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domenica 19 aprile 2020
Recensione film: "L'IMMORTALE" di Marco D'Amore
Da fan di Gomorra - La Serie, in attesa della quinta stagione, non potevo di certo perdermi la visione de L'Immortale, il film incentrato sull'amato personaggio Ciro Di Marzio e diretto da Marco D'Amore stesso; accanto a lui, Giuseppe Aiello, Salvatore D'Onofrio, Gianni Vastarella, Marianna Robustelli, Martina Attanasio, Nello Mascia.
"Ho campato tutta la vita con la morte vicino a me. Non ho paura di morire".
Non iniziano a chiamarti l'Immortale tanto per dare fiato alla bocca.
Il destino di Ciro Di Marzio è scritto e deciso sin da quando, piccolino, sopravvive miracolosamente tra i cumuli di macerie causati dal terremoto del 1980.
Quel Ciro bambino e indifeso adesso è un uomo; un uomo che è sopravvissuto a tanti agguati e tentativi di farlo fuori; del resto, se vivi all'insegna del doppiogioco e dei tradimenti, non puoi aspettarti altro che te la facciano pagare, prima o poi.
Ma se c'è una cosa che capiamo di questo antieroe, di questo criminale che ha scelto di seguire la via del Male anche a costo di grandi perdite, che sa essere spietato, cinico e violento, è che la determinazione che guida le sue azioni è, ormai, priva di paura: uno che ha già perso ciò che di più importante aveva - la famiglia -, non ha più nulla da perdere. C'è davvero qualcosa che può ancora fargli paura?
Eppure Ciro non è di certo un robot, non è una macchina da guerra senza sentimenti, e benché il più delle volte sembri anaffettivo e antiempatico, in realtà è costantemente angosciato e tormentato dai demoni e dagli errori del passato, che lo seguono ovunque vada.
Lo hanno seguito quando ha lasciato Napoli per andarsene ad espiare la proprie malefatte in Bulgaria (inizio terza stagione); lo hanno spinto già nella acque del Golfo di Napoli quando si è sacrificato per salvare l'amico fraterno Genny da Sangue Blu; gli restano attaccati addosso anche quando da quelle acque viene ripescato in fin di vita, e ancora quando lascia nuovamente Napoli per recarsi in Lettonia e occuparsi di spaccio di droga per conto di don Aniello, al servizio dei russi.
Qui rivede, dopo molti anni, Bruno, una persona che ha segnato la sua infanzia e la prima parte della sua vita.
Inevitabilmente si riaffacciano i ricordi e basta poco per tornare indietro nel tempo: Ciro ha dieci anni, è orfano e continua a sopravvivere, conducendo una vita fatta di espedienti insieme ad alcuni suoi coetanei, tra le pericolose strade di Napoli.
Come purtroppo spesso accade, questi ragazzini soli, senza una famiglia solida alle spalle che se ne prenda cura, finiscono per diventare facile preda dei criminali del posto, ed è ciò che succede anche al piccolo Ciro, che sarà pure magrolino ma è svelto, scaltro e già dimostra la grinta e la cazzimma che lo caratterizzeranno negli anni a venire.
Proprio perché sveglio e senza paura, pronto a ubbidire agli ordini dei grandi ai quali offre i propri "servigi", diviene il pupillo di uno di loro, Bruno (lo stesso che rivede a Riga, in Lettonia, anni dopo), il quale lo coinvolge nei propri illeciti affari e nella propria ambizione di non essere sottomesso ad altri ma di poter gestire attività criminali da solo.
Bruno è fidanzato con Stella, una bella ragazza con la passione del canto, e Ciro vede in questa coppia di amici quella famiglia che lui non ha mai avuto.
Ma ancora una volta dovrà fare i conti con la dura e crudele realtà di Secondigliano, con una vita che non fa sconti a nessuno, neanche a un bambino.
La narrazione del passato - nel quale veniamo a conoscenza dell'infanzia e dell'educazione criminale dell'Immortale, e che offre elementi capire come si è evoluto il personaggio e come certe cose del passato non l'abbiano mai abbandonato, anzi, abbiano contribuito a renderlo l'adulto che è - si incrocia con il presente, che vede un duro e distaccato Ciro alle prese con lo sporco business della droga e al centro di una faida tra criminali lettoni, e dove conoscerà altri napoletani, tra i quali c'è, appunto, Bruno.
Come è inevitabile in un mondo marcio come questo, Ciro sa di non potersi fidare di nessuno, che deve continuamente guardarsi le spalle e ricordarsi che il nemico non va mai lasciato vivere (del resto, lo chiamano Ciro l'Immortale, non Ciro "il misericordioso").
Come dicevo all'inizio, ci tenevo a vedere questo film di Marco D'Amore e, sin da da quando era venuta fuori la notizia, mi incuriosiva molto l'idea di questo spin-off, di un capitolo dedicato interamente al suo personaggio (mi piace che l'abbia diretto lui stesso), che ho sempre trovato interessante, enigmatico, ambiguo, e che affascina proprio per la sua complessità: dietro lo sguardo duro e cupo e dietro i suoi silenzi eloquenti, c'è un uomo che paga ogni giorno dentro di sé il peso di scelte e sbagli, e ancora più in fondo, c'è un bambino (interpretato da un bravissimo ed espressivo Giuseppe Aiello), che ha dovuto contare sulla propria forza e intraprendenza per farsi strada in un mondo di adulti senza scrupoli.
Il film si colloca tra la quarta e la quinta stagione della serie e infatti il finale apre nuovi scenari in vista del prossimo appuntamento con Gomorra.
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cinema
venerdì 17 aprile 2020
In lettura: FEBBRE di Jonathan Bazzi
La mia nuova lettura:
FEBBRE di Jonathan Bazzi (Fandandgo Libri).
Jonathan ha 31 anni nel 2016, un
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Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio.
La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test dell’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato.
A partire dal d-day che ha cambiato la sua vita con una diagnosi definitiva, l’autore ci accompagna indietro nel tempo, all’origine della sua storia, nella periferia in cui è cresciuto, Rozzano – o Rozzangeles –, il Bronx del Sud (di Milano), la terra di origine dei rapper, di Fedez e di Mahmood, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per lavori da poveri, dei tamarri, dei delinquenti, della gente seguita dagli assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano.
Dai cui confini nessuno esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche furto e nel peggiore dei casi si muore. Figlio di genitori ragazzini che presto si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di salvezza e di riscatto, dalla predestinazione della periferia, dalla balbuzie, da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e che lo rendono diverso.
Un libro spiazzante, sincero e brutale, che costringerà le nostre emozioni a un coming out nei confronti della storia eccezionale di un ragazzo come tanti. Un esordio letterario atteso e potente.
mercoledì 15 aprile 2020
Recensione: BULL MOUNTAIN di Brian Panowich
Le pagine di questo bellissimo romanzo trasudano di amore per la propria terra, ma non sempre questo amore è benefico: quando esso si tramuta in un senso di appartenenza primitivo, belluino e prepotente, rischia di divenire "malato" e quella stessa terra, invece di essere sinonimo di vita e legami famigliari, si sporca di sangue e di morte, divenendo velenoso.
BULL MOUNTAIN
di Brian Panowich
NN Editore trad. Nescio Nomen 304 pp 18 € |
"Questo libro è per chi ama camminare in montagna per poter guardare le nuvole dall’alto, per chi decide ogni giorno di smettere di fumare e di bere, per chi indossa camicie di flanella rosse e blu, e per chi ha capito che appartenere a una terra, a una famiglia o a una persona non vuole dire possederla ma amarla con tutto il cuore."
I protagonisti di questo romanzo sono i Burroughs, una famiglia di cui seguiamo le vicende narrate nell'arco di tre generazioni, a partire dal capostipite Cooper (e suo fratello Rye), proseguendo con il figlio Gareth e con la prole di quest'ultimo, Clayton e Halford.
I Burroughs dominano a Bull Mountain, ne sono praticamente i padroni; tra quelle aspre montagne tutti li rispettano, o meglio li temono: essi sono noti per il caratteraccio ruvido, burbero, il temperamento violento, l'arroganza e la freddezza spietata nello sbrigare ogni faccenda e risolvere a modo loro problemi e grane.
