martedì 3 giugno 2025

Recensione || LIBERTÀ A CARO PREZZO. Gioacchino Gesmundo e le Fosse Ardeatine, di Giovanni Capurso




Il presente saggio storico-biografico di Giovanni Capurso ruota attorno alla vita del partigiano terlizzese Gioacchino Gesmundo, collocandola all'interno di una delle pagine più dolorose della Resistenza e della storia italiana: l’eccidio delle Fosse Ardeatine.


LIBERTÀ A CARO PREZZO. 
Gioacchino Gesmundo e le Fosse Ardeatine
di Giovanni Capurso


Edizioni Radici Future
126 pp
16 euro
"...con la fermezza degli Eroi affrontò la morte alle Fosse Ardeatine tramandando ai posteri fulgida prova di fede nella dura lotta per la conquista della libertà."

Gioacchino Gesmundo è sicuramente una delle figure più importanti della Resistenza romana, un uomo che si oppose convintamente e fieramente al fascismo e che pagò il prezzo delle proprie idee e dei propri valori antifascisti.

La storia di Gesmundo parte da un paese del Sud italia, nel barese, inserendosi a  cavallo tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del nuovo secolo.

La sua è una famiglia di umili origini, di gente abituata a lavorare la terra con fatica e scarsi guadagni, a servizio di proprietari terrieri per nulla intenzionati ad andare incontro alle esigenze delle persone che lavoravano per loro.


Venuto al mondo nel 1908, rimase orfano molto presto di entrambi i genitori, venendo cresciuto da fratelli e sorelle maggiori, a loro volta supportati da vicini generosi.

L'autore usa un registro linguistico accurato ma allo stesso tempo chiaro e semplice, di immediata fruibilità e quindi scorrevole, nel condividere le notizie biografiche salienti riguardanti Gesmundo, partendo dalla sua infanzia e inserendole nella cornice storica, socio-economica e politica del periodo di riferimento, vale a dire gli anni che precedono l'ascesa del fascismo.

Abbiamo modo di farci un'idea della personalità e del carattere di Gioacchino: taciturno, schivo e con un animo gentile, frequenta con profitto il Regio Magistrale e quelli sono gli anni in cui va maturando una coscienza morale e politica che comincia a prendere forma grazie a insegnanti per lui fondamentali e fonte di ispirazione; leggiamo di come, sin da adolescente, abbia sentito una forte passione per l’umanità che soffriva a causa di un regime oppressivo, colpevole di soffocare le libertà individuali e di  impedire, di conseguenza, ogni possibilità di giustizia sociale.

Negli anni universitari emergono le sue già forti "inclinazioni socialiste, vissute sulla pelle attraverso le vicissitudini familiari e che si stavano rafforzando da un punto di vista filosofico."


Apprendiamo del suo lavoro come insegnante di Storia e filosofia, professione che lo vide sinceramente interessato ai propri studenti, lontano dall'essere un docente freddo che svolgeva il proprio lavoro in modo meccanico o per pura formalità burocratica, ma al contrario - come testimoniavano i suoi stessi studenti - intenzionato a calare ogni conoscenza, insegnata ed appresa, nel contesto delle vicende reali, per insegnare ai propri ragazzi  "... quello che era indispensabile fare per costruire un domani diverso per noi stessi e per gli altri".

Un uomo con una mente così vivace e riflessiva e con un animo sensibile all'essere umano e al rispetto per i suoi diritti fondamentali, non può - negli anni che precedono e che poi portano alla seconda guerra mondiale - non prendere apertamente posizione contro il fascismo, fino ad aderire al partito Comunista nel 1943, convinto che i comunisti dovessero essere "la guida, l’avanguardia organizzata dei lavoratori" e cavalcare l'onda del malcontento delle folle nei confronti del fascismo (la cui politica oscurantista aveva impedito al singolo individuo di ragionare col proprio cervello), guidandole verso la libertà ("nell’emancipazione il popolo è arbitro del proprio destino ") e infondendo loro la fiducia in un avvenire migliore.

Con l’occupazione nazista di Roma, Gioacchino si unì alla Resistenza, ospitando nella propria casa
Gesmundo e don Pietro Pappagallo
(Wikipedia)
  prima la redazione clandestina de “L’Unità” e poi l’arsenale dei GAP romani; il suo appartamento divenne il luogo dell’organizzazione della lotta armata, fu capo locale del controspionaggio e teneva corsi di formazione ideologica per i suoi compagni di lotta.
Attività, questa, che ovviamente lo rese nemico del fascismo, e che portò al suo arresto (e con lui altri compagni, tra cui il sacerdote terlizzese don Pietro Pappagallo), il 29 gennaio 1944.

Attraverso diverse testimonianze, l'autore ricostruisce gli ultimi drammatici giorni della terribile e disumana prigionia, fino al triste racconto di ciò che accadde alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, quando 335 persone furono uccise dalle truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per l'attentato partigiano di via Rasella.

Il professor Capurso ha attinto a fonti bibliografiche utili per ricostruire ed esporre tanto la vita e gli eventi personali che riguardano il personaggio centrale del libro, quanto il contesto storico in cui Gesmundo è vissuto e ha operato; ne emerge un ritratto profondamente umano, profondo, che guida il lettore verso una maggiore e più approfondita conoscenza di quest'uomo del Meridione proveniente da una famiglia umile ma che intraprese un percorso di formazione culturale, intellettuale e politica tale da renderlo promotore attivo nell'ambito delle dinamiche della Resistenza, fino al sacrificio della propria vita.

Un testo molto interessante, che si lascia leggere a prezzare per la chiarezza di linguaggio e per il soggetto affrontato.

L'autore.
Giovanni Capurso è saggista e storico meridionalista; tra le sue pubblicazioni ricordiamo "La ghianda e la spiga. Giuseppe di Vagno e le origini del fascismo", "La passione e le idee. La Puglia antifascista da Giuseppe di Vagno a Giacomo Matteotti". È stato co-curatore del volume storiografico "La fatica dello Storico. Antonio Lucarelli. Carteggi: 1902-1952". Collabora con fondazioni e istituti di ricerca storica.

sabato 31 maggio 2025

MAGGIO 2025 - tra libri e sensei

 

Ecco le mie letture di maggio.
Non ho letto quanto avrei desiderato perché le cose da fare durante il giorno sono davvero molte, e la lettura spesso me la lascio soprattutto per la sera (tanto comunque in tv non c'è nulla di interessante), però l'importante è leggere, no? ^_-





  1. L'ANNIVERSARIO di A. Bajani: narrativa contemporanea italiana - quando allontanarsi dalla famiglia d'origine diventa l'unico modo per salvarsi da meccanismi insani e violenti (4/5). SE HAI VOGLIA DI UNA LETTURA BREVE INCENTRATA SUI RAPPORTI FAMIGLIARI.
  2. L'ORFANOTROFIO SUL LAGO di D. G. Miller: thriller - molte ragazze spariscono da una casa famiglia. Investigatrice coreana indaga (3.5/5). TRAMA DEBOLE, POCO AVVINCENTE NEL COMPLESSO; SI RISOLLEVA NELLE BATTUTE FINALI.
  3. LA LEVATRICE DI NAGYRÉV di S. Zuccato: giallo storico - cosa lega la misteriosa e affascinante figura di una levatrice a una serie di strane morti che si susseguono nell'arco di una decina d'anni in un villaggio ungherese nei primi decenni del Novecento? (5/5). ROMANZO STORICO ISPIRATO A FATTI E PERSONAGGI REALI. BELLO BELLO.
  4. UN INCANTEVOLE APRILE di E. von Arnim - narrativa femminile - quattro donne infelici passano insieme un mese di vacanza in Italia e la loro vita verrà inaspettatamente stravolta. SE DESIDERI UNA LETTURA PROFUMATA COME I FIORI IN PRIMAVERA E CAREZZEVOLE COME IL SOLE D'APRILE SULLA PELLE.
  5. SABBIE DI PERSIA di E. Faye - narrativa storica - romanzo storico basato sulla storia della regina Esther narrata nelle Sacre Scritture (2.5/5). Elementi biblici si fondono e confondono con altri inventati dall'autrice. Pessima traduzione (forse frutto dell'IA?). Potrei pure  consigliarlo se fosse tradotto bene.


READING CHALLENGE

Per la sfida letteraria, nel mese di maggio gli obiettivi erano i seguenti:

- ROMANZO DISTOPICO
- LIBRO LA CUI STORIA ABBIA A CHE FARE CON L'ARTE
- LIBRO PER BAMBINI/RAGAZZI
- "DIECI FIGLI CHE LA SIGNORA MING NON HA MAI AVUTO" (E.E. Schmitt)

Io ho scelto un obiettivo del mese di FEBBRAIO >>  UN LIBRO CON PROTAGONISTA UN BAMBINO/ADOLESCENTE << 
6. IL GIOCATTOLAIO di S. Pastor: thriller ambientato in un Quartiere dove i bambini sono lasciati a loro stessi e gli adulti, quando non sono "semplicemente" distratti, possono essere pericolosi... (3,5/5). PRIMA PARTE LENTA, POI LE VICENDE SI FANNO VIA VIA PIÙ DINAMICHE.


SERIE TV

Ho finito COBRA KAI e posso dire di aver terminato le sei stagioni davvero in poco tempo perché la voglia di vedere due-tre puntate l'una di seguito all'altra era molta.

Ok, quanto di voi non sono così giovani da non conoscere Karate Kid?
Avete presente Ralph Macchio, Johnny Lawrence, il maestro Miyagi..., "dai la cera, togli la cera"?

No??
Beh, io sì, la mia infanzia è stata scandita da alcuni film che poi sono diventati dei cult, dei classici degli anni Ottanta che non tramontano più: Ritorno al futuro, Rocky, Karate Kid, appunto, e solo per citarne alcuni.

