giovedì 6 febbraio 2020

Recensione: IL TRENO DEI BAMBINI di Viola Ardone



Viola Ardone ha scritto una storia col cuore, che parla al cuore e nel cuore resta. La storia di un bambino troppo piccolo per fare scelte realmente consapevoli, ma grandicello quanto basta per seguire il desiderio (legittimo) di provare ad avere una vita migliore, lontana da quelle umilissime origini, avare di sogni e ambizioni, dalle quali però non ci si separa mai definitivamente, e anzi, alle quali sarà necessario ritornare per dare requie a tormenti e sensi di colpa.



IL TRENO DEI BAMBINI
di Viola Ardone



Ed. Einaudi
248 pp
“Siamo i bambini del Mezzogiorno. La solidarietà e l’amore degli emiliani dimostra che non esistono Nord e Sud, esiste l’Italia”.

Amerigo Speranza ha sette anni nel 1946; vive a Napoli, in un vicolo vivace ma povero; suo padre non sa chi sia, non l’ha mai conosciuto e di lui sa solo che se n’è andato in America a far soldi e fortuna, e quando avrà ottenuto entrambi tornerà a casa; ha avuto un fratello maggiore di nome Luigi, morto prematuramente per una malattia, e adesso vive con mamma Antonietta, una donna bella, dai lunghi e folti capelli neri, che raramente sorride e regala abbracci e carezze al figlioletto.

Antonietta è una mamma giovane che tira avanti la propria piccola famiglia con dignità e sacrificio, cercando di mettere sempre un tozzo di pane in tavola, ma la guerra è appena finita, lei è sola (anche se in casa si aggira un uomo taciturno e ambiguo, Capa ‘e fierro, che sta decisamente poco simpatico ad Amerigo) e la miseria è nera, che più nera non si può.

Amerigo lo vede che sua madre è triste, un’ombra cupa costantemente accompagna il suo bel viso; cerca di starle dietro (in tutti i sensi, “Mia mamma avanti e io appresso. Per dentro ai vicoli dei Quartieri spagnoli mia mamma cammina veloce: ogni passo suo, due miei”), di dare un senso al suo pragmatismo, al suo essere così essenziale e spiccia nei modi e nel parlare e ci intenerisce “ascoltare” la sua voce di bambino, schietta, ingenua e inconsapevolmente e dolcemente ironica, mentre ci parla del suo piccolo grande mondo, che è il rione in cui è cresciuto.
Ci sembra di essere lì con lui, di sentire voci, suoni, rumori, di vedere le persone che lo circondano - uomini che svolgono i lavori più umili per tirare avanti, madri stanche ma determinate nel crescere masnade di figli, ragazzi e bambini cresciuti in fretta e per la strada, che si fanno ogni giorno più esperti nell’arte dell’arrangiarsi -, di toccarne gli stracci, le scarpe rotte, e sentirli, nonostante tutto, vivi.
Ma non si campa con le buone intenzioni e la vivacità: il pane ci vuole e per davvero, come ci vogliono scarpe nuove, vestiti adatti, cappotti caldi.
E il Partito Comunista si sta attivando per dare una mano alle famiglie più poverelle, che stanno facendo più difficoltà a riprendersi dopo la guerra: vengono organizzati dei treni speciali, i “treni dei bambini”, che portano i “figli del Sud” presso famiglie del Nord disposti ad ospitarli per un certo tempo: giusto quello necessario per rifocillarli, dar loro cibo, vestiario, il calore di una casa in cui non mancano i beni necessari (e anche qualcosina in più), così che poi, pasciuti e sereni, possano ritornare alle proprie case, ai propri genitori.

Mamma Antonietta è tra quei genitori che aderiscono all’iniziativa.
Proviamo ad immaginare questa giovane donna single, che ha perso un figlio piccolo - con tutto il carico di dolore che una perdita di questo genere comporta - e che adesso la povertà costringe a fare una scelta drammatica: tengo mio figlio vicino a me col rischio che muoia di fame, o me ne separo mandandolo per qualche tempo presso un’altra casa, altri “mamma e papà”? E se non mi dovesse più tornare indietro? Cosa si è disposti a fare per amore?
Antonietta - e come lei altre madri e padri - decide di accettare le esortazioni di queste donne comuniste, come Maddalena Criscuolo, che insistono sulla bontà della proposta: date un’alternativa - anche solo temporanea - alle vostre creature, dimostrate loro il vostro amore infinito!

Sì, perché mandare via un figlio in quel Settentrione che pare lontano chissà quanto e forse manco pare Italia a chi dal Meridione non s’è mai allontanato, è un atto d’amore: sofferto, certo, e lo è proprio perché “costa”, ed è un atto anche di fede, di speranza, di coraggio, perché richiede ai genitori di fidarsi di questi comunisti che dicono di volerli aiutare alleggerendoli per un po’ di bocche da sfamare.

Ed è così che gruppi di bambini vengono fatti salire su questi treni speciali, diretti verso destinazioni a loro ignote e sulle quali girano voci spaventose che terrorizzano i piccoli: ma siamo sicuri che non ci mandano in Siberia, in campi di lavoro? E davvero ci taglieranno le mani e i piedi e ci cucineranno nel forno?

Amerigo Speranza parte, dopo una foto con la mamma e scarsità di carezze e affettuosità da parte sua; parte lanciando il cappottino nuovo (la scena dei bimbi che buttano i cappotti dal finestrino per lasciarli alle loro famiglie, che ne hanno più bisogno, provoca brividi di tenerezza) appena dato ai bambini dai comunisti, e con la mela annurca che Antonietta gli ha messo in tasca.
Parte per questo viaggio della speranza assieme ad altri poverelli come lui, tra cui l’amico Tommasino e la lagnosa Mariuccia; ore di treno e finalmente si giunge a Modena e, pian piano, uno alla volta, tutti i bambini del Sud vengono scelti da qualcuno.
Ad Amerigo “càpita” Derna, una donna giovane, bella, single, comunista convinta, gentile e affettuosa quanto basta, che però, per ragioni legate al lavoro, non può occuparsi di Amerigo durante il giorno, così lo manda da sua sorella, in casa Benvenuti, dove ci sono anche tre bambini. Il capofamiglia, Alcide, è un uomo buono, caloroso, allegro, che accoglie in casa il bimbo del treno con una tale spontanea gioia da metterlo in imbarazzo e suscitando anche, inizialmente, le gelosie di uno dei figli.

Prima vi ho chiesto di mettervi nei panni di una madre che lascia andare, per amore, la propria creatura; adesso è il momento di provare a capire come si sentiva Amerigo e, in generale, i “bambini del treno”.
Tua madre ha deciso per te che un giorno avresti lasciato il vicolo, i tuoi amici, le tue strade, la tua casa disadorna ma pur sempre tua, gli affetti più cari…, per salire su un treno e andare via, in un posto che non conosci, in casa di estranei che non sai come ti accoglieranno. Amerigo si sente smarrito, confuso, abbandonato al suo destino; non sa che pensare, come comportarsi, come reagire alle gentilezze di persone che non hai mai visto prima; però, essendo sveglio, attento, intelligente e sensibile, non può non notare quanto Derna e i Benvenuti facciano di tutto per farlo sentire a casa, per fargli capire che sono felici di averlo con loro, di poterlo aiutare.
Il loro amore incondizionato gli fa piacere e, allo stesso tempo, un po’ lo confonde, e giorno dopo giorno lui sente di stare così bene là da sentirsi “spezzato in due”, diviso tra il pensiero della mamma lasciata nel vicolo, che lo aspetta (perché lei lo aspetta, vero?), e il calore di una famiglia che, oltre a cibo e vestiti, gli sta dando una nuova prospettiva di vita: a Modena, in casa Benvenuti di giorno e con Derna che gli si accoccola vicino di sera e gli legge una storia, lui sta bene. Sta scoprendo anche di avere un talento musicale che vorrebbe poter coltivare. E poi gli stanno giungendo notizie di altri bambini come lui che hanno deciso di non tornare a casa, al Sud, perché ormai la loro vita è al Nord, nella nuova famiglia.

E lui, Amerigo, giunto nel Settentrione con la speranza di un po’ di benessere e di riscatto dalla povertà - fossero anche solo transitori -, che farà? Tornerà a casa dalla silenziosa mamma Antonietta, così parca di gesti affettuosi ma che pure è stata capace di un atto d’amore estremo, anche se non del tutto comprensibile agli occhi di un bimbo di soli sette anni?

Non vi darò chiaramente tutte le risposte, anche se non posso esimermi dall’aggiungere che a un certo punto la parte relativa al 1946 si interrompe e si salta agli anni Novanta.
Il narratore è sempre il nostro Amerigo, ma è mutata inevitabilmente “la voce”: non è più il bimbetto vispo e curioso di un tempo, che ci ha intenerito, fatto sorridere e stringere il cuore: adesso è un affermato musicista che ha superato i cinquanta e che la vita costringe a tornare nel suo rione di Napoli.
Lui, andato via su un treno, da bambino, torna nei luoghi dell’infanzia ormai adulto, con le spalle non più mingherline ma “da uomo fatto e finito”; torna con un nuovo nome, un nuovo bagaglio di vita e di esperienze, che l’hanno formato e reso ciò che è: un tipo solitario, di poche parole, avvezzo a divagare di fronte a domande precise su di sé inventando frottole sul momento.

