La scuola cattolica è un saggio (romanzato) lungo più di 1000 pagine in cui l’Autore, pur avendo fatto del tristemente celebre Delitto del Circeo il fulcro del discorso, affronta tantissime tematiche sociali, trattandole con estrema lucidità…e un tantino di prolissità, evidentemente, per lui, inevitabile.
LA SCUOLA CATTOLICA
di Edoardo Albinati
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| Ed. Rizzoli | 
"Questa storia   ne        comprende      altre.    È          inevitabile.      Si         ramifica           o          è          già            ramificata        al         momento         in         cui       si apre.    Si        sovrappone    come  succede          alla     vita     delle   persone.         Non     si        può     dire            dove   comincino      e         dove finiscano,          queste  vite      e          queste  persone,          visto    che      si         tratta   pur       sempre di            relazioni,         di         triangoli,         nodi, trasmissioni,     incroci,            e          l’inizio non      è          mai      l’inizio perché c’era    sempre qualcosa          prima            di         quell’inizio,
come   ci         sarà      qualcosa          dopo    la         sua       fine.     Quindi in         questo  libro     la         storia            principale        quasi    non      si         vede: ed è          cresciuta          intorno la         foresta dei       dove,   dei       quando,           dei       come   se,        degli            intanto,            e          i           suoi protagonisti sono    diventati         non     più      i          ragazzi            al        centro della   triste vicenda,         ma      molti            altri     ragazzi            non     meno protagonisti,    e          le         loro madri,  le         loro      sorelle, i           loro      professori        di         scuola, i            chitarristi         e          i batteristi          che ascoltavano     e          i           produttori        delle    moto    che      cavalcavano    e          gli        architetti          che            progettarono    le         case     in         cui questi   ragazzi abitavano       e         gli       autori  dei      libri     che     li         spinsero          ad       allearsi,            ad accoppiarsi     e         ad ammazzarsi     tra        loro,     o          a          isolarsi per       cercare la         verità,  o          a          isolarsi per            fuggirla."
Edoardo Albinati ha frequentato l’
Istituto San Leone Magno (SLM nel libro), una scuola di stampo cattolico, frequentata solamente da maschietti e nella quale studiavano figli di genitori che potevano permettersi di pagare una retta mensile.
Ecco, questa è la base fondamentale su cui si fonda un po’ tutto quel che viene narrato in questo librone; l’Autore ci fa conoscere subito se stesso, la sua adolescenza, i pensieri, le idee sul sesso; ci lancia un amo parlandoci di un certo compagno di scuola tanto intelligentissimo quanto strano, “particolare” (con un’insana voglia per i metodi di “uccisione”), il che ci fa presagire, a ragione, che il tipo lo ritroveremo pagine e capitoli dopo (e così sarà).
Apprendiamo come era la vita all’interno della scuola, la considerazione che Edoardo aveva dei preti che insegnavano e della loro (presunta?) castità, e ci chiediamo insieme a lui quanto quel genere di conoscenze e nozioni potessero rivelarsi utili agli studenti:
 forse ricevere una formazione religiosa aiuta a modellare una personalità, un carattere più docile, più retto, più in grado di discernere il male dal bene e di scegliere quest’ultimo?
Hum…, forse l’abbaglio è proprio lì: non basta avere degli uomini in gonnella come precettori, non basta tener lontano il gentil sesso (l’unica donna ammessa era la Vergine Maria), non basta inculcare (o meglio, tentare di farlo) certi dogmi o divieti per ottenere un uomo pio, devoto, di sanissimi principi. 
Qualche frutto marcio verrà fuori da questa scuola, lo presagiamo da subito.
Ed infatti da essa sono venuti fuori tipi come 
Angelo Izzo e i suoi degni compari di merenda…, il che è sufficiente per capire che qualcosa negli insegnamenti del SLM si è rivelato decisamente fallimentare…!
Albinati scrive, scrive…, scrive davvero tanto.
Di cosa parla fittamente e diffusamente in queste abbondanti pagine?
Ad es., di come gli “esterni” alla scuola guardavano e consideravano chi vi studiava (“figli di papà”, ricconi viziati); di come in un istituto di soli maschi fosse indispensabile, per sopravviverci, il 
senso di aggregazione e l’approvazione dei compagni (in particolare di quelli che “contavano”) per sentirsi parte del gruppo; di come crescere in un ambiente “protetto”, di soli uomini, condizioni inevitabilmente l’idea del sesso e delle donne, nonché il modo di concepire ciò che è peccato.
