Correggere e disciplinare i bambini e i ragazzi quando assumono comportamenti scorretti e non rispettosi delle regole sociali e del prossimo costituisce certamente un delle finalità della relazione tra educatore/insegnante ed alunno.
Ma anche nel momento in cui un insegnante applica un provvedimento educativo e disciplinare deve farlo tenendo sempre presente i principi del rispetto della persona, della sua dignità e personalità.
E' ciò che non ha fatto, però, una docente di una scuola media palermitana verso uno dei propri alunni nell'attimo in cui ha deciso di "somministrare" una determinata punizione per aver sentito il ragazzino insultare un compagno di classe, chiamandolo "gay".
L'insegnante - una professoressa di Lettere di 60 anni, attualmente in pensione - , pur avendo ella stessa una buona opinione del ragazzino 11enne come allievo, ha ritenuto opportuno dargli una severa punizione per quello che ha ritenuto essere un episodio di "bullismo".
Ora, se è vero che gli atti di bullismo vanno fermati tempestivamente, è anche vero che anzitutto non è questo il caso di un ragazzino dal comportamento "da bullo", e poi non è infliggendo una punizione umiliante davanti all'intera classe che il ragazzino impara cos'è il rispetto per l'altro.
In cosa consisteva quindi la punizione?
La prof di Italiano ordinò all'alunno di scrivere per 100 volte sul proprio quaderno la frase:"Sono un deficiente"; il ragazzo, una volta a casa, avrebbe dovuto far leggere "il compito di punizione" datogli dall'insegnante ai genitori e farlo firmare da loro stessi.
Ma questi ultimi non hanno per nulla approvato la disciplina applicata dalla professoressa, anche perché da allora il figlio era stato colto da paure, incubi e le conseguenze psicologiche si sono fatte sentire, con tanto di conferme da parte degli psicologi che hanno parlato con lo studente.
Da lì è partita la denuncia da parte del padre e i giudici che hanno esaminato il caso gli hanno dato ragione, così la Corte d'Appello ha motivato la condanna dell'insegnante a un mese di reclusione per "abuso dei mezzi di disciplina" e per aver inflitto una punizione umiliante, non certo in linea con i principi basilari della pedagogia.
Ogni punizione inflitta da un educatore - e con questa parola mi riferisco tanto ai genitori, quanto ad insegnanti e a tutte quelle figure che si occupano di educazione e formazione delle personalità delle nuove generazioni - deve avere sempre lo scopo di aiutare l'educando a crescere, a maturare valori importanti, rendendolo consapevole delle proprie azioni e di come esse, inevitabilmente, abbiano delle conseguenze, ma è fondamentale che la punizione stessa non sia vista, da chi la riceve, come ingiusta o sproporzionata e, soprattutto, non dovrebbe mai avere effetti deleteri sulla personalità e sull'autostima individuale.