Cobra Kai
è una serie composta da sei stagioni, realizzata tra il 2018 e il 2025 ed è il sequel della serie cinematografica The Karate Kid.

Siamo ad oltre trent'anni dopo gli eventi narrati nei primi tre film (il quarto Karate Kid è del 1994 e il protagonista è un altro, anzi un'altra) e la situazione è questa: mentre Daniel LaRusso (Ralph Macchio) si è fatto strada come imprenditore, aprendo una concessionaria di automobili, il suo famoso rivale del 1984, Johnny Lawrence (William Zabka) è uno sfigato, un cinquantenne fallito, con una relazione importante ma fallimentare alle spalle, un figlio teeenager (Robby Keene) che non vede mai e che lo detesta, e una vita allo sbando, in cui lui cerca di tirare avanti giorno per giorno facendo lavoretti vari e passando le giornate da solo a commiserarsi.

Le glorie vissute nel dojo più aggressivo di All-Valley negli anni Ottanta, il Cobra Kai guidato dal sensei che in pratica egli vedeva come un padre, John Kreese (Martin Kove), sono un lontano ricordo e quella sconfitta in finale, a causa di Daniel, brucia ancora.

Ma qualcosa comincia a cambiare anche per uno come lui, che ha fatto della birra la sua amica più fedele.

Una sera aiuta un adolescente di origini latine, Miguel Diaz (Xolo Maridueña), a non soccombere a un gruppetto di bulli, i quali vengono scacciati da Johnny con quattro mosse di karate; Miguel gli chiede di aiutarlo ad imparare a difendersi e, dopo le reticenze iniziali, Lawrence accetta, motivato dalla presenza di questo allievo che, chissà!, potrebbe essere il primo di tanti altri.

Le cose cominciano subito a complicarsi.
Per farla breve: Daniel accoglie, come dipendente nella concessionaria, il giovane Robby, ma lo fa non sapendo che è figlio di Johnny (e che questi si avvicina ai LaRusso per fare un dispetto al padre, avendo saputo che questi odia Daniel); Samantha, la primogenita di Daniel, si invaghisce di Miguel e i due si mettono insieme.
Quando LaRusso viene a sapere che Johnny ha in programma di riaprire il Cobra Kai, comincia a preoccuparsi: lui sa per esperienza cosa significhi finire nelle mani dei ragazzi che imparano il karate in quel dojo, ne conosce la violenza, la terribile legge del pugno che porta avanti ("Strike first, strike hard, no mercy!") e si proporrà, come missione, di impedirne l'apertura o comunqu di farlo chiudere se apre.

Ecco,  questa "lotta" tra i due eterni rivali scandirà il loro rapporto per moooooooooolte puntate, ma porterà Daniel a non limitarsi a mettere i bastoni tra le ruote a Johnny, bensì anche a convincersi della necessità di aprire pure lui il proprio dojo, chiaramente all'insegna dei nobilissimi valori imparati ai piedi del caro e compianto signor Miyagi, il quale gli ha insegnato che il karate non è mai per attaccare per primi ma sempre per difesa, oltre a puntare sul rispetto, sulla compassione, insomma su valori opposti a quelli del Cobra Kai.

I due dojo verranno aperti e ciascuno comincerà ad attirare ragazzi, ognuno rapito dalla "filosofia" dell'uno o dell'altro.
Gli allievi più in vista saranno, oltre ai già citati Miguel, Robby e Sam, i loro amici "Falco", Demetri, Tory Nichols, e tra questi (ed altri allievi che man mano si aggiungeranno) si instaureranno dinamiche tipiche del mondo adolescenziale: innamoramenti, tradimenti, bullismo (anche abbastanza pesante), amicizie e alleanze che nascono, poi si sfasciano e poi si riallacciano, in un continuo andare e venire, odiarsi e amarsi, avvicinarsi e allontanarsi che inevitabilmente coinvolgerà i due sensei e i loro dojo.

Non intendo riassumervi sei stagioni, tranquilli, vi dico solo che io ho trovato la serie fighissima, mi sono piaciute tante cose e, credetemi, l'ho iniziata titubante, quasi convinta che l'avrei abbandonata alla prima puntata, e invece...!

Ho amato il personaggio di Johnny: parte come un fallito, incapace di fare qualcosa di buono, oggetto del disprezzo da parte di tutti, ma poi trova in sé stesso la ferma volontà di cambiare il proprio destino: riaprire il Cobra Kai è una sfida personale, è il suo sogno da sempre e incontrerà molte difficoltà per poterlo tenere aperto, ma con le motivazioni giuste, e soprattutto le persone accanto giuste, saprà superare le proprie insicurezze, i momenti di disistima e di scoraggiamento.
A lui si devono i momenti più divertenti e umoristici, che mi hanno fatto davvero ridere.
Ho apprezzato la sua evoluzione umana: cresciuto con Kreese - nessuna pietà, combatti forte, non avere compassione dell'avversario, spezzagli il braccio e la gamba se serve a vincere... -, ne vuol riportare in auge i metodi (dis)educativi, ma avrà modo di modificare i propri schemi mentali e, grazie in particolare al confronto con Daniel LaRusso, saprà aprirsi alla filosofia, più umana ed empatica, del dojo Miyagi, con cui infatti nasceranno collaborazioni, ora conflittuali ora ricche di crescita.

Ho amato tutti i flashback che mi riportavano ai film, e non solo al primo ma anche agli altri due, e questo grazie all'aggiunta, nel corso delle stagioni, di altri personaggi che sbucheranno proprio dal passato e che renderanno le vicende più frizzanti e imprevedibili (uno su tutti: il pericoloso, e un filino sociopoatico, sensei Terry Silver).
Mi hanno fatta sorridere molto anche i riferimenti a Rocky, e il rapporto tra lo Stallone e l'amico-rivale Apollo Creed rivivrà in qualche modo in quello tra Daniel e Johnny, che se ne diranno e faranno di ogni, ma essendo due uomini intelligenti, sinceramente appassionati di karate e interessati ai loro ragazzi, sapranno all'occorrenza vincere ogni personale rivalità, la quale dopotutto affonda le radici in un passato ormai abbastanza lontano.

Mi sono piaciute le tematiche giovanili, nonostante a volte gli episodi di bullismo fossero esagerati, esasperati e spesso sfociavano in condotte quasi criminali; c'è da dire che anche i ragazzi (i personaggi principali), al momento giusto e dopo essere maturati e aver riflettuto, hanno saputo regolare il proprio comportamento e direzionare in modo progressivamente più sano, emozioni, obiettivi e la voglia di combattere e vincere, dentro e fuori il tatami.

Ci sono molti colpi di scena, spesso le puntate terminavano in modo da incuriosirmi e lasciarmi con la voglia di conoscere ogni futuro sviluppo di tutte le dinamiche e le interazioni che si creavano di volta in volta.

Seguivo i combattimenti con lo stesso coinvolgimento di quando vedevo Rocky menar pugni di qua e di là, il che è tutto dire *___*

Beh, che dirvi ancora?
È una serie fatta bene, mescola comedy e drama, avventura e temi adolescenziali, il tutto con un risultato assolutamente positivo.

Non volevo arrivare all'ultima puntata perché già sapevo che mi sarebbero mancati... 

Io la consiglio!!

martedì 27 maggio 2025

Recensione || L'ANNIVERSARIO di Andrea Bajani

 

Il ritratto lucido e pacato, ma allo stesso tempo intenso e struggente, di una famiglia in balìa di un marito/padre padrone, che tiene sotto scacco la moglie - completamente succuba - e tenta di tenere terrorizzati e annichiliti i figli.

E per salvarsi e spezzare certi ingranaggi soffocanti, a volte non resta che allontanarsi da legami famigliari poco sani. 

L'ANNIVERSARIO
di Andrea Bajani


Feltrinelli
128 pp
Nessuno di noi sceglie i genitori o i fratelli con cui cresce.
La famiglia in cui nasciamo, buona o cattiva che sia, è parte di noi e noi siamo parte di essa, e il tipo di legami che instauriamo al suo interno, in qualche modo ci segnano, probabilmente per sempre e irrimediabilmente.

In questo romanzo l'autore racconta, attraverso la voce del protagonista e voce narrante (il figlio), com'è nascere e crescere all'interno di una famiglia in cui il perno e il motore di tutto è sempre stato il padre: un uomo che incarna il patriarcato nel suo significato più puro (sistema famigliare, sociale e culturale in cui l’autorità detenuta dal maschio, mentre le donne e altre identità di genere restano subordinate).

Il figlio, scopriamo da subito, ha scelto di allontanarsi dai genitori, anzi, a voler essere precisi, dieci anni prima ha deciso proprio di abbandonarli, di chiudersi definitivamente alle spalle la porta della loro casa e di non andare più a trovarli.

Le ragioni di una decisione tanto drastica che, a primo impatto, forse si potrebbe essere tentati di giudicare esagerata e poco compassionevole, ci scorrono davanti agli occhi di capitolo in capitolo, nel corso della narrazione.

Con una disarmante consapevolezza e onestà, il figlio ci racconta del rapporto con suo padre, con sua madre e, solo accennando, con la sorella maggiore, anche se questa rimarrà comunque marginale rispetto al cuore della narrazione, non perché sia poco importante ma perché ella - ben prima del fratello, e con maggiore presa di coscienza e caparbietà - aveva fatto la propria scelta in merito al  proseguimento o meno dei rapporti col padre in età adulta.
Il figlio ci racconta com'era vivere con un padre che si aspettava dai figli ubbidienza assoluta, che aveva da ridire su tutto e che non lasciava molto margine di libertà ai ragazzi.

