giovedì 21 maggio 2015

Frammenti di... "Io che amo solo te"



Piccoli frammenti di... "Io che amo solo te":


Ogni amore custodisce almeno un segreto e solo alcuni non ne hanno timore: gli adolescenti, gli anziani e i disperati. Per tutti gli altri, la vita mette sempre trappole in cui è possibile cadere, l’importante è che nessuno ti veda.


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Ci sono storie che hanno bisogno di buio e silenzio. Solo dopo tanto tempo, come alcuni vini, potranno essere raccontate. 

"Quel che è di Cesare": un giallo storico per le vie dell'Urbe‏



Cari lettori, se amate il giallo non perdetevi questa novità edita da goWare nella collana di narrativa Pesci rossi: è già disponibile, come ebook nelle librerie online (presto anche su Amazon), il nuovo romanzo giallo di Massimo Blasi e Laura Zadra, che con la rigorosa precisione dello storico e il tratto ironico del narratore, costruiscono un giallo storico comico e affascinante: Quel che è di Cesare.

QUEL CHE È DI CESARE
di Massimo Blasi, Laura Zadra

EDITORE: goWare
COLLANA: Pesci rossi
PREZZO: ed. digitale € 4,99 
ed. a stampa € 12,99
Pagine: 132
Nella Roma del 44 a.C. si aggira lo spettro del defunto Giulio Cesare. Dietro di lui un’efferata catena di omicidi. 
Sulle vicende indaga l'imbalsamatore di cadaveri Lart, protagonista del nuovo romanzo di Massimo Blasi e Laura Zadra. 

Un giallo storico che unisce al rigore della ricostruzione dei fatti una comicità fresca e garbata.

L’uomo più potente di Roma, Giulio Cesare, è stato assassinato. Per le vie dell’Urbe sconvolta dal timore di una nuova guerra civile viene avvistato il fantasma del defunto dittatore. Dietro di lui un’efferata catena di omicidi. Soltanto il razionalissimo imbalsamatore di cadaveri Lart non crede allo spettro e, affiancato dal suo vanesio schiavo Silvius, comincia a indagare per dissipare i fumi della superstizione.

Quel che è di Cesare, edito dalla casa editrice goWare.

Il protagonista delle indagini è Lart, un imbalsamatore di origini servili, razionale, ironico e dotato di una solida formazione culturale strettamente legata alla sua terra origine, l’Etruria. La sua passione è collezionare edizioni rare di opere letterarie.
Attorno a lui, una moglie superstiziosa, una suocera maligna, uno schiavo vanesio e superficiale e un amico di vecchia data con cui il protagonista si diverte a discutere del misterioso fantasma di Cesare che sta spedendo prima del tempo all’oltretomba i senatori cesaricidi e che è al centro dell’indagine.
Lart e la sua famiglia si muovono a Roma, in particolare fra il verde suburbio che fiancheggia l’Aurelia, dove abita il protagonista, il chiassoso e variopinto Foro, centro della vita politica ed economica dell’Urbe, i colli Palatino e Aventino, dalle sontuose domus patrizie, e l’Argileto, zona di botteghe e palazzine popolari.

La ricerca della verità porterà l'imbalsamatore tra attori e senatori, maghe e ciarlatani e metterà a rischio anche le persone a lui più care. Fino all’incredibile finale.

GLI AUTORI
Massimo Blasi, canaro e dottore di ricerca in Storia romana, ha ricevuto il “Premio Sapienza 2012” per il suo libro Strategie funerarie e ha pubblicato numerosi articoli sulla morte nella Roma antica. Vive a Parigi, dove lavora presso l’École Pratique des Hautes Études per dedicarsi a un tema, per una buona volta, non funerario.

Laura Zadra, gattara e bibliotecaria presso il Dipartimento di Filologia classica dell’Università di Roma La Sapienza, è dottoressa in Letteratura anglo-americana. Esperta di letteratura gialla, è fra i soci fondatori della libreria romana “Suspense”, l’unica in Italia specializzata nel genere poliziesco, dove lavora attivamente.

mercoledì 20 maggio 2015

Recensione film: "Mia madre" (di Nanni Moretti)



Era dai primi di marzo, più precisamente da NESSUNO SI SALVA DA SOLO, che non andavo al cinema; ma finalmente domenica "c'ho fatto un salto" - sempre con mio marito (una delle pochissime persone cui mi sento di propinare i miei gusti in materi di film, visto che con amici e parenti 'sta responsabilità di portarli al cinema a vedere cose che piacciono a me, non mi sento di prendermela ^_^) -  e la scelta è caduta su Mia madre, anche se ero tentata pure da Il racconto dei racconti di Garrone.