Amerigo si guarda attorno e noi lettori, attraverso la sua voce malinconica, ci lasciamo sopraffare da “un sentimento strano, una nostalgia anticipata”, condividendola con il protagonista, sentendo un magone nella gola come lo sente lui; ci sembra di provare lo stesso suo carico di rimpianti e rimorsi, di “ti voglio bene” mai detti (“Ci siamo voluti bene da lontano, penso. Chissà se lo hai pensato pure tu”), di tutte quelle cose che andavano dette al tempo giusto ma che sono state taciute, provocando dolore, strascichi di silenzi sofferti, vuoti da riempire con quello che c’era a disposizione.
Malintesi:

La lontananza tra noi è diventata un’abitudine. Abbiamo disertato tanti appuntamenti. Dal momento in cui mi hai messo su quel treno, io e te abbiamo preso binari diversi, che non si sono più incrociati. (…) mi viene il dubbio che sia stato tutto un equivoco, tra me e te. Un amore fatto di malintesi”.

“C’è un tempo per ogni cosa”, ci ricorda l’Ecclesiaste della Bibbia, ed è così, e quando questo tempo lo perdiamo, recuperarlo davvero è impossibile; è come quando perdi il treno: non sempre l’occasione giusta ritorna.
E chi più di Amerigo s’intende di treni e di occasione colte o perdute? Lui vi salì suo malgrado e la sua vita ha preso un binario ed una direzione che, se l’avesse perso, mai si sarebbero ripresentati.
Ne è cosciente, la sua mente razionale di adulto lo sa che era solo un bambino e che non aveva colpe…; però di ciò che ha deciso da grande è responsabile, e questa consapevolezza, adesso che forse - pensa lui - è troppo tardi, lo dilania.

Ha paura, Amerigo:

“Paura dello sporco, della povertà, del bisogno; paura di essere un impostore (…). Negli anni la paura ha imparato a rattrappirsi in un angolo della mente, ma non è sparita, è rimasta in agguato (…). Tu non avevi paura di niente. Camminavi a testa alta. La paura non esiste, mi dicevi, è solo una fantasia.”.

Come il viaggio del 1946, anche questo potrebbe essere decisivo, solo che quello era un viaggio della speranza verso un futuro roseo, questo da adulto è un viaggio per ritrovare se stesso, per tornare alle proprie origini, a quel vicolo che, per certi verso, pare rimasto sempre uguale, come se il tempo burlone si fosse divertito a mettergli su un cappotto d’eternità.
Un viaggio che potrebbe aiutare quest’uomo a perdonarsi, a chiudere un cerchio lasciato aperto per quarant’anni, a riscoprire la propria famiglia e quanto bene si possa condividere con gli altri.
Perché finchè c’è vita, c’è speranza, recita un noto modo di dire.
Regàlatela, questa speranza, Amerì, concèditela. Non può che farti bene.

“Il treno dei bambini” racconta una storia di amore, di riscatto, di solidarietà - che bella l’Italia che accoglie, che apre le proprie porte, che dona, che non fa discriminazioni! Vicende come questa dei bambini dei treni, accolti in Emilia, ci rendono orgogliosi -, di rinunce e di sogni da realizzare, di bambini e di genitori che li hanno amati fino al sacrificio più grande; è la storia di un bambino che se ne va e torna uomo per rincorrere se stesso, con gli stesso dolori ai piedi di tanti anni prima, con mille domande ancora in testa. L’Autrice ha scritto un libro potente, che commuove, fa riflettere, emoziona; ha adottato magistralmente il punto di vista maschile, tanto quello del bambino - col suo linguaggio semplice, un po’ “sgrammaticato” e tanto spontaneo - quanto quello dell’uomo, la cui complessa interiorità ci viene restituita con sensibilità e delicatezza.

Chiedo scusa per la lunghezza della recensione ma ci sono storie che, se le sintetizzassi, le snaturerei; ci tenevo a trasmettervi quello che ho provato leggendolo e a consigliarvelo perché è un gran bel libro, da non perdere.
Salite con Amerigo sul suo treno e... "Benvenuti! Benvenuti alla Speranza."

martedì 4 febbraio 2020

Novità Noir Frilli Editori || OMICIDIO AD ALTA QUOTA di Maria Rosaria Pugliese - UNA SFILATA ROSSO SANGUE di Adelaide Barigozzi



Due noir pubblicati da Fratelli Frilli Editore: nel primo il commissario Nino de Santis segue il caso della morte di un famoso stilista milanese avvelenato sul volo con destinazione New York.
Sarà solo il suo intuito da investigatore di razza a portarlo sulla giusta strada per soluzione di un'indagine assai difficile.
Nel secondo romanzo Clara, Patti e Rosanna della "Boutique Tutta Curve" si trovano loro malgrado alle prese con un caso ambientato nel mondo luccicante della moda: qualcuno trama per uccidere i protagonisti delle passerelle milanesi. 



OMICIDIO AD ALTA QUOTA
di Maria Rosaria Pugliese  


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Lo stilista Giosafat Gori, fiorentino di nascita, milanese d’adozione, ambasciatore della moda italiana nel mondo, viene avvelenato sul volo AF 4504 con destinazione New York. L’omicidio scuote l’ambiente delle passerelle e suona quasi come una beffa per chi deve occuparsi del caso, perché il commissario Nino de Santis – meridionale, in servizio presso la Questura di Milano – non ha mai messo piede su un aereo e neppure conta di farlo. 
Nel poliziotto, bonariamente sarcastico, che ha abbracciato le abitudini della metropoli del Nord, anche grazie all’amatissima moglie meneghina, continuano a fremere le radici della propria terra allungata sul mare, il borgo costiero più piccolo d’Italia. 
Ed è con la stessa grinta con la quale gli antenati affrontavano il mare in tempesta e i predoni saraceni, che prende a navigare tra una miriade di informazioni contenute in un’agenda rinvenuta dalla figlia della vittima, Margot, un’inglese che non sembra un’inglese. 
A fargli da bussola è l’intuito dell’investigatore di razza. Si schiude così l’universo della Mondial Glamour, facendo emergere, al di là della patina dorata, l’affollata solitudine di Giosafat Gori, gli intrecci meschini dei soci, Galbiati e Castelli, entrambi snob e principali indiziati, le ambizioni distruttive di modelle straniere, la febbre spasmodica per il tavolo verde, la ricerca ossessiva della bellezza e della forma perfetta. 
Un gioco di specchi, dove l’importante è apparire. Quasi come una scappatoia da questo cosmo in sé conchiuso è l’amicizia di Gori con un modesto artista, Mirko Lucchesi, la cui conoscenza risale al tempo in cui lo stilista ancora non apparteneva al gotha della moda. 
A spianare la strada alla verità sarà il dvd custodito da fra Leopoldo, un francescano enigmatico quanto erudito della Basilica di Santa Croce, in Firenze, dove de Santis si recherà, in breve trasferta, per incontrarlo, rimanendo estasiato dalla profusione di meraviglie del Tempio delle Itale Glorie.

L'autore.
Maria Rosaria Pugliese, vive e lavora a Napoli. Ha pubblicato il romanzo Pazienti smarriti (1a ediz. Robin, 2010, 2a ediz. Homo Scrivens, 2016), classificatosi al terzo posto Premio Domenico Rea (2011), finalista al Premio Giovane Holden, al Premio Salvatore Quasimodo, e semifinalista nel concorso “What Women Write” indetto dalla Mondadori. Nel 2014 ha pubblicato Carretera. Quattordici storie strada facendo (goWare Edizioni). Con Fontaine blanche (Homo Scrivens, 2017) è stata finalista, nella sezione inediti, al Premio Bukowski 2016. Ha partecipato all’antologia La gola (Giulio Perrone Editore, 2008). È tra gli autori dell’Enciclopedia degli scrittori inesistenti (1a ediz. Boopen Led, 2009 e 2a ediz. Homo Scrivens, 2012). Con la poesia Scetate Benino, si è classificata al terzo posto nel concorso nazionale “Sinfonia Dialettale”. Premio Eccellenza Letteratura Nazionale Lecce 2018. Premio Megaris 2019
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UNA SFILATA ROSSO SANGUE
di Adelaide Barigozzi 


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Sono passati due anni da quando Clara, Patti e Rosanna, proprietarie della Boutique “Tutta Curve” per taglie forti nel cuore di Genova, hanno risolto il caso di Vico dell’amor perfetto. 
La vita sembra procedere tranquilla per le tre amiche diversamente rotonde, ma le cose stanno per cambiare. 
Tutto comincia il giorno in cui Clara sale su un treno diretta a Milano. Nella borsa ha un invito per la sfilata di Apollonia C., la sua stilista curvy preferita, che inaugura la Fashion Week milanese con un evento che rivoluzionerà la dittatura della taglia 38. 
Non sa che sta per imbarcarsi in un’avventura piena di insidie. Già, perché tra abiti spettacolari e modelle capricciose, giornaliste eccentriche e furti inspiegabili, qualcuno sta tramando nell’ombra un orribile delitto. 
E non è che l’inizio! 
Il suo intuito la porterà a indagare insieme alle socie nel luccicante mondo della modad ove nulla è come appare, in cerca di una mente criminale assetata di sangue. Nessuno è al di sopra dei sospetti. Le straripanti top model curvy Stella LaForesta e Dodi Remora, per esempio, sono davvero amiche o, in realtà, si odiano? E come mai la tirannica neodirettrice della rivista di moda “Femme” è così sulle difensive? Senza contare che Tito Livio, marito toy boy di Apollonia con la passione per la musica rap, ha un’aria poco raccomandabile.
Perfino Dominique, l’amabile pierre che ha invitato Clara alla sfilata, potrebbe non essere quello che sembra.
Ma alla fine, anche grazie all’aiuto della commissaria Pia Onorato, implacabile femminista con un debole per i travestimenti e il giardinaggio in vaso, la verità verrà a galla.

