giovedì 23 dicembre 2021

Recensione: LA CASA DELLE VOCI di Donato Carrisi




Allo psicologo infantile Pietro Gerber, bravo ipnotista di Firenze, viene chiesto di lavorare al misterioso caso di una giovane donna convinta di aver ucciso il proprio fratellino quando lei stessa era solo una bambina. Seduta dopo seduta, Pietro si trova coinvolto nel passato della ragazza, contrassegnato da vicende al limite del surreale e che, in modo sorprendente e inquietante, egli scopre essere collegate alla propria vita e a un segreto che lo tormenta da anni.


LA CASA DELLE VOCI
di Donato Carrisi


Longanesi
400 pp
"Per un bambino la famiglia è il posto più sicuro della terra. oppure il più pericoloso; ogni psicologo infantile lo sa bene. Solo che un bambino non sa distinguere la differenza".

Emilian è un bambino bielorusso adottato da una coppia italiana; il piccolo è stato affidato alle cure di Pietro Gerber, specializzato nell'impiego dell'ipnosi con giovanissimi pazienti, spesso traumatizzati e con esperienze drammatiche a contrassegnare la loro breve esistenza.
Emilian ha accusato - di punto in bianco - i genitori di averlo coinvolto in una serie di orge assieme a un sacerdote; ma quanto c'è di vero nelle sue affermazioni? 
La giudice Anita Baldi ha richiesto un parere da parte di Pietro, per arrivare a capire se il bambino stia mentendo deliberatamente (perché dovrebbe farlo?) o se ha costruito dei falsi ricordi (frutto, probabilmente, delle brutte esperienze fatte nella famiglia d'origine), che comunque possono essere la spia di un malessere interiore ma che potrebbero scagionare da accuse pesanti i genitori adottivi.

Proprio mentre Gerber è impegnato in questo caso delicatissimo, una collega di nome Theresa Walker lo chiama dall'Australia: in Italia sta arrivando una sua paziente e la psicologa vorrebbe che ella continuasse le sedute di ipnosi con Gerber, così da aiutare la ragazza a mettere ordine nei ricordi e a trovare le risposte ai tanti dubbi che la tormentano e che affondano le proprie radici nel passato.

La paziente  ha trent'anni e risponde al nome di Hanna Hall; a dire il vero, questo non è il suo nome vero, bensì quello che le è stato dato quando a dieci anni si è trasferita in Australia con i genitori adottivi.
Hanna è pronta a lasciarsi ipnotizzare da Pietro e, col suo aiuto, a tornare al periodo dell'infanzia in cui ha vissuto con i suoi genitori naturali ed è stata felice, nonostante le tante regole da osservare e il dubbio atroce di aver commesso addirittura un assassinio...

Scavando nel passato, di seduta in seduta, Pietro ascolta dalla bocca della singolare paziente una storia che ha dell'incredibile: la bambina è cresciuta - nei suoi primi dieci anni di vita - vagabondando per la Toscana insieme ai genitori, che hanno vissuto come dei fuggitivi, cercando posti isolati e case abbandonate, in cui stabilirsi per un periodo più o bene breve per poi ripartire, alla ricerca di un altro luogo dove stare, magari più sicuro di quello lasciato.
La bimba sa che deve osservare scrupolosamente le regole che le hanno insegnato i genitori, come ad es. quella di stare attenta agli estranei, di fidarsi solo di mamma e papà (gli unici esseri umani con cui ha relazione) e non rivelare a nessuno il proprio nome, motivo per cui Hanna ha sempre avuto tanti nomi, tutti scelti da lei, uno per ogni casa delle voci in cui i tre si stabilivano.
In ogni abitazione, infatti, scelta perché fosse temporaneamente la loro casa, i tre inquilini decidevano liberamente come chiamarsi, e la piccola amava farsi chiamare con nomi da principessa.

Gerber è sconvolto: davvero Hanna ha avuto un'infanzia del genere? Non è andata a scuola, non ha avuto amici, famigliari, vicini di casa con cui rapportarsi, ma si è relazionata unicamente a questi due genitori nomadi (e non proprio "normali")?
Perché la coppia ha fatto questa scelta di vita strana e di certo piena di limiti? Da chi o cosa fuggivano e si proteggevano?

Hanna racconta cose inquietanti sui suoi genitori, come il fatto che si portassero dietro una cassa di legno dove era stato riposto il corpo del fratellino morto, Ado. 
E Ado, crede Hanna, è probabilmente morto per mano sua, anche se lei non ha ricordi in merito, non sa come, se e quando lei possa aver addirittura ucciso il fratello.

E' per questo che vuole l'aiuto dell'addormentatore di bambini più bravo in circolazione: Gerber deve aiutare a far emergere, nel corso delle sedute d'ipnosi, quei ricordi dolorosi che Hanna bambina ha relegato nel proprio inconscio perchè fonte di sofferenza, e che adesso lei vuole finalmente affrontare per liberarsene e, chissà, diventare un'adulta più serena.

Gerber prende in carico Hanna Hall, ma lo fa con molti dubbi; c'è in lei qualcosa di enigmatico e di minaccioso, anche se il giovane psicologo non sa chiarire in cosa Hanna lo turbi e lo metta a disagio.

Con la sua aria trasognata, i suoi occhi ora persi nel vuoto ora penetranti, i suoi indumenti sciatti, il vizio del fumo, Hanna Hall sembra una schizofrenica e, al contempo, c'è in lei una sinistra consapevolezza di quel bizzarro vissuto che sta emergendo progressivamente, accompagnata da un atteggiamento verso lo psicologo che questi non sa come definire: sembra quasi provocarlo e, soprattutto, a spaventarlo ci sono dei particolari molto, molto strani: Hanna ogni tanto, con malcelata noncuranza, fa delle osservazioni con cui dimostra di essere a conoscenza di particolari della vita e del lavoro di Pietro che non dovrebbe conoscere.
In particolare, a mettere in allarme Gerber sono una serie di eventi che coinvolgono la propria famiglia (la moglie Silvia e il loro figlioletto, Marco) e delle frasi sibilline sul signor B., vale a dire il papà di Pietro, anch'egli psicologo e ipnotista molto apprezzato (il soprannome ha a che fare proprio con la sua professione); l'uomo è morto qualche anno prima e, in punto di morte, dev'essere accaduto qualcosa tra padre e figlio che ha cambiato l'esistenza di quest'ultimo.
Gerber ha, quindi, un segreto nella propria anima, che gli ha  scavato una voragine di sofferenza, dubbi, malesseri..., che egli non solo non ha risolto, ma non sa come affrontare.

Inspiegabilmente, il caso Hanna Hall si rivela, man mano, collegato a qualcosa che ha a che fare col padre; questa cosa turba e attrae contemporaneamente Pietro, che cerca risposte confrontandosi con la collega australiana.
Ma anche quest'ultima non lo convince del tutto, e così Gerber capisce che l'unica strada per aiutare non solo Hanna ma anche se stesso, è fare questo viaggio nel passato assieme a lei, seguendo il filo dei suoi ricordi e capire se quei frammenti di memoria che vengono a galla corrispondono alla verità o sono delle illusioni, dei falsi ricordi creati dalla donna per proteggersi.
Ma più di tutto: quel filo che sembra unirlo a Hanna è reale o è frutto di una sua suggestione?

"La casa delle voci" è un thriller psicologico che mi ha presa da subito, perché la tematica da cui si parte è di quelle delicate e forti insieme: i traumi infantili, le fragilità che caratterizzano e segnano le personalità di bambini che hanno avuto un'infanzia difficile e le cui menti sono state segnate da abusi, ferite fisiche, emotive, psicologiche, che inevitabilmente li condizioneranno negli anni.
L'ipnosi è una procedura che ha il suo fascino e l'Autore ha incastrato, nel racconto delle vicende presenti, la narrazione del passato, così come esso emerge nel corso della relazione terapeutica tra Gerber e Hanna; ogni tanto, il lettore trova disseminati indizi e dettagli che lo indirizzano verso quella che sarà la rivelazione finale, che metterà al suo posto ogni singola tessera di questo puzzle in cui la realtà si colora di sfumature angoscianti, di particolari oscuri e figure minacciose, che sembrano uscire dalle fiabe per bambini che tanto li attraggono e terrorizzano allo stesso tempo.
La Hanna bambina ha vissuto esperienze più grandi di lei e difficili da capire, si è fidata ciecamente - come solo i bambini sanno fare - degli adulti, credendo a ciò che essi le raccontavano, godendo dell'aspetto giocoso di quella vita da viandanti, essendo felice in una famiglia solitaria che si teneva "alla larga dal mondo, sperando che il mondo si tenga alla larga da noi".
Viene menzionato l'ex-ospedale psichiatrico San Salvi di Firenze (aperto nel 1891, chiuso ufficialmente nel 1978 con la Legge Basaglia, ma in pratica aperto fino alla fine degli anni Novanta).
Una lettura per me avvincente, di quelle che mi tengono incollata fino all'ultima pagina.




martedì 21 dicembre 2021

IN ARRIVO IN LIBRERIA (Narrativa straniera)

 

Libri che ci attendono nel nuovo anno!