Supportati da schiere di fedeli seguaci armati fino ai denti, i Burroughs sono invincibili e detengono da generazioni il pieno controllo della zona, trafficando in whiskey di mais, marijuana e metanfetamina.
Benché ogni capitolo si concentri di volta in volta su un personaggio (collocato in un preciso anno) e sul suo ruolo nelle dinamiche della storia, possiamo dire che uno dei protagonisti è sicuramente Clayton Burroughs.
Terzo figlio di Gareth, Clayton è considerato dai suoi un traditore della famiglia perché ha deciso di lasciarsi alle spalle le proprie discutibili origini sposando la bella Kate e diventando lo sceriffo della città a valle.
Una vita tranquilla e rispettosa della legge: questo vuole per sé e per Kate, il buon Clayton; per suggellare le buone intenzioni, sta cercando anche di tenere lontano l'alcool, per non rischiare di diventare un ubriacone violento, come è stato suo padre.
Un padre che non ha mai dimostrato grande stima per il suo ultimogenito, preferendogli i più coriacei, rudi e più simili a lui, Halford e Buckley (quest'ultimo ha fatto una brutta fine, ammazzato dalla polizia per i suoi loschi crimini).
L'esistenza pacifica - e lontana dal fratello - dello sceriffo viene interrotta quando l’agente federale Simon Holly minaccia di distruggere l’impero dei Burroughs e chiede a Clayton di intervenire, provando a proporre ad Halford una sorta di offerta vantaggiosa: se fa i nomi dei criminali con cui traffica e che gli forniscono armi illegali, lui verrà lasciato in pace, a patto però che rinunci anche al commercio di speed.
Clayton non è un ingenuo: sa benissimo che il bifolco fratello non rinuncerebbe agli affari (non certo per il danaro, che comunque ha a palate) né tradirebbe gli uomini con cui traffica; anche i delinquenti hanno un "contorto senso dell'onore" da rispettare!
Lo sceriffo fiuta i guai che gli causerebbe il mettersi in mezzo a questa indagine federale, ed è proprio ciò che gli sta chiedendo di fare l'agente Holly: incontrare il fratello maggiore - che lo odia - e convincerlo a scendere a patti con la giustizia.
Eppure, nonostante i dubbi suoi e gli avvertimenti della saggia e amorevole consorte, lo sceriffo Burroughs cede e decide di provare a far ragionare il fratellone, che lo accoglie - insieme ai propri scagnozzi - con i fucili puntati.
Tornando in quella che è stata la sua casa, Clayton è costretto ad affrontare i ricordi, le paure, il disprezzo della famiglia e la volontà di redimere un passato di tradimenti, sangue e violenza.
Le vicende narrate racchiudono un periodo che va dal 1949 al 2015, con incursioni negli anni '70 e '80, necessarie per comprendere le dinamiche del presente.
Come dicevo più su, i capitoli si susseguono dal punto di vista dei personaggi principali e veniamo trasportati dal presente al passato e viceversa.
Siamo in Georgia, e se c'è una cosa che conta tra queste montagne e questi boschi è l'attaccamento alla terra, alla propria casa, alla famiglia.
Lo sfondo naturalistico non è secondario, anzi, è una cornice importante; tra queste pagine anche il lettore si sente parte dello stesso cielo, gli sembra di respirare il forte odore della terra fredda e umida di rugiada, dell'erba bagnata, il profumo della resina degli alberi, quello della mattina presto su in montagna (che solo chi vi è nato e cresciuto sa identificare), quello cattivo degli escrementi degli animali; gli sembra di sentire il coro caotico di rane e grilli o quello più melodioso degli uccelli.
Questa asperità tipica della natura inviolata si riflette nella gente che vive in queste terre: semplice, rustica, rozza; i selvaggi e i maneschi non mancano, spacciano droga e perpetrano violenze senza troppi problemi e sensi di colpa; alzare il gomito, e ingollare whiskey come se fosse succo di frutta, è di prassi.
Gli uomini della montagna hanno il volto indurito, segnato dal peso delle fatiche di un'esistenza spesa a contatto con la terra ma anche da quello altrettanto (se non di più) ingombrante delle attività criminali portate avanti che, se da una parte danno soldi, fama e rispetto, dall'altra portano anche pensieri, preoccupazioni, l'ossessione di essere fregati e traditi, anche da chi è parte della stessa famiglia.
Famiglia: una parola che compare non di rado in questa storia, ma non facciamoci abbagliare dal suono rassicurante che solitamente l'accompagna: a Bull Mountain, tra i Burroughs, per essere membro della famiglia non è indispensabile il legame di sangue, quanto piuttosto la fedeltà assoluta e muta a chi comanda in casa.
Qui chi comanda pretende sottomissione assoluta; guai a pestargli i piedi: tutti sanno che "i re di Bull Mountain" sono senza dubbio persone intelligenti e scaltre ma altresì privi di buone maniere e sensibilità, aggressivi, prepotenti, criminali incalliti, assassini; non hanno alcun rispetto per il prossimo e l'unica cosa che conta per loro è che gli altri tremino in loro presenza, li temano e non intralcino in alcun modo i loro affari.
Come trattano le donne questi uomini veementi e tracotanti?
Come oggetti privi di valore, e lo vediamo nel rapporto tra Gareth e sua moglie Annette e nelle vicende tristi e drammatiche che vedono protagonista una giovane prostituta sfregiata da un Gareth nervoso, manesco e ubriaco(inizialmente la storia di questa ragazza può sembrare una parentesi che poco c'entra coi Burroughs, ma nel corso della lettura si fa chiaro il legame che la unisce a loro).
L'unico Burroughs a distinguersi è Clayton, che ama e rispetta sua moglie Kate, anzi, deve molto a lei la scelta di diventare sceriffo e di non seguire la cattiva strada segnata dalla sua famiglia di fuorilegge.
Il personaggio del federale Simon Holly si presenta come ambiguo e sfuggente per poi diventare man mano più chiaro e predominante.
Bull Mountain mi è capitato per caso su Kindle Unlimited ed è stata una lettura sorprendente e ad alto coinvolgimento: una volta iniziato non sono riuscita a fermarmi; ci sono elementi crime, noir, c'è tutta la tensione emotiva tipica degli intrecci delle saghe famigliari; la storia della famiglia Burroughs, raccontata a turno da tutti i personaggi, tiene incollato il lettore per il suo ritmo incalzante, i dialoghi serrati, per lo sviluppo narrativo avvincente, per le dinamiche innescate da tutti i personaggi che intervengono (anche i secondari) e infine per l’imprevedibile epilogo.
Come dicevo più su, i capitoli si susseguono dal punto di vista dei personaggi principali e veniamo trasportati dal presente al passato e viceversa.
Siamo in Georgia, e se c'è una cosa che conta tra queste montagne e questi boschi è l'attaccamento alla terra, alla propria casa, alla famiglia.
«Quassù esiste una sottile simbiosi tra la terra e chi la considera la propria casa (...) È qualcosa di viscerale. Qualcosa che gli abitanti del posto non si sono guadagnati né hanno dovuto lottare per ottenere. È un diritto di nascita e sono pronti a combattere fino alla morte se qualcuno minaccia di sottrarglielo. È parte integrante di ciò che sono, di ciò che siamo».
«È casa. Casa nostra. Si stende a perdifiato e appartiene a noi, a te. Non esiste nulla di più importante. Bisogna essere disposti a fare di tutto perché resti così. Persino qualcosa di molto sgradevole».
Lo sfondo naturalistico non è secondario, anzi, è una cornice importante; tra queste pagine anche il lettore si sente parte dello stesso cielo, gli sembra di respirare il forte odore della terra fredda e umida di rugiada, dell'erba bagnata, il profumo della resina degli alberi, quello della mattina presto su in montagna (che solo chi vi è nato e cresciuto sa identificare), quello cattivo degli escrementi degli animali; gli sembra di sentire il coro caotico di rane e grilli o quello più melodioso degli uccelli.