L'autrice.
Adelaide Barigozzi è giornalista. Lavora per “Cosmopolitan” e ha scritto per diversi giornali e periodici tra cui “Corriere Mercantile”, “Corriere della Sera”, “Bella”, “Marie Claire” e “Donna Moderna”. Cresciuta a Genova, ha abitato per alcuni anni in Brasile. Da tempo vive a Milano. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Vico dell’Amor Perfetto. Un’indagine per taglie forti (2017).


lunedì 3 febbraio 2020

Recensione: "Separazione e divorzio nella prospettiva dell'uomo violento" di Elda Panniello



Quando si verifica una crisi in un contesto familiare, le conseguenze sul piano affettivo, psicologico e sociale sono notevoli, non solo nel rapporto tra marito e moglie, ma anche tra genitori e figli.
In questo manuale l'Autrice Elda Panniello affronta il tema della separazione e del divorzio, soffermandosi, nell'ultimo capitolo, su un argomento tanto spinoso quanto attuale: la violenza di genere.



Separazione e divorzio nella prospettiva dell'uomo violento 
di Elda Panniello


Casa Editrice Kimerik
196 pp
19 euro
Il libro è suddiviso in quattro capitoli; i primi tre si propongono come una sorta di vademecum sintetico ma altresì chiaro e puntuale a vantaggio delle coppie che vivono una situazione di crisi coniugale e che necessariamente hanno bisogno di validi consigli legali; l'ultimo tratta la questione della donna vittima di violenza e quali passi debba seguire per potersi separare dal compagno che la maltratta.

Si parte dalla separazione, esaminandone le caratteristiche e distinguendo la separazione di fatto (si verifica quando uno dei due coniugi interrompe, andando via di casa, la vita coniugale; in questo caso, però, non vengono meno i diritti e i doveri tra marito e moglie e non permette di arrivare al divorzio) e quella legale, che a sua volta comprende la separazione consensuale (i coniugi trovano un accordo) e quella giudiziale, che può essere o meno "con addebito".
Importante è anche la presenza di eventuali figli, con tutto ciò che questo implica a livello legale e in termini di responsabilità da parte dei genitori, in merito all'affidamento, al mantenimento ecc.

Nel capitolo successivo si passa al divorzio, alla definizione che ne dà la normativa italiana, le sue peculiarità; anche qui si distingue tra divorzio consensuale o congiunto e giudiziale, che implica il mancato raggiungimento di un accordo tra coniugi; la legge precisa poi, in relazione agli effetti del divorzio, quelli che riguardano il coniuge e quelli concernenti la prole.

Se da un lato la giurisprudenza italiana, dai tempi in cui è stata approvata la legge sul divorzio (1970), si è orientata sempre più verso una risoluzione consensuale delle separazioni, dall’altro lato vi sono ancora dei vuoti normativi per quanto riguarda, ad esempio, convivenze di fatto e unioni civili, argomento affrontato nelle ultime pagine del secondo capitolo; a livello normativo, le convivenze non erano previste nel nostro ordinamento fino all'entrata in vigore del Decreto Cirinnà (2016), anche se dal 2012 comunque i diritti dei figli nati da coppie non sposate erano garantiti; il suddetto decreto regolamenta anche le unioni civili tra persone dello stesso sesso, specificando obblighi e diritti.

Dopo un capitolo più breve dedicato agli aspetti previdenziali - pensione di reversibilità, TFR -, c'è una sezione che riprende le domande più frequenti in merito all'argomento del saggio e ad esse si danno risposte sintetiche ma sempre molto chiare.

L'ultima parte è dedicata alla donna vittima di un coniuge o compagno violento; dopo aver chiarito cosa si intende per violenza e "violenza di genere" (e loro connotazioni), vi è un ritratto dell'uomo violento, delle caratteristiche di personalità tipiche del soggetto in questione, le diverse e subdole tattiche messe in atto per tenere sotto scacco la propria partner.
Emerge il complesso quadro di un uomo manipolatore, che non può (e non vuole) fare a meno di umiliare in ogni modo la moglie/compagna, anzi trae da questo eccitazione, gratificazione, sentendosi nel giusto e non mettendo mai in discussione la propria condotta, non davvero almeno.
Devastanti sono le conseguenze per una donna che si ritrova a vivere con un uomo del genere, e agli effetti emotivi e psicologici si aggiunge il terrore concreto che egli prima o poi, con la sua violenza, le faccia del male al punto di arrivare a provocarne la morte.

Se è vero che la separazione è già di per sé un evento traumatico, lo è a maggior ragione per una donna che subisce violenza domestica, per la quale non è affatto semplice arrivare alla consapevolezza di come il dramma che sta vivendo debba assolutamente essere interrotto, prima che la situazione degeneri in maniera irrimediabile; è ovvio che una donna che vive questa situazione va aiutata, sostenuta nella decisione di lasciare il partner violento ed è giusto che trovi nella Legge gli strumenti idonei a garantire la propria sicurezza (e quella di eventuali figli).
Ma si fa sempre più pressante altresì la necessità che, oltre ad una più specifica e concreta legislazione, a modificare sia la mentalità, i pregiudizi culturali, i falsi miti circa la violenza contro le donne, che possono generare ostacoli o rallentare la risoluzione del problema.

Questo volume - che può interessare principalmente quanti vivono una situazione di crisi coniugale e desiderano avere chiarimenti circa i propri diritti/doveri - è scritto con una terminologia chiara e accessibile anche a chi non ha molta familiarità col linguaggio giuridico; espone con rigore e nitidezza il quadro normativo che regola la fine del matrimonio - i tempi, i tipi di provvedimenti concernenti i figli in caso di separazione o divorzio - ed altre questione ad essa correlate.

domenica 2 febbraio 2020

Bilancio di letture - Gennaio 2020



Primo monthly recap del 2020!


Risultati immagini per gif reading
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  1. VELOCE LA VITA di S. Schenk. Un romanzo breve ma che, grazie ad una scrittura che bilancia sapientemente leggerezza e malinconia, conduce il lettore nella vita di una ragazza francese degli Anni Cinquanta, narrandoci la sua infanzia, la sua giovinezza e, con esse, i suoi pensieri più profondi, le paure, le illusioni, le luci e le ombre che segnano la sua esistenza.
  2. WEST di C. Davies. West è un'epopea in miniatura affascinante e senza tempo, una parabola inquietante della frontiera americana, una triste vicenda di ricerca di opportunità, illusioni e delusioni narrata come una storia semplice di uomini e di sogni, spesso infranti.
  3. IL LADRO DI GIORNI di G. Lombardi. Un viaggio on the road da Nord a Sud, un'occasione importante (forse l'unica?) perché l'undicenne Salvo e suo padre Vincenzo si ritrovino e imparino a conoscersi. Un'avventura punteggiata da incontri inaspettati, deviazioni fuori programma e dai ricordi di un’infanzia ancora candida e piena di domande, che culmina con l’arrivo del misterioso “ladro di giorni”, colui che anni prima ha rubato a un padre del tempo prezioso da trascorrere col proprio figlio.
  4. I TESTAMENTI di M. Atwood. Abbiamo dovuto attendere giusto qualche annetto ma alla fine il sequel de Il racconto dell'ancella è giunto fino a noi. Beh, diciamo che sarebbe più corretto dire che è il seguito della serie tv, ma vabbè...: dettagli ^_- Sono passati sedici anni circa dalla fine del primo libro e la caduta di Gilead potrebbe essere vicina...
  5. NOI, BAMBINE AD AUSCHWITZ di A. e T. Bucci: la commovente e struggente testimonianza di due sorelle che hanno vissuto nove mesi nel campo di sterminio di Birkenau e sono miracolosamente sopravvissute all'orrore dell'Olocausto.
  6. LA VILLA. IL MURATO VIVO di M. Castellani. Torna Marco Vincenti con le sue scoppiettanti indagini, condotte insieme agli amici di sempre, Piero e Andrea; il trio è impegnato, questa volta, in un cold case che coinvolge un morto, uno scomparso e un furto di gioielli.
  7. "LA ROSA DEI VENTI. Le gocce di Lazhull" di M. Hilbrat. Un fantasy ricco di avventura, battaglie e tradimenti, di personaggi dotati di capacità magiche straordinarie, di sacri guardiani uniti da un patto volto a proteggere degli oggetti preziosi dai poteri immensi, di cui un essere malvagio vuol impossessarsi per i suoi fini meschini.
  8. UNA DONNA PUÒ TUTTO. 1941: volano le Streghe della notte di R. Armeni. Ritanna Armeni ci racconta il coraggio, il patriottismo e la forza morale delle "streghe della notte", le donne del 588° Reggimento dell'Armata Rossa che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, portarono scompiglio nei cieli del Caucaso e diedero filo da torcere agli aerei tedeschi della Wermacht. Attraverso la testimonianza dell’ultima strega ancora in vita, ci è possibile leggere e conoscere la loro incredibile storia.
  9. LA CONTESSA DEL REGNO DI GOLDON di G. Mangone è un breve racconto che, con un linguaggio elegante e incantevole, immerge il lettore in una cornice fiabesca e magica, presentandogli alcuni deliziosi personaggi dall'animo nobile e coraggioso.
  10. PO 210 (Polonio) di Mauro Valente. Una foto in bianco e nero che ritrae un orologio di una piccola città rumena, un anziano professore alla ricerca del proprio fratello gemello scomparso senza lasciar tracce e un avvocato pugliese alle prese con un'intricata indagine piena di misteri e colpi di scena.
  11. "Guglielmina di Barbone-Pudel di Baviera" di Annarella Asuncion Morejon. Una storiella divertente, illustrata da disegni pastello molto efficaci, che stimolano la fantasia del bambino e lo aiutano a immergersi nel racconto.
  12. LE GUARIGIONI di K. Rossi Stuart. Cinque sono i racconti che compongono il libro con cui l'attore e regista Kim Rossi Stuart firma il proprio esordio in campo letterario: cinque storie appartenenti a generi diversi, che si soffermano su diversi tipi di relazioni umane (padre-figlio, di coppia, uomo-Dio) ma che tutte convergono sulla necessità espressa dal titolo stesso del libro: la guarigione, quella che ci aspettiamo coinvolga tutto il nostro essere più profondo, quegli angoli nascosti nel quale sono accovacciati i mostri e le paure che ci rendono insicuri, folli, rabbiosi, frustrati, infelici, sempre in crisi, traumatizzati. Meravigliosamente umani.