Cosa vi incuriosisce? ^_-

LA CUSTODE DEI PECCATI di Megan Campisi (Ed. Nord, trad. A. Storti, 400 pp, USCITA 7 GENNAIO 2022).

Per aver rubato un pezzo di pane, la giovane May è stata condannata a diventare una Mangiapeccati.
Dopo la sentenza, deve indossare un collare per essere subito riconoscibile e le viene tatuata la lettera S sulla lingua. Da quel momento, non potrà mai più rivolgere la parola a nessuno. 
Poi inizia il suo apprendistato presso la Mangiapeccati anziana che, nel silenzio più assoluto, le insegna il mestiere: raccogliere le ultime confessioni dei morenti, preparare i cibi corrispondenti ai peccati commessi e infine mangiare tutto, assumendo su di sé le colpe del defunto, la cui anima sarà così libera di volare in Paradiso. 
Le Mangiapeccati sono esclusivamente donne, disprezzate e temute da tutti, eppure indispensabili. 
E infatti, un giorno, May e la sua Maestra vengono convocate addirittura a corte, dove una dama di compagnia della regina è in fin di vita. Dopo la confessione e la morte della donna, però, alle due Mangiapeccati viene portato un cuore di cervo, un cibo da loro non richiesto e che rappresenta il peccato di omicidio. 
Sconcertata, la Maestra di May si rifiuta di completare il pasto e viene imprigionata per tradimento. Rimasta sola, la ragazza china la testa e porta a termine il compito, ma in cuor suo giura che renderà giustizia all'unica persona che le abbia mostrato un briciolo di compassione. 
Quando viene chiamata ancora a prestare i suoi servigi a corte, May intuisce che una rete di menzogne e tradimenti si sta chiudendo sulla regina e che solo lei è in grado d'intervenire. 

Ispirandosi alla figura realmente esistita della Mangiapeccati, questo romanzo coinvolgente e dalla straordinaria potenza narrativa ci regala un'eroina modernissima, che rifiuta il ruolo impostole da una società che la umilia in quanto donna, e che grazie alla sua forza di volontà e determinazione riuscirà a cambiare il proprio destino.

                                                                      ***********


VERSO IL PARADISO di Hanya Yanagihara (Ed. Feltrinelli, trad. F. Pacifico, 762 pp., USCITA 13 GENNAIO 2022):


In una versione alternativa dell’America del 1893, New York fa parte degli Stati Liberi, dove le persone possono vivere e amare chi vogliono (o almeno così sembra). 
Il fragile e giovane rampollo di una famiglia illustre rifiuta il fidanzamento con un degno corteggiatore, attratto da un affascinante insegnante di musica senza mezzi. 
In una Manhattan del 1993 assediata dall’epidemia di Aids, un giovane hawaiano vive con il suo partner molto più anziano e ricco, nascondendo la sua infanzia travagliata e il destino di suo padre. 
E nel 2093, in un mondo lacerato da pestilenze e governato da un regime totalitario, la nipote di un potente scienziato cerca di affrontare la vita senza di lui e di risolvere il mistero delle sparizioni di suo marito. 
Queste tre parti sono unite in una sinfonia avvincente e geniale, con note e temi ricorrenti: una residenza a Washington Square Park nel Greenwich Village; malattie e cure che hanno un costo terribile; ricchezza e squallore; il debole e il forte; la razza; la definizione di famiglia e di nazionalità; la pericolosa giustizia dei potenti e dei rivoluzionari; il desiderio di trovare un posto in un paradiso terrestre e la graduale consapevolezza che non può esistere. Ciò che unisce non solo i personaggi, ma anche queste Americhe, è il loro venire a patti con quello che ci rende umani: la paura, l’amore, la vergogna, il bisogno, la solitudine. 
Verso il paradiso è un meraviglioso esempio di tecnica letteraria, ma soprattutto è un’opera geniale per come affronta le emozioni. Il grande potere di questo straordinario romanzo deriva dalla comprensione di Yanagihara del profondo desiderio di proteggere coloro che amiamo – partner, amanti, figli, amici, famiglia e persino i nostri concittadini – e dal dolore che ne deriva quando non possiamo farlo.



VIOLETA di Isabel Allende (Feltrinelli, trad. E. Liverani, 368 pp., USCITA 3 FEBBRAIO 2022).


Violeta nasce in un giorno di tempesta del 1920, primogenita di una famiglia di cinque turbolenti figli. 
Fin dall'inizio, la sua vita sarà segnata da eventi straordinari, perché gli strascichi della Grande Guerra si fanno ancora sentire, e l'influenza spagnola arriva sulle coste della sua patria sudamericana quasi al momento della sua nascita.
Grazie alla preveggenza di suo padre, la famiglia supererà indenne quella crisi, solo per affrontarne una nuova mentre la Grande Depressione trasforma la raffinata vita cittadina che ha conosciuto. 
La sua famiglia perde tutto ed è costretta a ritirarsi in una parte selvaggia e bella ma remota del paese. Lì diventerà maggiorenne e avrà il suo primo corteggiatore...
La storia di Violeta è narrata sotto forma di lettera a qualcuno che ama tantissimo, al quale racconta dolori, delusioni, relazioni appassionate, tempi di povertà e ricchezza, perdite terribili e gioie immense. La sua vita sarà plasmata da alcuni degli eventi più importanti della storia: la lotta per i diritti delle donne, l'ascesa e la caduta dei tiranni e, infine, non una ma due pandemie.

Raccontata attraverso gli occhi di una donna la cui passione, determinazione e senso dell'umorismo  indimenticabili la porteranno attraverso una vita di sconvolgimenti, Isabel Allende ci porta ancora una volta un'epopea che è allo stesso tempo ferocemente stimolante e profondamente emotiva.

lunedì 20 dicembre 2021

Christmas Book Tag



Tempo di Natale, tempo di booktag a tema.



Babbo Natale.
Nomina un libro che hai ricevuto da bambino e a cui tieni molto oggi.

Non ho bisogno di pensarci: c'è un libro che ho ricevuto proprio a Natale, regalatomi da mia madre e che credo resterà per sempre uno dei regali più belli, perché inaspettato, perchè è un libro, perché me l'ha regalato mia madre e perché è quel libro. Parlo de Il Diario di Anna Frank, uno dei primi libri in assoluto che mi siano stati regalati nell'infanzia (vabbè, non ero proprio piccolina, frequentavo la quarta o quinta elementare) e che rientra a tutti i diritti nella categoria "libri del cuore".





Il fantasma del Natale passato.
C'è un libro o una serie che ti piace rivisitare ogni anno a Natale?


Hum..., no, non ho spettri particolari di alcun genere che mi vengono a far visita in questo periodo :-D




Albero di Natale.
Nomina una serie che raggiunge nuove vette ad ogni nuova uscita.

Sicuramente la saga familiare de LE SETTE SORELLE, dell'amatissima e compianta Lucinda Riley; attualmente ho in lettura La ragazza del sole e lo sto adorando a ogni pagina! La scrittura così attenta ai dettagli, il focalizzarsi su una sorella alla volta, mostrandocela a 360°, la storia che si dipana su due piani temporali tra loro interconnessi, gli intrecci emozionanti e originali: questa serie mi ha catturata dall'inizio e ogni volume è sempre una piacevolissima sorpresa!




Amici e famiglia. 
Nomina un libro con personaggi fantastici.