Questa asperità tipica della natura inviolata si riflette nella gente che vive in queste terre: semplice, rustica, rozza; i selvaggi e i maneschi non mancano, spacciano droga e perpetrano violenze senza troppi problemi e sensi di colpa; alzare il gomito, e ingollare whiskey come se fosse succo di frutta, è di prassi.
Gli uomini della montagna hanno il volto indurito, segnato dal peso delle fatiche di un'esistenza spesa a contatto con la terra ma anche da quello altrettanto (se non di più) ingombrante delle attività criminali portate avanti che, se da una parte danno soldi, fama e rispetto, dall'altra portano anche pensieri, preoccupazioni, l'ossessione di essere fregati e traditi, anche da chi è parte della stessa famiglia.
Famiglia: una parola che compare non di rado in questa storia, ma non facciamoci abbagliare dal suono rassicurante che solitamente l'accompagna: a Bull Mountain, tra i Burroughs, per essere membro della famiglia non è indispensabile il legame di sangue, quanto piuttosto la fedeltà assoluta e muta a chi comanda in casa.
Qui chi comanda pretende sottomissione assoluta; guai a pestargli i piedi: tutti sanno che "i re di Bull Mountain" sono senza dubbio persone intelligenti e scaltre ma altresì privi di buone maniere e sensibilità, aggressivi, prepotenti, criminali incalliti, assassini; non hanno alcun rispetto per il prossimo e l'unica cosa che conta per loro è che gli altri tremino in loro presenza, li temano e non intralcino in alcun modo i loro affari.
Come trattano le donne questi uomini veementi e tracotanti?
Come oggetti privi di valore, e lo vediamo nel rapporto tra Gareth e sua moglie Annette e nelle vicende tristi e drammatiche che vedono protagonista una giovane prostituta sfregiata da un Gareth nervoso, manesco e ubriaco(inizialmente la storia di questa ragazza può sembrare una parentesi che poco c'entra coi Burroughs, ma nel corso della lettura si fa chiaro il legame che la unisce a loro).
L'unico Burroughs a distinguersi è Clayton, che ama e rispetta sua moglie Kate, anzi, deve molto a lei la scelta di diventare sceriffo e di non seguire la cattiva strada segnata dalla sua famiglia di fuorilegge.
Il personaggio del federale Simon Holly si presenta come ambiguo e sfuggente per poi diventare man mano più chiaro e predominante.
Bull Mountain mi è capitato per caso su Kindle Unlimited ed è stata una lettura sorprendente e ad alto coinvolgimento: una volta iniziato non sono riuscita a fermarmi; ci sono elementi crime, noir, c'è tutta la tensione emotiva tipica degli intrecci delle saghe famigliari; la storia della famiglia Burroughs, raccontata a turno da tutti i personaggi, tiene incollato il lettore per il suo ritmo incalzante, i dialoghi serrati, per lo sviluppo narrativo avvincente, per le dinamiche innescate da tutti i personaggi che intervengono (anche i secondari) e infine per l’imprevedibile epilogo.
Panowich dimostra tutta la sua grande abilità narrativa attraverso il racconto di una storia di terra e sangue, di amore e odio, di vendette, soprusi, criminalità, dissapori famigliari, e in una cornice aspra e ricca di fascino inserisce personaggi forti, ben definiti, che inevitabilmente generano simpatie o antipatie nel lettore.
In questo primo capitolo della saga famigliare alla fine ciò che conta e resta non è l'egoistico possesso di un luogo fisico, quanto l'amore nutrito per esso e che spinge a fare scelte dolorose ma oneste verso se stessi, come distruggere le proprie radici quando si fanno velenose perché quello è l'unico modo per onorarle e proteggerle davvero.
La saga di Bull Mountain prosegue con il secondo episodio, Come i leoni.
Vi lascio con questo brano citato nel romanzo e non posso che consigliarvelo!
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martedì 14 aprile 2020
Recensione: TRAFFICI NOTTURNI di Barry Eisler
Cambiare nome, vita, Paese e sperare, così, di neutralizzare i demoni del passato.
Ma se c'è un segugio fedele quello è proprio il passato, e più è doloroso, più ti resta attaccato alla schiena come un giogo tutt'altro che leggero.
E se per liberartene fosse necessario attuare la più spietata delle vendette?
TRAFFICI NOTTURNI
di Barry Eisler
Amazing Crossing
trad. V. Merante
4,99€ eBook
9,99€ cartaceo
MARZO 2020
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E l'uomo che la sta cercando avrà presto modo diverificare personalmente le capacità, il sangue freddo e l'intuito di Livia Lone.
In un mondo in cui la legge non va sempre a braccetto con la giustizia, dove le autorità sono corrotte, e spie e cospirazioni politiche sono all’ordine del giorno, Livia e Dox si ritroveranno a dover capire di chi possono fidarsi e da chi devono guardarsi.
L'uomo - B.D. Little - è un agente speciale del Dipartimento di Sicurezza e vuole arruolarla in una task force del governo degli Stati Uniti contro dei trafficanti di esseri umani.
Destinazione: Thailandia.
Nonostante l'iniziale diffidenza, a Livia si rizzano le antenne e l'adrenalina prende a scorrerle come un fiume inarrestabile: il destino (o meglio la DIA) sta per metterle davanti l’opportunità per risolvere alcuni conti in sospeso del suo passato e tornare proprio nella sua terra natia, dove potrà finalmente stanare tutti coloro che da bambina l’hanno presa, venduta e violentata.
E se lei è sopravvissuta, seppur con enormi cicatrici nell'anima, qualcun altro a lei molto caro, no.
Sua sorella Nason - anch'ella venduta dai loro genitori a degli sporchi trafficanti - ha subito le stesse atrocità nella traversata dalla Thailandia agli USA, ma le due sono state divise e solo anni dopo Livia ha saputo della sua morte.
Il dolore per non aver saputo proteggere la sua amata sorella la perseguita, la lacera e negli anni ha generato in lei un profondo odio e una grande sete di vendetta verso tutti coloro che hanno fatto loro tanto male e continuano a farne a chissà quanti ragazzini innocenti!
Tra questi delinquenti (e purtroppo in mezzo a loro ci sono molti poliziotti) c'è un pezzo grosso di tale commercio clandestino: Rithisak Sorm.
Livia punta a lui ma per arrivare ad ammazzarlo deve passare sui cadaveri di altri esseri altrettanto meschini e luridi, che collaborano in questo maledetto traffico di esseri umani.
Così, determinata e super attrezzata, Livia parte per la Thailandia, riscoprendo odori, rumori, posti... che fanno inevitabilmente affiorare ricordi molto tristi, che lei si era illusa di aver sepolto in un cantuccio della propria mente.
Dopo aver "sistemato" i primi tre criminali, la detective Lone deve affrontare la parte più importante della propria missione; ma nel corso di essa, in un club di Pattaya, le cose non vanno come sperava, nonostante tutti gli accorgimenti presi.
Quello che doveva essere un piano ben congegnato si rivela essere una trappola.
Una trappola tesa per lei, sì, ma non solo: si ritrova, infatti, a collaborare con Dox, ex cecchino dei marines, che non ha niente in comune con lei, se non la volontà di fermare Sorm.
Ma mentre Livia lo vuole morto, Dox preferirebbe portarlo vivo a chi di dovere.
I due decidono di fare squadra; si sa, insieme si è più forti e ci si guarda le spalle, e infatti più di una volta l'uno salverà la pellaccia all'altra e viceversa.
Dox è un uomo simpatico, attraente, chiacchierone, intuitivo, generoso e Livia - che generalmente è molto diffidente verso tutti, in special modo verso il genere maschile - coglie immediatamente gli aspetti positivi dell'uomo, se ne sente anche attratta ma sa di dover restare lucida se vuol portare avanti la propria letale missione.
E poi nel suo cuore c'è un mare di dolore e di brutti ricordi che le impediscono di lasciarsi andare, di accettare con serenità le avances di un bell'uomo come Dox, il quale però - con la spontaneità e la gentilezza che gli sono propri - saprà aprirsi un varco nel cuore della bella Livia e nella sua corazza di freddezza e circospezione.
