martedì 14 novembre 2017

Recensione: LA PARANZA DEI BAMBINI di Roberto Saviano (RC2017)



Storie di innocenze rubate, di adolescenti che giocano a far gli uomini, andando incontro al rischio e alla morte con l'atteggiamento distaccato di chi sa che tutto quello che devi fare per essere qualcuno e per avere i soldi in tasca, va fatto oggi, non domani, perchè domani potrebbe essere tardi e tu potresti già non esserci più.


LA PARANZA DEI BAMBINI
di Roberto Saviano


Ed. Feltrinelli
Al centro di questo romanzo di Saviano vi è un gruppo di ragazzini di 15 anni che, a bordo dei loro scooter, scorrazzano per le strade di Napoli sognando di far soldi facili grazie ai boss di quartiere che “li fanno lavorare”.
Sono ragazzi che, per lo più, appartengono a famiglie “normali”, perbene, gente semplice che sgobba dalla mattina alla sera per garantire una vita dignitosa alla famiglia.
Ma, ahimè, questa dignità i loro figli la svendono giorno per giorno per fare spazio alla propria avidità, alla voglia di “potere”, di vedersi temuti e considerati per il loro essere dei “duri”.

Sono adolescenti che vivono ogni giorno come viene, perché sanno che è meglio non confidare troppo nel domani; non hanno paura di andare in carcere o di morire, ed è per questo che si giocano tutto ciò che sono e hanno, perché se non impari a essere “fottitore”, necessariamente poi diventi un “fottuto”, uno cui toccherà sempre sottomettersi agli altri, ai più forti.


“...oggi ci stammo, domani nun ce stammo. T’’o rriccuorde? Amico, nemico, vita, morte: è la stessa cosa.’O ssapimmo nuje, e lo sai pure tu. Accussì è. È ’n’attimo. È accussì che se campa, no?”

Questo gruppetto di ragazzi è capeggiato da Nicolas Fiorillo, chiamato O' Maraja in virtù del locale da lui frequentato assiduamente; in questo mondo fatto di piccoli e grandi criminali, tutti hanno un soprannome, solitamente legato a un particolare del loro modo di essere o a un aneddoto significativo che li ha visti protagonisti; e il soprannome può essere più importante del nome stesso perché dice chi sei e con esso vieni riconosciuto e ricordato.
Quando il piccolo boss camorrista per cui lavorano viene arrestato, Nicolas comincia a nutrire propositi più grandi, di indipendenza, volti a metter su una propria paranza, vale a dire formare un gruppo di affiliati che – giurandosi reciproca e assoluta lealtà – comincino a trafficare in ambito criminale, puntando man mano al non dover rendere più conto a nessuno, ma gestendo i propri “lavori” da sé.

Dopo le iniziali perplessità degli amici – coetanei con cui è cresciuto, che si considerano l’un l’altro come dei fratelli -, Nicolas riesce a convincerli a creare questa paranza, che però deve restare segreta – come segreto è il “covo” in cui si radunano per parlare d’ “affari”, per conservare il danaro accumulato, ecc… - agli occhi di quanti non ne fanno parte.

Per raggiungere i propri obiettivi – ad es., avere piazze proprie in cui spacciare e, in una parola, comandare, suscitando timore nella gente – Nicolas è disposto a correre dei rischi, come quello di contattare un potente boss agli arresti domiciliari e proporgli di lavorare per lui. Questi, superato l’iniziale sbigottimento per la sfacciataggine del “muccusiello”, acconsente a dargli le armi.

Assistiamo, quindi, capitolo dopo capitolo, alla nascita di questa paranza di ragazzetti che giocano a fare gli uomini: marinano spesso la scuola, spendono i soldi in abiti firmati e regali alle fidanzatine, sniffano polvere bianca, sparano ad antenne e neri per esercitarsi nel caso si trovassero nella condizione di dover ammazzare qualcuno, seminano terrore per le strade, cercano di ottenere il controllo dei quartieri sottraendoli alle paranze avversarie.