L'allegra e affiatata combriccola conosciuta nella saga fantasy di Elisabetta Gnone, Fairy Oak, mi ha conquistata da subito; ogni volta che tornavo nel magico mondo di Pervinca e Vaniglia, il buon umore era assicurato.



Decorazioni.
Nomina un libro con una splendida copertina che esporresti con orgoglio 
sui tuoi scaffali.







Cartoline di Natale.
Nomina un libro che porta un grande messaggio.


Sinceramente, il primo libro che mi è balzato in mente è stata La Sacra Bibbia, ma essendo forse troppo "generico" per qualcuno, prendo da 'questa mini biblioteca' il Vangelo di Luca: una bella (ri)lettura dell'episodio della Natività non può che farci bene, visto che il Natale è la festa con cui celebriamo proprio la nascita del Figlio di Dio che si è fatto Uomo ed è venuto sulla terra.



Ghiaccio e neve.
Un libro che speravi di amare ma che alla fine ti ha fatto sentire freddo.

,
Qui mi attirerò la disapprovazione di chissà quanti lettori, ma onestà mi impone di rispondere Follia di Patrick McGrath.

Non posso dire che questo libro - considerato da tanti un capolavoro, e io mi guardo bene dal metterlo in dubbio - non mi sia piaciuto, tutt'altro; in particolare, ho amato la tematica di fondo, ma il mio problema è stata la mancanza di empatia con la protagonista femminile. 



Pranzo di Natale.
Un libro che era grande e "minaccioso" ma che alla fine hai letto e hai pensato: 
Ne è valsa la pena.



Ce ne sarebbero più di uno, da Via col vento a Il Signore degli Anelli, per dirne un paio, ma il primo in assoluto che mi ha attraversato la mente è quello che menziono: Il Conte di Montecristo. ADOROOH!! 



Mince Pies.
Qual è il libro che hai trovato dolce e soddisfacente?



E' una lettura di quest'anno, una graphic novel bella, intensa e commovente, che consiglio: NON STANCARTI DI ANDARE di Teresa Radice e Stefano Turconi.





Christmas Gift.
C'è un libro che doneresti come regalo di Natale perchè merita assolutamente 
di essere letto?


Credo che regalerei un libro che possa stimolare l'interesse verso la drammatica situazione che dura ormai da decenni e che vede contrapposti Israele e Palestina, con tutto il carico di guerre, morti, feriti, massacri, violazione dei diritti umani ecc... che ne deriva: Palestina Israele: che fare? a cura di Frank Barat; La pulizia etnica della Palestina di Ilan Pappe, Dove sta il limite di Raha Shehadeh, per dirne solo alcuni.






Idea presa da: https://meghanmblogs.wordpress.com/

domenica 19 dicembre 2021

Oggi nasceva... Guido Gozzano

 

In questo giorno, ma di 138 anni fa, nasceva il poeta Guido Gozzano.

Nato a Torino nel 1883 da una famiglia borghese benestante (padre ingegnere, madre figlia di un 
patriota mazziniano), prende il diploma con scarsi risultati, si iscrive a giurisprudenza ma intanto segue i corsi di letteratura italiana alla facoltà di lettere. 
Inizialmente si dedica alla poesia nell'emulazione di Gabriele D'Annunzio e del suo mito del dandy, ma quando all’università conosce molti scrittori e letterati aperti alle novità europee e ostili al dannunzianesimo, cercherà ben presto di staccarsi da quest'ultimo per avvicinarsi a Pascoli e alla cerchia di poeti intimisti che sarebbero stati in seguito denominati "crepuscolari",

Nel 1907 pubblica una raccolta di trenta poesie, La via del rifugio, ottenendo un discreto successo di critica; dopo che gli viene diagnosticata una lesione polmonare all’apice destro, il giovane comincia a viaggiare nella speranza di star meglio godendo di climi più miti e più favorevoli per il suo precario stato di salute.

Nello stesso anno inizia un intenso quanto contrastato rapporto d’amore con Amalia Guglielminetti, poetessa che incarna il modello di donna colta e sofisticata, conosciuta l’anno prima presso la Società di Cultura a Torino. 

Nel 1909 abbandona definitivamente gli studi giuridici per dedicarsi alla poesia e, sull'onda di una notevole vena creativa, scrive la maggior parte delle poesie che andranno a comporre la seconda raccolta - I colloqui -, reputata dalla critica il suo capolavoro. 

Nel 1912 Gozzano compie un viaggio in India  per motivi di salute, tornando in Italia verso la fine dell'anno; di questo periodo in India sono le lettere pubblicate postume con il titolo Verso la cuna del mondo.
Nel 1914 lavora alle Epistole entomologiche; nel 1916 si impegna alla sceneggiatura di una pellicola sulla vita di San Francesco. Il 29 maggio, in procinto di partire per la riviera, trasmette all'amica Silvia Zanardini il testo dell'ultima poesia, il poemetto drammatico La culla vuota.

Vasta è la produzione in prosa: ha scritto infatti recensioni e moltissime fiabe; sua madre, dopo la morte del figlio, pubblicò una raccolta di fiabe dal titolo La principessa si sposa, in appendice alla quale apparvero alcune poesie inedite dedicate ai bambini con il titolo Le dolci rime, tra cui La notte santa, che descrive la nascita di “Gesù bambino”.

Il 16 luglio 1916 viene ricoverato all'ospedale di Genova in seguito ad una violenta emottisi. Muore il 9 agosto, mercoledì, al crepuscolo.
Aveva solo 32 anni.

Guido Gozzano è stato un poeta solitario, un'anima sofferente, e non solo per la patologia da cui era affetto e che sicuramente l'ha afflitto nel corpo e nello spirito, ma più di tutto perchè egli avrebbe desiderato vivere in modo diverso da quello che invece la sorte gli ha concesso; questo dissidio interiore ha inevitabilmente influenzato la sua esistenza, la sua cultura e la sua poetica.

Gozzano aveva una cultura filosofica molto vasta, formatasi sulle opere di Schopenhauer e di Nietzsche; conosceva molto bene i classici italiani e latini. 
Nelle proprie opere egli non si è limitato ad esprimere i propri dissidi interiori, ma ha dato spazio anche al pensiero di quei piaceri della vita quotidiana che la malattia gli precludeva; più precisamente, la consapevolezza del divario tra la vita vissuta e l'aspirazione al godimento amoroso è alla base della sua poetica; nella sfera sentimentale, il giovane Guido sogna l'amore di «attrici e principesse» (Totò Merùmeni) mentre vive, purtroppo, in solitudine.


Di questo poeta, il maggiore dei poeti crepuscolari, ricordavo solo "La signorina Felicita ovvero la Felicità", per averla letta e studiata ai tempi delle scuole superiori; in questo post ve ne lascio altre.


Nell'Abazia di San Giuliano


Buon Dio nel quale non credo, buon Dio che non esisti,
(non sono gli oggetti mai visti più cari di quelli che vedo?)

Io t’amo! Ché non c’è bisogno di creder in te per amarti
(e forse che credo nell’arti? E forse che credo nel sogno?)

Io t’amo, Purissima Fonte che non esisti, e t’anelo!5
(Esiste l’azzurro del cielo? Esiste il profilo del monte?)

M’accolga l’antica Abazia; è ricca di luci e di suoni.
Mi piacciono i frati; son buoni pel cuore in malinconia.

Son buoni. "Non credi? Che importa? Riposati un poco sui banchi.
Su, entra, su, varca la porta. Si accettano tutti gli stanchi."10

Vi seggo - la mente suasa - ma come potrebbe sedervi
un tale invitato dai servi e non dal padrone di casa.

- "Riposati, o anima sazia! Riposati, piega i ginocchi!
Chissà che il Signore ti tocchi, chissà che ti faccia la grazia."

- "Mi piace il Signore, mi garba il volto che gli avete fatto.15
Oh, il Nonno! Lo stesso ritratto! Portava pur egli la barba!"

"O Preti, ma è assurdo che dòmini sul tutto inumano ed amorfo
quell’essere antropomorfo che hanno creato gli uomini!"

- "E non ragionare! L’indagine è quella che offùscati il lume.
Inchìnati sopra il volume, ma senza voltarne le pagine,20

o anima senza conforti, e pensa che solo una fede
rivede la vita, rivede il volto dei poveri morti."

- "O Prete, l’amore è un istinto umano. Si spegne alle porte
del Tutto. L’amore e la morte son vani al tomista convinto."


