Ambientato nel periodo che comprende le due guerre mondiali, questo romanzo della scrittrice ucraina ci racconta la storia di una famiglia, gli Hardelot, ci narra di matrimoni, nascite, morti, piccole e grandi gioie accompagnate da problemi e preoccupazioni, e soprattutto ci mostra, con grazia e decisione insieme, come la quotidianità delle esistenze venga scossa da quell'evento terribile che è la guerra, che inevitabilmente porta con sé sangue, bombardamenti, figli e mariti chiamati alle armi, donne che aspettano angosciate di ricevere notizie dal fronte, gruppi di sfollati e disperati. Macerie su cui bisognerà ricostruire.
Può la vita continuare ad andare avanti, a resistere, a mostrare i propri meravigliosi doni nonostante attorno ci siano morte, paura, desolazione?
I DONI DELLA VITA
di Irène Némirovsky
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Adelphi Ed. trad. L.Frausin Guarino 218 pp 18 euro |
Pierre Hardelot è un giovanotto di buona famiglia, erede delle cartiere del burbero e severo nonno Julien; costituisce sicuramente "un buon partito" per le signorine di Saint'Elme in attesa di marito e ad averla spuntata è la paffutella Simone, anch'ella appartenente ad una ricca famiglia.
Peccato che Pierre non ne sia innamorato: il suo cuore batte solo per una donna di nome Agnès, una ragazza snella, carina, delicata, con cui il ragazzo è praticamente cresciuto assieme.
I due si amano e si incontrano di nascosto; se le rispettive famiglie sapessero dei loro tentativi di vedersi e stare insieme, ne verrebbe fuori uno scandalo e sui due si abbatterebbe l'ira funesta della madre di Pierre (Marthe) e della famiglia di Simone.
Pierre sta per acconsentire a un matrimonio combinato pur di non disubbidire a genitori e al nonno (che sarebbe capace di diseredarlo), consapevole che essi non darebbero mai il consenso al matrimonio con Agnès, che appartiene sì a una rispettata famiglia ma piccolo-borghese e priva dei mezzi per procurare una buona dote alla fanciulla.
Che fare? I due innamorati riusciranno a far valere la forza del sentimento che li unisce e a combattere contro pregiudizi e divieti?
Mentre leggevo le prime pagine del romanzo, quasi mi sembrava di essere in un classico "alla Austen", in cui al centro vi sono questioni di amore, l'osservanza di etichette e convenzioni sociali, unioni matrimoniali che sanno più di contratti d'affari che di appassionate promesse al chiaro di luna.
Ma questa sensazione dura poco: sì, il lettore assiste alla vittoria dell'amore ma la gioia per una coppia innamorata, che può vivere in libertà il proprio sentimento, presto viene oscurata dall'ombra cupa e terribile della prima guerra mondiale.
Siamo nell'estate del 1914 e il mondo intero sembra "vacillare e franare da ogni parte come il fondale di un palcoscenico, e anche Saint-Elme ne era scossa. Erano gli ultimi giorni del luglio 1914. Non si voleva ancora credere alla guerra, ma se ne avvertiva il soffio ardente."
Pierre Hardelot è costretto ad arruolarsi per difendere il proprio Paese, insieme a tanti altri.
Con lui lontano, in casa cresce l'angoscia per quel figlio e giovane sposo che da un momento all'altro potrebbe essere ferito, morire, dato per disperso. L'attesa di notizie dal fronte diventa di giorno in giorno più snervante e carica di ansia e, come se non bastasse, il nemico a un certo punto penetra nel Nord della Francia e arriva nei pressi di Saint-Elme.
Eppure, nonostante le voci di questa marcia giungano frenetiche e spaventosamente sempre più vicine, la gente sembra anestetizzata, incredula, impaurita ed immobile: che fare? Fare fagotto e scappare?
"...Saint-Elme non si muoveva. Adagiata nella sua ingannevole sicurezza, dormiva; metteva la testa sotto la sabbia e si credeva invisibile. Se qualcuno diceva: «Potrebbero combattere anche da queste parti...», veniva guardato con incredulità. A Saint-Elme? Ma via!"
Eh sì, non resta che quello, se si vuol tentare di salvare la pelle: fare armi e bagagli e mettersi in marcia, unirsi alla schiera di sfollati che lascia in fretta e furia le proprie case, i mobili, gli arredi, gli oggetti, i ricordi di una vita, per cercare rifugio, per provare a non morire sotto i colpi del nemico.
L'autrice descrive con parole semplici ma efficaci i sentimenti e gli stati d'animo che emergono in frangenti drammatici come quelli indotti dallo stato di guerra.
All'inizio di un conflitto, ci si dispera per tutti i caduti, si piange per tutti quelli che partono, per poi - purtroppo! - farci l'abitudine; il pensiero man mano si fa più "egoistico" e si pensa unicamente al proprio caro, ma prima di arrivare a quel momento, si condivide con gli altri una comune pena e i giovani caduti sono un po' figli di tutti.