Ma è sulla madre che si sofferma, in particolare: completamente sottomessa al marito, questa donna - che pure aveva frequentato le superiori ed era una persona che poteva legittimamente avere e perseguire sogni e aspirazioni - ha rinunciato a tutto pur di restare al fianco dell'uomo che s'è scelta, e ha continuato a farlo nonostante le umiliazioni, la violenza psicologica, emotiva e - seppur non di frequente - fisica.
La violenza del marito verso la moglie (inevitabilmente si estendeva anche ai figli) era sottile, poteva non palesarsi in lividi evidenti sul volto o sul corpo, ma era comunque una realtà costante all'interno delle mura di casa, qualcosa di palpabile, che creava una continua cappa di ansia, di paura al pensiero delle reazioni brusche ed aggressive o sarcastiche e taglienti del padre/marito, il cui comportamento autoritario e duro faceva trattenere il fiato e lasciava sempre tutti in uno stato di tensione.

Dall'esterno forse gli altri non si accorgevano di nulla.
Ma quali altri? 
La madre di lui era l'unica parente a frequentare un po' la loro casa ed era mal tollerata addirittura dal figlio stesso.

Amici dei figli? Non pervenuti.

Amiche della madre? Quelle poche figure femminili con cui la moglie/madre ha provato, nel tempo, a rapportarsi - con la speranza di creare un legame amicale su cui contare e da cui trarre conforto, confidenze, consigli - erano ovviamente mal viste da lui, che riteneva avessero influenze negative sulla moglie (non sia mai che le attaccassero una bizzarra e folle voglia di indipendenza ed emancipazione!).

Durante l'ascolto dell'audiolibro, ho provato diverse emozioni: indignazione e rabbia verso il marito/padre, verso la sua prepotenza, la sua arrogante sicurezza di poter tenere moglie e figli dentro un regime in cui egli era il capo assoluto e indiscusso, che mai lo vedeva mettersi in discussione, chiedere mai scusa, fare un passo indietro.

Ho provato tristezza - e un filino anche di irritazione - per la moglie/madre, per il suo essere ai piedi di questo marito che la considerava una nullità e che voleva che lei fosse (e continuasse ad essere) niente per sentirsi  qualcosa, e lei accettava di essere niente per essere qualcosa agli occhi di lui.

Nei raccontare di sua madre, il figlio tenta di ricordarla come individuo singolo, dotato di una propria personalità, slegata dal rapporto col marito e dal ruolo di subordinata in cui era risucchiata ma, in realtà, si rende conto che fa fatica a "scorporarla" da suo padre, come se ella fosse sempre esistita ed esistesse solo e unicamente in funzione di lui, come moglie prima ancora che come donna, come persona.
Il figlio, nel riaprire il bagaglio dei propri ricordi famigliari, prova a cercare dei frangenti di quotidianità, delle situazioni in cui sua madre possa essere stata altro dal capofamiglia, in cui abbia dimostrato di non essere totalmente in balìa della sua tirannia, del suo dominio... ma è una ricerca drammaticamente difficile e frustrante perché era il padre, in casa, a stabilire i ruoli e alla madre/moglie era stato dato quello dell'ombra, dell'invisibilità.

Il marito/padre aveva bisogno di tenere la famiglia sottomessa (e lo faceva con una logorante violenza sottile e pervasiva che generava timore) per sentirsi amato.

In un contesto famigliare così, è strano immaginare che un figlio, una volta cresciuto, desideri liberarsi di questa eredità patriarcale brutale, di legami così opprimenti e disgraziati, da un tipo di amore malato, in cui possesso e richiesta d’amore erano i lacci di un unico nodo?

Malinconia, risentimento, rabbia, dolore, ansia...: sono alcune degli stati emotivi che connotano il racconto di questo microcosmo, di questo "sistema" in cui ogni componente rischia di essere complice, se non ne esce, se non si ribella.

Ma vi è anche un desiderio insopprimibile di rinascita, di affermazione di sé stessi e del diritto vivere la propria vita, di aprirsi agli altri senza il terrore delle ritorsioni e dei ricatti morali. 

Qual è l'anniversario, se non da festeggiare, almeno da ricordare, con parenti del genere?
Forse una liberazione da un retaggio famigliare totalitarista che, a ben guardare, riguarda tante persone e tante famiglie ancora oggi?


Il romanzo ha un ritmo fluido e naturale e l'ascolto (letto da Luigi Lo Cascio) è stato gradevole; non avevo mai letto (ascoltato) nulla di Bajani ma conto di leggerlo ancora perché ho apprezzato il modo in cui ha raccontato questi rapporti famigliari all'interno di un contesto non  sano (e neanche così insolito o inverosimile, purtroppo) in modo appassionante ed emotivamente coinvolgente, pur mantenendo una scrittura asciutta, semplice e chiara.

giovedì 22 maggio 2025

** Recensione ** IL GIOCATTOLAIO di Stefano Pastor


Crescere in un quartiere degradato, con scarse possibilità di progresso e che offre decisamente ancor più scarse opportunità di migliorare la propria vita, è già dura, ma se a questo si aggiunge l'appartenenza a una famiglia disagiata e disfunzionale sotto diversi aspetti, la situazione non può che essere drammatica.
E questa è la triste condizione in cui vivono i giovanissimi protagonisti di questo romanzo, i quali - come se non bastasse - dovranno vedersela anche con un mondo di adulti indifferenti, distratti o, peggio ancora, malvagi.
Eppure, qualche eccezione c'è e potrebbe diventare, per alcuni, l'unica áncora di salvezza in una realtà disperata.


IL GIOCATTOLAIO
di Stefano Pastor

Fazi Ed.
397 pp
2012
Massimo ha undici anni ed è appena arrivato nel Quartiere; è ospite di suo zio Donato, fratello di sua madre, ma l'uomo non si rivela, sin dai primi momenti, una figura rassicurante: è un alcolizzato e un violento, non ci sa fare con i ragazzini e in più è evidente come tolleri a malapena la presenza di questo nipote in casa propria.

Perché Massimo è finito in custodia dallo zio, che tra l'altro non ha mai frequentato in passato?

Le motivazioni emergono gradualmente e sono drammatiche, dolorose per il bambino, che già ha sulle proprie fragili spalle un passato di violenze famigliari; vivere in casa con un uomo che non conosce e che ha pure problemi nel gestire la rabbia, lo getta nello sconforto.
Massimo è terrorizzato, teme che lo zio lo picchierà prima o poi; vorrebbe solo potersi allontanare da lì ed infatti preferisce star tutto il giorno fuori casa, vagabondare solitario e impaurito per le strade semideserte del Quartiere, entrando e uscendo dai palazzi abbandonati (spesso occupati da barboni, da individui "strani" o semplicemente da ragazzini che vanno a giocare), sotto gli occhi curiosi e diffidenti della gente che si sofferma a guardare, da dietro alle tende delle finestre, ciò che accade in strada.

Ed è mentre va in giro senza aver nulla da fare che Massimo incontra dei coetanei, come il vivace e strafottente Grillo e il saggio e tranquillo Marco, con cui si ritrova ad andare molto d'accordo.

Nel Quartiere vive anche la 15enne Mina.
Mina è un'adolescente dal carattere d'acciaio, dalla volontà di ferro, dalla tempra di una piccola guerriera che non abbassa il capo davanti a nessuno, che non si lascia impressionare dai prepotenti, anzi, li individua e li bracca fino a quando non smettono di fare gli sbruffoni e i bulli.
Mina odia le ingiustizie e cerca in tutti i modi, con i pochi mezzi che ha (sé stessa, le proprie mani, la propria voce) di difendere i più deboli, proprio come deboli e bisognosi di aiuto sono i tanti bambini del suo Quartiere.

Bambini che vivono con genitori che non si prendono cura di loro come dovrebbero, che sono superficiali e distratti o, peggio ancora, aggressivi, abituati a sfogare la propria frustrazione e infelicità sui figli attraverso botte e umiliazioni fisiche e psicologiche.

Se potesse, Mina prenderebbe questi bambini e li porterebbe a casa propria per salvarli, per dimostrare loro che non c'è solo la violenza e che possono aspirare a una vita felice.
Mina è orfana di madre e suo padre è sempre via per lavoro.
Il suo migliore (ed unico) amico è il signor Baldacci, che lei ha soprannominato Peter, come Peter Pan: perché Peter è un uomo adulto ma non ragiona come gli adulti: dentro è rimasto un bambino, la sua anima si è come cristallizzata nell'infanzia, restando pura, innocente, semplice.

Jon è un adolescente di sedici anni di origine albanese; è in fuga dal proprio paese e da una famiglia ormai sfaldata e anch'egli è arrivato da poco nel Quartiere, con la speranza di lavorare - seppur in nero - e guadagnare qualcosa, provando a costruirsi una vita e sperando che non lo rimandino in Albania.
Ma i suoi timidi desideri si scontrano dal primo momento con la triste realtà: il cadavere di un bambino, scomparso da mesi, viene ritrovato proprio nei pressi del magazzino in cui lavora Jon (e in cui ha trovato temporaneamente riparo), e dalle terribili condizioni in cui è il piccolo corpo è evidente che sia stato orribilmente torturato...

Purtroppo, non è l'unico caso di scomparsa: altri bambini sono recentemente spariti senza lasciare traccia. 

La paura del mostro scivola sulle coscienze degli adulti, preoccupati sì, ma non abbastanza da muoversi e far qualcosa di concreto per ritrovare questi innocenti.

Dalle pagine di questo romanzo si delinea una situazione infelice che vede i minori abbandonati a loro stessi e, dall'altro lato, degli adulti (genitori, vicini di casa, conoscenti, gli stessi poliziotti) arroccati nella loro irriducibile distanza rispetto al mondo dell'infanzia. 

