Massacro: questa è la parola che accomuna questi due film, diversissimi tra loro per stile, argomento... ma allo stesso tempo aventi in comune una triste realtà: l'annientamento dell'altro, della sua dignità, del suo diritto di vivere.
Il primo film è
Valzer con Bashir ed è un film d'animazione del 2008 scritto e diretto da Ari Folman, che ha lo scopo di documentare, in modo romanzato - ma neanche troppo - e mescolando i tantissimi legami a fatti realmente accaduti ad altri, pochi, di fantasia, un tragico evento storico avvenuto nel settembre del 1982 in Libano: il massacro, appunto, di tanti innocenti palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila.
La storia inizia con immagini che hanno un che di angoscioso e spaventoso: dei cani dall'aspetto davvero poco rassicurante e dallo sguardo famelico e aggressivo stanno inseguendo qualcosa o qualcuno...
Queste immagini è un amico del protagonista a raccontarle una sera, seduto al tavolo di un bar insieme al regista Ari Folman: si tratta di un incubo ricorrente nel quale questo amico è inseguito da 26 cani furiosi. Ogni notte, lo stesso numero di cani.
"Come fai a sapere che sono proprio 26 e non 30?, gli chiede Ari incuriosito, e l'altro non ha alcuna esitazione a rispondergli che lui sa che sono 26 perchè è esattamente il numero di cani da lui uccisi durante un'operazione militare cui partecipò nel corso della guerra in Libano, ad inizio anni '80.
Questo ricordo condiviso porta Ari a riflettere su un aspetto importante legato alla missione di guerra dell'esercito israeliano (di cui anche lui ha fatto parte vent'anni prima) in Libano:
non ricorda quasi nulla di quel periodo e questa improvvisa consapevolezza lo sorprende, tanto da convincerlo ad esplorare il mistero rintracciando e intervistando vecchi amici...
La prima cosa che fa è rivolgersi ad un amico esperto di psicologia, che gli fa capire come non di rado succeda che si costruiscano dei ricordi falsati per colmare dei "buchi" nella memoria; i flash e le confuse immagini che Ari ha di quella guerra potrebbero essere dei ricordi non reali, ma creati da lui stesso, inconsciamente.
"La memoria è dinamica, è viva. Se mancano dei particolari o ci sono dei buchi, la memoria riempie i vuoti fino a "ricordare" completamente qualcosa che non è mai successo".
A suffragare la spiegazione dell'amico ci sono vari esperimenti..., eppure Folman non ne è convinto, anche perchè lui in Libano c'è stato davvero!
Così decide bene di cercare ed incontrare alcuni suoi ex-commilitoni per chiarire i dubbi che ha in particolare su un episodio che lo tormenta:
il genocidio all'interno dei campi profughi di Sabra e Shatila, evento che lui pare aver rimosso...
Non tutti gli ex-soldati rammentano il massacro, ma qualcuno sì ed è proprio mettendo insieme i propri e gli altrui flashback che Ari riuscirà a far riaffiorare in memoria i ricordi di quella terribile esperienza, compreso lo sterminio di quella parte del popolo libanese - la stima dei morti va da alcune centinaia ad alcune migliaia - ad opera dei falangisti libanesi e con l'aiuto dell'esercito israeliano.
Il titolo del film si riferisce alla "danza" di un soldato che spara all'impazzata con il suo mitra sotto un poster di Bashir Gemayel, politico libanese assassinato nel 1982, fatto che provocò, come ritorsione, l'eccidio che è al centro della pellicola, avvenuto tra il 16 e il 18 settembre.
Il film ha catturato tutta la mia attenzione, riuscendo a farmi vivere in modo vivido e drammatico i fatti narrati; Ari Folman, alla ricerca della verità seppellita nei propri ricordi rimossi, fa un lavoro su se stesso, di autoanalisi, raccoglie informazioni e testimonianze al pari di un giornalista, ma un giornalista non esterno, chiaramente, bensì strettamente coinvolto con ciò che ascolta, perchè egli è stato testimone oculare dei fatti tragici di cui ci racconta in questa sua opera, e deve fare i conti con il dato di fatto che ciò cui ha assistito da giovane lo ha talmente turbato che la sua memoria aveva scelto la strada dell'oblio.