In questo romanzo, in un certo senso, il vero protagonista è il
 maschio, in tutte le sue accezioni, con le sue passioni, gli istinti, l’aggressività.
Leggendo le disquisizioni dell’autore circa lo stare solo tra ragazzi in un periodo in cui la socialità è importantissima, capiamo come, secondo lui, le conseguenze negative di questa condizione  siano riassumibili in due punti, essenzialmente: 
l’omosessualità (latente in tutti, che si svilupperà in scelte sessuali diverse) e 
l’aggressività eccessiva verso le donne.
Aggressività che può sfociare in qualcosa di perverso e che trova nell’eventuale assenza di sorelle una concausa in più; non solo, ma anche qualora un ragazzo abbia delle sorelle, il futuro rapporto col sesso opposto può essere influenzato e guidato da quello che si instaura con le donne di casa (mamma in prims): che concezione aveva il ragazzo di loro, se poi alcuni (troppi…?) arrivano da adulti ad essere degli stupratori?
Quello del sesso e dello stupro sono argomenti ossessivamente presenti nella nostra società e di conseguenza sono molti  trattati anche nel libro; su di esso l’autore esprime tutta una serie di argomentazioni a sostegno di determinate tesi, ad es. quella secondo cui i casi di stupro aumentano lì dove c’è un’insicurezza nell’uomo, la quale è legata sempre alla sessualità. 
L’uomo utilizza il sesso per confermare la propria superiorità sulla donna, il suo dominio su di lei.
I maschi vogliono amore e tenerezza ma quando questo desiderio resta insoddisfatto, viene riversato sulle donne in modo oltremodo brutale.
Brutalità che ritroviamo tutta proprio in crimini (sessuali, ma non è l’unica accezione) come quelli del Circeo.
Per comprenderlo, un altro aspetto analizzato da Albinati risponde a questa domanda fondamentale: 
dove sono nati e cresciuti i killer di cui lui si occupa nel suo libro? In che zona di Roma e in che tipo di famiglia?
Nel Quartiere Trieste e in famiglie borghesi, risponde lui stesso.
“L’educazione           borghese         consisteva      nell’obbedire  non     agli     altri,    ma       a         se        stessi,            a         leggi    che     uno     si impone            da        solo.    Te        le         insegnano        in         famiglia,          è          vero,    ma       poi            continui           a          rispettarle        e          finisci  per       predicarle tu         stesso   perché ti         sei        convinto          che      non      esista   di         meglio,            difficile           non            convenire        con      esse,    sul       fatto    che non      vi        sia       più      alta     civiltà di        quella che     insegna           a         ridurre            al        minimo            le        occasioni        sgradevoli,      di risparmiarle     a         se        stessi   e         agli     altri.    Parolacce,       sbadigli,          accenni           a         feci            e         urina,  arroganza,      sgarberie, seccature.”.
Il borghese è ipocrita, completamente concentrato sulla forma, l’apparenza, l’attaccamento alla materialità, al possesso (di case, beni…), e non c’è violenza più sanguinaria di quella borghese, sessualmente nevrotico.
La data fatidica che rimbomberà non solo per le strade e i quartieri della capitale ma anche nel resto dell’Italia, è quella del
 30 settembre 1975, notte infernale in cui si consumò uno dei delitti più bestiali e crudeli che ricordiamo negli ultimi 30 anni nel nostro Paese: in quella notte
 tre baldi giovanotti dall’aria innocua, figli di famiglie “perbene”, ragazzi apparentemente “normali”, sequestrano due ragazze (provenienti da famiglie semplici, particolare, questo, non irrilevante nell’analisi del delitto e delle sue “motivazioni”) 
e le seviziano e  torturano per ore, fino ad ammazzarne una e per poco anche l’altra (che si salvò solo perché finse di essere morta).
Questi giovani si sentivano 
onnipotenti perché benestanti; 
cresciuti nella bambagia, protetti e viziati, i criminali del DdC erano proprio per questo spinti alla violenza, convinti che nessuno avrebbe potuto “toccarli”.
“Chi non ha vissuto altro che sicurezza, pace e confort, è affamato di pericolo, sfide e violenza”.
Albinati ci illustra anche le ragioni e gli 
scopi della violenza (sessuale in special modo): essa è soddisfatta dalla violenza stessa, che genera sofferenza nella vittima e di questo il carnefice gode: se la vittima degli abusi dovesse “accidentalmente” morire, la violenza verrebbe a cessare  e il piacere si interromperebbe.