In un mondo in cui la legge non va sempre a braccetto con la giustizia, dove le autorità sono corrotte, e spie e cospirazioni politiche sono all’ordine del giorno, Livia e Dox si ritroveranno a dover capire di chi possono fidarsi e da chi devono guardarsi.
Riusciranno i due a ottenere l’agognata vendetta e a salvare delle vite innocenti?
"Traffici notturni" è il secondo volume della serie su Livia Lone e devo dire che mi è piaciuto molto; è un misto di spy-story, thriller, e ha anche una piacevole e leggera sfumatura rosa, che male non fa (gusto personale).
Mi piace la protagonista perché è una donna che, nonostante le sofferenze e le brutture subite, ha saputo rialzarsi, farsi una carriera in polizia e diventare una detective molto brava; certo, non è una santa... visto che, per motivazioni personali, è disposta a mettere da parte la legge per farsi giustizia da sola.
Stile molto scorrevole; i molti dialoghi e le sequenze dinamiche e d'azione rendono il ritmo incalzante; la presenza di Dox dà un tocco di leggerezza, essendo Livia tendenzialmente cupa e fin troppo concentrata sui propri propositi di vendetta, tanto da apparire a volte una "macchina da guerra"; ma il rapporto con l'ex-marines farà emergere le sue fragilità di donna e il bisogno di essere amata.
Consigliato in particolare agli amanti del genere.
Comincerò subito il primo volume, approfittando dell'offerta su Kindle Unlimited ^_^
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lunedì 13 aprile 2020
Anteprima libri || IN LIBRERIA A MAGGIO
- Torna il professore che è dalla parte dei ragazzi e amato dai genitori. Il professore che dà voce a un’intera generazione di adolescenti. Per la stampa e la televisione è una figura di riferimento. Dopo i bestseller Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi e Più forte di ogni addio, un nuovo libro pronto a lasciare il segno. Bisogna fidarsi dell’istinto e credere al proprio cuore. Ovunque ci conduca, vale la pena di seguirlo.
- Giulia Morgani, al suo esordio letterario, riesce, con l'abilità che può derivare solo dal talento, a incantare chi legge con le atmosfere gotiche e inquietanti di Centunoscale Scalo, paese immaginario ma che è naturale dipingersi mentalmente nell’entroterra dell’Italia centromeridionale.
- Con una scrittura limpida e poetica, Sara fruner ci offre una riflessione insieme intensa e lieve sull’imprevedibilità dei legami che ci forgiano. E se gli amori sono rimasti incompiuti, se sono Terminati troppo presto, ogni legame spezzato del nostro passato può avere una seconda, inattesa chance, che ci sorprende.
- Basato sulla corrispondenza privata tra Jane e Cassandra Austen, Miss Austen non soltanto rivela il rapporto di profondo affetto che ha legato la più amata delle scrittrici inglesi alla sorella maggiore, ma, attraverso lo sguardo in
DORMI STANOTTE SUL MIO CUORE di Enrico Galiano (Garzanti, USCITA 7 MAGGIO 2020)
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Mia sa che può sempre contare su Margherita, la sua maestra delle elementari che, negli anni, è diventata anche la sua migliore amica e ha risposto a tante delle sue domande.
Ma c’è una domanda a cui Margherita non sa rispondere: «Perché Fede è andato via?». Fede è il ragazzo che la famiglia di Mia ha preso in affido. Fede l’ha ascoltata e capita come nessuno mai. Da quando non ha più sue notizie, Mia non riesce ad avvicinarsi alle persone, non riesce nemmeno a sfiorarle. Mentre il mondo e la storia si inseguono e si intrecciano, lei si è chiusa in un guscio più duro dell’acciaio. E non vuole più uscire.
Ma se non si affronta un nemico, il rischio è che diventi sempre più forte, persino invincibile. Se non si va oltre l’apparenza non si conosce la realtà. Anche se provare a farlo è un’enorme fatica; anche se ci vuole molto tempo. Perché, come dice Margherita, ogni cuore ha la sua velocità: non importa chi arriva primo, basta godersi la strada verso il traguardo.
IL PAESE DALLE PORTE DI MATTONE di Giulia Morgani (Harper Collins, USCITA 14 MAGGIO 2020)
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È l'inizio di una nuova vita e di un futuro che si prospetta luminoso. Ma l'accoglienza che riceve non è quella che si aspetta: non è ancora sceso dal treno che lo porta a destinazione quando una donna gli dice, con uno sguardo ostile e ferino, che non è il benvenuto lì, che a Centunoscale se la possono cavare da soli.
Questo è solo il primo di una serie di incontri inquietanti. Incontri che portano con sé mille domande e interrogativi, mettendo a dura prova l'entusiasmo del giovane capostazione.
Chi sono davvero i suoi padroni di casa? E chi è il bambino, i capelli grigi come cenere, che vaga per le strade di Centunoscale? E perché quelle case diroccate, quei muri angoscianti di mattone? Cosa nascondono i paesani? Quale terribile segreto si cela dietro ai silenzi e alle stranezze di Centunoscale Scalo?
L'ISTANTE LARGO di Sara Fruner (Bollati boringhieri, USCITA 21 MAGGIO)
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È una zona buia troppo grande per ignorarle, ma l'amatissima nonna, l’anticonformista artista cilena Roçío Sánchez, che pur conosce ogni verità, è determinata a rivelarla solo dopo il traguardo dei diciotto anni: nel frattempo custodisce ciò che c'è da custodire dentro una scatola inaccessibile, lassù, sull'ultimo scaffale del suo studio.
Animo da detective, e scatola fuori portata, Macondo comincia indagine personale, raccogliendo indizi e aneddoti che colpisce dalla TRIAD di amici di roçío spesso radunati a casa loro, e dai foglietti che la nonna gli scrive strappandoli da un blocchetto che porta sempre appeso al collo: un intervento alla gola le ha portato via la voce e lei rimedia così, matita alla mano.
Macondo scoprirà presto di portare inscritto nel nome ben più del senso di solitudine ispirato dal paese inventato da Gabriel García Márquez: nel suo nome è racchiusa tutta la sua storia.
La sua ricerca d'identità diventa allora un cammino sia verso se stesso, sia verso chi lo ha amato, un percorso che lo conduce fino all'istante largo, soggetto di un quadro della nonna, ma soprattutto epifania di un momento che apre le porte della consapevolezza: la famiglia non è necessariamente una struttura costruita a priori, ma può assumere le forme più diverse, spuntare in situazioni in cui i legami di sangue non ricoprono alcun ruolo, diventare uno spazio immenso per chi ama.
MISS AUSTEN di Gill Hornby (Neri Pozza, USCITA 21 MAGGIO 2020)
Nel marzo del 1840, Cassandra Austen decide di recarsi nel vicariato di Kintbury, nel Berkshire, in visita a Isabella Fowle figlia del reverendo Fulwar Craven Fowle e di Eliza Lloyd, amica di vecchia data di lei e di sua sorella Jane. Il viaggio in carrozza dalla sua casa di Chawton a Kintbury è scomodo e alquanto dispendioso, ma è quanto mai opportuno.
MISS AUSTEN di Gill Hornby (Neri Pozza, USCITA 21 MAGGIO 2020)
Nel marzo del 1840, Cassandra Austen decide di recarsi nel vicariato di Kintbury, nel Berkshire, in visita a Isabella Fowle figlia del reverendo Fulwar Craven Fowle e di Eliza Lloyd, amica di vecchia data di lei e di sua sorella Jane. Il viaggio in carrozza dalla sua casa di Chawton a Kintbury è scomodo e alquanto dispendioso, ma è quanto mai opportuno.
Isabella Fowle si trova nella triste condizione, già nota a Cassandra, di dover abbandonare la casa in cui è vissuta fin dall’infanzia. Con la morte del vicario padre, la donna è rimasta infatti orfana di entrambi i genitori e, dal momento che non si è maritata, priva com’è di eredi maschi, dovrà lasciare il vicariato nelle mani di un certo Mr Dundas. Recare una parola di conforto in simili circostanze è, per Cassandra, doveroso.