Nonostante sia un film d'animazione, "Valzer con Bashir" riesce ad essere comunque un racconto realistico, intenso e coinvolgente, che mette in risalto l'orrenda e disumana realtà che è la guerra, come essa rechi solo distruzione, dolore, spargimenti di sangue, e non guardi in faccia nessuno...., uomini, donne bambini.
Mi è piaciuta l'idea di raccontare questo episodio orribile della Storia del Libano attraverso flashback che, come tessere di un mosaico, pian pian si va formando.
L'intensità e la vividezza delle immagini raggiunge il suo culmine negli ultimi minuti, dove il lettore viene messo davanti ad immagini reali, tratti da filmati d'archivio, che mostrano in modo ancora più forte e d'impatto tutto il dolore e la tragicità del massacro, le macerie e i cadaveri dei profughi barbaramente assassinati.
Mi sarebbe piaciuto leggere la graphic novel, ma per ora non sono riuscita a procurarmela, così ho ripiegato sul film, di cui vi consiglio assolutamente la visione; a me è servita..., ammetto infatti la mia ignoranza in merito a questo eccidio del popolo libanese, di cui non so se sarei venuta a conoscenza se non mi fossi accostata a quest'opera cinematografica, vincitrice del Golden globe per il Miglior Film Straniero nel 2009.
Il secondo film che voglio condividere con voi è il racconto sobrio, onesto ma comunque forte dell'ultima settimana di vita di Stefano Cucchi, un caso di cronaca di cui si sta parlando moltissimo da 9 anni e soprattutto in questi giorni per via delle svolte verificatesi in seguito alla confessione di uno dei carabinieri, testimone del pestaggio ad opera dei colleghi.
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Sulla mia pelle è un film diretto da Alessio Cremonini; è stato selezionato come film d'apertura della sezione "Orizzonti" alla 75ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Stefano Cucchi è interpretato magistralmente da Alessandro Borghi; a dare i volti ai genitori sono Milva Marigliano e Max Tortora; Ilaria Cucchi è interpretata da Jasmine Trinca.
Credo che ormai tanti di noi (per non dire tutti) conoscano i drammatici fatti che hanno preceduto la morte del giovane geometra romano Stefano Cucchi: fermato la sera del 15 ottobre 2009 dai carabinieri con l'accusa di possedere droga, viene in effetti trovato in possesso di varie confezioni di hashish e cocaina, pronte - dicono i carabinieri che lo fermano - per essere spacciate; gli trovano anche una pasticca di un medicinale per l'epilessia, patologia di cui soffriva.
Scatta immediatamente il fermo, Stefano viene messo in custodia cautelare; il giorno dopo è processato per direttissima e arriva davanti al giudice sì sulle proprie gambe ma in cattive condizioni: riporta, infatti, ematomi al viso e mostra difficoltà nel camminare e nel parlare.
Per decisione del giudice, Cucchi resta in custodia cautelare nel carcere di Regina Coeli, ma poichè le sue condizioni di salute peggiorano ulteriormente, viene visitato in ospedale dove sono messe a referto lesioni, fratture ed ematomi diffusi su tutto il corpo.
In carcere le sue condizioni peggiorano ulteriormente e il 22 ottobre Stefano Cucchi muore nell'ospedale Sandro Pertini.
Il film si sofferma quindi sugli ultimi sette giorni di vita del povero Stefano; l'ho apprezzato davvero molto per la sua onestà, nel senso che, prima di vederlo, uno potrebbe pensare che esso metta in risalto i maltrattamenti e le percosse subite in caserma, essendo un film denuncia; in realtà, non c'è alcuna ostentazione di violenza..., pur essendone visibili gli effetti, sul volto magrissimo, scavato, e sul corpo indolenzito e anoressico di Stefano...