Sul podio di gennaio vanno queste tre letture: il racconto delle sorelle Bucci, per le tante emozioni provate nel ripercorrere con loro l'inferno del lager; il giallo del mio concittadino, Po210, perché l'ho trovato avvincente e ben strutturato nell'intreccio; Veloce la vita per la delicatezza nello stile e per aver ben reso quanto veloce scorra la vita, per quanto piena di eventi e incontri.


Attualmente sto leggendo:
  • DOMINO di Bruno Cavallari; 
  • Separazione e divorzio nella prospettiva dell'uomo violento di Elda Panniello;
  • IL TRENO DEI BAMBINI di Viola Ardone.



Reading Challenge 2020
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Per quanto concerne la Reading Challenge, ho raggiunto 4 obiettivi:

FELTRINELLI >>>>> IL LADRO DI GIORNI di G. Lombardi
PONTE ALLE GRAZIE  >>>>>> UNA DONNA PUO' TUTTO di R. Armeni
BOMPIANI >>>>> WEST di Carys Davies
KELLER EDITORE  >>>>>> VELOCE LA VITA di S. Schenk

venerdì 31 gennaio 2020

Recensione: I TESTAMENTI di Margaret Atwood


*** ATTENZIONE:  SPOILER RELATIVI 
ALL'EPILOGO DE IL RACCONTO DELL'ANCELLA  ***


Sono trascorsi sedici anni da quando l'ancella June/Difred, dopo essere rimasta incinta, è salita su un furgone per andare incontro a un destino incerto: c'è qualcuno disposto ad aiutarla a fuggire dalla oppressiva Repubblica di Gilead  o s'è lasciata ingannare?
Margaret Atwood ce lo racconta attraverso tre diverse prospettive, che convergono tutte verso un unico importante obiettivo.


I TESTAMENTI
di Margaret Atwood



Ponte alle Grazie
trad. G. Calza
502 pp
"...mio lettore. Sei diventato una specie di ossessione – il mio solo confidente, il mio unico amico – perché a chi posso raccontare la verità, se non a te? Di chi altri posso fidarmi? (...) Perché do per scontato che tu esista? Forse non ti materializzerai mai: sei solo un desiderio, una possibilità, un fantasma. Mi permetto di dire: una speranza? Ho senz’altro il diritto di sperare. Non è ancora giunta la mezzanotte della mia vita; la campana non ha ancora suonato".


Ho letto "Il racconto dell'ancella" solo l'anno scorso, dopo aver iniziato a guardare la prima stagione della famosa (e ben fatta) serie tv.
Il romanzo distopico della Atwood mi aveva convinto: questa frazione di mondo, in fondo non più grande di tantissimi altri Paesi, riesce a un certo punto a realizzare entro i propri confini un tipo di società dalle caratteristiche terribili e temibili.
Un microcosmo in cui ai cittadini vengono negati i diritti fondamentali e che - prendendo a pretesto le Sacre Scritture e interpretandole in modo folle - pretende di avere il pieno controllo sui corpi e sulle esistenze delle donne; queste ultime sono suddivise in categorie e, fatta eccezione per le "Zie" (che hanno alcuni importanti privilegi e "libertà", anche rispetto agli uomini), le altre (Mogli, Marte, Ancelle, Economogli) sono soggette alle bizze e alle crudeltà di un codice di leggi che ha l'obiettivo di spersonalizzarle, renderle soggette alla volontà di uomini autoritari, molti dei quali sono meno integerrimi e irreprensibili di quanto vorrebbero far credere.
Una società militarizzata, dove la pietas è per lo più una formalità che copre una moltitudine di nefandezze e ingiustizie.
Un posto così merita solo di scomparire!

Chi ha letto, quindi, "Il racconto dell'ancella" sa cos'è e com'è Gilead, quanto sia opprimente e oppressiva, grigia, triste, ipocrita, crudele, folle e probabilmente ha seguito il resoconto della narratrice, Difred, sperando che almeno lei potesse riuscire a scappare, a denunciare le barbarie perpetrate dai bruti (lascivi stupratori) Comandanti e dalle malefiche Zie, con la speranza che tutto questo potesse trovare una fine.
La Atwood ci aveva lasciato mentre una determinata e coraggiosa June entrava in un furgone che, secondo le parole dell'amante Nick (l'autista di Fred, il Comandante di cui la donna era l'ancella da ingravidare), apparteneva al Mayday (organizzazione segreta nata per contrastare Gilead); il lettore resta però col dubbio: e se invece di essere una via di fuga, quel furgone si rivelasse un'enorme fregatura e quindi l'inizio della fine per Difred?

Il sequel ci dà le risposte che desideravamo.
Sedici anni circa dopo i fatti occorsi all'ancella, Gilead ancora resiste e, apparentemente, senza intoppi e forte come sempre: al suo interno i Comandanti hanno il pieno potere, le Zie sono sempre le stesse "educatrici" senza pietà (non tutte, certo), che allevano le ragazzine a diventare future Mogli devote a Dio, a Gilead e ai mariti; le ancelle, con i loro abiti rossi e i cappellonni bianchi a coprire il volto, continuano ad essere considerate alla stregua di "contenitori" da inseminare perché donino le loro creature alla causa gileadiana.

A farci da narratrici sono tre donne, le cui identità sono inizialmente nascoste, anche se pian piano il lettore comincia a nutrire da subito dei dubbi su chi siano, per poi toglierseli quando viene rivelato esplicitamente.
Tutte e tre le donne hanno lasciato i loro personali "testamenti", i resoconti delle loro esperienze, nella speranza che futuri lettori (e le ultime pagine, infatti, sono dedicate a ricercatori e storici che tengono convegni su Gilead, moltissimi decenni dopo, come già si leggeva nel precedente libro) un giorno possano leggerli e sapere cosa è accaduto ai loro simili anni e anni prima, in un postaccio chiamato Gilead.
Sono personaggi conosciuti a chi ha letto "Il racconto dell'ancella", e una più di tutte perchè è un persona che ha da sempre un ruolo importantissimo, collabora con i Comandanti per diffondere la "teologia gileadiana" e per far sì che ci siano ordine, obbedienza, servizio e dedizione assoluti da parte delle varie categorie di cittadini.
Questa donna - ormai in là con l'età, autrice del "documento olografo di Ardua Hall" - è intelligente, scaltra, colta, abituata a comandare e dare giudizi per via del lavoro che svolgeva prima di Gilead (è stata scelta a posta, in realtà, attraverso dei flashback ci viene raccontato anche come fu "assoldata"), è temuta, rispettata, lusingata, invidiata; ha contribuito alla fondazione di Gilead e alla formazione di tante sue leggi assurde e infami, per cui è assolutamente corresponsabile della atrocità perpetrate.
Eppure..., nonostante la decantata fedeltà e convinzione nella bontà dell'ideologia di Gilead, questa donna è una traditrice, una spia che collabora niente meno che col nemico, con coloro che vogliono distruggere Gilead.
E cosa c'è di meglio (o di peggio, dipende dai punti di vista) che creare crepe in un sistema se non partendo dal suo interno, coinvolgendo chi ha più potere e margine di azione, chi è al di sopra di ogni sospetto?
Questa donna sta quindi tramando contro Gilead e, per attuare i propri piani, coinvolge necessariamente delle persone, in particolare le altre due narratrici.

