Tra queste pagine, terribili e inesorabili, si consuma il difficilissimo tentativo di disintossicazione da alcool e droga da parte di un giovane di 23 anni, che altri non è che l'Autore, il quale quindi ci parla di se stesso e dell'esperienza vissuta in prima persona, e lo fa con una narrazione frenetica, sofferta, cruda, da cui trasuda tutto il dolore per il male fatto (a se stesso, ai propri cari e non solo) e tutta la tenera - sì, tenera! - tenacia di chi sta provando ad uscire dal tunnel, a resistere alla tentazione di ricaderci, a trovare in se stesso la forza per vivere libero da ciò che lo porterebbe sicuramente alla morte.
La tenacia e la disperazione di chi sta provando a rinascere dalle proprie ceneri, a rimettere insieme quel milione di piccoli pezzi in cui si era ridotto e frantumato.
Un ragazzo di 23 anni si risveglia a bordo di un aereo in uno stato di totale confusione, al confine tra la vita e la morte, conseguenza del massiccio (e protratto nel tempo) abuso di alcol e droghe.
IN UN MILIONE DI PICCOLI PEZZI di James Frey
Tea Edizioni trad. B. Amato 459 pp |
La famiglia, sbalordita, smarrita e disperata, lo accoglie all'aeroporto di Chicago per trasferirlo in una clinica di riabilitazione del Minnesota.
James è un ragazzo pienamente consapevole di se stesso, dell'esistenza sbandata condotta fino a quel momento, e lo è anche delle conseguenze tragiche cui andrà incontro se non decide una volta per tutte di cambiare strada.
A confermarglielo è il dottore che lo visita e che, senza troppi giri di parole, gli dice che, se dovesse toccare un goccio di alcol o "farsi" anche solo una volta, ad attenderlo c'è la morte sicura.
Il suo corpo è al limite, è stato provato in una maniera allucinante e non sarebbe in grado di reggere l'assunzione di quella robaccia che è pane quotidiano per James da tantissimi anni.
E allora che si fa, caro James? Resti o scappi? Vivi o muori?
Perché la scelta è tutta lì, ed è la più importante della tua vita, la più tosta che dovrai mai capitarti di prendere.
La tentazione di mollare quel percorso neppure iniziato c'è e non è facile resisterle; ma qual è l'alternativa?
James lo sa: se non scegli la vita, allora ti aspetta la morte.
Certo, restare ed affrontare la disintossicazione è spaventoso e nei due mesi che trascorre in clinica il ragazzo dovrà combattere contro i propri demoni e contro la Furia, la rabbia cieca e violentissima che gli monta dentro e che pretende di essere placata con lo sfogo più animalesco: James ha una rabbia dentro di sé talmente (auto)distruttiva da provarne lui per primo paura.
Eppure con quella Furia interiore è praticamente cresciuto, visto che la cova da quando ha incominciato a sbandarsi, a vivere come uno scapestrato, il che ha avuto inizio a soli dieci anni.
Già, dieci anni. Un bambino.
Un bambino che ruba le bottiglie di liquore ai genitori, che comincia a fumare e poi ad assumere droghe, per poi darsi a vizi e stravizi sempre più illeciti e pericolosi man mano che gli anni passano, con relativa e costante infrazione di ogni tipo di regole, commettendo molti reati e maturando problemi con la giustizia.
Anni vissuti facendosi del male e facendone anche ai propri cari, agli amici e a tante persone incrociate lungo il proprio cammino, molte delle quali sono state vittime della condotta terribile di un James fuori controllo e privo di freni morali, che agiva spinto da una cattiveria che, colpendo gli altri, cercava di distruggere principalmente la propria persona.
James, all'interno della struttura, interagisce col personale che vi lavora e con gli altri ospiti, uomini che, come lui, sono stati feriti e messi in ginocchio dalle dipendenze.
I rapporti interpersonali già non sono semplici in casi normali, figuriamoci in un contesto popolato da individui che hanno sempre vissuto infischiandosene di tutto e tutti, con l'unica preoccupazione di soddisfare la propria voglia di droga, sesso, alcool.