Il primo mostro - quello che distrugge la purezza e l'innocenza dei bambini, che li avvolge nelle soffocanti spire dell'angoscia, della solitudine - è l'indifferenza dei grandi verso i piccoli; chi dovrebbe proteggere, rassicurare, passare del tempo con i bambini, non lo fa, tutt'altro: questi sono lasciati soli contro il mondo, all'interno di un quartiere ostile, cupo, in cui aleggia una minaccia non ancora identificata ma sicuramente pericolosa che individua proprio nei piccoli più soli, più vulnerabili, il bersaglio ideale.

Solo Mina (che non è una bambina ma neanche ancora un'adulta, pur essendo fin troppo matura per la propria età, e di certo più responsabile di molti adulti attorno a lei) e Peter, il gentile titolare di un banco di pegni zeppo soprattutto di giocattoli, sembrano comprendere la triste realtà che li circonda e desiderano andare incontro ai desideri e alle paure dei bambini. 

Il ritrovamento del cadavere sconvolge il Quartiere che comincia a puntare il dito su Peter il giocattolaio.

L'uomo ha, agli occhi della comunità, atteggiamenti molto strani, sembra così ingenuo e disponibile verso i ragazzini... Forse nasconde qualche perversione? Magari è proprio lui che li rapisce e li uccide?

Mina è strasicura che il suo buon amico non sia colpevole; anzi, è piuttosto il contrario: è così altruista e gentile, che la gente approfitta di lui!

Insieme a Jon, Mina farà di tutto per scagionare Peter da ogni accusa ma per farlo dovrà individuare l'identità del rapitore assassino e, se possibile, salvare i bambini che sono ancora nelle sue mani.

Dal canto suo, Massimo viene sempre più schiacciato dal peso della solitudine e della sofferenza, e l'amico Marco sembra diventare l'unica presenza positiva: il bambino è socievole, allegro e invita Massimo a casa sua, dove vive con suo padre. 
Un padre che è perfetto, l'opposto dei "padri del Quartiere", così disinteressati e freddi verso i figli: lui è invece un vero e proprio "genio della lampada" che esaudisce ogni desiderio di Marco, portandolo dove vuole, comprandogli di tutto, dai vestiti alla cameretta nuova piena zeppa di giochi.

È questa la vita perfetta, serena, ideale, che Massimo sogna per sé stesso.
Ma per lui le prove non sono ancora finite...

"Il giocattolaio" è un thriller che parte, a mio avviso, placidamente, in quanto si sofferma molto sul mostrarci com'è la vita nel Quartiere, come sono i rapporti tra gli adulti e i bambini, i problemi dei primi e le afflizioni dei secondi, in un quadro di completa tristezza e distanza emotiva tra tutti.
Per circa metà del libro, vengono "gettate le basi" per gli avvenimenti più movimentati che avranno luogo dopo, per cui il ritmo iniziale è tranquillo, se non fosse per quella persistente, palpabile e sottile sensazione di un indefinibile pericolo acquattato nelle strade, nei palazzi, nel buio di certe zone meno sicure, nelle quali può nascondersi il mostro.
La narrazione (sempre in terza persona) segue i punti di vista di più personaggi (Mina, Massimo, Jon...), tecnica che offre una molteplice prospettiva da cui guardare gli eventi, oltre a lasciarci entrare nell'intimo dei singoli, mettendoci di fronte alle loro paure, alle loro insicurezze, ai mille dubbi, ai desideri e alle timide speranze, ma che in questo caso non ho trovato priva di difetti.

Il personaggio di Peter è centrale ed è particolare perché incarna una sorta di ponte tra gli adulti e i bambini, in quanto egli stesso è anagraficamente adulto ma è rimasto fanciullo nei modi di pensare, sognare, progettare il futuro.
Mina è agli antipodi: disincantata, pragmatica, dai modi spicci e bruschi, spesso aggressiva nell'approccio con chi la contraddice o non la comprende, manifesta nei gesti e nella parole un quantitativo di rabbia e risentimento che rischia di divorarla, rendendola troppo dura e cinica a soli quindici anni. 

Ma sia lei che gli altri personaggi principali (Jon, Massimo, Peter...) avranno modo di cambiare, di maturare, di superare ciascuno i propri limiti, insicurezze, provando a costruire un domani diverso e più luminoso, non prima di aver attraversato una serie di vicissitudini terribili, pericolose e dagli sviluppi imprevedibili.

Durante la lettura ho avvertito una certa debolezza nella trama, dovuta al passaggio troppo repentino da un punto di vista all'altro, alla caratterizzazione (un po' superficiale, dal mio punto di vista) di alcuni personaggi secondari, ad alcuni dialoghi un po' stereotipati, a come sono gestiti gli eventi che man mano conducono verso il finale.

Però diciamo che nel complesso è un buon libro, si legge con fluidità e sufficiente interesse, soprattutto dalla seconda metà in poi.

martedì 20 maggio 2025

Recensione - L'ORFANOTROFIO SUL LAGO di Daniel G. Miller



Un'investigatrice privata accetta di indagare per conto di una donna la cui figlioccia è misteriosamente scomparsa dall'orfanotrofio di cui era ospite.
Tra silenzi, misteri e indizi da seguire, le ricerche riveleranno non pochi segreti e porteranno la detective dritta dritta nelle fauci di predatori senza pietà.



L'ORFANOTROFIO SUL LAGO
di Daniel G. Miller 



Newton Compton
288 pp
Hazel Cho lavora da qualche anno come investigatrice privata.
Trentenne di origine coreana, condivide un appartementino a Manhattan con il coinquilino e amico Kenny, contravvenendo al modo di pensare dei genitori, che la vorrebbero impegnata in una professione più seria e stabile e, chissà, magari fidanzata o sposata.

Ma purtroppo per Hazel la ruota della fortuna sembra aver smesso di girare: la sua agenzia investigativa stenta a decollare e finora si è sempre occupata di casi minori e soprattutto ha avuto a che fare con clienti non sempre accomodanti ed educati.
Sul fronte sentimentale non ne parliamo: è single e all'orizzonte non si intravedono uomini interessanti e interessati; e Kenny - infatuato di lei - non è il suo tipo, per cui... nisba!

Insomma, c'è bisogno di una svolta, di una scossa, magari attraverso un caso bello adrenalinico e complesso.

Detto fatto: una mattina alla porta del suo ufficio si presenta Madeline Hemsley, una donna ricca, snob, arrogante, misteriosa e con un'offerta di lavoro economicamente troppo allettante per poter essere rifiutata: una ragazza è scomparsa dall'orfanotrofio in cui viveva e Madeline vuole che lei la trovi. 

L'adolescente 15enne si chiama Mia, è la figlioccia di Madeline e sin da piccola vive nell'istituto Saint Agnes, che accoglie orfane e ragazze bisognose, dando loro un'istruzione, oltre a un posto sicuro (si spera) in cui vivere.

Madeline si dimostra, dai primi momenti, molto sibillina ed enigmatica, restia a dare più informazioni del dovuto ad Hazel ma, allo tesso tempo, pretende da lei una certa urgenza nel cominciare le indagini affinché si giunga ad una soluzione, possibilmente positiva.
Già altri investigatori si sono succeduti prima di Hazel, ma nessuno ha portato risultati concreti.

Hazel Cho è l'ultima spiaggia.

Motivata dall'alto compenso economico (che potrebbe costituire la famosa svolta da lei desiderata), Hazel accetta, nonostante Madeline sia insopportabile, spocchiosa, invadente ed esigente oltremisura.

La nostra investigatrice non si lascia scoraggiare dall'atteggiamento quasi ostile di Madeline e dalle scarse informazioni di partenza, e incomincia a interrogare le persone che, all'interno della Saint Agnes, conoscevano Mia, l'hanno vista prima della scomparsa e possono avere qualche dato utile per capire cosa l'è successo.

Mia è scappata volontariamente e con le proprie gambe dall'istituto o è stata rapita, trascinata con la forza?

Una vota appurato in che modo sia avvenuta la sparizione della ragazza, c'è da chiarire chi sia coinvolto, e quasi sicuramente si tratta di (almeno) un adulto.

Cosa accade realmente tra le mura di quella casa famiglia guidata da un preside autoritario, che tutti stimano e conoscono come un uomo morigerato, generoso, devoto alla propria missione di salvare bambine/ragazze da difficili situazioni famigliari?

Hazel parla con diverse persone che lavorano lì e che hanno avuto contatti con Mia e, tra le prime scoperte in cui si imbatte, ce n'è una che la sconvolge: negli anni si sono verificate decine di sparizioni di minorenni, ospiti della Saint Agnes.

Che fine hanno fatto quelle ragazze? Sono state cercate seriamente dalla polizia, dalla famiglia, dallo stesso preside, il signor Mackenzie?

Man mano che procede con le indagini, senza ignorare nessun dettaglio o intuizione, Hazel incappa in diversi indizi che fanno sospettare che in quell'orfanotrofio sul lago, tanto apprezzato dalla comunità e generosamente supportato con donazioni economiche da benefattori molto ricchi, si celino segreti oscuri: qualcuno al suo interno agisce nell'ombra per ragioni sinistre e le giovanissimi ospiti sono probabilmente vittime di una realtà deviata e pericolosa.

Chi sono queste persone responsabili delle sparizioni? E cosa c'è dietro, quali malvagi scopi?

Hazel è una donna vivace, piena di risorse, determinata, anche impavida quando serve, fino all'incoscienza e all'avventatezza, e non teme di andare oltre neppure dopo essere stata minacciata da un losco figuro di farsi i fatti propri, pena la morte.

Sebbene spaventata dalle opposizioni che incontra nel proprio lavoro investigativo, Hazel capisce che dev'essere sulla buona strada evidentemente, altrimenti nessuno si scomoderebbe a minacciarla per strada con un coltello.

