Un libro intenso, carico di introspezione, che racconta una storia delicata e forte insieme, in cui la protagonista, tra macerie e calcinacci materiali e interiori, e le ombre di un passato che ruota attorno all'ingombrante assenza di un padre scomparso, deve confrontarsi con i propri fantasmi, le proprie fragilità e la necessità di una ristrutturazione di se stessa e del proprio futuro
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ADDIO FANTASMI
di Nadia Terranova
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Ed. Einaudi
208 pp
17 euro |
Ida Laquidara ha trentasei anni, vive a Roma col marito Pietro, con cui è sposata da dieci anni, e quando sua madre la chiama, chiedendole di tornare a Messina perchè il tetto della loro casa sta lì lì per crollarle addosso e c'è tanta roba da buttare, la donna parte e raggiunge la casa e i luoghi natii.
E' un viaggio dentro quelle stanze tra le quali è nata e cresciuta, e tra quelle spoglie mura, attualmente impolverate e sporche di calcinacci, la sua vita è rimasta ferma, incagliata, mozzata.
Ida è scostante e fredda verso sua madre, insofferente verso la pretesa di coinvolgerla nelle ricostruzioni della vecchia e umida abitazione (che la donna è intenzionata a vendere) dalla quale è fuggita anni fa per provare a scrollarsi di dosso
la tristezza di una perdita mai elaborata; fuga che però ha funzionato a metà, visto che in lei, nel suo cuore, continua a persistere una sorta di timore ad aprirsi completamente agli altri.
Ida è una donna irrisolta e a complicare i suoi rapporti con la mamma c'è il dolore per un fatto drammatico capitato ventitrè anni prima, quando suo padre Sebastiano è scomparso. Non è morto, il suo corpo non è mai stato ritrovato, nè vivo nè cadavere: semplicemente una mattina è andato via e non è piú tornato.
La protagonista, nonché voce narrante, tornata nella sua vecchia casa, inevitabilmente si guarda non solo attorno, con lo sguardo fisso sugli oggetti che le sono appartenuti - sembra un'altra vita! -, ma ancor di più sul passato, anche perchè è lì che la sua mente e il suo cuore sono ancorati.
Sua madre vorrebbe che la figlia si occupasse in prima persona dei lavori di ristrutturazione e le chiede di controllare tutte quelle cose che vuol conservare e quelle di cui invece vuol disfarsi; Ida, pigramente e di mala voglia, obbedisce ma sa già che c'è solo un oggetto cui tiene e che le preme ritrovare, prima che sua madre possa buttarlo: una scatoletta di ferro rossa.
Cosa c'è lì dentro di tanto importante? Perchè desidera conservarlo?
Ida è costretta a fare i conti con il proprio passato, il proprio dolore, con il trauma che l’ha segnata quando era solo una ragazzina di tredici anni: perchè lei, la scomparsa improvvisa e inspiegabile del padre, non l'ha mai superata, è un fardello sul cuore che si porta dietro da anni, che l'ha resa monca, "marchiata", come se nella sua famiglia e in lei stessa ci fosse un'anomalia, una macchia di vergogna indelebile, che non è stato possibile eliminare.
Perché davanti alla morte, uno alla fine trova consolazione, si rassegna, continua sì a soffrire ma quanto meno ha un corpo da piangere, una lapide da visitare, un lutto da affrontare e rielaborare.
Ma suo padre...? Non sapendo cosa gli sia accaduto e perchè se ne sia andato, Ida e sua madre hanno dovuto accettare impotenti una scelta fatta dall'uomo senza fornire spiegazioni e convivere con mille perplessità, domande, sensi di colpa.
Benchè fosse una ragazzina, Ida ricorda come stesse suo padre prima di lasciarle: abbandonato il lavoro di professore delle superiori, era caduto in depressione; farmaci, lunghi giorni trascorsi a letto, mancanza di stimoli e di voglia di vivere, silenzi...
La malattia ha tolto a Ida un padre affettuoso e attento, sia quando era ancora in casa e lei si prendeva cura dell'uomo, ormai chiuso in se stesso, sia successivamente, quando l'ha perso perchè se n'è andato.
E di quella scelta paterna, portatrice di tanta sofferenza, rabbia e solitudine, Ida ha sempre incolpato sua madre, che probabilmente non è stata capace di trattenere il marito, di amarlo come meritava.
E infatti, anni e anni dopo, quando ormai è una donna adulta,
tra madre e figlia c'è un muro di incomunicabilità, vacillando tra silenzi feroci e scambi di battute caustiche, entrambi carichi di rancore.
E se c'è una cosa che suo malgrado Ida ha imparato a praticare è
l'arte del silenzio; la scomparsa del padre ha aperto
una voragine di dolore inespresso e di solitudine incolmabile, una cappa di infelicità resa rumorosa dal grande assente, da questo padre mai morto, rimasto come eternamente sospeso nei ricordi di un passato lontano, che se in certi momenti torna vivido nella mente di Ida, riempiendola di una nostalgia dolce-amara, in altri ella pare addirittura dubitare che quel padre sia mai esistito, che sia mai esistita quella bimba che orgogliosa andava sui pattini a rotelle che proprio il genitore le aveva regalato.