Sono ragazzi che, pur rendendosi conto che quella realtà in cui vivono è tutto fuorchè uno scherzo, un gioco, spesso affrontano tutto con troppa leggerezza, con quell’audacia sciagurata di chi non sempre calcola bene i rischi che corre se prende una determinata strada, se stringe certe alleanze, se pesta i piedi a qualcuno.

Saviano immerge il lettore immediatamente, sin dalle primissime battute, in questo “mondo sporco”, raccontando storie di violenza, di morti che producono altri morti, vendette e ritorsioni, di malavita…, storie di camorra in cui i protagonisti sono degli adolescenti la cui “colpa” è forse, prima di ogni cosa, quella di essere nati a Forcella e, in secondo luogo, di aver detto sì a uno stile di vita che offre sì guadagni facili e veloci, ma anche pericoli e preoccupazioni da affrontare, tanto, troppo più grandi delle loro spalle.

Questi ragazzi, coi loro modi di fare sguaiati, da bulli, sempre pronti a fare discorsi e gesti volgari, prepotenti, bugiardi nei confronti delle loro povere famiglie, mi hanno suscitato emozioni contrastanti: un po’ come con i "ragazzi di vita” di Pasolini, da una parte ho provato rabbia, irritazione e nervosismo davanti a quei loro modi di fare da delinquentelli già vissuti, irrispettosi, dall’altra, in certi momenti, ho provato un gran dispiacere per queste vite bruciate, per “quel futuro che non c’è"  e che contribuiscono a rendere precario con le proprie mani, perché – proprio come i pesciolini che restano in fondo alla rete dei pescatori e che poi andranno a formare il fritto di paranza – essi restano impigliati in un intrigo di sopraffazione e violenza che potrebbe finire per strozzarli.
Adolescenti derubati, defraudati della legittima spensieratezza tipica di quest’età per servire una realtà che non fa sconti a nessuno, neanche a bambini di dieci anni, che a questa tenera età hanno già imparato a tenere una pistola in mano e a premere un grilletto.

“Io per diventare un bambino c’ho messo dieci anni, per spararti in faccia ci metto un secondo”.

Storie di vita autentiche, tristemente realistiche, narrate con uno stile brutale e crudo, come lo è del resto la realtà fotografata; una narrazione che sa essere implacabile e inquietante, capace di turbare il lettore attento e consapevole di come, pur essendo alla presenza di una finzione letteraria, essa sia al contempo tratta dalla vita vera, e di come, seppure i personaggi e le vicende specifiche in sé siano frutto dell’immaginazione dell’autore, il sostrato sociale è fin troppo reale.

Ho letto questo libro a un ritmo sostenuto, sempre più coinvolta dalle giornate frenetiche e caotiche di questi “ragazzacci”, avendo modo di cogliere di ciascuno – O’ Marajà, Dentino, Biscottino, Lollipop… - le caratteristiche precipue grazie al linguaggio colorito e verace utilizzato da Saviano, che s’è servito di un abbondante dialetto napoletano che rende i dialoghi e la narrazione in generale molto vivaci e vere, dal taglio cinematografico, tanto che viene spontaneo immaginare tutto nei dettagli: espressioni facciali, tono di voce, abbigliamento, gesti, risate, sguardi duri e taglienti…

E’ stato un po’ come fare un salto sul set di Gomorra, e chi conosce la fortunata e seguitissima serie tv (che amo e non vedo l'ora di godermi la terza stagione!) sa di cosa parlo, di quale tipo di scenario, ambientazioni, dinamiche e personaggi. 
Finale amaro ma perfettamente in linea con ciò che viene narrato e della spietata realtà in cui è collocato.


Di certo leggerò il seguito, “Bacio feroce”, recentemente pubblicato.


READING CHALLENGE
obiettivo n.22 - Un libro dal punto di vista dei cattivi

2 commenti:

  1. Ciao Angela, non ho mai letto nulla di Saviano, ma conosco i suoi romanzi e questo mi sembra molto interessante e attuale

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    Risposte
    1. Assolutamente, attuale e purtroppo fedele nel narrare di determinati contesti.
      Te lo consiglio, se apprezzi il genere ;-)

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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