Queste due donne sono decisamente più giovani dell'altra.
Una non è nata a Gilead ma ci vive da quando è bambina: è cresciuta in casa di un comandante, ma né questi né la moglie sono i suoi veri genitori; ha frequentato una scuola che educa le bambine/ragazze ad essere future consorti pie e sottomesse, quindi conosce bene come si vive e si ragiona a Gilead; la giovane, che si chiama Agnes, è figlia di un'ancella ed è destinata, per volere della famiglia, a sposarsi.
Ma Agnes non vuole e farà in modo di non diventare la moglie del brutto e vecchio Comandante che è stato scelto per lei, finendo per entrare nel meccanismo messo in moto dall'anziana spia di Ardua Hall.
Il Testamento 369A redatto da Agnes ci fa conoscere com'è la vita di una fanciulla cresciuta in casa di un uomo in vista, i rapporti tra le Mogli, tra le ragazzine, la falsità e l'invidia che si celano dietro le false lusinghe e i sorrisi affettati, il lavoro delle Zie nel plagiare le menti delle giovanissime.

"Ti sorprenderebbe scoprire con che velocità si intorpidisce la mente, in assenza di altri esseri umani. Preso da solo, un individuo non è completo: esistiamo in relazione agli altri. Io ero una persona: rischiavo di diventare nessuna persona."

Il terzo resoconto - il Testamento 369B - racconta i fatti dalla prospettiva di una ragazza di soli sedici, nata a Gilead ma poi rapita e portata in salvo in Canada; cresciuta con una coppia che s'è presa cura di lei fino al giorno in cui è stata fatta fuori in un attentato, Daisy scopre di non essere chi credeva di essere; non solo, ma resta di sasso quando le viene rivelata la sua vera identità: un nome scomodo, una  persona di cui a Gilead ancora si parla tanto e su cui i "pezzi forti" della Repubblica non vedono l'ora di mettere le mani addosso per esibirla come un trofeo.

Tutte e tre queste donne - caratterialmente molto differenti tra loro - lavoreranno insieme per rovesciare Gilead.
Ce la faranno? Cos'hanno intenzione di architettare per realizzare la loro missione?
La maledetta Repubblica di Gilead poggia su incrollabili basi di acciaio... o su fragili gambe di argilla?


Mi sono accostata a queste pagine con tanta curiosità, e sono volentieri tornata in codesto angolo di mondo americano, immergendomi nuovamente nell'atmosfera cupa e surreale di Gilead, odiando ancora una volta gli uomini boriosi e prepotenti che stanno al potere e le Zie bigotte, autoritarie, burbere, spesso cattive, provando simpatia per le laboriose Marte e pena per le ragazzine costrette a sottomettersi alle dottrine propugnate in questa società malata; ho conosciuto meglio il piccolo universo delle Zie, come vengono istruite e addestrate per questo ruolo rilevante e privilegiato.

Mi ha anche coinvolto il piano traditore della testimone più anziana, personaggio odioso ma anche intrigante perché forte, spietato, furbo, consapevole della propria facoltà di influenzare il corso degli eventi nel bene e nel male.

Ecco, per assurdo, fino a quando ero immersa in Gilead, il fascino perverso di una società di questo tipo riusciva a tener desto e alto il mio coinvolgimento, forse perché comunque a far da padroni erano i comportamenti, gli stati d'animo, le speranze, le paure, i pensieri, i tradimenti, e in generale le relazioni umane, così complesse e ricche di contraddizioni.

Il "problema" è sorto quando la Atwood è passata all'azione, provando a creare situazioni tipiche della serie tv, che infatti alterna (soprattutto nella seconda e ancor più nella terza stagione) momenti statici ad altri più dinamici, avventurosi.

Quando ho cominciato a capire cosa avrebbero fatto per portare avanti la loro missione le tre protagoniste - e quando poi l'ho letto -, onestamente il picco di attenzione ha subito un calo brusco.
A parte che si risolve tutto molto (troppo?) in fretta, ma poi l'ho trovato prevedibile e un tantino banale, poco sviluppato. Tutto il pathos che comunque ho provato durante la lettura, mi è sceso arrivando alle ultime battute.
Il finale non è stato degno delle aspettative (certo, posso sempre dare la colpa alle mie aspettative), ma non perchè non lo condivida, bensì per come si arriva ad esso: mi sarei aspettata un po' più di suspense, di originalità, di avventura... E invece ho trovato l'epilogo piatto, poco coinvolgente e appagante.
E' come se la Atwood si fosse affrettata a scrivere un sequel preoccupandosi che esso si allineasse alla serie  (e posso pure capirlo) e, in un certo senso, la proseguisse; se I Testamenti saranno la base della sceneggiatura della quarta stagione ditemelo, che forse me la risparmio, anche se credo di no, considerato come finisce la terza ^_^

Avete letto questo libro? Se sì, che ve n'è parso? Ha soddisfatto la vostra curiosità o ha deluso un po' anche voi?



"Il mondo non era più né solido né affidabile, era poroso e ingannevole. Qualsiasi cosa avrebbe potuto sparire in un attimo."

"Quando c’è un vuoto, la mente si sente in dovere di riempirlo. La paura è sempre pronta a occupare un posto libero, così come la curiosità."

giovedì 30 gennaio 2020

Le mie prossime letture (febbraio 2020)



Vi presento le mie prossime letture!


Il primo è un romanzo di formazione molto attuale, ricco di momenti toccanti e di argomenti che riguardano ognuno di noi: la famiglia, la coppia, l'essere figli. La fede politica e quella religiosa. La gioia e il dolore, la serenità e la disperazione. E soprattutto la necessità di accettare i propri limiti e raggiungere, finalmente, una nuova consapevolezza.


VENTIQUATTRO
di Valentina Bardi


Ed. Il Ponte Vecchio
256 pp
Martina sta per compiere diciotto anni e frequenta un ragazzo che a sua madre non piace.
Perché è il figlio del padrone della fabbrica locale, perché sua madre è una sindacalista come quelle di una volta e insomma quel ragazzo (com’è che si chiama, Matteo?) non lo vuole in casa sua.
Martina sta per compiere diciotto anni e sempre più spesso si sente una mosca bianca, in famiglia.
La madre, Giada, tutta d’un pezzo. Il padre, Andrea, che non c’è mai. Fa il giornalista, inviato in zone di guerra, e sembra che per lui contino più i drammi del mondo che quelli di casa sua; sembra anche, quando si fa vedere, che lui e la mamma non vadano più tanto d’accordo.
E poi la sorella maggiore e i fratelli minori di Martina, ognuno alle prese con i propri problemi grandi e piccoli… problemi che la riguardano fino a un certo punto.
Nonostante tutto, però, sembra che il microcosmo che ruota attorno a Martina, ben radicato in un piccolo comune della provincia romagnola, sia in grado di vivere la vita senza troppi sconvolgimenti.
Sembra. Perché un evento inaspettato costringerà la ragazza, la sua famiglia e l’intera comunità con cui si intreccia, a rivedere le proprie convinzioni e a reinventare la propria visione del mondo.


L’autrice
Valentina Bardi vive nella provincia di Forlì-Cesena, a Galeata. È diplomata in sassofono presso il Conservatorio “Bruno Maderna” di Cesena ed è laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università degli studi di Bologna Alma Mater Studiorum. Da sempre appassionata di libri, fa parte del Gruppo di lettura “Teodorico” di Galeata, che da svariati anni propone incontri pubblici e reading su autori italiani e stranieri.
 Ventiquattro è il suo primo romanzo.




L'altro è un giallo psicologico che tratta il tema tragicamente attuale della violenza sulle donne.


PIETRE
di Giusy Maresca



Ed. Il Seme Bianco
156 pp


Nella Grotta dello Scalandrone viene rinvenuto il cadavere di una ragazza. Un delitto commesso secondo una brutale pratica: la tortura della goccia cinese. 
Le indagini si intrecciano alle vicende di chi in vari modi faceva parte della vita di Gaia, la giovane vittima. 
Sogni infranti, vite spezzate, crudeli bugie. 
La complessità della natura umana emerge con chiarezza nelle sue molteplici sfaccettature, lasciando spazio a interrogativi sempre più inquietanti.

mercoledì 29 gennaio 2020

Recensione: LE GUARIGIONI di Kim Rossi Stuart



Cinque sono i racconti che compongono il libro con cui l'attore e regista Kim Rossi Stuart firma il proprio esordio in campo letterario: cinque storie appartenenti a generi diversi, che si soffermano su più tipologie di relazioni (padre-figlio, di coppia, uomo-Dio) ma che tutte convergono sulla necessità espressa dal titolo stesso del libro: la guarigione, quella che ci aspettiamo coinvolga tutto il nostro essere più profondo, quegli angoli nascosti nei quali sono accovacciati i mostri e le paure che ci rendono insicuri, folli, rabbiosi, frustrati, infelici, sempre in crisi, traumatizzati. Spesso insopportabili. Meravigliosamente umani.