Mentre cerca di raccapezzarsi in queste ricerche che si ingarbugliano ogni giorno di più - e che le mettono non poca ansia, avendo avuto da Madeline una scadenza di poco più di una settimana -, aiutata da Kenny (aspirante poliziotto), qualcosa comincia a smuoversi anche nella sfera privata sentimentale.

Durante una cena, cui partecipa per ragioni di lavoro, conosce un giovane tanto bello quanto gentile: Andrew DuPont, il cui padre è uno dei massimi benefattori della casa famiglia.
Tra i due sembra scoccare immediatamente una scintilla d'attrazione e Hazel non crede a ciò che vede e sente: quel pezzo d'uomo bellissimo e vicino alla perfezione, sembra sinceramente interessato a lei, a una donna made in Korea con un lavoro particolare e alta poco più di un metro e cinquanta?!
Roba da non credere! Eppure pare proprio così!

Ma le acque si muovono anche nell'indagine che sta seguendo: riesce a mettersi in contatto con il detective Riether della polizia di New York, che si è occupato del caso di Mia, ricevendo da lui importanti pezzi per il complicato puzzle che è la sparizione delle ragazze della Saint Agnes; e inoltre scopre un luogo che è collegato alle scomparse in un modo che, una volta compreso e chiarito, potrà portarla verso la soluzione.

Quali segreti terrificanti nasconde  quell'orfanotrofio?
E la stessa Madeline: le avrà detto tutto o nasconde qualcosa anche lei?


L'orfanotrofio sul lago è un thriller che ho scelto di leggere spinta dai pareri positivi su Amazon e dalla trama, perché quando ci sono istituti misteriosi e persone scomparse, la mia curiosità è sicuramente solleticata.

Lo stile è scorrevole e piacevole, i dialoghi sono abbondanti e la protagonista è simpatica, intraprendente, un po' sfigatella ma è divertente anche per questo, e infatti i toni sono spesso ironici, anche se a volte Hazel si comporta un pochino come una teenager, pur avendo trent'anni, ma ci sta, è una ragazza che in fondo deve ancora affermarsi e realizzarsi appieno, a prescindere dall' età anagrafica.

Ciò che mi ha convinto meno è il modo in cui è gestita la trama per gran parte del romanzo: il ritmo è un po' lento, "dilatato", per troppo tempo non accade granché e mi sembrava di girare intorno all'istituto senza che mi venissero date le tracce per cominciare ad intuire in che guaio si fosse cacciata la ragazza scomparsa.

Le cose cominciano a farsi più movimentate dopo la metà del libro per diventare più appassionanti e vivaci verso la fine, quando la protagonista vive in prima persona una "bella" avventura che metterà a rischio la sua stessa incolumità.

Nel complesso non è un brutto thriller e non mi sento di sconsigliarlo, anche perché comunque sentivo la voglia di arrivare sino alla fine; si fa leggere, c' è qualche colpo di scena ma non mi ha dato grosse palpitazioni, diciamo. 
 

venerdì 16 maggio 2025

[ Recensione ] LA LEVATRICE DI NAGYRÉV di Sabrina Zuccato



Innocenti e colpevoli, forti e fragili, anziane e giovani, benestanti e miserabili, buone e perfide, vittime e carnefici, assassine e complici, madri e figlie, mogli e nuore...: le donne di questo romanzo storico incarnano tanti ruoli e le più diverse sfaccettature dell'animo umano, ritagliandosi il ruolo di protagoniste all'interno di un contesto sociale che le vorrebbe comparse docili e sottomesse.


LA LEVATRICE DI NAGYRÉV
di Sabrina Zuccato


Marsilio Ed.
448 pp
"Un villaggio sperduto, lontano dal progresso e da ogni assistenza statale. Le nostre voci sono echi sperduti nel nulla, le nostre richieste d’aiuto sassi gettati nell’acqua. Ho notato come ci trattate: alla stregua delle bestie che alleviamo. Non è forse violenza questa? Quale scelta abbiamo quando veniamo derise, violate, vessate, picchiate? Quando dobbiamo procreare come fossimo vacche da monta? Che fine fanno le nostre suppliche quando, dalle nostre famiglie, veniamo costrette a sposarci con uomini che disprezziamo? Chi ci ascolta quando, esauste di tutto questo, se solo proviamo ad alzare la testa ci ritroviamo una catena sui denti?"

È il 1929 e a Nagyrév, un piccolo villaggio sperduto nella pianura ungherese, viene rinvenuto un cadavere sulle sponde del fiume Tibisco.
Si tratta di un'anziana contadina e quella che, a uno sguardo superficiale, potrebbe sembrare una morte accidentale, si rivelerà un omicidio.
I compaesani della vecchia, Julianna Antal, sono convinti che sia stata ammazzata dalla sua stessa figlia, Anna, chiamata "la lurida" a causa del suo aspetto trasandato, dei suoi abiti sporchi, cui si aggiunge un modo di comportarsi cattivo e perfido, soprattutto nei confronti dell'anziana madre, che subiva quotidianamente le percosse e le ingiurie di Anna.
Anna, infatti, provava un profondo odio verso Julianna e non esitava a maltrattarla ed umiliarla in ogni modo possibile.
Che abbia ucciso lei la propria madre, stufa di averla tra i piedi?

Tutti sono straconvinti della sua colpevolezza e incoraggiano il capitano ad andare ad arrestarla, senza indugio, così da liberare tutti loro dalla squallida e malvagia presenza costituita da Anna la lurida e dalla sua stupida figlia Bianka, sicuramente marcia nell'animo come sua madre.

"Sembrava che gli abitanti di Nagyrév si sforzassero strenuamente affinché la morte non rovinasse la quiete del loro piccolo paese: un cadavere era stato lasciato alla mercé delle bestie per un’intera giornata, per essere infine spostato nella stamberga  di un disadattato. In quello strano villaggio, perfino la sgradevolezza fisica veniva additata come un marchio..."


A indagare su questo possibile assassinio è il capitano Zsigmond Danielovitz, accompagnato dal giovane sottufficiale Bàlint.

Zsigmond è un uomo sveglio e dotato di un buon intuito e non poca determinazione e, nonostante percepisca sin dai primi momenti dell'indagine, che i gli abitanti di Nagyrév non siano proprio amabili e disponibili a collaborare, non si lascia abbattere e comincia a interrogare coloro che, man mano, si rivelano vicini alla vittima o comunque informati in merito alle circostanze che potrebbero aver portato al suo assassinio.

Ovviamente, la principale sospettata viene immediatamente interrogata con domande incalzanti dal capitano, che ben presto ottiene una drammatica confessione, ma essa sarà soltanto la prima di una serie di storie inquietanti e tristi di cui verrà a conoscenza nel corso della propria permanenza (inizialmente tollerata ma poi apertamente osteggiata dalla comunità) e che gli restituiranno un quadro complessivo di Nagyrév davvero cupo e sinistro.

Dietro agli occhi degli abitanti dell'apparente tranquillo paesino ungherese si cela qualcosa di oscuro che mette i brividi. 

Al di là del suggestivo e accogliente odore di legna arsa, del calore rassicurante del sole che inonda di luce i tetti e le strade, ciò che si palesa alla vista del capitano, col passare dei giorni, è una realtà rurale oltremodo povera, lontana da ogni forma di benessere; in luoghi come questo, l’esistenza umana si svolge a stretto contatto con il fiume e l’agricoltura, la vita della maggioranza è modesta, scandita dal duro lavoro artigianale o nei campi, ma ciò su cui l'Autrice ci induce a soffermarci è, in particolare, la quotidianità delle donne di Nagyrév.

Quando Zsigmond intuisce che la morte violenta di Julianna è solo un anello di una lunga catena di scomparse, incidenti e morti "strane", capisce anche che per individuare l'origine della catena e la causa di tutto, deve entrare nel microcosmo femminile del piccolo villaggio. 

E, in special modo, deve arrivare alla figura principale, attorno alla quale agiscono le donne: la levatrice di Nagyrév, Zsuzsanna Fazekas.

Ostetrica, guaritrice, strega, fattucchiera...: zia Zsuzsi è odiata e amata dai compaesani, che la disprezzano e la temono, la guardano con disapprovazione e scherno ma, quando ella passa in mezzo a loro, non si azzardano ad urlarle dietro ingiurie per paura che la levatrice lanci loro addosso una maledizione, un maleficio.

"E così le sue conoscenze erboristiche, unite a certe maldicenze che da sempre circolavano sul conto delle ostetriche, avevano contribuito a renderla una donna diversa dalle altre: una guaritrice, quando gli abitanti erano benevoli; una strega, quando invece l’invidia e la calunnia soverchiavano ogni giudizio."

È un contesto in cui la superstizione serpeggia tra gli uomini e le donne, che non esitano ad etichettare la donna come un essere con poteri straordinari, per lo più malefici, in grado quindi di attirarsi la condanna divina, la stessa inflitta al diavolo.

Ma nella realtà, quando poi serve, tutti mandano a chiamare la levatrice, perché non sempre è possibile interpellare il medico (per ragioni di tempo o economiche...), e lei è - a dispetto dei pregiudizi e dell'ignoranza - esperta in ciò che fa, nelle soluzioni e negli aiuti che offre.

L’ostetrica, infatti, studia seriamente e a fondo i malati che le vengono affidati, distinguendo tra coloro che possono ricevere e beneficiare di una guarigione e quanti invece sono ormai agli sgoccioli e vanno aiutati ad andarsene "dolcemente".

Ma non è solo per motivazioni legate alla salute fisica di un famigliare o alla gravidanza, che tante donne accorrono da Zsuzsanna, bensì per situazioni personali e famigliari particolari e fonte di disagio, dolore, angoscia.