Natale

La pecorina di gesso,
sulla collina in cartone,
chiede umilmente permesso
ai Magi in adorazione.

Splende come acquamarina
il lago, freddo e un po' tetro,
chiuso fra la borraccina,
verde illusione di vetro.

Lungi nel tempo, e vicino
nel sogno (pianto e mistero)
c'è accanto a Gesù Bambino,
un bue giallo, un ciuco nero.


Ad un'ignota

Tutto ignoro di te: nome, cognome,
l'occhio, il sorriso, la parola, il gesto;
e sapere non voglio, e non ho chiesto
il colore nemmen delle tue chiome.

Ma so che vivi nel silenzio; come
care ti sono le mie rime: questo
ti fa sorella nel mio sogno mesto,
o amica senza volto e senza nome.

Fuori del sogno fatto di rimpianto
forse non mai, non mai c'incontreremo,
forse non ti vedrò, non mi vedrai.

Ma più di quella che ci siede accanto
cara è l'amica che non mai vedremo;
supremo è il bene che non giunge mai!




Fonti consultate

https://www.900letterario.it/poesia/guido-gozzano-poeta-desolato/
https://www.math.unipd.it/~candiler/gozzano/poesie.html
https://www.treccani.it/enciclopedia/guido-gozzano/
https://www.italialibri.net/autori/gozzanog.html

giovedì 16 dicembre 2021

Recensione: IL FANTASMA DEL LETTORE PASSATO di Desy Icardi


Un racconto breve ma delizioso, con protagonista un uomo avanti negli anni che ha una grande passione: la lettura! I libri sono i suoi migliori, anzi, unici!, compagni di vita, quelli con cui trascorre tutto il tempo libero, ed essendo un avvocato da tempo in pensione, di ore da impiegare per  coltivare hobbies, ne ha eccome!
E' Natale, e quale migliore occasione per il nostro lettore che starsene rintanato in casa, a leggere, lontano dalla frenesia degli acquisti e delle cene natalizie?
Ma la magia di questo periodo dell'anno rischia di mandare all'aria i suoi solitari progetti.


IL FANTASMA DEL LETTORE PASSATO 
di Desy Icardi


Fazi Ed.
46 pp
L’avvocato Ferro vive a Torino nel 1959; il Natale è alle porte e l'uomo è alquanto nervoso; per carità, non è che odi questa festività, proprio per niente, bensì tutta la baraonda e l'euforia che l'accompagnano!

Passi pure l'agitazione nell'organizzare feste e cenette - con tutto lo spreco di soldi per le cibarie, come se stesse per venire di nuovo la guerra - con parenti ed amici, ma ciò che fa irritare moltissimo il pover'uomo è la calca di gente che si trova ovunque!
Gente ossessionata dall'idea di far compere, di scegliere i regali giusti, e tra questi - secondo molti - ci sono pure i libri.

Ferro è un lettore avidissimo ed esigente; acquista libri come il pane, è un divoratore di pagine DOC, e se c'è una cosa che lo rende super felice è recarsi dal suo libraio di fiducia, acquistare i libri che gli piacciono e poi andare a casa e, con la gioia simile a quella di un bimbo al cospetto del regalo da sempre desiderato, prendere il nuovo acquisto e tuffarsi nella lettura, alla  quale si dedica con un ardore e un entusiasmo fanciulleschi.

Ebbene, uno come lui che adora i libri, non sopporta l'idea che persone che per tutto l'anno non prendono neppure  un libro in mano, si ricordino di varcare la soglia di una libreria soltanto a Natale, per scegliere a caso un libro da regalare a un amico o a un famigliare, il quale molto probabilmente neanche gradirà un dono di questo tipo.

Insomma, nulla contro il Natale... ma che nervoso gli dà questa frenesia natalizia che mina la sua esistenza placida di bibliofilo solitario!

"nulla, a suo avviso, giovava più del libro giusto al momento giusto. Da qualche tempo a quella parte, tuttavia, il leggere era diventato un piacere ossessivo al quale si dedicava con ingorda cupidigia."

Ad ostacolarlo nei suoi piani di trascorrere il Natale leggendo, ci si mette la vicina di casa: Madame Peyran!
La signora è un tipo impiccione e chiacchierone, che però ha avuto la gentilezza di invitare alla cena della vigilia l'ottantottenne vicino; questi, orso com'è, vorrebbe poter evitare di accettare, ma per amore verso la cara nipote della signora (l'adolescente Adelina), non riesce a negare la propria presenza.
Certo che, però, madame poteva evitare di strappargli la promessa di rispettare un fioretto per Natale, vale a dire resistere alla tentazione di acquistare libri per una settimana (c'è promessa più dolorosa per un lettore?)!

Riuscirà Ferro a resistere all'impulso di acquistare libri su libri per qualche giorno?
Intanto, una copia speciale e rara di Canto di Natale finisce quasi per caso nelle sue mani e darà alle sue giornate pre-natalizie un tocco di mistero e magia...

Questo racconto di Desy Icardi è davvero gradevolissimo, con un protagonista che ricorda lo Scrooge di Dickens; magari l'avvocato è meno burbero, anche se ugualmente solitario e incline a brontolare per qualsiasi contrarietà.
I libri sono al centro di queste pagine e, soprattutto, al centro dell'esistenza dell'anziano lettore, che però ha fatto di essi una sorta di "idolo", inducendolo ad isolarsi, a pensare di poter fare a meno dei rapporti umani pur di stare con un libro in mano.
Ma anche un uomo come lui, poco amante delle feste e restio a stare in compagnia, ha bisogno di (ri)scoprire il caldo e piacevole spirito del Natale.

L'ebook è messo a disposizione gratis da Fazi Editore >>  CLICCAMI <<. 


"i libri meritevoli di esser letti erano decine di migliaia mentre lui era uno soltanto e, al contrario dei grandi capolavori letterari, non era neppure immortale. Insomma, il tempo che ciascuno aveva da trascorrere sulla terra era limitato, e quello per leggere era ancora più esiguo e pertanto infinitamente prezioso!"


martedì 14 dicembre 2021

Recensione: IL PRIMO FIORE DI ZAFFERANO di Laila Ibrahim



Lisbeth è una bambina bianca, figlia di una ricca famiglia della Virginia di metà Ottocento; Mattie, la sua balia, è nera e schiava. Tra le due nasce un rapporto di affetto molto profondo, che resisterà alle discriminazioni, al tempo, alla lontananza, alla sofferenza, alle conseguenze delle proprie scelte. Un legame che, con il passare degli anni, aiuterà Lisbeth a cambiare il proprio modo di pensare, diventando un'adulta consapevole del valore di ogni uomo e che nessuno nasce per essere schiavo di un altro.
Il primo fiore di zafferano è la storia di queste due donne che sfidano le convinzioni sbagliate del proprio tempo e lottano per la conquista della propria libertà e della dignità.




IL PRIMO FIORE DI ZAFFERANO
di Laila Ibrahim



Amazon Crossing
trad. R. Maresca
254 pp
"...tu avrai sempre il mio amore nel tuo cuore a guidarti. Sei intelligente e forte, e hai un cuore buono, Lisbeth.".

È il 1837 quando viene al mondo la piccola Elizabeth Wainwright; a farle da balia viene scelta la schiava di colore Mattie, che ha partorito da pochi mesi il proprio figlioletto Samuel.
La giovane è costretta, quindi, a separarsi dal figlio per prendersi cura della primogenita della ricca famiglia di cui è schiava; le si affeziona in fretta, nonostante la piccola le ricordi la lontananza forzata da Samuel, e col passare delle settimane, dei mesi, degli anni..., tra le due si instaura un rapporto di grande affetto e complicità, che permette alla bambina di crescere amata e coccolata, di ricevere quell’amore che i genitori non sono in grado di darle.

Il padre, infatti, Mr. Wainwright è un uomo gretto, insensibile e un convinto schiavista; sua moglie, Mrs. Ann, è una madre fredda e attenta solo alle convenzioni sociali. 