Non è, tuttavia, la sola ragione che la spinge a Kintbury. Vi è un altro, fondamentale compito che la sorella di Jane Austen deve assolvere.
Un tempo, lei e Jane avevano inviato diverse missive personali a Eliza, lettere che ora possono trovarsi ancora in qualche dimenticato cassetto a Kintbury, col rischio di cadere in mani sbagliate. Cassandra è l’esecutrice letteraria della sorella, la protettrice del suo lascito.
Nel tempo che le rimane, farà tutto quanto in suo potere per cercare e distruggere qualsiasi prova possa compromettere la reputazione di Jane.
Quello che, tuttavia, Miss Austen non ha previsto giungendo a Kintbury, è l’ondata di nostalgia che la travolge non appena varca la soglia della canonica.
La prima volta che vi ha messo piede era infatti una giovane gentildonna con indosso il suo abito più bello. Promessa sposa di Tom Fowle, fratello di Fulwar, era stata accolta dalla famiglia al completo e dall’intera servitù schierata in solenne ammirazione…
domenica 12 aprile 2020
venerdì 10 aprile 2020
SERIE LETTERARIE INIZIATE CHE VORREI PROSEGUIRE (parte 1)
Ci sono delle serie letterarie che avete iniziato ma mai completato?
Io sì, e se per qualcuna non l'ho proseguita perchè magari il primo volume non mi aveva rapita ed estasiata, per tante altre la causa è da attribuire a due fattori principali:
- ho troppi libri in wishlist e scegliere la prossima lettura è sempre un (meraviglioso) dilemma;
- sono un po' allergica alle saghe e restia ad iniziarle; certo, una volta iniziate, sarebbe coerente terminarle... ma la perfezione non è di questo mondo!
Ad ogni buon conto, ci sono alcune serie che vorrei assolutamente proseguire/completare perchè quel che ho letto finora mi è piaciuto e non poco; devo solo organizzarmi ^_^ :
LA DETECTIVE LIVIA LONE di Barry Eisler
1. Livia Lone
2. Traffici notturni (The Night trade)
3. All the Devils (trama)
Attualmente ho in lettura il secondo volume, che mi sta piacendo un sacco e mi ha messo su una gran voglia di leggere il precedente per colmare le inevitabili lacune sul passato oscuro e doloroso della protagonista.
Sinossi primo vol.: (da Amazon)
Livia Lone, giovane detective della polizia di Seattle specializzata in indagini su crimini sessuali e abusi sui minori, porta a termine ogni incarico col massimo impegno, cercando di assicurare alla giustizia i mostri a cui dà la caccia. E quando la giustizia fallisce, Livia non esita a vendicare personalmente le vittime.
Ma Livia non è sempre stata Livia. Il suo vero nome è Labee, ed è nata sulle montagne thailandesi. Venduta da bambina insieme alla sorella minore Nason, approda in America dentro un container ed è più volte vittima di abusi. Ma dall’istante in cui perde le tracce della sorellina, l’unica cosa che le permette di rimanere in vita è la determinazione a ritrovarla.
Quando una nuova pista riaccende le sue speranze, a Livia non basta più essere un agente, e nemmeno una giustiziera. Dovrà rivivere gli orrori del passato per arrivare a scoprire una cospirazione di inimmaginabile crudeltà, fatta di trafficanti internazionali, bande criminali, suprematisti bianchi e legami con il potere politico.
1. Night School. Il segreto del bosco (Night School)
2. Il segreto della notte. Night School. (Legacy)
3. Il segreto dell'alba. Night School (Fracture)
4. Il segreto del silenzio. Night School (Resistance)
5. Il segreto del fuoco. Night School (Endgame)
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A quel punto, costretta di nuovo alla fuga, dovrà far ritorno in un luogo che può davvero chiamare casa: la Cimmeria Academy.
Ma quando arriva, a malapena riconosce quel posto…
Le tensioni sono palpabili, la maggior parte degli studenti diserta le lezioni, gli insegnanti non sono più punti di riferimento e le guardie controllano tutto. Nathaniel è vicino – molto vicino – a ottenere tutto ciò che vuole.
Nel disperato tentativo di fermarlo, Allie accetta di accompagnare Lucinda in una pericolosa missione durante la notte.
Ma così facendo, potrebbe mettere a repentaglio la vita dei suoi amici… Carter e Sylvain sono entrambi pronti a combattere al suo fianco e dimostrarle il loro amore. E Allie sa che deve decidere una volta per tutte chi vuole veramente.
Nessuno potrà aspettare per sempre.
Il tempo per l’indecisione è finito. Tutto è in gioco e chi vince prende tutto
1. Le Sette Sorelle. Maia
2. Ally nella tempesta
3. La ragazza nell'ombra
4. La ragazza delle perle
5. La ragazza della luna
Un'altra saga che amo e che ho intenzione di riprendere è quella di Lucinda Riley, LE SETTE SORELLE: mi piace perché la Riley crea intrecci narrativi complessi in cui mescola abilmente personaggi e fatti reali, storici, con elementi fittizi.
2. Ally nella tempesta
3. La ragazza nell'ombra
4. La ragazza delle perle
5. La ragazza della luna
6. La ragazza del sole
accetta un lavoro nella riserva naturale di Kinnaird. In questo luogo selvaggio e completamente isolato nelle Highlands scozzesi, si dovrà occupare di una razza felina a rischio di estinzione per conto di Charlie, l’affascinante proprietario della tenuta.
Qui Tiggy incontra Cal, il guardacaccia e coinquilino, che presto diventerà un caro amico; Zara, la figlia adolescente e un po’ ribelle di Charlie e Zed Eszu, corteggiatore insistente nonché ex fidanzato di una delle sorelle. Ma soprattutto incontra Chilly, un vecchio gitano che sembra conoscere molti dettagli del suo passato e di quello di sua nonna: la famosa ballerina di flamenco Lucía Amaya Albaycín. Davvero una strana coincidenza, ma Tiggy ha sempre avuto un intuito particolare, una connessione profonda con la natura.
Questo incontro non è casuale, è parte del suo destino e, quando sarà pronta, non dovrà fare altro che seguire le indicazioni di Pa’ Salt e bussare a una porticina azzurra nel Cortijo del Aire, a Granada.
lunedì 6 aprile 2020
Recensione: RAGAZZI DI ZINCO di Svetlana Aleksievic
Libri di voce sulla guerra: così definisce i propri documentari la Aleksievič, e Ragazzi di zinco lo è: tra queste pagine troviamo tante testimonianze che la scrittrice bielorussa ha raccolto nel corso di quattro anni, percorrendo in lungo e in largo l’Urss.
Sono i racconti di reduci e invalidi della guerra afghana, di vedove e madri dei caduti.
Fedele al proprio assunto di indagare “l’anima delle persone” a tutto campo e di prestare orecchio ai racconti di tutti, l'Autrice apre il triste velo su una delle più grandi tragedie della storia sovietica: la guerra in Afghanistan tra il 1979 e il 1989.
RAGAZZI DI ZINCO
di Svetlana Aleksievic
Ed. E/O
trad. S. Rapetti
316 pp
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Leggere Ragazzi di Zinco significa percorrere un lungo e doloroso corteo in cui una fetta di umanità martoriata e piagata racconta a parole sue gli orrori della guerra.
E' il 1979 quando l'Urss invia i propri soldati in Afghanistan, facendo passare il proprio intervento militare per un’azione umanitaria di cui la Patria e tutto il popolo sovietico potevano andar fieri.
Ma a guerra inoltrata - e tanto più in seguito, a guerra finita - si cominciò a realizzare che c'era davvero ben poco - anzi, nulla - di cui essere fieri e orgogliosi.
E' il 1979 quando l'Urss invia i propri soldati in Afghanistan, facendo passare il proprio intervento militare per un’azione umanitaria di cui la Patria e tutto il popolo sovietico potevano andar fieri.
Ma a guerra inoltrata - e tanto più in seguito, a guerra finita - si cominciò a realizzare che c'era davvero ben poco - anzi, nulla - di cui essere fieri e orgogliosi.
Ma realizzarlo è una cosa, proclamarlo ad alta voce è un'altra.
