere i propri istinti più meschini e aggressivi, dovranno fare i conti con l'imprevedibilità che si cela dietro le vite e i cervelli altrui.
Lui, un medico che ha fatto della conoscenza del cervello il perno della propria vita, si scontrerà in modo drammatico e oltremodo impetuoso con le conseguenze di una carica di violenza ingestibile, feroce, frutto di problematiche mentali molto serie e dagli effetti dolorosi.

In poco tempo l'esistenza di Davide Ricci viene letteralmente sconvolta da gesti intrisi di follia umana, dalla paura che ai propri cari possa esser fatto del male, ma a stravolgerlo dentro ed irreversibilmente sarà la contezza di come anch'egli - benché sia e abbia sempre vissuto come una persona gentile, perbene, dal carattere docile - custodisca in sé stesso i germi dell'aggressività e della violenza.
Non solo, ma realizza che, per quanto la violenza sia ripugnante, inconcepibile, vile, disumana, essa sia al contempo inevitabile, efficace, capace di farlo sentire vivo e dunque "profondamente, indissolubilmente umana."

Che bella scoperta questo libro di Bacà, davvero sorprendente, per trama, registro linguistico, psicologia dei personaggi!
Ho trovato la scrittura molto matura, estremamente affascinante, in particolare perché si avvale di un linguaggio elaborato, ricco, specifico (appartenente all'ambito medico per lo più), chirurgicoraffinato che però ha il grandissimo pregio di risultare molto scorrevole e piacevole, mai pesante né tantomeno artificioso; la lettura fila fluida e accattivante dal primo rigo, l'Autore sa creare la giusta tensione emotiva nei momenti clou, affronta un tema interessante e attuale qual è quello della violenza, sia legata ad es. ai problemi di tipo psichiatrico, sia in quanto conseguenza di istinti presenti nella natura umana, e che non tutte le persone imparano a gestire nel medesimo modo e/o nel modo giusto.

Insomma, io ho amato questo libro, che per quanto mi riguarda - ad oggi - è tra quelli che preferisco tra i candidati allo Strega letti (ahimè, non tutti), insieme a "E poi saremo salvi".

Assolutamente consigliato!!

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