Crescendo, il dolore per l'assenza non la lascia, anzi lo ritroviamo nella sua nuova vita a Roma; scappando da una famiglia monca e piena di silenzi, Ida questi modi di essere se li è portati dietro e hanno condizionato anche la sua relazione con il marito Pietro, per lei salvezza e naufragio insieme.
La paura di poter affidare la propria vita e la propria felicità nella mani di qualcuno, che da un giorno all'altro potrebbe andarsene e non tornare più, l'ha spinta a fondare la propria relazione sentimentale sulla distanza, sull'evitare il pieno coinvolgimento, anche sul piano fisico oltre che emozionale.
Pietro c'è e per lei è un porto sicuro, una presenza rassicurante, colui che si prende cura di lei, ma al contempo al loro matrimonio è come se mancasse qualcosa...
"Cosí era avvenuto che amasse me e soltanto me, e che quell’amore, anziché accudire, ferisse."
Anche sul fronte del lavoro, qualcosa dell'angoscia accumulata, dei fantasmi che l'hanno seguita da quella casa piena di povere e rovine, s'è riversata inesorabilmente portandola a cercare nella scrittura e nell'invenzione di storie (che vengono lette in radio) un modo per sopravvivere, per evitare il naufragio:
"Nelle mie finte storie vere mettevo parte del mio dolore e dell’acqua che esondava dal passato, e speravo che la scrittura sarebbe bastata a salvarmi, ma poi arrivava un mormorio, il disturbo di una voce a suggerirmi che la gratitudine non è sufficiente per non far annegare un matrimonio."
L'esistenza di Ida è la dimostrazione di come sia facile amare un assente, convivere con la memoria di chi ci ha lasciati per anni, lasciandosi divorare da quella mancanza e allo stesso tempo imparando a fare finta di niente per dissimulare il dolore o a chiudersi nei propri problemi senza condividerli con nessuno, neppure con l'unica amica avuta negli anni dell'adolescenza.
C'è sempre, nel modo di vivere le proprie angustie, il rischio di diventare sordi e ciechi rispetto a quelle altrui, finendo per compiangersi e considerare egoisticamente i propri problemi più seri e gravi di quelli che affliggono il prossimo, ma le vicende personali di Nikos - un ragazzo ventenne, figlio dell'uomo cui sua madre ha chiesto di occuparsi dei lavori dentro casa - le darà modo di confrontarsi con altre terribili sofferenze, mancanze, perdite altrettanto difficili da elaborare.
Ritornare nella casa d'infanzia è per Ida fonte di turbamento, riapre ferite mai rimarginate, ma è probabilmente l'unico modo per affrontare i fantasmi che l'assillano e che popolano i suoi incubi e le notti insonni, e per trovare la forza e la motivazione per spezzare il sortilegio che la tiene ancorata al ricordo di quel padre fuggito che lei deve poter lasciare andare.
L'autrice non ci dice che fine abbia fatto il padre, perchè abbia lasciato moglie e figlia; piuttosto dà voce a chi resta, alle contrastanti emozioni che lo animano, al dover, ogni giorno e per tutta la vita, fare i conti con l'assenza, il vuoto, il senso di impotenza, e non ultimo, alla necessità di elaborare tutto questo.
"Addio fantasmi" è un romanzo che esprime con delicatezza, profondità e onestà il mondo interiore di una donna che si trova a dover ritrovare se stessa e la propria felicità facendosi spazio non solo tra i ruderi e gli oggetti ingombranti, per lo più inutili, che riempiono le stanze in cui è cresciuta, ma ancor di più tra le macerie che ha accumulato dentro di sè.
Ida è abituata al silenzio pesante che riempiva la casa di un'atmosfera cupa, triste, colpevole; è abituata a rispondere ai tentativi di approccio materni col mutismo, con l'indifferenza, a volte con frasi che sono stilettate nel cuore per entrambe; è cresciuta invidiando la felicità altrui, rubata attraverso i muri sottili che separavano la sua famiglia, mutilata, dai vicini, esempio di una vita famigliare serena, felice. Ciò che la sua non è mai stata.
C'è da ricostruire, e la ristrutturazione materiale è specchio di quella, più necessaria, interiore, affinchè i ricordi smettano di essere uno spauracchio che disturbano il presente e rendono nebuloso il futuro, gli incubi e le ossessioni si diradino fino a dileguarsi, le ferite non si allarghino e la tristezza smetta di far sentire il proprio richiamo davanti alla quale non si può far altro che arrendersi.
C'è in queste pagine il dolore, la fatica del vivere, il non riuscire a superare traumi e come questo renda difficile gestire in modo equilibrato e sereno i rapporti con le persone a noi più vicine, ma c'è anche la consapevolezza di dover cambiare, andare avanti, perchè è la vita stessa a chiedercelo con insistenza.
E l'Autrice ha saputo esprimere queste emozioni complesse con un linguaggio intriso di malinconia, intenso, evocativo, introspettivo, che, cattura la sensibilità del lettore permettendogli di guardare dentro i sentimenti, le paure, i limiti della protagonista, scavando nelle pieghe più profonde della sua anima.
Un romanzo che mi ha rapita ed emozionata.