Non c'è posto in casa per carezze, abbracci, coccole, tenerezze di alcun tipo: se non fosse per la presenza rassicurante ed amorevole di Mattie, Lisbeth crescerebbe in una casa arida di amore e gesti affettuosi.
Ma grazie alla sua amata balia e agli altri schiavi, l'infanzia della piccola Lisbeth è piena di quelle premure e attenzioni di cui ogni bambino ha bisogno per crescere sereno e amato; inoltre, con la sua saggezza e dolcezza, Mattie imprime nell'animo della sua padroncina il vero valore delle cose e delle persone.
Il più grande insegnamento di Mattie è che l'amore non ha colore, non è limitato dai ceppi e dalla prigionia, è libero nonostante la malvagia e l'egoismo degli uomini.

I genitori non possono non notare che la loro bimba è fin troppo affezionata alla schiava e che passa molto tempo con lei e con suo figlio; Lisbeth, a sua volta, cerca di nascondere tutto l'amore che prova per Mattie - che è per lei più di una madre - per non causarle problemi; inoltre, crescendo, prova a creare un canale di comunicazione con la gelida madre, la quale però è unicamente concentrata sull'educazione della figlia, destinata a diventare una signorina educata, interessante, che sa stare in società, che rispetta l'etichetta e che, più di tutto, sviluppi tutti i requisiti per divenire una giovane debuttante ammirata e corteggiata.
Lo scopo è arrivare ad un buon matrimonio con un ragazzo benestante, di ottima famiglia, con un'eredità allettante ad attenderlo, con una buona reputazione e con numerosi schiavi al seguito (più schiavi ha, più merita onore e considerazione).

A un certo punto, per una serie di circostanze drammatiche e difficili, Mattie deve prendere una decisione tanto complessa quanto pericolosa: fuggire dalla piantagione dei Wainwright, per mettere in salvo se stessa e la propria secondogenita e provare a ricongiungersi al marito, lontano da lei e che l'aspetta in un altro Stato, dove non vige lo stesso sistema schiavista presente in Virginia.

Mattie riesce a scappare e di lei Lisbeth non avrà notizie certe per anni; amareggiata, ferita, con la sensazione di essere stata abbandonata a se stessa dall'unica figura materna che l'abbia mai amata davvero e fatta sentire importante, la ragazza cresce cercando di adeguarsi alla realtà attorno a sè, senza mai però perdere di vista quei principi di rispetto per l'altro (schiavo compreso), che aveva appreso frequentando la sua Mattie.

Non è facile perché tutti, attorno a lei, hanno una visione del mondo, della vita, del matrimonio, dei rapporti con gli altri, completamente dominata dalle apparenze, dal rispetto per le etichette e le convenzioni del loro tempo; maschi e femmine devono adottare quei comportamenti da gentiluomini e gentildonne che ci si aspetta dai figli di persone importanti, altolocate; non sono ammesse condotte o parole sconvenienti che possono mettere a rischio la reputazione di una signorina in età da marito!
Lisbeth è preoccupata di deludere la madre, che ripone in lei tutte le speranze di un matrimonio vantaggioso, dal punto di vista economico e sociale.

La ragazza - che diventa una signorina molto bella, raffinata, intelligente - è corteggiata ed oggetto di interesse da parte di più di un giovanotto.
Il suo cuore la conduce verso il buon Matthew, bello ma soprattutto bravo, educato, umile, con cui parlare di argomenti stimolanti (ad es. di libri, visto che a Lisbeth piace leggere).
Matthew sembra rispecchiare il tipo di marito che, come diceva Mattie, una donna dovrebbe desiderare: "un brav’uomo ti rende la vita meno amara. Uno che ti abbraccia e ti ama, uno che condivide i suoi sogni con te, un uomo gentile e premuroso."

Ma i suoi genitori hanno già scelto il futuro marito per la figlia, e si aspettano che quest'ultima li assecondi e si arrenda ad un matrimonio conveniente; poco importa se quest'altro giovanotto è soltanto ricco e bello ma privo di valori: a contare è il patrimonio e la rispettabilità agli occhi della società.

Lisbeth si adeguerà alle regole del mondo in cui è cresciuta e al quale appartiene? O quell'anelito di libertà, che ha allontanato Mattie da lei, è presente anche nel suo cuore, tanto da spingerla ad andare controcorrente pur di essere padrona di se stessa e del proprio destino?

Questo romanzo - che copre un arco di tempo che va dal 1837 al 1859 -  è ambientato in un periodo in cui l'ingiustizia fa da padrone, in cui si ritiene normale - anzi, doveroso! - avere degli schiavi e considerarli oggetti di scarso valore, beni da possedere e di cui disporre a proprio piacimento, ignorando di proposito la verità secondo cui i neri sono esseri umani al pari dei bianchi, che soffrono, gioiscono, desiderano, odiano... esattamente come i bianchi, e al pari loro hanno dei diritti.

Nella mente di Lisbeth - grazie alla benefica e dolce presenza di Mattie durante l'infanzia - vengono gettati i semi di un modo di pensare più nobile di quello dei genitori, diverso da quello della società in cui vive, che non ha il minimo rispetto per le persone di colore. La giovane protagonista si ritroverà davanti a un bivio determinante, che costituirà uno spartiacque nella sua esistenza: scegliere se stessa, il proprio diritto di essere felice e di sposare un uomo che la rispetti e la ami, o assecondare il volere dei genitori, avere il loro consenso ma... a che prezzo?

Mattie è una donna forte, una roccia, una moglie devota, una madre pronta a sacrificarsi per i figli; ha una fede incrollabile in Dio, prega con fervore e si affida a Lui in ogni decisione che prende.

Inevitabilmente provoca molta rabbia leggere le ingiustizie, le umiliazioni, le percosse subite dagli schiavi, gli stupri nei confronti delle schiave (anche giovanissime) per mano dei loro abietti padroni, il cui pensiero è invaso da un'ideologia profondamente razzista, che è vergognosamente convinta che ci siano esseri umani inferiori, equiparabili ad oggetti, e quindi vendibili e acquistabili.

I momenti in cui la vita metterà sulla stessa strada, nuovamente, Lisbeth e Mattie, regalano tenerezza e commozione e per le due donne arriverà la loro personale primavera, fatta di una vita nuova e all'insegna della giustizia.

Un libro dalla prosa fluida, scorrevolissima, dal linguaggio semplice e dai dialoghi vivaci e abbondanti; bello il contesto storico di riferimento, convincenti le protagoniste e i personaggi attorno ad esse; leggerlo è stato davvero molto piacevole. Consigliato!!

domenica 12 dicembre 2021

Recensione: I RAGAZZI DELLA NICKEL di Colson Whitehead

 

Attraverso una storia dolorosa, fatta di discriminazione razziale, ingiustizie e violenze fisiche e psicologiche di ogni tipo, l'Autore - vincitore del Pulitzer nel 2020 con "La ferrovia sotterranea" - ha scritto un romanzo dal messaggio potente, che getta luce su un angolo drammatico e buio della storia americana del secolo scorso.


I RAGAZZI DELLA NICKEL 
di Colson Whitehead



Ed. Mondadori
trad. S. Pareschi
213 pp
Elwood Curtis è un ragazzino che vive nel quartiere nero di Frenchtown (Tallahassee, Florida); abbandonato dai genitori, a crescerlo è stata la nonna... ma non solo lei: importante per la formazione e del suo pensiero e della sua personalità è stato il pastore battista Martin Luther King, con i suoi insegnamenti, il suo esempio di cristiano impegnato nel movimento per i diritti civili.

Sono gli Anni Sessanta e tale movimento sta prendendo sempre più piede.

Il giovane protagonista è un bravo ragazzo: studia e lavora (per portare qualche spicciolo a casa), legge moltissimo e promette bene, infatti
viene anche scelto per frequentare le lezioni del college.
E' di sani principi, il buon Elwood, ha talento, è curioso, intelligente e coscienzioso; sogna un futuro in cui non ci saranno più le umilianti differenze e discriminazioni tra bianchi e neri, e in cui ogni uomo potrà essere libero ed essere rispettato per ciò che è e per il valore che ha in quanto essere umano.

"Dobbiamo credere nel profondo dell’anima che siamo qualcuno, che siamo importanti, che meritiamo rispetto, e ogni giorno dobbiamo percorrere le strade della nostra vita con questo senso di dignità e di importanza." (M.L.King)


Ma la vita non sempre è giusta con i buoni e il povero Elwood deve fare i conti ben presto con il peggio dell'umanità.
A causa di un errore giudiziario, frutto dei pregiudizi razziali del suo tempo, il ragazzo fa il suo ingresso nella Nickel Academy (la Dozier School for boys), un riformatorio gestito dallo stato della Florida in cui vengono ospitati ragazzini, alcuni semplicemente in quanto orfani, altri perchè hanno commesso dei reati; la mission dell'istituto è "raddrizzarli", rieducarli, così che tornino nella società come dei bravi cittadini.