Fatto sta che circa un milione di ragazzi e ragazze in quell'arco di tempo (dieci anni) sono partiti per sostenere la “grande causa internazionalista e patriottica”: una intera generazione di giovani, medici e insegnanti, impiegati, infermieri, ufficiali e comandanti.
Di questi, almeno quattordicimila sono tornati in patria all'interno di casse di zinco e sepolti di nascosto, nottetempo; cinquantamila son tornati feriti.
E non dimentichiamo mezzo milione di vittime afgane, e poi le torture, la droga, le atrocità, le malattie, gli atti di sadico nonnismo, la vergogna e la disperazione...
Tra queste dolorose pagine "ascoltiamo le voci" degli afgancy, i ragazzi sovietici che la guerra ha trasformato in assassini, e che qui raccontano ciò che la storia del loro amato Paese ha tentato di nascondere.
Sono racconti veritieri e per questo crudi, in cui ci troviamo di fronte a tanti reduci privati di arti e con protesi di cattiva qualità che ricordano questa esperienza traumatica che li ha visti soffrire la fame, il caldo e il freddo, cattive condizioni igieniche; soldati e ufficiali che non hanno dimenticato (come si può dimenticare?) le atrocità alle quali hanno assistito, che fossero quelle compiute dai Mujahiddin sui prigionieri loro compagni, o quelle che loro stessi hanno perpetrato sul nemico.
L'orrore è all'ordine del giorno e ciò che fa rabbia è pensare che intanto in patria i giornali scrivono che in Afghanistan i soldati sono andati lì per costruire ponti e piantare alberi, i medici sovietici curano donne e bambini del posto..., quando invece gli ordini sono: sparate sulla folla, non importa se ci sono donne e bambini.
Si susseguono, come in una affranta marcia funebre, le verità dei singoli, che siano i soldati tornati dal conflitto, le infermiere o le impiegate, o le madri di chi è tornato (con il corpo in chissà quali condizioni...) in una bara di zinco.
Ci sembra di vederli mentre raccontano le loro storie di persona o al telefono con la giornalista: delusi, arrabbiati, pieni di amarezza e dolore, impauriti, "impazziti", consapevoli degli incubi e dei cattivi pensieri e stati d'animo che non smettono di riempire la loro mente.
Sono ex-combattenti "ingannati dalla propaganda, sviati dalla violenza, ridotti a “macchine da guerra”"; la maggior parte di essi son partiti che erano poco più che adolescenti, cresciuti su a "pane e amore per la Patria", con un senso di rispetto e di obbedienza verso la propria nazione che sa di esaltazione e fanatismo. L'individuo singolo non conta nulla, il suo valore è sempre e solo rispetto a un collettivo, e in generale alla Patria, alla quale si deve fedeltà, lealtà assoluta e quando essa chiama, tu sovietico - maschio o femmina che sia - devi solo rispondere sì.
Per chi hanno combattuto, rischiato o perso la vita? Per chi hanno imparato ad ammazzare? Per chi o cosa hanno sopportato sofferenze, solitudine, terribili ferite fisiche e psichiche e, al ritorno, pure il disprezzo e l'infamia, perchè questa "loro guerra" alla fine altro non era che un grossissimo "errore politico", un'enorme idiozia di cui l'Urss doveva solo vergognarsi?
Ci si sente male al pensiero di come la guerra possa trasformare completamente un essere umano:
Come si può arrivare a imbracciare un'arma e a far fuori un tuo simile come se stessi giocando a bowling, e a buttar giù gente come fossero birilli?
La verità è che, leggendo le narrazioni di chi la guerra l'ha combattuta in prima linea, veniamo messi davanti a una realtà come questa:
La logica è drammaticamente "semplice": per ammazzare basta premere il grilletto, e se tardi a premerlo e non spari per primo, muori. È la dura legge della guerra.
Sono soldati che sul campo di battaglia hanno imparato a sparare, ad uccidere a sangue freddo; hanno visto morire i propri compagni e hanno sentito crescere ancor più forte dentro di loro l'odio per chi ha tolto la vita a un compagno.
Uomini e donne mandati in Afghanistan a immolarsi sull'altare... di cosa? di quali alti ideali e valori? di quale giusta causa?
Ma non tutti sono stati costretti ad andare in guerra dal governo: tanti di questi uomini e donne si sono arruolati volontariamente per la causa, perchè ci credevano.
Ed essi pretendono rispetto per il sacrificio compiuto: chi ha fatto la guerra e ne è sopravvissuto è combattuto tra due certezze: da un lato, la verità, l'apprendere di essere stati ingannati, fare i conti col fatto che la loro non è stata una guerra giusta, che non erano andati in Aghanistan "per far del bene"; dall'altro, la consapevolezza che intanto loro lì ci sono stati e hanno messo in gioco la propria vita, uscendone completamente distrutti e trasformati, nel corpo e nella mente:
E questo combattimento interiore è presente anche nelle madri dei poveri sfortunati i cui resti sono finiti in una bara: nessuno deve sporcare la memoria dei loro eroici bambini; allo stesso tempo, che sentimento possono nutrire queste famiglie verso una Patria che ha mandato i propri figli a morire, senza mostrare per loro alcuna considerazione?
Al dolore della perdita e dell'onta caduta improvvisamente sull'onore di questi ragazzi, si aggiunge quello del silenzio: dei caduti non si poteva parlare, perché l'esercito sovietico era grande e potente, guai a raccontare fatti che ne oscurassero l'immagine perfetta e moralmente sana.
Ogni testimonianza andava seppellita, le foto andavano stracciate, le pellicole distrutte: bisognava tacere sul fatto che laggiù i sovietici avevano sparato, bombardato, gassato, avvelenato i pozzi, fatto saltare per aria. Altro che intervento umanitario per aiutare il povero popolo afghano.
Si potrebbe essere indotti a credere che, una volta tornati dal conflitto, la maggior parte dei reduci fosse indignata contro la Madre Patria per averli trattati come carne da macello, facilmente sacrificabile, e che odiasse il periodo trascorso in Afghanistan o lo ricordasse controvoglia...
Mi ha colpita, invece, constatare che molti di essi, una volta tornati a casa definitivamente, sentissero la mancanza di quel posto, perchè lì si erano sentiti utili come mai lo sono stati altrove e successivamente. Guai a togliere loro il passato: vivono solo di quello.
Una volta tornati... a chi interessa sapere la sofferenze, le privazioni, le ferite fisiche e quelle psichiche, il dolore per un compagno ammazzato sotto i tuoi occhi? Sono tormenti personali e profondi, che non puoi condividere con nessuno, perchè la gente non vuol sapere; non solo, ma è convinta di sapere già tutto: che ci siete andati a fare là? Non lo sapevate che partecipavate a qualcosa di sbagliato e infame?
Con questa raccolta di testimonianze vere e struggenti, la scrittrice smaschera tutte le falsificazioni e le menzogne grazie alle quali il regime sovietico ha indotto la sua gioventù a immolarsi per una causa profondamente sbagliata e ingiusta; ha raccolto storie, dettagli, sentimenti che rivelano sia ciò che c'è dietro una singola esistenza, sia ciò che riflette la coscienza di un popolo in uno specifico momento storico.
Al centro della sua ricerca c'è la storia dei sentimenti più che della guerra in sé: cosa pensavano queste persone? Che cosa volevano? Quali erano le loro gioie? E le loro paure? E che cosa ricordano?
Ad essi Svetlana Aleksievic, con determinazione, onestà e coraggio, dà voce, e insieme a questi dimenticati cui la storia ha tolto la parola, consegna al lettore un libro scioccante nella sua brutalità, che sottolinea tutta la ferocia e l'orrore che c'è dietro la guerra.
Dietro ogni guerra.
** Curiosità: l'idea di leggere questo libro è nata in seguito a un "consiglio letterario" di Chef Rubio ^_- **
Sono ex-combattenti "ingannati dalla propaganda, sviati dalla violenza, ridotti a “macchine da guerra”"; la maggior parte di essi son partiti che erano poco più che adolescenti, cresciuti su a "pane e amore per la Patria", con un senso di rispetto e di obbedienza verso la propria nazione che sa di esaltazione e fanatismo. L'individuo singolo non conta nulla, il suo valore è sempre e solo rispetto a un collettivo, e in generale alla Patria, alla quale si deve fedeltà, lealtà assoluta e quando essa chiama, tu sovietico - maschio o femmina che sia - devi solo rispondere sì.