Come sempre  - anche se non lo scrivo ad ogni post sui film - lascio il mio parere consapevole di non essere un'esperta di cinema, ma una semplicissima spettatrice, che non si perde in paroloni e valutazioni complesse (che lascio volentieri a chi è più addentro di me nel mondo del cinema) ma si limita a condividere le proprie semplicissime impressioni.



Regia di Nanni Moretti

Con Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini, Nanni Moretti, Beatrice Mancini, Stefano Abbati, Enrico Ianniello, Anna Bellato


Margherita (Margherita Buy) è una regista e sta girando un film dalle tematiche molto attuali, che ruotano attorno al problema della perdita del lavoro, dei licenziamenti in fabbrica; nel cast c'è, tra gli altri, Barry Huggins (John Turturro). un importante attore americano un po' strampalato, con una pronuncia dell'italiano buffa e che ha qualche problemino con la memorizzazione delle battute.

Margherita non è una donna felice e soddisfatta, e questa frustrazione la leggiamo nelle sue espressioni facciali, nel suo tono di voce, in ogni gesto, e soprattutto nelle sue relazioni con gli altri, che sia in famiglia o a lavoro.

Si è da poco lasciata con il compagno e, fatta eccezione per il lavoro - che non sembra darle molte soddisfazioni, ma che anzi la rende spesso nervosa con colleghi, attori, con i quali è davvero insopportabile - i suoi pensieri, ogni energia e tutte le preoccupazioni sono indirizzate verso la mamma Ada, gravemente ammalata.
Margherita non è sola a prendersene cura, c'è con lei il fratello Giovanni (Nanni Moretti), un tipo pacato, molto paziente, una presenza senza dubbio tranquillizzante per la sorella, che sembra non riuscire ad affrontare emotivamente le frustrazioni a lavoro, la sofferenza per la malattia della madre - le cui condizioni non sembrano poter migliorare -, i pensieri che le dà la figlia adolescente, Livia, per via della scuola.

La vita sembra passare accanto a Margherita, senza che lei riesca a viverla davvero; del resto, anche su lavoro, la regista dice ai suoi attori di non immedesimarsi troppo nella propria parte, di non confondersi e annullarsi in essa, ma di "restare accanto" al personaggio, in modo che l'attore non scompaia ma "si veda".
Forse Margherita avrebbe bisogno di fermarsi ad esaminare la propria vita, le scelte fatte, quei comportamenti che finora l'hanno allontanata da chi le era vicina, rendendola antipatica e rompi****, come mamma, come sorella, come regista e chissà, forse pure come figlia.

Ma magari proprio il dolore per la mamma morente e il terrore di perderla, potranno aiutarla a riflettere su stessa...

Mia madre è bello e arriva alla sensibilità di chi lo guarda perchè vero, in quanto punta tutto sulle relazioni umane, sul rapporto madre-figlia e anche fratello-sorella, sulla sofferenza e i problemi che possono caratterizzare tali rapporti, sull'incapacità/difficoltà di saperli gestire in modo sereno, soprattutto quando si vivono tempeste interiori, come è nel caso della protagonista.
Del resto, per come la vedo io, la Buy è particolarmente brava nei ruoli che la vedono triste, abbattuta (a me piace molto, come attrice, non lo dico come una critica negativa, e per carità, di certo sa interpretare anche ruoli allegri eh) e tormentata, e questo modo di essere viene in qualche modo compensato da Giovanni (N.Moretti), che è sempre così calmo, razionale (e non perchè non abbia problemi personali), una sorta di "porto sicuro" per la sorella, verso la quale è molto comprensivo.

Turturro, nel ruolo dello strambo Barry, è stato sensazionale, regalando momenti comici, che però non sono buttati lì tanto per ridere, ma nascondono comunque quel lato "drammatico" e riflessivo che è proprio del film, della storia raccontata e dei personaggi che la popolano.

Il personaggio di Ada (G. Lazzarini) suscita dolcezza  e tenerezza, per le fragilità dovute ai suoi problemi di salute, ma anche per quella forza e saggezza che emana, perchè una mamma è tale e resta un pilastro per i figli (e non solo) nonostante i brutti momenti che può attraversare a causa della malattia.