Purtroppo, la rieducazione non è contemplata alla Nickel, i cui ragazzi vanno incontro ogni giorno a soprusi ed ingiustizie di vario genere e gravità.

Attraverso Elwood entriamo tra le mura di questa maledetta scuola e ne conosciamo l'anima nera, violenta, brutale: altro che rieducazione fisica, intellettuale e morale così che il piccolo delinquente possa diventare un uomo onesto! Nella Nickel Academy accadono cose irripetibili, è un vero e proprio labirinto degli orrori... e purtroppo il nostro giovane protagonista li conoscerà molto bene sulla propria pelle.

All'interno della scuola la vita è tutt'altro che semplice, già a partire, tra le altre cose, dagli evidenti pregiudizi verso le persone nere; ma le brutture non si fermano qui; oltre a ricevere pasti per nulla adeguati, i ragazzi devono stare attenti a ciò che dicono e fanno perché la minima azione o parola considerate scorrette e irrispettose, fanno sì che gli "educatori" - o chi per loro - rapiscano di notte il malcapitato dalla sua branda e lo portino nella cosiddetta "casa bianca" (ce ne sono due, ad esser precisi: una per bianchi e una per neri), una sorta di stanza delle punizioni, o meglio delle torture, dove i presunti indisciplinati subiscono percosse, cinghiate e altre sevizie, come minimo per una notte intera.

Si dicono cose orribili su ciò che il personale della Nickel commette verso gli sfortunati che vengono presi e pestati; e se chi ha la "fortuna" di uscirne vivo (capiterà anche al povero Elwood), sa che razza di esperienza sia e può raccontarlo (sì, ma a chi? Guai a far uscir fuori ciò che avviene tra quelle mura), i non pochi che invece ne escono morti, non potranno farlo.
E di ospiti spariti all'improvviso senza che nessuno ne sapesse nulla, ce ne sono eccome, purtroppo.

Elwood è indignato e sconvolto da questa realtà terribile.
E come potrebbe essere diverso per un tipo come lui, abituato - per quanto  possibile - a combattere l'ingiustizia, a non voltare la testa dall'altra parte perchè "per lui non intervenire significava compromettere la propria dignità."?
Per lui che è cresciuto a "pane e Dottor King", consumando, a furia di ascoltarlo a ripetizione, il disco che conteneva il discorso del predicatore al Zion Hill (1962), che si ribellava alle discriminazioni e alla violenza pur ricevendo solo silenzio o scherno, che era mosso da "fini imperativi morali" e da "finissime idee sulla capacità di miglioramento degli esseri umani. Sulla capacità del mondo di correggersi", è inaccettabile che in un riformatorio gestito dallo stato e in cui gli ospiti dovrebbero essere protetti e aiutati a divenire uomini migliori, avvenga l'esatto contrario e, a furia di ricevere botte e di subire i peggio soprusi, i ragazzi (chi sopravvive, ovviamente) rischino di uscire da lì peggio di quanto siano entrati.

"I ragazzi arrivavano alla Nickel già guastati in vari modi, e subivano altri danni mentre erano lì. Spesso li attendevano passi falsi più gravi e istituti più spietati. I ragazzi della Nickel erano fottuti prima, durante e dopo il periodo che trascorrevano alla scuola, se si voleva descriverne la traiettoria generale.
(...) Ecco cosa ti faceva la scuola. Non si fermava quando uscivi. Ti storceva in tutti i modi finché non eri più capace di rigare dritto, e quando te ne andavi eri ormai completamente deformato."

Elwood Curtis subisce, sì, ma accetterà anche di restare in silenzio? Non è forse più giusto che "là fuori" sappiano quali orrori sono costretti a subire dentro la Nickel? 

Lascio a voi la curiosità di scoprire quale sarà il destino del coraggioso protagonista, sempre consapevoli però che il ricordo di ciò che è stata l'esperienza in quella macabra scuola non abbandonerà mai chi è stato suo ospite:

"La Nickel lo avrebbe perseguitato fino all’ultimo istante – un vaso sanguigno che gli esplodeva nel cervello o il cuore che gli collassava nel petto – e poi anche oltre. Forse la Nickel era l’aldilà che lo attendeva, con una Casa Bianca in fondo alla discesa e un’eternità di porridge e l’infinita fratellanza di ragazzi rovinati."

Questo romanzo rientra tra quelli che si possono etichettare come "un pugno nello stomaco".
Già leggere di discriminazioni a causa del colore della pelle indigna, fa innervosire..., ma qui non c'è solo questo: c'è proprio il calpestare la dignità delle persone, di questi ragazzi che avrebbero avuto bisogno di aiuto, di punti di riferimento positivi, di adulti che insegnassero loro dei valori, un lavoro, che ne valorizzassero le capacità, che donassero loro una speranza per il futuro..., ed invece hanno trovato umiliazioni, percosse, sevizie, cinghiate..., morte.

E' una lettura che a me ha provocato un turbinio di emozioni, dalla rabbia all'indignazione, da un inevitabile senso di impotenza ad una profonda tristezza.
Ma perché?, ci si chiede. Cosa spinge alcune persone a provocare tanto dolore a degli innocenti? Sapere di avere tra le mani la vita, il corpo di un altro essere umano, e di poterne disporre a proprio piacimento, dona forse un eccitante senso di onnipotenza che induce poi a sfogare gli istinti più bassi, animali e criminali su chi non può difendersi?
 
Si resta sbigottiti e amareggiati nel conoscere certe realtà, perché se è vero che Elwood è un personaggio fittizio, non lo è la realtà di riferimento.

Sì, perchè il libro è ispirato alla storia della Dozier School for Boys (di proprietà dello stato della Florida, aperta dal gennaio 1900 a giugno 2011) e prende il via - come è detto nel prologo - dal ritrovamento, da parte di un gruppo di studenti di archeologia della University of South Florida,  di un cimitero segreto nel campus della scuola, che nascondeva le tombe di decine e decine di ospiti; non solo, ma furono rinvenute ossa umane di altri poveri ragazzi, del cui infame destino le famiglie non hanno mai saputo nulla.
La verità è emersa in tutta la sua crudeltà, benchè le voci di cosa accadesse nell'istituto non fossero recenti; a raccontare gli orrori che avevano luogo sono stati soprattutto i ragazzi che hanno "assaggiato" la ferocia della "casa bianca": essi hanno fondato l'associazione "White House Boys", con lo scopo di dar voce ai testimoni delle vergognose violenze e degli stupri subiti negli anni del riformatorio.

La scrittura di Whitehead è semplice, essenziale, chiara, e l'uso dei flashback mette il lettore in condizione di appassionarsi ancora di più alle vicende narrate, a farsene coinvolgere emotivamente; il finale è spiazzante.
E' una lettura che non lascia indifferenti e sono contenta di aver avuto modo di conoscere questo libro perchè non conoscevo la Dozier School e i suoi orrori; se anche voi non sapete nulla di questo tragico capitolo della storia americana, leggete il romanzo di Whitehead e, una volta giunti alla fine, credo che anche voi - come me - avrete voglia di saperne di più e di fare le vostre personali ricerche sull'argomento.

mercoledì 8 dicembre 2021

Recensione: LA PULIZIA ETNICA DELLA PALESTINA di Ilan Pappe



Il 1948 è stato per gli ebrei l'anno della vittoria, in cui finalmente si è realizzato il sogno sionista della fondazione dello Stato d'Israele, ma per qualcun altro esso è diventato l'anno in cui ha avuto luogo la Nakba (‘catastrofe’), ovvero la cacciata di circa 250.000 palestinesi dalla loro terra.
Pappe, ricercatore e storico israeliano, basandosi sulla documentazione esistente (compresi gli archivi militari israeliani desecretati nel 1988), giunge a una versione decisamente in contrasto con quella tramandata dalla storiografia ufficiale: già negli anni Trenta, la leadership sionista del futuro Stato d’Israele aveva ideato e programmato in modo sistematico un piano di pulizia etnica della Palestina. 
E se è vero - e lo è - che la pulizia etnica è un crimine contro l’umanità, allora ammettere che è questo che Israele ha fatto ai palestinesi, è forse il punto di partenza imprescindibile per avviare quel famigerato "processo di pace" che finora è rimasto confinato alle buone intenzioni senza mai essere concretizzato.  