Con qualcuno avrà inizialmente delle rogne, con altri "pazienti" instaurerà rapporti di amicizia, fatti di scherzi, risate, confessioni, pianti e abbracci: sono quelle amicizie particolari ed uniche nel loro genere, che possono nascere soltanto in situazioni anomale, straordinarie, quando a incontrarsi sono esseri disperati, giunti al limite, che sanno che quella è, molto probabilmente, la loro ultima possibilità per non morire da drogati e alcolizzati.
Stare senza bere e farsi non è una passeggiata, e James dovrà davvero fare appello a tutte le proprie energie fisiche e mentali, alla propria sincera e convinta volontà di non soccombere ma di rinascere, di riprendersi la propria vita di ventitreenne, per dare un senso al percorso in Clinica.
James riconosce che c'è un sacco di gente che cerca di far bene il proprio lavoro e di aiutare davvero chi è affetto da forti dipendenze, eppure egli non condivide la logica e l'ideologia "spirituale" che c'è dietro ai cosiddetti "Dodici Passi", che è il programma portato avanti in clinica e che si basa sull'intraprendere un cammino di "redenzione" attraverso degli step che permettano alla persona con queste problematiche di affidare a un "potere spirituale superiore" (Dio, per chi ha fede) la propria vita e il proprio desiderio di rinascere; pensare di uscirne contando esclusivamente sulle proprie forze, è da pazzi, e il fallimento è una possibilità concreta.
E poiché James non nutre alcun tipo di fede in un essere superiore, o trova la giusta forza e motivazione in se stesso, o è destinato all'insuccesso.
Ma ecco che, proprio quando si sente poco motivato a restare, i suoi occhi incrociano quelli di Lilly, una ragazza minuta, bella, magra come uno scricciolo, che ha alle spalle una storia di abusi, soprusi e sofferenze che nessuno dovrebbe passare nella propria vita; Lilly è un'anima in pena, bisognosa di amore e sicurezze, di conforto e di un po' di pace, e James sente nascere e crescere dentro di sè un sentimento di amore e di tenera protezione per questa ragazza dalle ali spezzate, che si lega a lui con il medesimo slancio e la medesima disperata necessità.
Il loro amore non nasce nel posto e sotto gli auspici migliori: basterà a dar loro la motivazione per cercare di guarire e uscire dalla clinica pronti ad affrontare il mondo?
Lo scrittore scrive scrive scrive... ed è un fiume in piena, che "vomita" (passatemi l'espressione poco piacevole, ma credo renda bene il concetto) con un ritmo frenetico ("su di giri") parole, frasi, pensieri tortuosi e tormentati di un'anima angosciata e impaurita, la cui fissa è bere/drogarsi, perchè è questo che il suo corpo pretende, perché a questo è stato abituato negli ultimi dieci anni.
Sono pagine piene di sofferenza fisica e psicologica e ci sono diversi passaggi descritti con una spietata onestà da suscitare il rigetto nei lettori più sensibili.
A predominare in James è la PAURA, e con essa la triste sensazione di essere irrimediabilmente solo, incompreso, e di non meritare amore da nessuno, genitori compresi.
il racconto del presente è interrotto dai flashback che ci riportano indietro nel tempo, ad esperienze passate, agli incontri sbagliati, ai tanti terribili errori commessi.
Volutamente, l'Autore fa un uso essenziale e molto parco (ed arbitrario, se vogliamo) della punteggiatura, usando molte coordinate ed omettendo virgole, punti, le virgolette del discorso diretto ecc..., come per rovesciarci addosso il vissuto emotivo del protagonista - un individuo a pezzi - e tutta l'ansia, il senso di urgenza (basta orpelli, inutilità, basta perdere tempo in cose che non servono: è tempo di dire tutta la verità, di tirar fuori tutto quello che c'è nel corpo e nella mente, per liberarsi di ciò che è "sporco", cattivo"), di frenesia, di rabbia, insomma tutto il carico di pensieri impetuosi e tortuosi e di emozioni intensissime che hanno travolto lui e che inevitabilmente travolgono il lettore.