Figli lo siamo tutti, a qualsiasi età, e non si è mai pronti, preparati, mai troppo "grandi" per accettare l'idea di diventare orfani (e non soltanto per la morte del genitore, perchè credo che ci si possa sentire tali anche se un genitore è vivo ma, ad es., non è più lucido, non riconosce più i propri cari ecc...) e questo film mi è piaciuto perchè Nanni Moretti ha affrontato un soggetto di per sè così "normale", che appartiene a ciascuno di noi, alla quotidianità (di tanti), e l'ha fatto con molta sensibilità.

Un film da vedere e... w il cinema italiano!

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Cito e canto "Io che amo solo te"



Altro frammento tratto da "Io che amo solo te", con canzone associata: non poteva che trattarsi dell'omonima e romantica canzone di Sergio Endrigo, anche se io vi lascio la versione di Claudio Baglioni.


"L’unica cosa che però desiderava, in quel momento, era stare vicino a lei. Parcheggiò sotto il solito ulivo, spense il motore, alzò il volume. E si ritrovarono insieme dentro la stessa canzone.

C’è gente che ha avuto mille cose,

tutto il bene, tutto il male del mondo.
Io ho avuto solo te...


Voleva baciarla ma non riusciva nemmeno a guardarla. 
Aveva la testa fissa sui campi, mentre la sua mano destra la cercava. 
Si sfiorarono sul cambio, e lì si strinsero. Forte. Fortissimo.


... e non ti perderò,
non ti lascerò
per cercare nuove avventure.


Continuavano a non trovare la forza di guardarsi, e allora chiusero gli occhi, 
perché prima dovevano dirsi ciò che non si erano mai confessati.


Io che amo solo te.

Avevano di nuovo vent’anni."



martedì 19 maggio 2015

Recensione: IO CHE AMO SOLO TE di Luca Bianchini



Finalmente l'ho letto...!

IO CHE AMO SOLO TE
di Luca Bianchini


info
Il romanzo, ambientato ai nostri giorni nella bellissima cittadina pugliese Polignano a Mare  si svolge nell’arco di soli tre giorni ed inizia di venerdì, con un’irrequieta Ninella, indignata col cattivo tempo che potrebbe guastare il matrimonio della figlia Chiara, che si terrà l’indomani.

Chiara deve sposarsi con Damiano, figlio del ricco e vanitoso don Mimì, chiamato in paese “il re delle patate” per via dell’attività di famiglia, e che apprendiamo essere una vecchia fiamma di Ninella.

Ninella è una donna di 50 anni, ancora bella e sensuale, pure con qualche chilo di troppo, vedova da qualche tempo, che ha tirato su praticamente da sola le sue due figlie, ormai grandi: la 25enne Chiara e l’adolescente Annunziata, che detesta il suo nome, troppo antico, e preferisce farsi chiamare Nancy.

I preparativi dell’imminente matrimonio non sono ancora finiti – chi s’è sposato lo sa: fino a quando non si sono date le bomboniere, tutto può ancora succedere – e rendono tutti i coinvolti molto nervosi.

Ninella teme che le cattive lingue possano portare sfortuna e che il vento non cessi di tirare, regalando una brutta giornata; per non parlar del fatto che hanno dovuto combattere per ogni dettaglio con la consuocera, Matilde, chiamata la First Lady per le arie che si dà e per la fissa di mantenere una certa forma e un certo decoro da “signori ricchi”, tanto più in occasione di una festa di nozze, che prevede 287 invitati.

Per non parlare del fatto che questo matrimonio sancirà definitivamente il legame con la famiglia di Scagliusi Mimì, verso il quale Ninella non può non provare ancora sentimenti forti, risentimento compreso.

Chiara, la sposina, è nervosa perché sa di essere la protagonista della giornata di sabato: tutti gli occhi saranno puntati su di lei, e amici e parenti invitati saranno sicuramente pronti a criticare tutto quel che verrà fatto.
Per non parlare del fatto che qualche piccolo dubbio sul grande passo non può non insinuarsi nella mente della bella Chiara, che sembra perdere tutte le sue certezze davanti all’affascinante e pelato fotografo…

Ma non è l’unica ad aver dubbi: ne ha anche lo sposo, il bel Damiano, un bravo ragazzo col piccolo difetto della balbuzie, facilmente influenzabile quando attorno a lui c’è il cugino Cosimo, amante del divertimento.
polignano
E che dire di una preoccupatissima Nancy, le cui fisse vertono sul perdere chili (le basterebbe anche quel maledetto mezzo chilo) in occasione del matrimonio della sorella, e perdere anche la verginità, possibilmente con Tony, il ragazzo che le piace.