Di Stefano non c'è alcuna santificazione, questo è evidente: era un ragazzo con un problema bello grosso, la tossicodipendenza, e la sua famiglia era preoccupata al pensiero di questo figlio/fratello "drogato"; i genitori sono amareggiati quando vengono a sapere - in seguito all'arresto - che Stefano non è affatto uscito dal tunnel, come invece loro credevano; la stessa Ilaria ne è delusa e forse un po' arrabbiata perché il fratello non aveva chiuso con quel giro.
Il racconto di quest'ultima terribile settimana è essenziale ed asciutto e in pratica mostra Stefano steso su un letto, lasciato lì a morire d'inedia, privo di cure; prima di morire, egli viene a contatto con 140 persone fra carabinieri, giudici, agenti di polizia penitenziaria, medici, infermieri e in pochi, pochissimi, sembrano intuire che il giovane stesse lentamente consumandosi.
Nel film vediamo Borghi/Cucchi rifiutare ogni cura (l'unica cosa che chiede all'inizio sono i farmaci per l'epilessia) e, da parte loro, i dottori alzare la spalle e ordinare che si scriva che è l'assistito a non voler essere curato..., negligenza gravissima che sappiamo a cosa porterà.
Borghi è bravo sempre, e qui ne da un'ulteriore prova, conferendo grande intensità alla propria interpretazione, vestendo con efficacia e convinzione gli scomodi panni di Cucchi; "vedere" questo giovane morire a poco a poco, tra l'indifferenza di un personale sanitario che va e viene, sofferente, macilento, con la faccia livida, che non riesce neppure a parlare..., è straziante e non può che far scuotere il capo per l'indignazione e la rabbia; che sia possesso di droga o qualsiasi altro reato, nessuna persona - affidata allo Stato, come nel nostro caso - può essere lasciata a se stessa nè tanto meno pestata, e la consapevolezza che Stefano abbia ricevuto un trattamento ingiusto e inumano fa tanta rabbia, perchè se lo Stato - nella persona delle Forze dell'ordine - perde di vista questo obiettivo e su di esso non possiamo aver la certezza di contare per trovare giustizia..., e beh stiamo freschi.
Indigna ma addolora anche vedere come alla famiglia sia stato negato ogni contatto per vedere il ragazzo, che non ha potuto ricevere neanche mezza visita dai propri cari, che quindi non hanno potuto rendersi conto di come stesse Stefano.
Un momento molto commovente - l'unico contatto tra Cucchi e il padre, prima di essere messo in custodia cautelare - è il breve abbraccio tra un addolorato e sgomento Tortora e lo spaesato Borghi, con questi che sussurra al papà "Abbracciame".
Come nella realtà, anche nel film i genitori di Stefano hanno un atteggiamento dignitoso, ed è con tanta preoccupazione e tanto dolore che cercano - insieme all'agguerrita Ilaria - di avere informazioni sul figlio, scontrandosi con cavilli vari che impediranno loro di
vederlo vivo.
Al termine del triste resoconto, leggiamo che quando Stefano Cucchi muore nelle prime ore del 22 ottobre 2009, è il decesso in carcere numero 148. Al 31 dicembre dello stesso anno, la cifra raggiungerà l’incredibile quota di 176: in due mesi trenta morti in più.
Personalmente, mi ha commosso molto; è vero che ho letto informazioni sul caso diverse volte, provando dispiacere e sdegno per una tale ingiustizia e crudeltà, ma vedere per immagini la ricostruzione delle sofferenze cui è andato incontro Stefano - nonchè quelle emotive della famiglia - mi ha toccato molto.
Non l'ho trovato polemico, e ripeto, non c'è in esso l'obiettivo di santificare nessuno, non si nasconde di certo che Cucchi fosse un tossico e che comunque possedesse droga (lui, l'unica volta che comparve davanti al giudice, dichiarò sì di possederla, ma per uso personale non per spaccio...), ma credo esponga in modo equilibrato i fatti.