Violenze, miseria e soprusi sono i compagni tristemente fedeli di queste povere donne (vecchie o giovani, poverissime o ricche, belle o brutte...), le cui singole vite si incrociano in questo affresco rurale tetro, dove gli uomini (padri, mariti, suoceri...) dispongono delle loro donne come e quando vogliono, sottomettendole (nel corpo, nella mente, nella volontà) ai propri appetiti e frustrazioni.

Non c'è alcuna sensibilità per i bisogni delle donne, chiamate a servire, sgobbare, crescere i figli e prendersi cura di marito, prole e casa senza fiatare, senza lamentarsi; le regole patriarcali della comunità magiara e le meschinità dell’animo umano si uniscono per dare vita a condizioni di vita insostenibili e a sofferenze ingiustificabili per decine di mogli e figlie, di anziane e ragazze. 

Ed è in uno scenario di tal sorta che si inserisce lei, la strega, l'esperta in erbe medicinali, colei che ha la soluzione a ogni problema: Zsuzsanna Fazekas.

"Lei conosceva bene anche la natura umana e sapeva guardare dentro le persone, riuscendo a scandagliare la loro anima  Forse era per questo che le donne del villaggio le chiedevano udienza così spesso. E probabilmente era questo il motivo per cui, così frequentemente e generosamente, offriva consigli ed elargiva i più intimi insegnamenti. Per loro lei non era solo la levatrice di Nagyrév. Non era solo la guaritrice. Era molto di più: un’amica, un’insegnante, una confidente. Lei era zia Zsuzsi, e aveva una soluzione per tutto."

Il capitano non si accontenta di mettere in prigione Anna la lurida per l'omicidio della madre, ma va oltre e individua nella levatrice il fulcro, il personaggio chiave per capire a fondo le storie di donne come Katalin, Krisztina, Klaudia, Maria, Rosalia...: non sono solo nomi che ci scorrono davanti agli occhi, ma storie di vita di esseri umani che, a un certo punto della propria esistenza, alzano la testa per dire basta a inganni, stupri e sottomissioni, e per "risolvere il guaio" che hanno in casa chiedono aiuto a lei, a "zia Zsuzsi"

Le indagini condotte dal tenace e determinato Zsigmond si svolgono nel 1929 e lo vedono totalmente immerso nella cittadina di Nagyrév, impegnato a grattare oltre la superficie del singolo omicidio per cercare di scoprire cosa collega questa ed altre morti precedenti alla levatrice Fazekas.

 «Ci uccisero proprio coloro che ci avrebbero dovuto amare di più.»

Queste parole sibilline e misteriose convincono Zsigmond che a Nagyrév sono sepolti orribili segreti e lui è intenzionato a portarli alla luce, anche se ciò significa mettersi contro tutto il villaggio, il magistrato, le donne e la stessa Zsuzsanna.

Ma non ha fatto i conti con il carisma feroce di questa donna straordinaria, che emana una forza e una sicurezza che intimidiscono anche un uomo come lui, sopravvissuto alla guerra e che ha visto la morte in faccia più di una volta. Ella sa come stordirlo, fargli perdere lucidità: lo attrae e lo respinge, egli vorrebbe restare razionale ma davanti agli occhi di fuoco di lei si sente indifeso, nudo, come se la donna potesse leggergli dentro e guardare, come nessuno ha mai fatto, nella sua mente e nel suo cuore, scorgendone i demoni, le paure, i pensieri inconfessati, i turbamenti che non gli danno tregua.


Il romanzo della Zuccato prende avvio da un fatto di cronaca realmente avvenuto tra le due guerre mondiali, un episodio che sconvolse l’Europa non solo per l’efferatezza dei crimini, ma anche per un inedito capovolgimento dei ruoli: le donne, da vittime, si fanno carnefici.

È un romanzo corale e diverse sono le voci femminili che intervengono e si intersecano - anche attraverso gli anni: 1910, 1917/'18, 1929 - per narrarci ciascuna la propria storia, il dramma intimo e personale che si svolgeva tra le mura della propria casa, per comunicarci le sofferenze, le umiliazioni, la stanchezza fisica e morale, l'indifferenza subita, la solitudine, il dolore per non essere capita, amata, accolta, aiutata... se non da lei, dalla strega-levatrice.

Picchiate, minacciate, derise crudelmente, stuprate...: le donne che ci raccontano il proprio vissuto ci lasciano entrare nel loro quotidiano mostrandoci gli orrori che può nascondere la vita domestica quando a dominare sono le sopraffazioni e le mortificazioni.

In che modo Zsuzsanna Fazekas aiutava queste "sorelle" con cui poi si stabiliva inevitabilmente un legame segreto, fatto di lealtà assoluta e gratitudine?

Riuscirà il capitano Danielovitz a venire a capo dell'intricata rete di misteriosi, inquietanti e luttuosi  eventi che hanno colpito, negli anni, Nagyrév, e individuare le responsabilità di Zsuzsanna, donna dal passato fumoso, dalla personalità granitica, dallo spirito indipendente?

Ho letto questo romanzo con vivo interesse, apprezzandone l'accuratezza storica, l'ambientazione, la scrittura immersiva, dettagliata e coinvolgente, la caratterizzazione efficace dei personaggi, le tematiche che emergono e che sono purtroppo attuali anche ai nostri giorni (per dirne solo una: la violenza di genere, ma le riflessioni che scaturiscono dalla lettura sono tante); molto interessante l'appendice, in cui l'Autrice ci dice quali sono i fatti realmente accaduti cui si è ispirata.

Se vi piace il romanzo storico, reso ancora più appassionante da una intrigante componente gialla, questo libro non potete perdervelo.
Molto bello, assolutamente consigliato.



 La povertà che si respirava a Nagyrév sembrava essere parte integrante del luogo, una condizione che probabilmente lo caratterizzava già prima della guerra

martedì 13 maggio 2025

Recensione || UN INCANTEVOLE APRILE di Elizabeth von Arnim ||

 

Può una vacanza lunga soltanto un mese stravolgere le vite di un piccolo gruppo di persone, ciascuna alla ricerca della propria personale fetta di serenità in un'esistenza, fino a quel momento, triste e infelice?


UN INCANTEVOLE APRILE
di Elizabeth von Arnim

Fazi Ed.
trad. S. Terziani
288 pp
"...aprile, invece, arrivava dolcemente come una benedizione, e se il tempo era favorevole nessuno riusciva a rimanere indifferente. Era impossibile non sentire che ti cambiava e ti toccava nel profondo."

Cosa accomuna Mrs Rose Arbuthnot e Mrs Lotty Wilkins, due amabili ed educate signore londinesi degli anni Venti del secolo scorso?

Entrambe sono sposate con due uomini affascinanti, esuberanti e sicuri di sé, da cui però si sentono lontane e incomprese.
Il marito di Rose, Frederick Arbuthnot, scrive le biografie delle amanti dei re, attività che la moglie, profondamente religiosa, disapprova: cosa pensano le sue amiche e i loro conoscenti di una signora perbene sposata con un uomo che per campare fa ricerche su donne dal vissuto e dalle scelte moralmente discutibili?
Da tempo, il loro matrimonio è in avaria: marito e moglie sono distanti, non si scambiano gesti e parole d'amore, non si sfiorano, non dialogano...
Non sono felici e il loro rapporto sembra giunto a un punto morto.
Questa situazione fa soffrire Rose, che continua ad amare suo marito nonostante l'apatia che sta avvolgendo e soffocando il loro amore.
Prova a trovare consolazione nella fede in Dio, nel Suo amore e nel dimostrare carità e misericordia a chi è più sfortunato e povero.


Lotty Wilkins è una graziosa e giovane signora sposata con Mellersh, un avvocato che la tratta e la fa sentire come una ragazzina sciocca e con poco sale in zucca, da cui non ci si può aspettare nulla di particolarmente intelligente.
Lotty finora ha praticamente accettato passivamente questa scarsa considerazione che il coniuge ha di lei, non riuscendo a tirar fuori il proprio vero carattere, a manifestare sentimenti, desideri, malesseri, ma anzi tenendo tutto dentro, ricavandone grande inquietudine e un'inconsolabile tristezza.

Entrambe le donne sono non sono felici, la loro vita amorosa è insoddisfacente, sicuramente molto diversa da quella che avevano sognato il giorno del matrimonio. 

Ma forse qualcosa sta per cambiare e in modo del tutto fortuito e inaspettato.

La timida ed insicura Mrs Wilkins e la morigerata e assennata Mrs Arbuthnot decidono, senza rimuginarci troppo, di rispondere a un annuncio per l’affitto di un castello a San Salvatore, piccola cittadina della Liguria, per tutto il mese di aprile.
La vacanza sarà un'occasione per allontanarsi dal grigiore di giorni sempre uguali con il nobile scopo di ritrovare sé stesse e quell'equilibrio interiore che hanno perso già da un po'.
La cosa interessante è che organizzano tutto senza condividere nulla con i rispettivi coniugi, bensì ponendoli davanti al fatto compiuto e non lasciandosi scoraggiare dalla loro evidente disapprovazione.

A loro si uniscono due donne di differente età e, fino ad allora, sconosciute: Mrs Fisher, un’anziana signora che incarna appieno la morale vittoriana nel portamento, nelle amicizie e nella rigida etichetta che esige sia rispettata, e Lady Caroline (chiamata Scrap), giovane ereditiera di un incantevole ed ineguagliabile bellezza  in cerca di un mese di pace dalla vita mondana, dalla stressante madre e dagli innumerevoli spasimanti. che continuano a chiederla in sposa nonostante i suoi rifiuti.

Le quattro donne partono per quella che tutte desiderano sia un periodo di rigenerazione fisica e morale/spirituale: lontane dalla vita di tutti i giorni, dalla grigia e piovosa Inghilterra, sperano di godersi un mese di ferie assolute nella bella Italia, di immergersi nel piacevolissimo calore della primavera italiana, di ritemprarsi a contatto con la naturale e rassicurante bellezza di quel luogo antico che trasmette pace e silenzio, avvolte dal profumo dei glicini e dei narcisi sbocciati.