Ad essere preoccupato è anche il fratello minore di Damano, Orlando, che sa di avere un piccolo ma scomodo segreto da confessare, anzi da nascondere come meglio può, davanti al polignanesi e soprattutto, davanti al fratello che si sposa (e al quale vorrebbe risparmiare delle figuracce) e ai severi e freddi genitori, anche se il padre – che ha orecchie dappertutto - qualche presentimento potrebbe già averlo...

Insomma, si aspetta il sabato tra mille dubbi, scivoloni pericolosi da nascondere, suocere dispettose da assecondare, filmini prematrimoniali in cui essere perfetti, parenti pettegoli e criticoni, uno zio comparso dal nulla da collocare ai tavoli già predisposti e non solo…, fidanzate last minute da recuperare, e la paura che il matrimonio non sia la festa indimenticabile e favolosa che tutti desiderano.

Il sabato arriva, con grande ansia di tutti, e durante la festa al ristorante qualche imprevisto potrebbe accadere.. ma magari sarà proprio l'imprevisto a “salvare” e sistemare quei tasselli che erano fuori posto, per la serie "Tutto è bene quel che finisce bene".

Una storia divertente, scritta con un’ironia ed un umorismo che strappano tanti tanti sorrisi; la presenza di qualche simpatica espressione dialettale pugliese, l’attenzione posta su certe tradizioni e modi di fare del Sud, rendono il tutto davvero piacevole e godibile; i personaggi sono entrati tutti nelle mie simpatie subito, con pregi e difetti, con le loro paure e i loro piccoli segreti, gli atteggiamenti buffi, e mentre si leggono azioni, pensieri e parole ci sembra di vivere tutto insieme a loro, per quanto sono "vivi". 
Una lettura vivace, una commedia all’italiana pronta per diventare film – come accadrà tra non molto – che cominci a leggere senza poter poi riuscire a staccarti perché ormai ci sei dentro e devi arrivare alla fine.
E quando ci sei arrivato, vorresti non dover lasciare Ninella e il suo amore non vissuto con don Mimì, Chiara e Damiano – che devono imparare a non dare per scontato il loro amore – e tutti gli altri personaggi con i quali condividi in fondo solo tre giorni - tra cui un matrimonio nella sua miglior tradizione meridionale -, ma dai quali non avresti proprio voglia di separarti perchè costituiscono un'ottima compagnia.


Non so se si intuisce che lo consiglio assolutamente e ovviamente mi fionderò su “La cena di natale di Io che amo solo te” e aspetterò con molta curiosità ed entusiasmo il film, con la regia di Marco Ponti e che vede nel cast Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti. ^_-


Recensione correlata:

LA CENA DI NATALE

Recensione: IL DIARIO DI ANNA FRANK



Un libro che ho amato e continuo ad amare, e finalmente lo condivido con voi, lettori ed amici.


IL DIARIO DI ANNA FRANK


Quando la giovanissima Anne comincia a scrivere il suo diario, nel giugno del 1942, è una 13enne allegra, intelligente, con un grande spirito di osservazione, capace di inquadrare immediatamente gli altri – coetanei e adulti – e di descriverli in poche parole.

Mi ha sempre fatto tenerezza il pensiero che una ragazzina così spiritosa, giocherellona e socievole potesse essere altrettanto sensibile, acuta e matura da realizzare come, nonostante attorno a lei ci fossero tante persone – tutte potenziali confidenti -, in realtà a nessuna di esse ella sentiva di poter confidare tutto quel che provava e pensava, e proprio per questo vide in Kitty (il nome dato al diario segreto) la sua unica confidente.
Nonostante la vita di Anne, all’inizio del diario, ci appaia come sufficientemente tranquilla, l’ombra cupa e terribile delle leggi antisemite aleggia sulla vita della sua famiglia, e soltanto un mese dopo, la famiglia Frank, con l’aiuto di Miep Gies e di altri pochi amici, dovrà nascondersi negli uffici in cui lavorava Otto Frank, in Prinsengracht 263, ad Amsterdam.

Le giornate della giovane Anne cambiano radicalmente: avere 13 anni ed essere costretta a restartene chiusa in casa, facendo sempre attenzione a non fare troppo rumore, consapevole ogni giorno e ogni notte del pericolo di essere scoperti ed arrestati, non è una cosa semplice da vivere e gestire.