LA PULIZIA ETNICA DELLA PALESTINA
di Ilan Pappe




Fazi Ed.
trad. L.Corbetta - A. Tradardi
364 pp
"In questo libro voglio esplorare sia il meccanismo della pulizia etnica del 1948, sia il sistema cognitivo che ha permesso al mondo di dimenticare e dato ai responsabili la possibilità di negare il crimine commesso dal movimento sionista contro il popolo palestinese nel 1948. In altre parole voglio sostenere la fondatezza del paradigma della pulizia etnica e utilizzare per sostituire il paradigma della guerra come base per la ricerca accademica e per il dibattito pubblico sul 1948."

Alla base di questo lavoro c'è la volontà di sostenere come nei confronti del popolo palestinese sia stato perpetrato un vero e proprio crimine di guerra e come l'espropriazione delle sue terre da parte di Israele nel 1948 sia stata da subito e da allora sistematicamente negata, non riconosciuta come un fatto storico.

La storiografia israeliana ha sempre narrato che in quell’anno, allo scadere del mandato britannico in Palestina, le Nazioni Unite avevano proposto di dividere la regione in due Stati: il movimento sionista era d’accordo, il mondo arabo no e, non solo entrò in guerra con Israele, ma convinse i palestinesi ad abbandonare i territori – nonostante gli appelli dei leader ebrei a rimanere – pur di facilitare l’ingresso delle truppe arabe. 
La Nakba, in pratica, non sarebbe direttamente imputabile a Israele. 

Ma è andata davvero così?
L'esodo in massa di migliaia di palestinesi che avevano deciso di abbandonare temporaneamente case e villaggi è stato davvero un «trasferimento volontario»?

Gli storici revisionisti hanno, al contrario, trovato conferma dei molti casi di espulsioni di massa da villaggi e città, e di come essi siano stati accompagnati da un gran numero di atrocità e massacri da parte delle forze ebraiche, che già prima del 15 maggio erano riuscite a espellere forzatamente circa 250.000 palestinesi.

"La politica sionista iniziò come rappresaglia contro gli attacchi palestinesi nel febbraio del 1947 e si trasformò in seguito in un'iniziativa di pulizia etnica dell'intero paese nel marzo del 1948. Presa la decisione, ci vollero sei mesi per portare a termine la missione. Quando questa fu compiuta, più di metà della popolazione palestinese originaria, quasi 800.000 persone, era stata sradicata, 531 villaggi erano stati distrutti e 11 quartieri urbani svuotati dei loro abitanti." 

L'Autore ripercorre la nascita del movimento sionista, emerso verso la fine del 1880 nell'Europa centrale e orientale come movimento di risveglio nazionale, e reso urgente dal fatto che gli ebrei che vivevano in quelle regioni avrebbero dovuto assimilarsi totalmente, pena il rischio di una continua persecuzione.

Perché il progetto sionista potesse realizzarsi, bisognava creare in Palestina "uno stato ebraico, sia come un rifugio sicuro per gli ebrei dalla persecuzione sia come una culla per un nuovo nazionalismo ebraico."
Ovviamente, questo Stato nascente non poteva che essere squisitamente ebraico, tanto nella sua struttura sociopolitica, quanto a livello etnico; del resto, l'obiettivo di dearabizzare la Palestina era uno dei pilastri fondamentali del pensiero sionista, sin dalla sua genesi e così come l'aveva pensato Theodor Herzl.

Poiché alla fine del mandato britannico, nel 1948, la comunità ebraica possedeva all'incirca il 5,8 per cento della terra in Palestina (quasi tutta la terra coltivata era di proprietà della popolazione nativa), era necessario ottenerne di più, per cui i primi coloni sionisti si impegnarono ad acquistare appezzamenti di terra così da entrare nel circuito del lavoro locale e creare reti sociali e comunitarie.

In che modo si poteva dar vita a un nuovo Stato? Con la forza dell'esercito, aspettando il momento giusto per poter trattare “militarmente” la realtà demografica del territorio, che era per lo più non ebraica.

Nel novembre del 1947 l'ONU aveva adottato la Risoluzione 181, che dava agli ebrei le terre più fertili, quasi tutti gli spazi rurali e urbani ebraici della Palestina ed includeva anche 400 (su oltre 1000) villaggi palestinesi entro i confini dello Stato ebraico.

La suddetta risoluzione non fu accolta bene dai palestinesi, le cui accese proteste - che ebbero luogo nei giorni successivi alla sua adozione - provocarono, come rappresaglia, una serie di attacchi da parte degli ebrei ai quartieri e ai villaggi.

Erano i primi giorni di dicembre del 1947 e la pulizia etnica della Palestina era iniziata.

Tutto era stato organizzato in modo preciso: "documenti israeliani rilasciati dagli archivi IDF alla fine degli anni Novanta indicano chiaramente che, contrariamente a quanto hanno affermato storici come Morris, il Piano Dalet fu inviato ai comandanti delle brigate non come generiche linee guida da eseguire, ma come precisi ordini operativi".
Ad es., venivano segnati in modo dettagliato la collocazione di ogni villaggio, le vie di accesso, il tipo di terreno, la presenza di sorgenti d'acqua, le principali fonti di reddito, la composizione sociopolitica, le affiliazioni religiose, l'età degli uomini e molti altri dettagli.

A metà febbraio '48 le truppe ebraiche in un sol giorno evacuarono cinque villaggi; con l'inizio (da marzo) del Piano Dalet. - che organizzava le missioni delle diverse strutture armate dell'Haganà *, e preparava l'offensiva con l'obiettivo di assumere il controllo delle zone dello Stato ebraico e difenderne le frontiere - numerosi furono i massacri, tra cui quello di Deir Yassin, un villaggio pastorale e amico che aveva sottoscritto un patto di non aggressione con l’Haganà a Gerusalemme, ma che fu condannato a essere distrutto; i soldati ebrei crivellarono le case con le mitragliatrici, uccisero molti abitanti (tra cui 30 neonati) e i sopravvissuti furono poi radunati in un posto e comunque ammazzati a sangue freddo, i loro corpi seviziati, e molte donne vennero violentate e poi uccise.

La strage di Deir Yassin è stata una sorta di avvertimento per tutti i palestinesi: se vi rifiutate di abbandonare le case e fuggire, questo è ciò che vi accadrà.

Anche il villaggio di Tantura ebbe un destino triste: tanta gente fu uccisa a sangue freddo sulla spiaggia e in particolare ci fu una sistematica esecuzione di palestinesi giovani e forti.

A Lydd ci fu una vera e propria orgia di uccisioni e saccheggi: 426 uomini, donne e bambini furono uccisi, 50.000 persone vennero costrette a mettersi in marcia verso la Cisgiordania; stessa cosa accadde alla popolazione di Ramla, costretta a marciare, senza cibo e acqua, sempre verso la Cisgiordania; tanti morirono di sete e di fame lungo la via.
Anche nel  villaggio di Sa’sa le truppe ebraiche perpetrarono un massacro in cui furono uccisi anche dei bambini; a Dawaymeh i soldati circondarono il villaggio su tre fianchi lasciando aperto il lato est perché  gli abitanti potessero andarsene in un'ora di tempo, e poiché non ci riuscirono, le truppe cominciarono a sparare alla cieca.

"...i soldati ebrei che presero parte al massacro riferirono scene raccapriccianti: neonati col cranio spaccato, donne violentate o bruciate vive dentro casa, uomini uccisi a coltellate".

Tanti, troppi sono stati i palestinesi brutalmente ammazzati e nessuno dei militari israeliani colpevoli fu mai processato per crimini di guerra, nonostante le prove; le fonti palestinesi, utilizzando sia gli archivi militari israeliani sia le storie orali, elencano almeno trentuno massacri certi.

Anche quando la pulizia etnica giunse al termine, le sofferenze non finirono: circa 8000 persone trascorsero il 1949 in campi di prigionia, altre subirono violenze  e vessazioni nelle città sotto il governo
militare imposto da Israele; le case continuarono ad essere saccheggiate, i campi confiscati e furono costantemente violati diritti fondamentali.