Se però Rose e Lotty sono aperte alla prospettiva di fare amicizia con le due ospiti e di godere di questa bella vacanza insieme, mangiando prelibatezze e chiacchierando amabilmente durante le passeggiate nel giardino attorno al castello, Scrap e Mrs Fisher non hanno alcuna voglia di socializzare.

La prima perché ha colto al volo l'occasione del viaggio proprio per starsene un mese per i fatti propri, lontana da seccature e da esseri umani incantati dalla sua avvenenza e grazia, e la seconda perché il proprio modo di concepire la vita è talmente conservatore e tradizionalista da renderla troppo chiusa, giudicante, sempre pronta a rimproverare, borbottare ed esprimere dissensi al minimo accenno di comportamenti o parole che lei trova sfacciati e privi di decoro.

Ma evitarsi è davvero difficile, anche quando gli spazi condivisi sono ampi e, in teoria, sarebbe possibile cercare un angolino tutto per sé o costringersi a chiudersi in stanza.

Le quattro donne amano dal primo momento il castello, che per loro diventa una sorta di rifugio, un luogo immerso nella tranquillità e quindi ideale per analizzare a che punto si trova la propria vita, indagare con sincerità dentro sé stesse, guardare nel proprio cuore e provare a capire cosa non sta andando bene e se mai possa esserci un modo per cambiare rotta e afferrare quella felicità che pare essere divenuta un miraggio, un ricordo lontano.

Di capitolo in capitolo impariamo a conoscere ognuna delle donne, a capirne la personalità, il modo di pensare, la concezione che hanno di sé e di ciascuna reciprocamente, e assistiamo con piacere, gradualmente, al loro personale cambiamento, anche in coloro che non necessariamente sentivano di dover cambiare o maturare, come l'anziana signora Fisher o l'altezzosa Scrap.

Tra le quattro, le più riflessive sono sicuramente Rose e Lotty; la prima si strugge al pensiero di aver lasciato in Inghilterra quel marito amato ma con cui ha perso ogni connessione fisica, sentimentale e intellettuale, connessione che vorrebbe poter ristabilire ma non sa come, e il pensiero di averlo perso per sempre, di non essere più amata ed apprezzata da Frederick, la distrugge dentro, impedendole di vivere appieno la dolce serenità di questo mese in Italia.

Lotty, invece, è semplicemente entusiasta di essere lì, sta riscoprendo sé stessa, la propria libertà, la propria capacità di prendere decisioni in autonomia e di riuscire a star bene anche senza dipendere dal bellissimo Mellersh, che l'ha sempre data per scontata.


La vacanza diventa l'occasione per ciascuna donna di mettersi a nudo, di meditare su sé stessa anche grazie al confronto l'una con l'altra, cosa che le aiuterà ad apprezzarsi e a sbocciare, a riscoprire l’amore e l’amicizia, ritrovando la speranza di poter, a buon diritto, ancora essere felici e appagati di ciò che si è e si ha. 


Lotty è la prima, tra esse, ad accorgersi di come San Salvatore la stia facendo rinascere e ritrovare rinnovati slanci vitali, nuovi scopi, nuove prospettive e una giusta stima di sé.
Forse è un luogo magico che può donare non solo pace ma anche nuovi sogni e direzioni a un'esistenza che si stava appiattendo?


Un incantevole aprile è un romanzo delizioso, scritto con una penna elegante, delicatissima e sensibile, che indaga con cura e gentilezza l'animo delle quattro donne, mostrandocene pregi e difetti, insicurezze e punti di forza, nonché l'inevitabile evoluzione umana ed emotiva sollecitata da questa vacanza rinfrancante e ritemprante.
Vi troviamo, al suo interno, l'amore (per lo più di coppia) - quello che sembrava perduto e quello che viene rinvigorito da nuove consapevolezze -, l'amicizia tra persone opposte caratterialmente ma accomunate tutte dall'infelicità, dall'insoddisfazione e dal desiderio urgente di scappare da tutto e tutti per ritrovarsi; la fugacità della bellezza e della giovinezza, ricchezze che non bastano, da sole, a dare un concreto appagamento; il contatto con la natura e il suo meraviglioso potere di toccare il nostro spirito, di farci riconciliare con il mondo, con il prossimo e con noi stessi; c'è anche l'argomento fede, che - nell'esperienza della devota Rose - evolve anch'essa passando dall'essere una mera osservanza di precetti per piacere a Dio, a qualcosa di più intimo, personale e vero.

In questo romanzo si palesa il bisogno, proprio di ogni uomo, di essere amato e apprezzato, di costruire relazioni interpersonali genuine, autentiche, e di come questo bisogno, quando viene soddisfatto, rechi gioia, pienezza e pace interiore.
Quanto possono far bene le confidenze condivise tra una chiacchierata all'altra all'aria aperta, mentre il sole si appresta a tramontare e mentre si è circondati da un tripudio odoroso di fiori e piante che ci ricordano che a ogni inverno, a ogni gelo, segue sempre la primavera, la rinascita?

"Perché due persone infelici non possono offrirsi il sollievo reciproco di una chiacchierata mentre camminano per la strada della vita, arida e polverosa, discorrendo con sincerità di cose vere, dei loro sentimenti, dei desideri e delle speranze che ancora possiedono?"


Un libro che resta sempre quieto come un dolce sussurro, come dolce è la brezza che muove i fiori attorno al castello e che sfiora e fa vibrare i cuori, bisognosi di amore, delle quattro amiche; è una lettura tranquilla, rilassante, durante la quale mi sono sentita la quinta ospite del castello e anch'io, come le altre, ho potuto usufruire, seppur solo con l'immaginazione, della potenza rigeneratrice della natura, del benessere che si prova quando, lasciandosi alle spalle (fosse pure temporaneamente) il caos di tutti i giorni, ci si ferma e si gode di un sano silenzio, di una pace necessaria per non perdersi o non continuare a vagare insoddisfatti e tristi.

Lo consiglio a chi desidera una lettura che sa regalare dolcezza, relax e il cui epilogo soddisfacente si pone in sintonia con tutta la placida atmosfera della storia.


Alcune citazioni

"Per anni era riuscita a essere felice solo dimenticando la felicità, e voleva continuare così. Voleva escludere tutto ciò che avrebbe potuto ricordarle l’esistenza della bellezza, che l’avrebbe di nuovo incitata a desiderare, ad anelare..."

"Mancare a qualcuno che ha bisogno di te, per qualsiasi motivo, era comunque meglio della solitudine totale di non mancare a nessuno."

"Lo splendore dell’aprile italiano si raccoglieva ai suoi piedi; il sole la inondava di luce, il mare dormiva, muovendosi appena. Oltre la baia, le montagne, incantevoli con le loro squisite sfumature, erano anch’esse addormentate nella luce, e sotto la finestra, in fondo al giardino in pendenza costellato di fiori, si ergevano le mura del castello, e un alto cipresso sembrava una gigantesca spada nera che tagliava in due i blu e i viola delicati, le sfumature di rosa delle montagne e il mare."

"Questa invece era pura felicità per l’armonia con ciò che la circondava, la felicità che non chiede nulla e semplicemente accetta, respira, esiste."

"Da molti anni sapeva che la sua vita era tutta un grande strepito, e da quel chiasso assordante voleva allontanarsi per non diventare sorda, in modo completo e permanente. E se quel chiasso fosse stato tutto inutile?
"Desiderava starsene da sola, non sentirsi sola. Era molto diversa la solitudine, faceva male, era come una ferita atroce nel profondo, la paura più grande. Era ciò che la spingeva ad andare a tutti i ricevimenti, e ultimamente anche a feste che in uno o due casi non le erano sembrate capaci di darle una protezione certa. Possibile che la solitudine non avesse nulla a che fare con le circostanze, solo con il modo che si ha di affrontarle? Forse era meglio andarsene..."

"San Salvatore le aveva strappato la parvenza di felicità che aveva costruito con tanta dedizione e l’aveva lasciata senza niente in mano. No, anzi, le aveva dato dei desideri, un senso di pena, di nostalgia, quello strano fremito nel cuore, ed era peggio che non avere niente."

"Non le sembrava di pretendere troppo, in un mondo pieno di gente, di milioni di persone, se desiderava possederne solo una. Una persona che avesse bisogno di lei, che la pensasse, che fosse ansiosa di vederla... Oh, il desiderio di essere importante per qualcuno la divorava!"

"...è sempre meglio sentirsi giovani da qualche parte piuttosto che vecchi dappertutto. C’era sempre tempo per sentirsi vecchia".

"...starsene distesi sotto un’acacia a guardare il cielo azzurro tra i rami, le foglie tenere e i fiori che a ogni alito di vento diffondevano il loro profumo, fu fonte di felicità immensa per gli ospiti."

sabato 10 maggio 2025

THRILLER IN USCITA (maggio-giugno 2025)


Prossime uscite che hanno catturato la mia attenzione.

Il primo romanzo che vi presento è di un autore che conosco personalmente (per ragioni legate alla mia fede) e di cui ho letto diverse pubblicazioni, tutte per lo più saggi o manuali di studio che analizzano svariate e interessanti tematiche inerenti le Sacre Scritture. QUI potete farvi un'idea, eventualmente, della tipologia di libri cui faccio riferimento.

Marco Distort - questo è il nome dell'autore - fa il suo esordio nella narrativa attraverso un thriller che egli per primo definisce "non adatto a tutti", nota che solletica ancor più la mia curiosità, già alimentata dal fatto che sia un suo libro, avendolo io da sempre apprezzato per la sua preparazione, sensibilità, profondità nei contenuti e per la chiarezza nell'esporli.