Ma fa sorridere e commuovere la forza e la voglia di vivere di quest’adolescente, nelle cui pagine - in cui racconta le giornate nel nascondiglio, delle litigate con la mamma e con i coinquilini, Van Daan e il dentista Dussell -, mostra sempre e fino alla fine una gran fiducia nella vita e nel futuro.

Quando, col passare di mesi, le notizie sull’andamento della guerra continuano a peggiorare e le poche positive non sembrano far ben sperare, la fiducia di riuscire a sopravvivere alla guerra si scontra con la paura, legittima, che questo non accadrà…

Anne ha una personalità determinata, forte, ma è ancora in formazione e, anche se le prove della vita l’hanno necessariamente resa più matura per l’età che ha, resta un’adolescente con i suoi bisogni, con i turbamenti derivanti dai cambiamenti psico-fisici che sta vivendo, con le sue pulsioni, i suoi desideri.

E non sono poche le pagine di diario in cui Anne si sfoga parlando degli adulti che la circondano, lamentandone l’ottusità, il loro non voler capire le esigenze e le vedute dei giovani: mamma Edith è tanto “moderna”, coraggiosa e pacata ma quanto riesce a far innervosire la figlia minore trattandola come una bimbetta?! E verso di lei Anne non ha certo parole di lode, anzi arriva a dire – con la foga propria dell’adolescente, che tende ad enfatizzare le emozioni – di non volerle bene e di ritenerla antipatica.

E vogliamo parlare della stupidità, della saccenteria e della superficialità della signora Van Daan? E della semplicioneria del marito?

Nonostante si parli spesso bene dei rapporti tra sorelle, Anne dichiara di non sentirsi molto affine e vicina alla maggiore, Margot, da tutti ritenuta più bella, più giudiziosa, insomma più tenuta in considerazione rispetto alla sorellina sciocca e chiacchierona. Non nascondo che avrei voluto che ci fosse pervenuto anche il diario di Margot, per leggere e conoscere anche i suoi sentimenti, le sue paure, i turbamenti, i desideri non rivelati…, la sua solitudine.

Il papà, chiamato affettuosamente Pim, è l’unico adulto in cui Anne trova comprensione, conforto…, eppure anche Pim a volte non la capisce del tutto, non la difende come lei vorrebbe, e questo finisce per deludere la nostra Anne, che si sente sempre più sola.

E poi c’è lui, il maschietto di casa, Peter Van Daan, con cui Anne non lega da subito, ritenendolo
peter van pels
pigro, troppo timido e sciocco, ma che un anno e mezzo dopo (dall’entrata nel rifugio) diventerà per lei una figura importante, che le regalerà tante emozioni e piccole gioie.

Gli ultimi mesi del diario sono quelli che, ogni volta, mi commuovono tanto, forse perché so che si avvicina l’ultima pagina, oppure perché la stessa Anne - che nel rifugio, in due anni, è senza dubbio cresciuta, maturata - ci ha lasciato in eredità delle frasi e dei passaggi molto belli, che ci aprono uno spiraglio sulla sua anima, sui suoi sentimenti, sulle aspettative nutrite verso un domani che non si prefigurava poi tanto roseo.

L’Anne del nascondiglio ha, nonostante le condizioni non siano a lei favorevoli, modo di crescere, di diventare una piccola donna, capace di autoesaminarsi, di riconoscere pregi e difetti suoi e altrui; se c’è un aspetto di Anna che emerge prepotente, nel corso del diario, è la voglia (il bisogno) di essere considerata, rispettata per quella che è, di ricevere coccole, attenzioni, conforto.

Anne, onesta com’è, non si vergogna certo di scriverlo:


 “Spesso ho bisogno di essere consolata, di frequente non sono abbastanza forte e le volte che sbaglio sono di più di quelle in cui riesco a comportarmi come vorrei.”

Emerge ancora un’Anne sensibile di fronte alla bellezza della natura, la sola che resta oltre tutto, oltre noi, oltre l’infelicità e la tristezza personali, alla quale possiamo guadare con gioia perché da essa prendiamo la serenità di cui abbiamo bisogno ogni giorno per ricordare a noi stessi che finchè abbiamo il cielo sopra di noi... non avremo mai una vera e propria ragione per essere infelici.