Nella Nakba furono distrutti campi, case, moschee... e un'intera comunità con tutte le sue peculiarità, la sua storia; la geografia umana della Palestina nel suo insieme fu costretta a subire mutamenti, ogni carattere arabo delle città fu cancellato grazie alla distruzione di grandi quartieri, e questo con lo scopo di spazzare via la storia e la cultura di un popolo per far posto a luoghi ebraici “antichi” o per soli ebrei.

Il punto nevralgico, sottolineato con forza da Pappe, è la responsabilità morale, giuridica, politica che Israele ha verso i palestinesi: parlare di pulizia etnica per indicare quello che Israele fece nel ’48, equivale ad accusare lo Stato d’Israele, nel linguaggio giuridico internazionale, di un crimine contro l’umanità. 

Come dicevo all'inizio, se per un popolo il 1948 è stato un anno di gioia e rinascita, per un altro (i palestinesi) esso è il cuore del problema, è la chiave per pensare ad una possibile e concreta soluzione del "conflitto"; da troppi anni, ormai, ai palestinesi non sono riconosciuti i loro diritti legali, in particolare il diritto al ritorno, tra l'altro garantito dalle Nazioni Unite.

Per gli israeliani, riconoscere che i palestinesi siano (state) vittime delle azioni di Israele è fonte di profondo turbamento in quanto questo getterebbe un'ombra sui fondamenti dello Stato stesso, e metterebbe in evidenza i problemi etici - con implicazioni annesse - legati  al riconoscimento di queste ingiustizie perpetrate ai danni dei nativi.

Ogni tentativo di risolvere la questione israelo-palestinese non potrà che fallire fino a quando non sarà correttamente identificata l’ideologia che tuttora guida la politica israeliana nei confronti dei palestinesi. 

"Il problema di Israele non è mai stato il giudaismo: il giudaismo presenta svariate facce e molte di queste forniscono una solida base per la pace e la coabitazione; il problema è la natura etnica del sionismo. Il sionismo non ha gli stessi margini di pluralismo che offre il giudaismo, meno che mai per i palestinesi."


Ritengo questo saggio davvero di grande interesse, ho apprezzato molto la ricca bibliografia alla fine di ogni capitolo che va a corroborare un'analisi dei fatti lucida e minuziosa; il linguaggio è chiaro e, a mio avviso, fruibile ai più (per lo meno a quanti abbiano un minimo di dimestichezza con i libri che trattano argomenti di carattere storico-politico); spiega davvero bene quel che è accaduto nei mesi che hanno preceduto e che son seguiti alla nascita dello Stato d'Israele, il ruolo di Ben Gurion, l'indifferenza degli inglesi davanti alle atrocità commesse ecc..., e di certo stimola il lettore ad interessarsi alla questione in maniera più approfondita e mettendo da parte preconcetti o convinzioni errate/imprecise/parziali.
Leggere cosa hanno dovuto affrontare e subire tanti innocenti, di quante vite siano state selvaggiamente spezzate e sconvolte, di come questo martirio non sia ancora terminato per i palestinesi, se da una parte è stato duro e difficile, dall'altra è stato necessario.

Leggetelo.



* Principale organizzazione militare sionista in Palestina durante il mandato britannico.

domenica 5 dicembre 2021

Recensione: IL KILLER DEL LOTO di Marco De Fazi



A Minneapolis viene rinvenuta una testa umana, recisa di netto, nei pressi del fiume; nella bocca della povera vittima c'è un fiore di loto e alla base del collo il numero quattro tatuato.
Cosa vogliono dire questi indizi? C'è un pericoloso serial killer a cui dare la caccia e il detective Clay Stone si mette subito sulle sue tracce, rendendosi presto conto di essere entrato in un macabro meccanismo ad orologeria che dovrà superare per riuscire a stanare il killer del loto.



IL KILLER DEL LOTO
di Marco De Fazi



Porto Seguro Ed.
246 pp
Il giovane detective Clay Stone viene chiamato a indagare sull'identità del cadavere che giace presso il fiume, assieme a Thomas Rabbit, un giovane esperto forense della Polizia Scientifica: a chi appartiene il cadavere mutilato e, soprattutto, di chi è la mano assassina?

A metter fretta alla polizia affinché trovi al più presto il colpevole, è il ritrovamento, il giorno seguente, di una seconda testa, sempre con un fiore di loto inserito in bocca e un tatuaggio con il numero tre sul collo.

Forse il fiore di loto è una sorta di macabra "firma" con cui l'omicida desidera essere identificato? 
E i tatuaggi (in numero decrescente) cosa possono voler dire? Il killer ha dato probabilmente il via ad un terribile e sanguinoso countdown?
Se così fosse, è presumibile che a breve ci saranno (almeno) altri due cadaveri!
Per averne conferma, Clay sa di dover indagare sulle vite delle vittime, così da capire cosa le legava, perché l'assassino ha scelto proprio loro e perché le ha uccise in quella maniera.
Una cosa è certa: non sono di fronte ad omicidi commessi in un impeto di rabbia, tutt'altro: ogni particolare è stato ponderato, non c'è improvvisazione e sulla scena del crimine non è stata riscontrata la minima traccia dell'assassino, il quale è evidentemente molto preparato ed organizzato, minuzioso nell'organizzazione di tutto ciò che anticipa e segue gli omicidi.

Determinato a risolvere il complicato caso, Clay scopre che in effetti le vittime - cui si aggiunge, purtroppo, la terza - hanno una cosa in comune, accaduta nella notte di Natale del 1983, che le ha viste  coinvolte (assieme ad una quarta persona, che rischia anch'essa di finire nelle mani del killer del loto) in quanto tutte presenti in una specifica situazione, che ha stravolto la vita di un uomo e della sua famiglia.

E se le morti di oggi fossero collegate a ciò che accadde in passato, nel corso di quella sventurata notte?

Clay riesce ad arrivare finanche al nome del possibile assassino, ma ciò che non riesce a mettere totalmente a fuoco è la risposta ad una fondamentale domanda: dopo più di venti anni, come ha fatto il killer del loto a far sì che i quattro uomini (ciascuno con la propria vita, il proprio lavoro, la famiglia, gli impegni...), i quali non sono da moltissimi anni in contatto e vivono anche in differenti città, potessero ritrovarsi tutti a Minneapolis a distanza di pochi giorni?

Il dubbio si insinua nella mente del detective: e se ci fosse un informatore, una talpa all'interno del suo distretto? Ma chi potrebbe mai essere in combutta con un criminale?
Certo non Rabbit, amico e collega impeccabile ed intelligente, il cui contributo all'indagine è preziosa; forse quella mezza matta di Dana, una poliziotta dalla testa calda e dal grilletto facile? Dopotutto, tutti sanno in polizia che ha perso non poca lucidità da quando le è accaduta una disgrazia famigliare da cui non si è più ripresa!

Come se non bastasse, a mettergli pressione si aggiungono le preoccupanti minacce da parte dell'assassino nei confronti dello stesso detective e della compagna, Amanda.

Ma Clay Stone non si fa scoraggiare, è intenzionato ad andare fino in fondo e solo ponendo la giusta attenzione a tanti dettagli e facendosi le opportune domande, potrà avvicinarsi sempre più alla soluzione del caso.

Il detective Stone è un protagonista che attira da subito le simpatie del lettore perché è giovane, intelligente, sveglio, determinato e scrupoloso; il lettore non ha da arrovellarsi il cervello nella scoperta dell'identità dell'assassino (facilmente ipotizzabile abbastanza presto rispetto allo sviluppo della storia), né sulla ragione dei delitti né sul perché della scelta delle vittime, ma ciò che su cui si sofferma l'attenzione è altro, come ad es. la presenza di una possibile talpa in polizia o su come è nato e formato nella mente dell'assassino il suo piano criminale, progettato con meticolosità e tanta pazienza.

A tal proposito, l'Autore ha scelto di "dividere" la narrazione in due parti, una in cui seguiamo lo svolgersi delle indagini guidate da Clay Stone, e l'altra in cui, appunto, entriamo nella vita e nelle scelte dell'assassino.

Grazie al linguaggio immediato, al ritmo spedito e all'abbondanza di dialoghi, il thriller di Marco De Fazi risulta un'interessante e piacevole lettura. 
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