Per chi hanno combattuto, rischiato o perso la vita? Per chi hanno imparato ad ammazzare? Per chi o cosa hanno sopportato sofferenze, solitudine, terribili ferite fisiche e psichiche e, al ritorno, pure il disprezzo e l'infamia, perchè questa "loro guerra" alla fine altro non era che un grossissimo "errore politico", un'enorme idiozia di cui l'Urss doveva solo vergognarsi?
Ci si sente male al pensiero di come la guerra possa trasformare completamente un essere umano:
"Adesso (...) penso che non sarò mai più quello che ero prima di questa guerra."
Come si può arrivare a imbracciare un'arma e a far fuori un tuo simile come se stessi giocando a bowling, e a buttar giù gente come fossero birilli?
La verità è che, leggendo le narrazioni di chi la guerra l'ha combattuta in prima linea, veniamo messi davanti a una realtà come questa:
"Uccidere o non uccidere è un interrogativo che ci si è posti solo dopo la guerra. La psicologia della guerra in tempo di guerra è più semplice. Noi e gli afghani semplicemente non potevamo permetterci di considerarci reciprocamente degli esseri umani."
La logica è drammaticamente "semplice": per ammazzare basta premere il grilletto, e se tardi a premerlo e non spari per primo, muori. È la dura legge della guerra.
Sono soldati che sul campo di battaglia hanno imparato a sparare, ad uccidere a sangue freddo; hanno visto morire i propri compagni e hanno sentito crescere ancor più forte dentro di loro l'odio per chi ha tolto la vita a un compagno.
"Partivamo per fare la rivoluzione! Così ci dicevano. E noi ci credevamo. Ci aspettavamo qualcosa di romantico. ...Quando una pallottola incontra un uomo fa un rumore particolare – che non puoi dimenticare né confondere con nient’altro – una specie di tonfo bagnato. E il ragazzo che ti è accanto cade a faccia in giù nella polvere, bruciante come la cenere. (...) La prima volta ci si muove come in sogno: ti affretti, lo trascini via, spari, ma poi non hai più nessun ricordo del combattimento, non sei in grado di raccontarlo. Come se tutto si fosse svolto dietro a un vetro... O in un incubo. Dal quale ti risvegli per l’angoscia ma senza poter ricordare niente."
Uomini e donne mandati in Afghanistan a immolarsi sull'altare... di cosa? di quali alti ideali e valori? di quale giusta causa?
Ma non tutti sono stati costretti ad andare in guerra dal governo: tanti di questi uomini e donne si sono arruolati volontariamente per la causa, perchè ci credevano.
Ed essi pretendono rispetto per il sacrificio compiuto: chi ha fatto la guerra e ne è sopravvissuto è combattuto tra due certezze: da un lato, la verità, l'apprendere di essere stati ingannati, fare i conti col fatto che la loro non è stata una guerra giusta, che non erano andati in Aghanistan "per far del bene"; dall'altro, la consapevolezza che intanto loro lì ci sono stati e hanno messo in gioco la propria vita, uscendone completamente distrutti e trasformati, nel corpo e nella mente:
"Ciò che si è vissuto in guerra non resta lì, in Afghanistan, ma segue, come un cane fedele, i reduci, popolando i loro incubi, amplificando paure, togliendo sogni, speranze per il futuro."
E questo combattimento interiore è presente anche nelle madri dei poveri sfortunati i cui resti sono finiti in una bara: nessuno deve sporcare la memoria dei loro eroici bambini; allo stesso tempo, che sentimento possono nutrire queste famiglie verso una Patria che ha mandato i propri figli a morire, senza mostrare per loro alcuna considerazione?
Al dolore della perdita e dell'onta caduta improvvisamente sull'onore di questi ragazzi, si aggiunge quello del silenzio: dei caduti non si poteva parlare, perché l'esercito sovietico era grande e potente, guai a raccontare fatti che ne oscurassero l'immagine perfetta e moralmente sana.
Ogni testimonianza andava seppellita, le foto andavano stracciate, le pellicole distrutte: bisognava tacere sul fatto che laggiù i sovietici avevano sparato, bombardato, gassato, avvelenato i pozzi, fatto saltare per aria. Altro che intervento umanitario per aiutare il povero popolo afghano.
Si potrebbe essere indotti a credere che, una volta tornati dal conflitto, la maggior parte dei reduci fosse indignata contro la Madre Patria per averli trattati come carne da macello, facilmente sacrificabile, e che odiasse il periodo trascorso in Afghanistan o lo ricordasse controvoglia...
Mi ha colpita, invece, constatare che molti di essi, una volta tornati a casa definitivamente, sentissero la mancanza di quel posto, perchè lì si erano sentiti utili come mai lo sono stati altrove e successivamente. Guai a togliere loro il passato: vivono solo di quello.
"In guerra, a unirci era la paura. Eravamo stati tutti ingannati allo stesso modo, e tutti quanti volevamo solo vivere e ritornare a casa nostra. Quello che ci unisce qui è il fatto che ci manca tutto."
Una volta tornati... a chi interessa sapere la sofferenze, le privazioni, le ferite fisiche e quelle psichiche, il dolore per un compagno ammazzato sotto i tuoi occhi? Sono tormenti personali e profondi, che non puoi condividere con nessuno, perchè la gente non vuol sapere; non solo, ma è convinta di sapere già tutto: che ci siete andati a fare là? Non lo sapevate che partecipavate a qualcosa di sbagliato e infame?
Con questa raccolta di testimonianze vere e struggenti, la scrittrice smaschera tutte le falsificazioni e le menzogne grazie alle quali il regime sovietico ha indotto la sua gioventù a immolarsi per una causa profondamente sbagliata e ingiusta; ha raccolto storie, dettagli, sentimenti che rivelano sia ciò che c'è dietro una singola esistenza, sia ciò che riflette la coscienza di un popolo in uno specifico momento storico.
Al centro della sua ricerca c'è la storia dei sentimenti più che della guerra in sé: cosa pensavano queste persone? Che cosa volevano? Quali erano le loro gioie? E le loro paure? E che cosa ricordano?
Ad essi Svetlana Aleksievic, con determinazione, onestà e coraggio, dà voce, e insieme a questi dimenticati cui la storia ha tolto la parola, consegna al lettore un libro scioccante nella sua brutalità, che sottolinea tutta la ferocia e l'orrore che c'è dietro la guerra.
Dietro ogni guerra.
** Curiosità: l'idea di leggere questo libro è nata in seguito a un "consiglio letterario" di Chef Rubio ^_- **
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venerdì 3 aprile 2020
RECENSIONE: MEMORIES - CHI AMA NON DIMENTICA di Antonella Carullo
Quanto può essere imprevedibile la vita?
Può percorrere sentieri che non avremmo mai immaginato, può procedere diritta o prendere curve pericolose, dietro le quali si nascondono sorprese, e non sempre belle.
Ma è proprio questa sorta di precarietà, la difficoltà di fare piani a lungo termine che rende la Vita l'avventura incredibile che è.
MEMORIES - CHI AMA NON DIMENTICA
di Antonella Carullo
PortoSeguro Ed. 336 pp |
Ma questo compleanno non sarà come gli altri, anzi le riserverà rivelazioni inaspettate e sorprendenti.
Un notaio la contatta per informarla di aver ricevuto in eredità
un misterioso manoscritto fattole arrivare da un bisnonno mai conosciuto, Don Peppino Caruso, detto “Il Cavaliere”, che destina a lei – e a lei soltanto – un romanzo anonimo dal titolo emblematico: Chi ama non dimentica.
Leggiamo questo romanzo insieme ad Antonella e conosciamo le esistenze di diversi personaggi, in qualche modo legate alla famiglia Caruso.