“Per tutti quelli che hanno paura, si sentono soli o infelici, il sistema migliore è certamente uscire, andare in un posto in cui si è completamente soli, soli col cielo, con la natura e con Dio. Perchè soltanto allora, solo allora si avverte che tutto è come deve essere e che Dio vuole che gli uomini siano felici nella natura semplice, ma bella. Finchè esiste questo, ed esisterà sempre, so che in qualsiasi circostanza può esserci consolazione. E sono fermamente convinta che la natura può cancellare molte miserie.

E tocca profondamente leggere la fiducia che una ragazzina di 15 anni, costretta dalla follia dell’uomo a nascondersi per evitare l’arresto o una fine ben peggiore, custodisce dentro sè, continuando a credere, ancora e nonostante tutto, nella bontà dell’uomo.

“Nonostante tutto, continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità."

Quando lessi il diario di Anne per la prima volta non avevo ancora 13 anni, ma ricordo con quanta partecipazione ne lessi le emozioni, i pensieri, i desideri, le vicende vissute da lei e da chi le era accanto. Ricordo bene quanto la sentissi vicina a me in tanti lati del carattere e come questo me la rese, nel mio immaginario, una sorta di “amica”, che avrei voluto incontrare, con cui avrei desiderato parlare, o anche semplicemente ascoltarla, visto che Anne era un tipetto molto espansivo ma, allo stesso tempo, una ragazzina arguta e sensibile.

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Un'adolescente che sognava di diventare una giornalista e una scrittrice e con questo diario (sarebbe più corretto dire “i diari”) è riuscita sicuramente a lasciare qualcosa di importante, un documento storico ed umano, che si aggiunge agli altri, circa le sofferenze subite dalle vittime di un terribile conflitto mondiale.

Rileggo, dopo tanti anni, questo diario e ritrovo, non senza commozione, la "mia" amica Anne, e dalla sua voce mi arriva, intatta, la sua allegria, la sua schiettezza, il coraggio che l’hanno accompagnata sempre ed in particolare in quei due anni nel rifugio e oltre, quando avrebbe avuto tutte le ragioni per disperarsi.

Ogni volta che penso ad Anna – anche in quanto “simbolo” dei 6 milioni di ebrei sterminati – rivivo dentro di me dei sentimenti contrastanti, anzi per dirla con le sue parole, mi sento, davanti al suo ricordo, “un fastello di contraddizioni” (o “contraddizione ambulante”, se preferite): da una parte, la tristezza per quello che è stato il suo destino…, il profondo senso di ingiustizia che provo nel pensare che una ragazza con dei sogni sul proprio futuro, con una tale voglia di vivere ed essere felice, sia dovuta soccombere a motivo della malvagità dell’Uomo; dall’altra, la certezza che la voce di Anne non ha smesso di parlare, di farsi sentire, di travalicare i fili spinati dei lager o gli anni trascorsi, per giungere a noi, ancora oggi, nel 2015, più vivida e forte che mai, per ricordarci quanta forza, voglia di vivere, fiducia nel prossimo... può essere racchiusa in un solo piccolo cuore, la cui vita è stata spezzata troppo presto e troppo barbaramente.

Non saprei dirvi quante volte, da quando avevo 11 anni, ho letto e riletto (e sottolineato e ricopiato) il diario di Anne Frank, ma una cosa posso dirla con certezza: ne ho sempre ricevuto una grande emozione e giunta all’ultima pagina, a quel 1° agosto 1944, ogni volta non avrei voluto chiudere il libro e avrei desiderato che per lei ci fosse stata un’altra conclusione, ma anche se così non è stato, ciò che ci resta è una testimonianza viva, il ritratto di una ragazza che, 
attraverso le parole che ci ha lasciato, continua di certo a vivere nella memoria di chi la sente vicina


Nota.: Come dicevo su, il Diario di Anna Frank è uno di quei libri “dell’infanzia” che, pur avendo riletto un sacco di volte e pur amandolo moltissimo, non ho mai recensito. Ringrazio Sofia Domino (autrice di "Quando dal cielo cadevano le stelle") per avermi coinvolta nel progetto “Cara Kitty", dandomi così l’occasione giusta per condividere con voi questo mio “libro del cuore” qui sul blog.

giovedì 14 maggio 2015

Recensione film: "Cake" (Daniel Banz)


Stamane ho visto, su consiglio di una cara amica amante ed esperta di cinema, un film drammatico e intenso.

Cake è un film del 2014 diretto da Daniel Barnz, con Jennifer Aniston, Adriana Barraza, Anna Kendrick, Sam Worthington, Felicity Huffman, Mamie Gummer, William H. Macy, Britt Robertson...