Il 
rapporto colpevole-vittima è molto complesso e Albinati ci ricorda come il primo si senta addirittura giustificato e quasi costretto a commettere certi soprusi per ristabilire una sorta di ordine, di giustizia. Come lo fa? Punendo la debolezza, fisica e psichica, che le due ragazze coinvolte nel terribile DdC rappresentavano, nel loro essere poco avvenenti, “anonime” e di certo non benestanti (non borghesi).
Quanta responsabilità ha la scuola cattolica nell’aver “cresciuto” nel proprio seno il seme di questi mostri, ignorandone l’aggressività latente che poi si sarebbe rivelata nel modo peggiore?
E quanta ne hanno avuta il QT e le singole famiglie stesse?
“Un     delitto come  quello (…) fu un       fatto    eccezionale    nel      QT      e,        come  tale, avrebbe           dovuto            essere isolato nella   coscienza       degli   abitanti,          tanto   era      alieno dalla            loro     mentalità        e dall’esperienza            comune. (…) Quel      delitto  non      strinse  affatto gli        abitanti            del       QT       in            un        comune           sentire, li          terrorizzò         e          li rese      sospettosi        l’uno    dell’altro.         Li         spinse  addirittura        a          dubitare           di         se         stessi,            che      è          la         scissione          più       grave. (…)Invece        che      essere  sterilizzata       dalla            saldezza          morale,            la        piaga    infettò e          diffuse la        totale incertezza        su        chi       aveva   fatto    cosa,    e          perché,            e          su       chi       era       comunque            capace di         farlo,  disposto,          pronto  a farlo,   in        ogni    casa,   in        ogni    strada, in        ogni    classe  scolastica        o         gruppo            di            amici  o         famiglia,         il         delitto si moltiplicò        con     un       effetto            di        rifrazione       che     lo        rendeva          infinitamente  possibile,         gli       elementi         di        cui      si componeva     erano   in         effetti  comuni            e          disponibili       ovunque (…)Il            crimine           era            gratuito,          il         crimine           era      per      dilettanti         puri,    cioè,   alla     portata            di            tutti. Facile,  praticabile,     a         nessuno          era      precluso         esserne           autori  o         vittime.           Lo            sdegno            dei      primissimi      giorni cedette il         posto  a         una     nuova consapevolezza          che     dava   i          brividi:           la        scoperta,          cioè,   che     i          margini            di prevenzione    e          di         protezione       contro  quello  che      era       successo          erano   molto   più       esigui            di         quanto si         pensasse,anzi, quei    margini           non     esistevano      affatto.           Non    erano            mai     esistiti.”.
Lettori, io mi fermo perché, davvero, su questo libro si potrebbe dire tanto perchè di materiale ce n'è ma se continuassi, quella che dovrebbe essere una recensione, rischierebbe di diventare una relazione su un saggio.
Il “problema”, per quel che mi riguarda, è stato che la lettura di questo tomone l’ho affrontata come se si trattasse di un testo universitario da studiare, perché tutto è fuorchè un romanzo…
Per carità, sapevo che l’argomento era il Delitto del Circeo (e in fondo è stato proprio questo ad attirarmi) ma non pensavo che per parlarne si partisse da Adamo ed Eva e che si trattassero tanti altri fatti e argomenti (e lungaggini) più o meno collaterali.
La “fortuna” è che lo stile dell’Autore è abbastanza piacevole e scorrevole (forse non sempre purtroppo...), grazie al suo acume, alla sua ironia e alla sua lucidità nel raccontare i fatti, nel mescolare, quasi senza fartene accorgere, finzione e realtà.
Però…, ci sono parecchi però, tutti sintetizzabili in questo mio personalissimo parere: troppo lungo, dettagliato, anche ripetitivo nel parlare di determinati temi, specialmente il sesso a tutti i livelli e a tutto spiano, la borghesia ecc.., in un linguaggio spesso filosofeggiante e poco (per me!) attraente.
Insomma, troppa roba, e alla fine sembra che invece di leggere si finisca per studiare.
Ci sono diversi spunti di riflessione su tanti ambiti e peculiarità della società e dell’essere umano, che ci appare un po’ come un animale affamato di sesso e potere.
L’ho già detto che è stato faticoso e lungo leggerlo? Beh, che l'abbia fatto o meno, lo dico lo stesso, tanto avrò impiegato comunque meno di 1200 pp. a dirvelo ^_^
Se avete pazienza, leggetelo; ha i suoi pregi, non ci sono dubbi, ma io ho rischiato di dimenticarli nel corso della lettura per la sua prolissità…
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35. Un libro scelto tra i 12 finalisti  del premio Strega 2016 |