Ad ogni modo, questo è il romanzo.


IL MORALIZZATORE
di Marco Distort


DZ Edizioni
384 pp
14.90 euro
USCITA
13 GIUGNO 2025
Tra le montagne innevate della Valle d’Aosta, una serie di improvvisi delitti minaccia la serenità dei cittadini. 
Dopo i ritrovamenti dei primi cadaveri, la convinzione che si tratti di un serial killer si fa sempre più evidente. 
L’omicida prende di mira soltanto una specifica categoria di persone: gli adùlteri. 
Li pedina, li fotografa durante i loro incontri clandestini, poi li rapisce e li uccide in modo atroce, secondo un antico supplizio etrusco, recapitando ai mariti traditi un macabro souvenir e degli enigmatici messaggi. 
A indagare è chiamata la squadra del commissario Jérôme, che comprende anche un ex sacerdote e una psichiatra, che contribuirà a tracciare il profilo del killer, la cui fantasia si nutre del pensiero di un moralista francese del Dodicesimo secolo, ma anche dei brutali metodi della successiva Inquisizione.

In un crescendo di malvagità da una parte e di serrate indagini dall’altra, Jérôme e i suoi dovranno lottare contro il tempo per liberare l’ultima coppia rapita. 

Il moralizzatore è un sapiente intreccio di false piste, colpi di scena inattesi e atrocità rituali, nel solco dei più grandi maestri del giallo. È il primo volume di una serie.


L'autore.
Marco Distort è nato ad Aosta nel 1958.
Dopo la Maturità Scientifica ha conseguito la Laurea in Filosofia presso l’Università di Torino con una tesi in Filosofia della Religione.
Ha insegnato materie letterarie nella scuola pubblica in Valle d’Aosta, prima di trasferirsi in Toscana. Per più di vent’anni ha tenuto conferenze e seminari in varie regioni italiane, insegnando anche in due Istituti di formazione teologica.
Fin da ragazzo ha manifestato un profondo amore per la scrittura e in trent’anni ha pubblicato una quarantina di saggi, spaziando dalla teologia alla sessualità, dalla psicologia allo studio delle profezie. Due suoi volumi sono stati tradotti e pubblicati in lingua tedesca e ungherese.
Da poco è tornato a vivere in Valle d’Aosta, dove continua a dedicarsi alla scrittura – sia narrativa che saggistica – e alla pittura. Tiene anche lezioni online sulle seguenti materie: ANTICO TESTAMENTO, LINEAMENTI DEL PENSIERO GIUDAICO e INTRODUZIONE ALLA PATRISTICA.
La sua grande passione per i thriller lo ha portato a creare il personaggio del commissario Jérôme, le cui imprese si svolgono nel suggestivo scenario della Valle d’Aosta
.



1991. 
- La prima indagine di Franck Sharko -
di Franck Thilliez



Fazi Ed.
trad. D. De Lorenzo
468 pp
19.50 euro
USCITA
 27 MAGGIO 2025


Con questo volume Fazi Editore inaugura la pubblicazione della serie con il detective Franck Sharko come protagonista. Ambientato in un mondo pretecnologico dove il tempo scorre in modo molto diverso da oggi, 1991 racconta la primissima indagine dell’ispettore Sharko, il suo battesimo del fuoco.

 
Conclusa la scuola ispettori, Franck Sharko a trent'anni approda a Quai des Orfèvres, prestigiosa sede dell'anticrimine di Parigi. 
È l'ultimo arrivato: gli assegnano i compiti più noiosi e trascorre il suo tempo negli archivi passando al setaccio centinaia di informazioni alla ricerca di un indizio utile per risolvere un vecchio caso. 
Tra il 1986 e il 1989 tre donne sulla trentina sono state rapite, brutalmente uccise e abbandonate in campi di periferia. 
Nonostante centinaia di deposizioni, notti insonni e denunce, il predatore è ancora in libertà. Siamo all'inizio degli anni Novanta, le indagini procedono ancora alla vecchia maniera: computer, cellulari, internet sono novità di cui si comincia solo vagamente a sentir parlare, come di un sogno futuristico. Ma Sharko scalpita, vuole dimostrare di meritare il suo posto nella squadra. 
Una notte di dicembre, uscendo dagli archivi ormai deserti per tornare a casa, intercetta un uomo in preda al panico. Ha in mano una foto – ritrae una donna legata, il volto coperto da un sacchetto di carta con sopra disegnati occhi e bocca – e gli racconta una storia confusa riguardo a una lettera con un enigma da risolvere e una poesia di Baudelaire. Sharko non ci pensa due volte: decide di aggirare le procedure e occuparsene di persona. 
Ha finalmente l'occasione di uscire dai box e iniziare la sua corsa.



LA VERITÀ SU JOSIE FAIR
di Lisa Jewell



Neri Pozza
trad. G. Zucca
336 pp
USCITA
20 MAGGIO 2025

Un thriller che racconta il lato oscuro di ogni quotidiano in un crescendo di tensione tanto più minaccioso e incalzante quanto più simile alla vita vera. La nostra.


Alix Summer e Josie Fair sono nate lo stesso giorno, nella stessa città, addirittura nello stesso ospedale. Sono “gemelle di compleanno”, come si potrebbe definirle, ma le loro esistenze sono tutt’altro che simili. 
Alix è una famosa podcaster, ha setosi capelli biondi che catturano la luce, abiti costosi e un uomo perfetto al suo fianco. 
Josie invece è sempre in jeans, ha due figlie quasi adulte e un marito molto più grande di lei. 
È una fantastica coincidenza che Alix e Josie si siano incontrate la prima volta proprio nel giorno del loro quarantacinquesimo compleanno, e non è l’unica: hanno festeggiato nello stesso pub, alla stessa ora, e i loro figli hanno frequentato le stesse scuole, lo stesso parco giochi. 
Non serve altro perché Alix proponga a Josie di registrare insieme una puntata del suo podcast: vuole raccontare la vita dell’altra, così straordinaria nella sua ordinarietà. E poi c’è qualcosa di oscuro nel matrimonio di Josie, che stimola la passione giornalistica di Alix e il suo desiderio di aiutare un’altra donna che, così crede, è vittima di un legame tossico. 
Ma quando Alix comincia a sospettare che il passato di Josie sia ben più violento di quanto lei sia disposta a confessare, tutto precipita. Josie ormai è coinvolta talmente a fondo nella sua vita che per Alix tornare a quando tutto è cominciato non solo è difficile, può essere letale.

venerdì 9 maggio 2025

LE MIE LETTURE DI APRILE 2025

 

Buon pomeriggio, lettori!

Finalmente rieccomi qui sul blog!

Sono stata assente per ragioni famigliari (legate alla salute di mio padre), che mi hanno impedita di poter stare a casa e aggiornare letture e post, ma adesso l'emergenza sembra rientrata e oggi sono qui con il recap delle mie letture di aprile.


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  1. SE I GATTI POTESSERO PARLARE di P. Pulixi: giallo-cozy crime ambientato durante una crociera. Libraio musone ed esperto in libri gialli indaga su un assassinio in mare aperto (4/5). LETTURA GODIBILISSIMA E SIMPATICA.
  2. LA GUERRA. (Blackwater IV) di M. McDowell: saga famigliare paranormal-gotica. Elinor è ormai la nuova matriarca del clan Caskey. Tutto sembra tranquillo finchè scoppia la guerra (4/5). SE STATE SEGUENDO LA SAGA, TANTO VALE PROSEGUIRE.
  3. DIMMI CHE NON VUOI MORIRE di S. Crepaldi: cozy-crime con la tanatoesteta aspirante pasticciera in missione segreta nella bellissima Venezia (4.5/5). SE DESIDERI UNA LETTURA LEGGERA E APPASSIONANTE.
  4. MARINA di C. Ruiz Zafôn: mystery, narrativa per ragazzi - in una Barcellona cupa e misteriosa, due adolescenti portano alla luce verità terribili e dolorose, al limite della realtà (3.5/5). SE CERCHI UN LIBRO CON PROTAGONISTI MOLTO GIOVANI, CURIOSI E CORAGGIOSI E CON UN'ATMOSFERA DARK.
  5. IL TEMPO DELL'ODIO di A. Lanzetta: giallo storico - sono gli anni della 2° guerra mondiale e un 14enne vuol vendicarsi di chi ha stravolto l'esistenza sua e della sua famiglia (4.5/5). TRAMA SCORREVOLE, AVVINCENTE E BEN CONTESTUALIZZATA.
  6. IL VIAGGIO DI COLIBRÌ di P. Comi - narrativa per l'infanzia. Un piccolo colibrì abbandona il nido per conoscere il mondo attorno a sé (4.5/5). LIBRO CON BELLE ILLUSTRAZIONI, BELLA STORIA.


READING CHALLENGE



Per la sfida letteraria, nel mese di aprile gli obiettivi erano i seguenti:

- CLASSICO DELLA LETTERATURA AMERICANA.
- CLASSICO DELLA LETTERATURA RUSSA.
- LIBRO SCRITTO DA DUE AUTORI.
"CI PROTEGGERÀ LA NEVE" (R. Sepetys)

Ma io ho scelto un obiettivo del mese di gennaio: UN LIBRO CHE RACCONTI UNA STORIA DI VENDETTA O TRADIMENTO >>> L’INEBRIANTE PROFUMO DI BERGAMOTTO - LA MALEDIZIONE -, di G. Boschetti: un' antica maledizione, frutto del desiderio di vendetta a causa di un tradimento, si ripercuote sui maschi di una famiglia. di generazione in generazione (3/5). SE CERCHI UNA LETTURA DAI RISVOLTI PROFONDI E DALLA RIFLESSIONI FILOSOFICO-ESISTENZIALISTICHE.


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