LE GUARIGIONI
di Kim Rossi Stuart

Ed. La nave di Teseo
208 pp
Quando mi sono approcciata a questo libro - incuriosita, in prima istanza, dall'Autore - non ho potuto fare a meno di chiedermi il perché di questo titolo: le guarigioni.
Sorge spontanea la domanda: chi deve guarire e da cosa?  

L'Autore ha messo nero su bianco cinque protagonisti complessi, ciascuno con qualcosa di irrisolto nella propria vita come nel passato, nella mente come nel cuore.

Nel primo racconto incontriamo Renato e Leo, un padre e un figlio che vivono insieme ma sono intimamente distanti, nel senso che sono lontani l'uno dall'altro per tutto ciò che concerne il loro interiore, i pensieri, le aspettative e i crucci che abitano nel loro intimo.

Renato è un papà single; sua moglie l'ha lasciato e lui non s'è più rifatto una vita con un'altra donna, cosa che al figlio pare davvero strana.
Ma non ha il coraggio di chiedergli nulla in merito; a dire il vero, i due parlano poco in generale: il padre è un educatore severo, rigoroso, che non esita a "mettere alla prova" il figlio pur di incitarlo a sviluppare un carattere forte, a farsi le spalle grosse attraverso il lavoro, lo sforzo fisico, le responsabilità, la consapevolezza che le difficoltà nella vita vadano affrontate di petto e a testa alta.
Questo papà ha una passione (i cavalli) che cercherà di trasformare in un lavoro (apre un maneggio in una zona di campagna, fangosa e solitaria), coinvolgendo forzatamente anche Leo, che si ritrova a dividersi tra la scuola e i lavori a casa, domestici e relativi al prendersi cura degli amici equini.
Leo, che già di per sé è un ragazzetto silenzioso, timido soprattutto con le ragazze, che prova una sorta di inadeguatezza di fronte alla vita..., sente montare dentro di sé sentimenti negativi, di rifiuto e odio, verso il padre, che non fa che inasprire il figlio con le sue parole di disistima, le pressanti richieste di collaborazione in casa, i toni duri e spesso sarcastici.
Tra i due si instaura una "lotta" fatta di parole dette tra i denti, taglienti come lame, di sguardi carichi di delusione, amarezza, ostilità, di silenzi e porte chiuse in faccia, e per far sì che la bomba non scoppi, facendo danni magari irreparabili, uno dei due dovrà o fare un passo indietro o... scappare.
Padre e figlio rischiano di perdersi, di ammalarsi l'uno di frustrazione, depressione e infelicità, l'altro di odio represso verso un genitore che chiede e pretende e mai comprende.

I due racconti successivi hanno entrambi come protagonista un uomo che ha una grande difficoltà a relazionarsi con l'altro sesso, seppur per ragioni e secondo modalità differenti.

In Il maniaco inesistente uno scrittore cerca ripetutamente di innamorarsi davvero, per capire ogni volta di volere tutt’altro e in tutt’altro modo; le sue storie sentimentali sono un fallimento: pur fidanzandosi con donne che lo amano, non riesce a lasciarsi andare completamente. Passati i momenti di euforia iniziali, subentra subito una fase fatta di dubbi, paranoie, fissazioni assurde, in particolare sull'aspetto fisico delle sue donne, alle quali trova difetti che, pur essendo di poco conto, egli ingigantisce fino a sentirsi soffocare, ingabbiato in una relazione che non gli dà nulla, non lo soddisfa. A questo si aggiungono i suoi "sogni ad occhi aperti" che hanno come soggetto donne nude, con cui lui si immagina impegnato in amplessi appaganti.
In realtà, il sesso gli dà ben poche soddisfazioni, proprio per via di questa sua incapacità a relazionarsi in maniera matura e responsabile con le donne.
E' allergico alle relazioni impegnative, alla convivenza, preferirebbe incontri fugaci e goderecci..., qualcosa che lo responsabilizzi poco, anzi niente.
Per cercare di capirsi meglio e guarire da questi suoi traumi irrisolti, va pure dallo psicologo..., ma con scarsi risultati.

Edoardo (L’altra metà) è un piccolo e morigerato imprenditore la cui esistenza viene travolta dall’arrivo di una donna tanto appassionata quanto ingestibile: la bella, sensuale e vulcanica Marta, ricca ed esigente sotto tutti i punti di vista. I due si amano, hanno una buona intesa tra le lenzuola, eppure non fanno che litigare..., lasciandosi andare anche a sceneggiate e scatti rabbiosi che lasciano a bocca aperta. Non riescono a lasciarsi ma, al contempo, neppure ad essere sereni, ad accettarsi per ciò che sono, a fidarsi l'uno dell'altra. 
Marta ha una personalità molto forte, è una donna che va dritta per la sua strada, è sicura di sé, e questo suo essere così disinibita, libera e indipendente, spiazza il compagno, che sente emergere ancora di più fragilità, insicurezze, paura di perderla mista al desiderio di mandarla al diavolo per avere finalmente un briciolo di serenità...

Gli ultimi due  racconti - Il chiodo, Alla fine del Male (l’ultimo diavolo) - hanno anch'essi un aspetto in comune: il rapporto con Dio, con la fede, con la ricerca di un senso profondo e vero da dare alla propria vita.
E se nel primo incontriamo Linda, agnostica convinta, scettica e razionale, che  accetta di accompagnare il marito in un viaggio a Medjugorie, senza immaginare che questa innocua esperienza potrebbe rivelarsi determinante per metterla in contatto con la dimensione spirituale, sovrannaturale, nell'ultimo (un distopico con sfumature thriller) conosciamo un prete ribelle che vive in un tempo futuro e combatte contro la pressoché totale scomparsa del Male nel mondo.
A causa di uno strano morbo che sta contagiando tutti gli esseri umani giorno per giorno, il Male sembra scomparire man mano dalla faccia della terra: il prete si guarda e vede attorno a sé solo gente gioiosamente serena, che non ha mai uno scatto d'ira, uno sguardo cattivo, una parola offensiva. 
Immaginatevi circondati sempre e solo da persone che, pari ad automi senza vita e senza sentimenti, non fanno che elargire sorrisi ebeti, pronti ad abbracciarvi anche quando non lo meritereste, incapaci di una qualsiasi reazione umana in cui traspaia passione, ardore, anche rabbia o gelosia..., insomma tutto quello che che da sempre caratterizza l'essere umano e i suoi rapporti con i propri simili è un lontano ricordo.
Un paradiso in terra: la Bontà ha vinto, il Male non c'è più.
Ma è davvero così? Davvero il paradiso e la felicità per tutti passano attraverso esistenze vacue, in costante stato di estasi, prive di slanci, passioni, difetti, imprevisti...? 

I protagonisti di Kim Rossi Stuart sono uomini e donne curiosi, burberi e inafferrabili, complicati e romantici, fragili e convinti di sé, buffi e paranoici, egoisti e testardi: sono imperfetti e con tutte loro manchevolezze amano, si arrabbiano, covano risentimenti e si dannano pur si trovare un modo per sfogarli e non scoppiare, sperano, sognano ad occhi aperti e sono tormentati da incubi, accusano e vengono accusati da partner esigenti... In due parole: sono vivi.
Uomini e donne dal temperamento focoso, eccessivo, folle e maniacale, determinato o esitante, carnale o mistico, le cui esistenze straordinariamente comuni seguono spesso percorsi imprevedibili, confondendoli e acuendo interrogativi e perplessità.
Persone che, in un modo o nell'altro, hanno ferite, fratture, instabilità, dalle quali vorrebbero guarire, per sentirsi liberi dai propri dèmoni e dalle proprie fobie. Ma forse il punto non è tanto l'obiettivo della guarigione in sé, quanto il percorso necessario per arrivare ad essa.

Con una penna disinvolta e onesta, l'Autore mette a nudo questi suoi personaggi un po' "sopra le righe", svelandone istinti e passioni, le cui vite sono travolte da visioni e ansie, e da realtà che spesso sono anche più incredibili dei sogni stessi.
Kim Rossi Stuart scrittore è stata una bella scoperta!

martedì 28 gennaio 2020

Anteprima Rizzoli || "Sto pensando di finirla qui" di Iain Reid - In libreria dal 28 GENNAIO 2020


Il 28 gennaio arriva in libreria Sto pensando di finirla qui, fulminante thriller d’esordio di Iain Reid. 

La follia privata di un uomo troppo solo, una storia inquietante e originale che il geniale premio Oscar Charlie Kaufman ha trasposto in un film prodotto da Netflix. 
Il film uscirà nell’autunno 2020, con Jessie Buckley, attrice dell’anno, nel ruolo della protagonista femminile.

STO PENSANDO DI FINIRLA QUI
di Iain Reid



Ed. Rizzoli
trad. G. De Biase
256 pp
18 euro
"Un pensiero può essere più reale, più vero, di un’azione. Puoi dire qualunque cosa, fare qualunque cosa, ma non puoi fingere un pensiero."