È un libro che "fa male" male, e non potrebbe essere diversamente, in quanto leggere il tipo di sofferenza provata da chi sta cercando di disintossicarsi è faticoso emotivamente; James pronuncia spesso frasi come "Mi faccio schifo", "Non ho fiducia in me, stima di me, senso del mio valore".
"Le ferite che non guariscono mai possono essere piante solo da soli".
Accanto a quella "massa di dolore, tristezza, afflizione, angoscia e pena" ci sono diversi momenti di solidarietà, tenerezza e commozione, perché in fondo queste persone ferite e rotte hanno bisogno di sentire che non sono sole, che non tutto è perduto e che c'è un briciolo di speranza anche per loro.
Ho sofferto con e per James, il quale però - a dispetto delle pessime condizioni emotive e psicofisiche in cui è al suo arrivo in Clinica - mostra un'incredibile resistenza al dolore (per la sua crudezza, la descrizione dell'intervento ai denti senza anestesia mi ha provocato veramente dei brividi), che viene descritto in tutta la sua ferocia.
In certi momenti alla pietà per lui si accostava una sorta di leggera antipatia, frutto dei suoi atteggiamenti oppositivi e molto irritanti verso i famigliari e gli operatori, soprattutto quando questi manifestavano l'intenzione di aiutarlo.
Ma quando si leggono libri di questo tipo - in cui le sofferenze sono una conseguenza diretta di scelte personali sbagliate - bisognerebbe sospendere giudizi e pregiudizi e predisporsi a comprendere e, in un certo senso, a perdonare.
E il primo che deve avere il coraggio di perdonare è proprio lui, James, che quando arriva in clinica non ha neppure la forza di guardare nei propri occhi riflessi in uno specchio.
È un romanzo in parte autobiografico (nota) scomodo, non facile da leggere proprio perché crudo (nel linguaggio e nell'argomento), estremo, senza freni, e non potrebbe essere diversamente, visto che il protagonista è un ragazzo che ha vissuto gli ultimi dieci anni della propria vita così: letteralmente senza freni, senza regole, in balìa di se stesso e delle proprie dipendenze.
Tra queste pagine viene fuori tutto il marcio che può inondare l'esistenza di una persona quando appunto vive priva di qualsiasi limite, diventando schiava di sostanze che alterano il suo equilibrio psico-fisico, emozionale, sociale, relazionale...: non sei più tu, quando fai uso di schifezze che azzerano la tua volontà, la tua personalità.
E questo non può che essere l'inferno, per il tossico/alcolista, ma anche per chi gli è vicino e lo ama.
Frey ha scritto un tipo di esperienza tremenda, brutta, dolorosa, e non poteva che raccontarla in modo tale che tutto questo dolore e questo marciume venissero fuori in modo esplicito.
Cosa pensano, sentono, vogliono, come soffrono e fanno soffrire gli altri, delle persone che fanno uso di sostanze stupefacenti e di alcool?
Frey ce l'ha scritto e non c'è nulla di eroico né in lui né negli altri personaggi che gravitano attorno a James in Clinica, ciononostante è giusto ricordarli perché a modo loro, con tutte le fragilità, i tormenti, gli errori..., restano dei guerrieri che c'hanno provato: a combattere contro le proprie insane voglie, ad uscire dall'incubo in cui si sono (più o meno consapevolmente) infilati.
Una lettura adatta a chi si sente pronto a scendere, insieme al protagonista, nel suo personalissimo inferno e a conoscerne con feroce lucidità ogni demone, tormento, pensiero ed emozione.
nota → a proposito di quanto vero sia il racconto del proprio passato da alcolizzato e tossicomane, dopo che sul sito The Smoking Gun è emerso come molti dettagli riguardanti i presunti reati commessi da Frey (e descritti nel romanzo) non fossero veritieri, l'Autore ha ammesso di aver sì calcato un po' la mano e di aver aggiunto dettagli fittizi ad altri assolutamente personali e realmente vissuti, ma anche di non aver avuto mai l'intenzione di scrivere un libro totalmente autobiografico, quindi essendo lui un romanziere, è ovvio che ha mescolato finzione e realtà.