La guerra arriva, distrugge, divide, uccide, impoverisce, costringe singole persone, famiglie, città, nazioni, a ricostruire ciò che è stato ridotto in macerie, a ricominciare a vivere dopo lo sconquasso.
Passa il 1918, le esistenze di tutti sembrano pian piano tornare alla normalità; è così anche per Pierre ed Agnès, che hanno due figli: Guy e Colette.
Guy cresce, diventa un giovanotto sfuggente, tormentato...; i suoi non riescono a capire cos'abbia, finché tutto diventa chiaro a seguito di un gesto drammatico da parte di Guy.
Ma non ci si ferma: la vita è affamata e prosegue e così, tra vecchi rancori fra genitori, il nonno sempre arcigno e testardo, tradimenti, figlie ribelli, sopraggiunge anche la seconda guerra mondiale.
"...questa guerra non sarà l'ultima, come abbiamo sempre creduto, ma la prima di una lunga serie di guerre più implacabili, più atroci. Guerre e rivoluzioni. Sangue e ancora sangue."
Dopo la fine del primo conflitto, il mondo si era rialzato a fatica per assomigliare "a un malato che si sveglia e geme, e si gira e rigira nel letto cercando invano di dimenticare i suoi dolori."
Ma è il ciclo della vita e della storia: ritorna, e nella sua forma peggiore e più temuta.
La gente si ritrova di nuovo ad aspettare la guerra, come l'uomo aspetta la morte: sa che non può sfuggirle, al massimo, può sperare che la sua ora sia solo rimandata di un altro po': ancora qualche mese di pace, ancora un anno, ancora una stagione dolce e spensierata...
Ed ecco che la storia si ripete: giovani e meno giovani costretti ad imbracciare armi, a rischiare la vita per combattere contro un nemico che avanza pericoloso; donne - madri, fidanzate, mogli, sorelle... - che restano a casa ad aspettare, ancora una volta!, notizie, a sperare, a piangere in silenzio e di nascosto, a cercare di placare i palpiti del cuore al solo pensiero - terribile!! - che il proprio congiunto non torni più.
Le persone devono accettare la comune sventura, grande oltre ogni dire, e trarre da essa - volenti o nolenti - la forza per non cedere.
"I doni della vita" è un romanzo dalle tinte cupe, tristi, e non potrebbe essere diversamente, visti il periodo storico e l'ambientazione; la Némirovsky ha una penna delicata e decisa allo stesso tempo, ci dipinge il quadro di una società borghese persa nelle proprie abitudini, in certi suoi pregiudizi, impegnata a coltivare troppo spesso sentimenti di diffidenza, animosità, risentimenti, rancori, egoismi, facendo attenzione a proteggere il proprio "orticello" da pericoli e insidie di ogni tipo.
Fino al giorno in cui qualcosa di enorme si abbatte sulle loro vite, sulle case e sulle città, travolgendo tutto e tutti.
Leggendo, ci si sente un po' sfollati e smarriti tra le strade di questa Francia immersa in una straziante desolazione; si ha pietà per queste famiglie allo sbaraglio, per i reduci di guerra - che si portano dietro una fatica immensa, fisica, mentale, spirituale.
Avvertiamo la forza distruttiva della guerra: già soltanto il pensiero, l'idea che essa possa scoppiare basta a stritolare il cuore; i presagi di conflitti imminenti pervadono e si respirano in ogni momento, in ogni gesto e parola.
"...niente concedeva all'anima un attimo di tregua; tutto sembrava ripetere: «È la guerra... la guerra... la guerra...».
Ma non vorrei che passasse il messaggio che questo libro trasudi e trasmetta qualcosa di negativo, di opprimente, di triste nel suo senso più cupo e tragico: c'è in esso una grande forza che figlia della speranza.I personaggi della Némirovsky hanno il loro bel carattere, anche coloro che, a prima vista, possono sembrarci dei deboli; Pierre, ad es.,può apparire, in alcune occasioni, come un uomo volubile, insofferente, tendente allo scoraggiamento e ad ad abbattersi, a differenza di Agnès (e, più tardi, di sua nuora Rose) che mantiene costantemente un temperamento vigoroso, una maggiore fermezza nel prendere decisioni. Ma anche Pierre maturerà e avrà modo di mostrare la propria forza interiore, il proprio valore, quando la Storia glielo chiederà.
Ci si affeziona a queste persone, si spera con tutto il cuore che non soccombano, che possano vedere sorgere l'alba di un nuovo giorno e poter dire: "C'è stata la guerra. Ma ora è finita e per noi, per i nostri figli, c'è ancora la vita ad attenderci, con i suoi doni."«Nonostante le apparenze, è questo che conta. La guerra finirà, finiremo anche noi, ma questi piaceri semplici e innocenti ci saranno sempre: la freschezza, il sole, una mela rossa, il fuoco acceso in inverno, una donna, dei bambini, la vita di ogni giorno... Il fragore, il frastuono delle guerre si spegneranno. Il resto rimane... Per me o per qualcun altro?».
Un romanzo intenso per l'ambientazione, piacevole per la sua trama e fluido nello stile.