Interno degli Stati Uniti. Una statale silenziosa e vuota, solo profili piatti che si ripetono, un’altalena, un granaio, pecore ferme nella luce del pomeriggio, fienili e campi.
Seduta in macchina, sotto la musica country trasmessa dalla radio, la ragazza di Jake guarda la campagna e continua a pensare che deve farla finita con lui; anche se Jake, con quella sua aria svagata e le conversazioni interessanti, in fondo le piace. Ora sono di ritorno dalla casa dei genitori di lui, una fattoria sperduta dove lei ha incontrato per la prima volta quella coppia singolare e visto i recinti lugubri degli animali, un incontro che le ha lasciato addosso una sensazione inafferrabile, come di chi avesse varcato, per il tempo di una sera, la scena di un’allucinazione altrui.
Un disagio che peggiora quando Jake, nel mezzo di quel luogo desolato mosso solamente dalla neve in aumento, si ferma in una gelateria, un edificio che emerge, fluorescente, dal buio, le vetrine sbiancate dai neon, e un attimo dopo imbocca una stradina secondaria, parcheggia davanti al suo vecchio liceo chiuso e sparisce all’interno della scuola.
Per la sua ragazza, lasciata sola in macchina, ha inizio allora un altro percorso, vertiginoso, nel versante più oscuro della realtà, dove scoprire che fine ha fatto Jake fornirà finalmente la risposta, del tutto imprevedibile, a cosa sia accaduto davvero in questo silenzioso viaggio a due.


Dicono di questo libro:

«Arrivati alla fine di questo spaventoso viaggio non resisterete alla tentazione di ripercorrerlo dall’inizio.» – “The Independent” 

«Il thriller letterario più intenso e originale degli ultimi tempi, sulla scia di Cronenberg e Stephen King.» – “Chicago Tribune” 

«Angoscia e terrore vi travolgeranno.» – “Entertainment Weekly”


L'autore.
IAIN REID ha esordito nella narrativa con il thriller Sto pensando di finirla qui, pubblicato in venti paesi e presto una produzione originale Netflix. Anche Foe, il suo secondo romanzo, ha riscosso un immediato successo diventando un bestseller internazionale di cui sono stati acquisiti i diritti cinematografici.  

lunedì 27 gennaio 2020

Recensione: NOI, BAMBINE AD AUSCHWITZ di Andra e Tatiana Bucci



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Tatiana e Andra Bucci ci raccontano, in questa toccante testimonianza, quello che hanno vissuto quando furono internate in un Kinderblock, il blocco dei bambini destinati alle più atroci sperimentazioni mediche.
Ad Auschwitz-Birkenau vennero deportati oltre 230.000 bambini e bambine da tutta Europa; solo poche decine sono sopravvissuti. 
Questo è il drammatico racconto di due di loro.


NOI, BAMBINE AD AUSCHWITZ
di Andra e Tatiana Bucci


Oscar Mondadori
160 pp
11 euro
E' la sera del 28 marzo 1944 quando dei violenti colpi alla porta di casa sconvolgeranno per sempre la vita delle piccole Tatiana e Andra Bucci.

Le sorelline (6 anni Tatiana, 4 anni Andra) appartengono a una famiglia "mista": il padre è cattolico, la mamma - Mira - è ebrea; entrambi i genitori sono di Fiume, e il ramo materno è giunto in questa cittadina (che, ricordiamo, è stata italiana dal 1924 al 1945) dopo un lungo peregrinare per l’Europa, cominciato agli inizi del Novecento in fuga dai pogrom antiebraici.

La vita tranquilla della famiglia finisce in quel giorno di marzo del '44, con l'arrivo dei nazisti, che irrompono bruscamente in casa; nonna, figli e nipoti vengono arrestati.
Dopo una breve sosta nella Risiera di San Sabba a Trieste, arriva la deportazione ad Auschwitz-Birkenau, dove molti di loro saranno uccisi.

Tra queste pagine, che ci scorrono davanti agli occhi suscitando inevitabilmente un turbine di emozioni e di immagini che prendono forma nella nostra mente, le due narratrici-protagoniste fanno sentire la loro "voce" e raccontano in prima persona l'orrore vissuto per mano dei nazisti.

E' vero, siamo in presenza di due testimoni che all'epoca - parliamo in particolare del periodo che va dall'aprile 1944 al 27 gennaio 1945 - erano davvero molto piccole, ed infatti i loro ricordi hanno dei "buchi", alcuni mai riempiti, altri sì, attraverso i racconti che successivamente, anni e anni dopo, le due sopravvissute - ormai adulte - hanno ascoltato da altri testimoni dell'Olocausto, il che ha permesso loro di colmare alcuni spazi vuoti della memoria e di comprendere alcune dinamiche che a quel tempo non avrebbero potuto cogliere.
Ma a parte questo aspetto, quello che leggiamo è frutto dell'esperienza terribile che le due bambine hanno dovuto vivere, e tante sensazioni, emozioni... sono vivide e fresche nella mente e nel cuore, e tali resteranno nel tempo, per sempre.

"Le sensazioni provate durante quel viaggio non ci hanno mai lasciate davvero. Spesso la mente torna a quei momenti; ma non quando siamo tra la folla o nella confusione, come si potrebbe pensare. È il rumore del treno, la sua immagine, che ci colpisce. Tati, per esempio, sente riaffiorare dentro di sé le sensazioni di quei giorni quando vede passare un treno merci."

"...tocca a noi due. Cominciano a tatuarci. Tanti piccoli puntini. Prima Andra, il numero è 76483; poi Tati, il numero è 76484. Nel nostro ricordo di bambine non proviamo dolore. Piccole punture di un ago che si infila nelle nostre braccia, segnando un numero che ci accompagnerà per tutta la vita."

Siamo con Tati e Andra nel treno che da Risiera di San Sabba le condurrà nell'inferno di Auschwitz-Birkenau; ci sembra di vederle mentre hanno freddo, fame, mentre provano sgomento, paura, smarrimento, e per darsi coraggio si avvinghiano l'una all'altra ed entrambe al corpo infreddolito e tremante, ma pure confortante, della mamma.
E quando arrivano a destinazione, ci sembra di vederle in fila con gli altri bambini, la maggior parte dei quali non farà ritorno a casa perché le loro brevi esistenze diverranno cenere, fumo che esce dai camini dei forni crematori.

Andra e Tati trascorrono nove mesi (i più brutti della loro vita) nel Kinderblock, il blocco dei bambini destinati alle più atroci e folli sperimentazioni mediche. 

Come si vive in un posto così? Come sono le giornate, le notti? Cosa fanno questi piccoli, in attesa che degli adulti spietati decidano il loro destino?

Le sorelle Bucci narrano ciò che ricordano di quel periodo: il freddo, il poco cibo, i giochi nel fango e nella neve, la vista degli spettrali mucchi di cadaveri buttati negli angoli, quel camino che sputa fumo e fiamme, unica via da cui «si esce» se sei ebreo, come dicono le guardiane, alcune delle quali si sono dimostrate - stranamente e miracolosamente - più tenere con loro, cosa che ha contribuito, unitamente ad altri fattori, alla loro sopravvivenza.

E poi ci sono le fugaci visite della mamma, emaciata fino a diventare irriconoscibile: la donna non ha fatto altro che cercare di proteggere le sue creaturine dal primo momento e in tutti i modi, e provoca ammirazione e commozione il pensiero di questa donna che, benché stremata, a fine giornata, quando poteva (non senza correre rischi!) si recava al blocco dei bambini per raccomandare a Tati e Andra di ricordare sempre i loro nomi, le loro origini, con la speranza che questo, un giorno, sarebbe tornato utile.
A guerra finita, quando finalmente il campo di concentramento sarebbe divenuto solo un terribile ricordo.

E poi ci parlano di come quell'esistenza incupita dalla presenza costante della morte a un certo punto fosse divenuta, ai loro occhi innocenti di bambine, qualcosa di "normale", nonostante i giorni fossero scanditi  dall’alternanza di paura e terrore, perché

"i bambini riescono a trovare le risorse per costruire un universo intelligibile intorno a sé."

 "...nel nostro ricordo è stata sostituita da quel senso di normalità che spesso i piccoli si costruiscono per proteggersi davanti agli avvenimenti più brutti, agli imprevisti."

In assenza di spiegazioni da parte dei grandi, le due bambine si convincono - in modo del tutto inconscio, naturale - che quella è la vita «normale», che è la "fine" cui vanno incontro quelli come loro - gli ebrei.
E' il solo modo per resistere e sopravvivere alla tragedia, perché la consuetudine scolora la paura.

La loro storia si intreccia ineluttabilmente con quella del cuginetto, il piccolo Sergio De Simone (figlio settenne di zia Gisella, sorella della madre), il cui destino sarà tragico, in quanto verrà prelevato poco tempo dopo l'arrivo nel kinderblock, per essere usato come cavia da medici nazisti: verrà impiccato alla Bullenhuser Damm di Amburgo.