Claire Simmons (Jennifer Aniston) è una donna sola, che trascina le sue giornate nel dolore.
A testimoniarlo sono le cicatrici che le ricoprono il corpo, il modo di camminare affaticato, e poi il suo viso, sempre teso e contratto, proprio di chi sta vivendo e sopportando dolori fisici lancinanti.
Ma non sono soltanto (e principalmente) i dolori del corpo a farla soffrire: le ferite più profonde sono quelle dell'anima, del cuore, che faticano a guarire e per le quali non ci sono farmaci ed alcool che possano annullarne per qualche momento le sofferenze.

Claire vive nella sua grande casa con la governante Silvana, dolce, comprensiva, materna verso questa donna che, a causa del dolore fisico ed emotivo nel quale è piombata, ha allontanato dalla propria vita le persone importanti e quanti, a modo loro, cercano di aiutarla.
Apprendiamo da subito che Claire è sposata, ma il marito non vive più con lei; il film inizia con Claire seduta in cerchio con altre donne, in un gruppo di sostegno psicologico, dove si cerca di elaborare ed affrontare il proprio dolore.
A turbare il gruppo interviene la morte di una delle donne, la giovane Nina Collins, che si è tolta la vita, gettando nello sconforto il marito, il bel Roy (Sam Worthington), rimasto solo a crescere il piccolo Casey.
Ma la partecipazione alle conversazioni di gruppo non sembrano aiutare Claire, che maschera la propria solitudine celandosi dietro un muro di scontrosità, cinismo, antipatia, che non rendono piacevole la sua compagnia.
Ma il modo di fare di questa donna non è altro che il meccanismo che lei attua per difendersi da qualcosa che non riesce a superare.
Il pensiero di Nina che si è suicidata sembra scuoterla e risveglia il suo interesse, tanto da avvicinarla a Roy, che sembra apprezzare la sua compagnia. 

Nel corso del film comprendiamo il perchè dei dolori forti che tormentano Claire, che l'hanno resa sola, dura, infelice, ma che non hanno spento del tutto quella piccola voglia di vivere che da qualche parte aspetta di essere alimentata.
Certo, il pensiero di imitare Nina nel gesto estremo, con la speranza di mettere fine ai propri tormenti, attraversa anche Claire, che però deve solo attendere che arrivi il momento giusto per smettere di restare distesa, limitandosi a guardare il cielo mentre il mondo va avanti attorno a lei e senza di lei, e decidersi a mettersi seduta e in piedi, prendendo in mano la propria vita, la quale, forse, anche per lei, ha in serbo quella salvezza di cui ha bisogno.

Cake è un film che procede molto lentamente, non riserva colpi di scena, non si caratterizza per momenti o scene movimentati, che fanno palpitare il cuore.
L'emozione che ne scaturisce è ascrivibile quasi unicamente all'empatia nei confronti della protagonista e del suo immenso dolore; credo che la Aniston sia stata davvero brava ed "efficace", perchè tutta la sofferenza che impera nella vita di Claire è presente ed evidente nelle smorfie del viso, nell'andatura, nel tono di voce per lo più dimesso, nell'amarezza che traspare dalle sue parole.
E' un bel film, a mio avviso, che esplora la dimensione del dolore e di come spesso esso fagociti la vita delle persone, portandole a rinchiudersi in se stesse, soccombendogli, incapaci di combatterlo e di "rinascere".
Ma allo stesso tempo, non ci lascia impantanati nella sofferenza ma dà la sua piccola dose di speranza, e anche se non lo fa in modo eclatante, pure ci offre uno spiraglio di luce, lasciandoci comprendere quale decisione ha preso Claire per se stessa e per la propria esistenza.

Ripeto, il ritmo è lento e ci sono molte scene statiche, in cui l'attenzione si ferma tanto sulle espressioni di dolore di Claire e l'attenzione rischia di calare, anche perchè lei potrebbe non risultare particolarmente amabile.
A me è piaciuto abbastanza in quanto di solito prediligo molto questi film "intimi", in cui si dà spazio alla psicologia e alle emozioni dei personaggi; certo, Cake lo fa pure troppo, perchè di per sè non accade nulla di particolare e il film scorre mentre tu speri che accada qualcosa per cui la protagonista si scuota e torni a vivere.

Lo consiglio a chi ama le storie drammatiche ma che non sfociano nel melenso.