In particolare, sono tre le storie principali che vengono narrate: le vicende drammatiche di tre uomini, che hanno commesso molti errori e ne hanno pagato, in un modo o nell'altro, le conseguenze.
C'è Paco, l'allenatore della Dinamo Partenope - la squadra napoletana di cui, nel luglio 2011, Antony Caruso (nonno di Antonella) è Presidente.
Paco è sposato con Gabry e hanno un figlio, ma i due coniugi stanno vivendo una crisi a causa del tradimento di lui.
Da questo scivolone scaturiranno degli effetti a catena che sconvolgeranno Paco e la sua famiglia, ma anche quando si arriva a toccare il fondo, è possibile trovare la forza di rialzarsi, di non cadere vittima della disperazione e del vittimismo, soprattutto quando accanto si hanno le persone importanti, quelle che continuano ad amarci sempre, nonostante noi e i nostri sbagli.
Nella Partenope gioca Cardillo, un ragazzo pieno di talento, dal carattere spumeggiante e allegro, è impulsivo e ostenta una sicurezza circa le proprie capacità di calciatore che non lo rendono sempre simpatico a tutti.
La voglia di sfondare e di poter alzare il tenore dell'esistenza sua e della propria umile famiglia, lo portano a fare scelte un po' azzardate, che diventeranno decisamente sbagliate quando si innamorerà di una ragazza dal passato triste e complicato, Serena, la quale è da tempo nel tunnel della droga.
Cardillo vuol tirarla fuori da quest'incubo e, per raggiungere il suo pur nobile scopo, non esiterà a sporcarsi le mani e a "scendere in affari" con personaggi della malavita con i quali sarebbe stato bene non avere a che fare.
Il ragazzo è volubile, impetuoso, ma il suo amore verso Serena è sincero e intenso: basterà a salvare lei dalla droga e dall'avidità perversa di chi la tiene in pugno, e lui da un brutto giro che potrebbe costargli non solo la carriera ma la vita stessa?
E infine c'è il filone narrativo principale, che concerne i Caruso.
Al centro c'è uno dei figli di Don Peppino, Antony, il quale - non volendo sobbarcarsi gli oneri dell'azienda paterna (i Caruso hanno un pastificio molto ben avviato) - decide di tentare fortuna negli States.
Il fato - o il caso - gli mette accanto, in aereo, un napoletano simpatico e chiacchierone, Carmine (suo coetaneo); i due fanno amicizia e condivideranno parte del soggiorno in America.
In seguito ad un tragico evento, i destini dei due giovani si intrecceranno e daranno vita a una serie di vicissitudini incredibili e di segreti impensabili, inganni e bugie perpetrate per anni.
Antony tornerà di nuovo a Napoli ma le esperienze vissute in America restituiranno alla sua famiglia un Antony decisamente nuovo, profondamente diverso da quello che era partito dall'Italia solo pochi anni prima.
Anche questo giovane uomo, come Paco e Cardillo, prende decisioni discutibili, non sempre accettabili eticamente, ma comunque mosso - tra le altre motivazioni - da un grande amore:
«Sono le vicende di tre persone che certamente non potranno mai essere indicate come un esempio da seguire. Tre uomini che hanno mentito, che hanno avuto una doppia vita. Ma sono pure le stesse persone che quando è venuto il momento di doversi assumere le proprie responsabilità, quando il passato è venuto a chiedere il conto, l’hanno fatto, sopportandone le conseguenze.»
"Chi ama non dimentica" è un romanzo nel romanzo, che racconta una storia ricca di molti avvenimenti - tragici e avventurosi -, è attraversata da diverse sfumature - da quella festosa del calcio a quella più buia della camorra, o della morte.
Ma accanto agli errori, ai tradimenti, alle cose non dette, alle menzogne, c'è sempre l'amore, che muove i comportamenti e le azioni dei protagonisti di questa storia che attraversa diverse decine di anni e via via si arricchisce di colpi di scena.
Il lettore si identifica in Antonella e, giunti entrambi alla fine delle pagine di questo manoscritto che ha aspettato trent'anni per essere aperto e letto, si è curiosi di scoprire cosa dovrà fare la destinataria dell'insolita eredità una volta appresa la vera storia della propria complicata famiglia.
E' un romanzo che ho letto con molto piacere e attenzione, grazie sia alla trama (o meglio alle diverse trame, che si intersecano tra loro), il cui sviluppo è molto trascinante, che ai personaggi, che intervengono a creare movimento nelle vicende narrate, in quanto sono pieni di passione, vitalità, hanno personalità ben tratteggiate e sanno come tirar fuori il coraggio di non arrendersi di fronte alle difficoltà e, a costo di sbagliare, cercano di superare i propri limiti e le sfide che il destino mette loro davanti.
Consigliato!
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giovedì 2 aprile 2020
NUOVE PUBBLICAZIONI - CASA EDITRICE KIMERIK
Cari lettori, oggi vi presento alcune recenti pubblicazioni Edizioni Kimerik.
Strange di Angelica Innocenti (LINK)
Miele è una ragazza di diciannove anni che vive con i suoi zii. Delusa e fortemente sconfortata per la scomparsa nel nulla dei suoi genitori, è alla ricerca di qualcosa o qualcuno che la faccia sentire di nuovo viva. Ecco che in città arriva Elia, un ragazzo attraente e misterioso.
I due si conoscono, iniziano a frequentarsi e fin da subito sentono di conoscersi da sempre. Si sbagliano?
Presto, però, Miele si accorge che Elia è molto strano. In effetti il ragazzo nasconde un segreto troppo grande che riguarda la sua vera vita.
Mastro Heidn l'Orologiaio di I fratelli Frllo Agostino Antonio e Dato Rosario (LINK)
Lo gnomo costruttore Heidn l’Orologiaio e il mago Paracelvius sono i Soci Meravigliosi. Insieme alla loro guardia del corpo, la bella e formidabile Eunicla, viaggiano a bordo di un carrozzone magico fra i mercati della Repubblica.
Mastro Heidn l'Orologiaio di I fratelli Frllo Agostino Antonio e Dato Rosario (LINK)
Lo gnomo costruttore Heidn l’Orologiaio e il mago Paracelvius sono i Soci Meravigliosi. Insieme alla loro guardia del corpo, la bella e formidabile Eunicla, viaggiano a bordo di un carrozzone magico fra i mercati della Repubblica.
Nessuno sospetta che dietro la loro pittoresca facciata di stagnini ambulanti si muovano tre figure leggendarie della storia dei regni, tornate in azione per fermare una guerra che potrebbe portare alla fine del mondo.
Le loro indagini li portano in un villaggio abbandonato di montagna dove, secondo le premonizioni del Mago meraviglioso, si nasconde una base militare segreta in cui i maghi-scienziati di Alunda stanno costruendo una colossale macchina da guerra per i loro re.
A quanto pare qualcosa di vero c’è, perché, poco dopo il loro arrivo, vengono scoperti da una pattuglia dell’aeronautica alundese e Mastro Heidn è arrestato e deportato a bordo della Cavalletta dell’apocalisse per essere interrogato nel cuore del regno.
È solo l’inizio di un carosello di intrighi che trascinerà i nostri eroi alla corte di re stregoni e sulle ali di macchine volanti, sui libri neri della corporazione dei ladri e all’attenzione di una società ancora più occulta, incontrando vecchi nemici e nuovi alleati nella lotta per svelare i misteri di Valtolina e conquistare la verità.
Partendo dal fiume di Daniele Nucciarelli (LINK)
Partendo dal fiume di Daniele Nucciarelli (LINK)
Gianni e Leo sono soliti trascorrere i loro pomeriggi in riva al fiume, fin quando, infelice per le incomprensioni che vive in famiglia, Gianni non decide di scappare di casa e rifugiarsi nel bosco.
Vivere a contatto con la natura lo aiuterà a capire il senso della vita e a recuperare il rapporto con i genitori. Tornato a casa con una nuova consapevolezza, Gianni vuole condividere la sua esperienza di crescita con l'amico di sempre.
Così i due ragazzi intraprendono un nuovo viaggio, e partendo dal fiume, affronteranno insieme il bosco alla riscoperta della vita.
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