Un saggio interessante e chiaro col quale l'Autore si propone di raccontare una verità storica diversa da quella comunemente narrata: c'è stato un tempo in cui ebrei e cristiani erano molto più vicini di quanto non lo siano adesso, e se comprendiamo questo forse riusciremo ad andare oltre le convenzionali semplificazioni della Storia.
IL VANGELO EBRAICO.
Le vere origini del cristianesimo
di Daniel Boyarin
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Ed. Castelvecchi trad. S. Buttazzi 186 pp |
Daniel Boyarin è fra i più importanti talmudisti viventi e tra le pagine di questo libro spiega come la figura di Gesù il Nazareno, il suo impatto sulla storia degli ebrei e del mondo, non abbia in sé alcun elemento di rottura rispetto al giudaismo.
Che un Messia sarebbe sorto tra il popolo ebraico, morto e poi risorto, non era una novità per gli stessi ebrei: tutt'altro, è riportato nelle Scritture, in quegli stessi scritti profetici in cui essi ripongono fede.
Altro che incolmabile scissione teologica tra cristiani ed ebrei! Essere (restare) convinti di questa rottura tra cristianesimo ed ebraismo, contrapponendoli quasi fossero due opposte fazioni, significa dimenticare che alla base di essi c'è una natura comune profondamente e radicalmente unitaria.
Di solito, riflette Boyarin, ci si definisce membri di una religione usando una specie di lista di controllo, grazie alla quale individuiamo quelle caratteristiche che ci accomunano a chi la pensa come noi e ci distinguono (e separano) da chi, al contrario, ha un'altra "confessione di fede".
Ebbene, questo tipo di approccio ha portato a tracciare una linea netta di confine tra cristiani e non cristiani, tra ebrei e non ebrei, ed esso è maturato sotto il Sacro Romano Impero.
"Almeno da un punto di vista giuridico, nel Quarto secolo l’ebraismo e il cristianesimo divennero religioni nettamente separate. Prima di allora, nessuno (con l’ovvia eccezione di Dio) aveva avuto l’autorità di distinguere un ebreo da un cristiano, anzi molte persone avevano scelto di essere entrambe le cose. Ai tempi di Gesù, tutti i sui seguaci – persino coloro che credevano fosse Dio – erano ebrei!"
In special modo, il concilio di Nicea
"creò efficacemente ciò che oggi chiamiamo cristianesimo, ma anche, per quanto strano possa sembrare, ciò che oggi chiamiamo ebraismo."
Ma in origine tale divisione non c'era, o comunque non è mai stato un intento di Gesù crearla.
Gesù si è presentato nel modo in cui molti ebrei si aspettavano che facesse il Messia: un essere divino incarnato in un corpo umano; alcuni Gli credettero, altri no, e oggi noi chiamiamo il primo gruppo cristiani e il secondo ebrei, anche se, in principio, le cose non stavano così.
Boyarin si sofferma molto su espressioni quali "Figlio di Dio" e "Figlio dell'Uomo", precisando come quest'ultima espressione alludesse alla figura divina «simile a un figlio di uomo» che ricorre nel libro profetico di Daniele. In altre parole il profeta dell'Antico testamento parla di "un Dio avente le fattezze di un essere umano (da cui, letteralmente, Figlio dell’Uomo)", per cui questa definizione fa riferimento alla sua divinità dall’umana apparenza.
Il titolo «Figlio dell’Uomo» - attribuito a Gesù nella Bibbia - sottolineava come Egli fosse, quindi, "una parte di Dio" (in possesso di una natura divina), mentre il titolo «Figlio di Dio» indicava lo status di re Messia * (e l'appartenenza alla discendenza del re Davide).
Nella Bibbia ebraica, il termine Mashiach, cioè Messia, indica un essere umano realmente esistito che ha regnato su Israele; gli ebrei aspettavano (e lo aspettano ancora...) un vero sovrano, terreno, in grado di restaurare il casato di Davide come prima dell’esilio.
Proprio in questa preghiera per un re che doveva venire si svilupparono i semi dell'idea di un redentore promesso, un nuovo re David che Dio avrebbe inviato in terra alla fine dei giorni, un Messia umano e divino (ribattezzato come «Figlio dell’Uomo»).
E' soprattutto nel Vangelo di Marco che vediamo questa precisazione:
Figlio di Dio indica l’umano Messia, in quanto Marco usa il vecchio titolo pensato per il re del casato di David; nel riferirsi a Gesù Cristo come «Figlio dell’Uomo» ne sottolinea la natura divina.
Alcuni ebrei si aspettavano un redentore umano elevato allo status di divinità, mentre altri aspettavano una divinità che scendesse sulla terra e assumesse forma umana.
"Molti ebrei credevano che la redenzione sarebbe stata portata a termine da un essere umano, un rampollo nascosto del casato di David – un «Anastasio», dal greco Anàstasis, «resurrezione» – che a un determinato momento avrebbe preso lo scettro e la spada, avrebbe sconfitto i nemici di Israele e l’avrebbe riportato alla sua antica gloria."
Lungi dal volersi ribellare alla propria "religione", Gesù ha vissuto da ebreo osservante, mangiava kosher * e in generale rispettava e difendeva la Torah. Ciò cui si opponeva erano le deviazioni frutto delle tradizioni farisaiche, che col tempo hanno cambiato le regole della Torah, aggiungendovi precetti su precetti.
L'ebraismo di Gesù, infatti, fu una reazione conservatrice ad alcune radicali innovazioni limitatamente alla legge da parte di farisei e scribi di Gerusalemme.
Il cristianesimo è uno dei sentieri più antichi dell'ebraismo; essi non sono in antitesi e anzi ogni elemento innovativo ravvisabile nel cristianesimo era già presente nella religione ebraica.
Personalmente non ero a digiuno sull'argomento in oggetto e quindi seguire i ragionamenti dell'autore non è stata un'impresa particolarmente ardua, ma c'è da dire che ha uno stile un po' complesso (cervellotico....), tende a ripetere un concetto o a spiegarlo e rispiegarlo in modo un po' prolisso (parere mio eh).
Comunque, a parte questo, ho trovato il presente saggio davvero ricco di spunti interessanti, condivido l'idea che sta alla base - e cioè che non sia giusto e corretto vedere il Cristianesimo come qualcosa di diverso e separato dall'ebraismo, anzi, il primo "deriva" dal secondo - e lo consiglio se avete voglia di approfondire l'argomento.
* puro; lecito (in riferimento al cibo, secondo la religione ebraica)
* Messia (in ebraico, pronunciato «mashiach») significa ‘l’unto’, e Christos altro non è che la traduzione greca del termine.