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Due nuove uscite della Butterfly Edizioni



Lettori, ho il piacere di segnalarvi due nuove uscite della Butterfly Edizioni, entrambe ambientate nella seconda metà dell'ottocento e dalle cover molto carine, non trovate? ^_-


Il cuore aspro del sud
di Coralba Capuani

2,99 €
Disponibile in ebook su Amazon
340 pp
Uscito il 12 Maggio 2015

TRAMA

San Donato al Monte, Abruzzo, 1861. Tre grandi storie sono destinate a incontrarsi sullo sfondo di un'Italia appena unificata. 
La contessa Lucretia, vedova, vive sola con la sua inserviente Imelda. Giovani briganti si nascondono tra i monti per impedire l'arrivo dei piemontesi e il loro capo è Nicola, promesso sposo di Ada, una giovane abitante di San Donato. 
Intanto il tenente Corrado, originario del Nord, si stabilisce al paese prendendo il posto del defunto marito di Lucretia. 
Le loro storie sono destinate a incrociarsi in seguito a un traumatico evento: il tentato omicidio ai danni di Imelda. 
Che cosa nasconde questa donna dall'apparenza così impeccabile? 

Tra amori indelebili e passioni inconfessabili, l'autrice delinea una storia nella Storia, un intreccio meravigliosamente orchestrato che commuove dall'incipit fino allo straordinario finale.


L'eco del mio cuore
di Annarita Pizzo


8,00 €
disponibile in cartaceo
120 pp
Uscito il 13 Maggio 2015
Link libro


TRAMA

Gennaio 1895. Una ragazzina poco più che tredicenne partorisce un maschietto in una casa misteriosa su una collina vicino Sanremo.
Non le sarà mai più concesso di guardare suo figlio in volto. 

Gennaio 1920. Orazio ha venticinque anni appena compiuti quando sale su un treno per rincorrere un fantasma del suo passato. Non sa nulla della sua vera madre, delle sue radici, ma sa per certo che la risposta a tutte le sue domande è nascosta a Sanremo, tra un brefotrofio dalle tante contraddizioni e una nobile famiglia piena di oscuri segreti.

L’autrice ci regala una storia forte, sconvolgente, attraversata da tutte le sfumature della luce e del buio. Un viaggio nel lato più oscuro dell’animo umano, attraverso gli spettri di un passato ignoto che chiede prepotentemente di essere conosciuto.

Le cover di TUTTO QUELLO CHE SO DI NOI di Rowan Coleman



Questa è la cover che mi ha colpito di più ultimamente, per la sua semplicità: sarà il vestitino rosa, il libro tra le mani....., fatto sta che mi piace di più questa versione italiana che le altre, che vi presento sotto.



PRIMO CAPITOLO
TUTTO QUELLO CHE SO DI NOI 
di Rowan Coleman


Dopo aver ricevuto la terribile diagnosi - Alzheimer -  Claire sa bene che presto scorderà tutto e tutti. Così decide di scrivere un Libro dei ricordi, la traccia tangibile della sua esistenza, e soprattutto della sua straordinaria storia d'amore con Greg e del profondo sentimento materno che la lega alle figlie

Ed. Sperling&Kupfer
324 pp
16.90 euro






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Frammenti di.. Orgoglio e Pregiudizio



Eh no, caro Darcy, non hai fatto una prima impressione positiva, a primo impatto ^_-

"Il suo orgoglio", disse Miss Lucas, "non mi colpisce quanto di solito succede con l'orgoglio, perché una giustificazione c'è. Non ci si può meravigliare che un giovanotto così elegante, di buona famiglia, ricco, con tutto a suo favore, non abbia un'alta opinione di sé. Se posso esprimermi così, ha diritto a essere orgoglioso.""È verissimo", replicò Elizabeth, "e potrei facilmente perdonare il suo orgoglio, se non avesse mortificato il mio.""L'orgoglio", osservò Mary, che ci teneva alla solidità delle sue riflessioni, "credo sia un difetto molto comune. Da tutto ciò che ho sempre letto, mi sono convinta che sia davvero molto comune, che la natura umana vi sia particolarmente propensa, e che siano molto pochi quelli che non provano sentimenti di auto-compiacimento per questa o quella delle loro doti, reali o immaginarie. La vanità e l'orgoglio sono cose diverse, anche se le parole sono spesso usate come sinonimi. Una persona può essere orgogliosa senza essere vanitosa. L'orgoglio appartiene più all'opinione che abbiamo di noi stessi, la vanità a quello che vorremmo che gli altri pensassero di noi."

(Orgoglio e Pregiudizio, JA) 
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