Ma le cose cambiano quando il sole sorge sulla giornata del 27 gennaio 1945: un soldato, con una divisa diversa e una stella rossa sul berretto, sorride alle sorelline e offre loro una fetta del salame che sta mangiando.
E' il giorno della liberazione.

Che non segna però la fine del loro peregrinare.
Dovrà passare altro tempo prima che Tatiana e Andra ritrovino i genitori e quell’infanzia che è stata loro rubata.
Dopo del tempo trascorso in un triste orfanotrofio e alcuni mesi (decisamente più lieti) in un centro di recupero diretto da Anna Freud, a queste due bambine la vita comincerà a sorridere di nuovo e a restituire, seppur in parte, la serenità di una famiglia ritrovata, con cui tornare ad essere felici.
Non sarà semplice: lo spettro di ciò che si è vissuto non può essere mandato via con un'alzata di spalle, ma Andra e Tati sapranno - grazie all'esempio e alla presenza rassicurante, dolce e determinata, della mamma - guardare avanti per cercare di vivere normalmente, facendo sì che l'orrore vissuto non le condizioni tutta la vita.

Come si son potute salvare le sorelle Bucci?
Se la sono fatta pure loro questa fatidica domanda, ma è davvero possibile trovare un'unica risposta?
Forse fu determinante il fatto di essere figlie di un padre cattolico, o magari furono scambiate per gemelle o forse fu semplicemente un gioco del destino, un caso..., chissà.

Ciò che conta è che la loro voce si alzi per ricordarci che una pagina talmente orrenda e vergognosa della nostra Storia non venga nè dimenticata, nè ripetuta.

Come spesso accade ai sopravvissuti, non è stato facile "far i conti" con l'esperienza vissuta e trovare il coraggio e le parole per parlarne. Tutt'altro.
La voglia di dimenticare e di guardare a un futuro migliore, a una vita felice, libera dagli spettri del passato, unita alla concreta sensazione che - soprattutto nei primi tempi dopo la fine del conflitto - la gente non avesse alcuna voglia di sapere cosa fosse successo nei campi di concentramento, hanno fatto sì che le sorelle Bucci (e così pure altri testimoni sopravvissuti alla Shoah) tenessero sigillato nel cuore i terribili ricordi che le hanno segnate.

Ma non sarebbe stato giusto - nè per loro stesse nè per le future generazioni - tacere per sempre.
Sono storie che, al contrario, vanno assolutamente difese dai rischi dell’oblio e della rimozione, e ogni testimonianza è un bene prezioso, è un patrimonio dell’umanità da consegnare a chi verrà dopo, per dimostrare che

"... nonostante tutto il dolore e la sofferenza che gli altri possono avere inflitto a noi e ai nostri cari in nome di un’ideologia assurda e insensata, noi siamo qui. E non siamo solo sopravvissute. Abbiamo vissuto: siamo state in grado di costruirci una vita, una bella vita. Questo per noi è importantissimo, perché è un messaggio di speranza."


Una testimonianza che non può che toccare profondamente e straziare il cuore all'idea di quanto male, di quanta sofferenza, di quante brutture siano state vittime milioni di innocenti.
Sono quei libri che non dovremmo mai stancarci di leggere, magari pensando di saperne già abbastanza di sterminio, Olocausto e lager.
E no, non se ne parlerà mai abbastanza.

domenica 26 gennaio 2020

Recensione: "LA ROSA DEI VENTI. Le gocce di Lazhull" (Vol.1) di Mirko Hilbrat



Un fantasy ricco di avventura, battaglie e tradimenti, di personaggi dotati di capacità magiche straordinarie, di sacri guardiani uniti da un patto volto a proteggere degli oggetti preziosi dai poteri immensi, di cui un essere malvagio vuol impossessarsi per i suoi fini meschini.


LA ROSA DEI VENTI. LE GOCCE DI LAHZULL
di Marco Hilbrat



550 pp
Rion è un giovanotto dal passato oscuro, sconosciuto a lui per primo. La sua memoria sembra essersi resettata - per un qualche motivo che non riesce a rammentare - ed aver dimenticato informazioni importanti: quali siano le sue origini, da dove venga, chi ha tentato di ucciderlo lasciandogli un'indelebile cicatrice sulla schiena, e soprattutto chi sia la misteriosa figura in nero che incontra nei suoi sogni e che gli parla.

Ora si trova ad Alexandria - capitale del Reame d'Ametista - ed è stato scelto, assieme a due fidati e cari amici, per partecipare ad un torneo speciale, chiamato Cerberus, che si svolge nel suddetto reame ogni tre anni, con l'obiettivo di celebrare l'alleanza dei regni più importanti delle terre del Grimorio: Alexandria, Nazela e Reghanor.

In tale occasione conosce la bellissima e coraggiosa principessa Syria, ma il coinvolgimento nella sfida, che lui immaginava fosse una sorta di "gioco", finirà per travolgerlo in tutti i sensi, facendo sì che tante sue abilità di guerriero comincino ad emergere in modo evidente, tanto da indurlo a chiedersi ancora una volta chi sia stato lui "nell'altra vita" e come mai la voglia di combattere sia così prepotente nella sua mente come in ogni fibra del suo corpo.
Sembra nato per essere un combattente e a questa natura egli vuol dare spazio; il destino lo accontenterà: dopo la fine dell'incredibile torneo verrà  coinvolto, infatti, dal vortice di eventi straordinari e pericolosi che convergeranno in una lotta feroce tra il Bene e il Male.

L'oscura e temibile Legione dell'Ovest si sta minacciosamente muovendo alla continua ricerca delle piccole pietre forgiate con le acque incantate del Lago di Lazhull (le Gocce di Lazhull), che racchiudono un potere che deve essere assolutamente preservato per mantenere la pace e l’equilibrio tra i vari regni; "equilibrio che il Signore dell’Ovest è intenzionato a rovesciare entrandone in possesso" e per raggiungere il proprio scopo non esita a lasciarsi dietro una sanguinosa scia di morte.

"Le Gocce di Lazhull, i loro custodi. Quale potere avrebbero mai potuto nascondere delle pietre così apparentemente effimere, da far scatenare una guerra tanto pericolosa? Quale significato poteva celarsi dietro ad un oggetto tanto piccolo?"


Elenterion, città sotterranea degli elfi, viene ferocemente attaccata, e il suo re muore non senza prima aver lasciato un messaggio importante a un suo suddito fidato, Serin, miracolosamente sopravvissuto alla strage del proprio popolo ad opera dei malvagi eserciti del Signore del'Ovest.

E Kruna, il Regno della Notte Eterna, è il suo prossimo bersaglio, in quanto anche in questo leggendario e spaventoso luogo di tenebre è custodita una delle pietre magiche.

Sarà proprio per evitare che le Legioni dell'Ovest mettano le mani sulle gocce di Lahzull che i regni di Grimorio dovranno coalizzarsi per neutralizzare questa minaccia prima che la situazione peggiori al punto da essere irrecuperabile.

L'importante missione vedrà coinvolti diversi personaggi, divisi in coloro che sono mossi da nobili princìpi e coloro che, al contrario, agiscono in modo meschino e, spinti da un'insaziabile brama di potere, sono pronti a tradire la propria razza e il proprio regno.

Ampio è, quindi, il ventaglio di personaggi che danno il proprio contributo alla storia: ragazze (principesse e non) belle e coraggiose, che non esitano a scendere in campo come paladine determinate e abili; re valorosi, pronti al sacrificio estremo di se stessi per amore della propria gente; giovani guerrieri che mostrano tutto il loro ardore e le loro magiche abilità in battaglia; creature fantastiche - mostri viscidi, mastodontici e crudeli, dalle caratteristiche e dai poteri letali, elfi, draghi esseri alati, ecc -  che possono venire in aiuto o da cui bisogna difendersi, oggetti speciali e preziosi, oggetto di invidia e desiderio da parte di tanti; il Bene che si scontra col Male, in una serie di battaglie dal sapore epico, descritte in modo efficace, vivido, tanto da riuscire a immaginarle bene durante la lettura.

I personaggi, pur essendo tanti, sono molto ben caratterizzati e si dà il giusto spazio ad alcuni di essi, al loro passato tormentato, alla loro personalità, alle motivazioni che li spingono ad agire, alle potenzialità come ai limiti, che neppure la magia spesso riesce a superare.

Devo dire che quando incorro in un fantasy, forse proprio in virtù del fatto che non sono una fan accanita di questa tipologia di romanzi, se esso è scritto bene, lo gradisco il doppio: non solo in quanto ha in sé tutte le caratteristiche per essere definito in generale "un bel libro", ma anche perché mi spinge ad apprezzare il genere.  
E' questo il caso del romanzo di Mirko Hilbrat, corposo ma assolutamente fluido, per lo stile (dettagliato ma mai noioso o ripetitivo; nessun dettaglio è inutile, bensì tutto è funzionale allo sviluppo e alla comprensione della trama), per come è articolata la storia (con le sue "sotto-storie", i flashback, i colpi di scena, i cambi di ambientazione), che ho trovato davvero avvincente, particolareggiata, molto ben strutturata.

Un libro che rientra a buon diritto tra i fantasy classici e che consiglio vivamente, soprattutto a quanti amano la narrativa fantastica: non resterete delusi!
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