Due sorelle, due gemelle eterozigoti, diverse, anzi opposte, sotto ogni aspetto: splendente l'una, cupa l'altra; là dove una è bella e formosa, l'altra è brutta, di una magrezza malata e decorata da un repellente tripudio di peli che ricoprono il corpo sgraziato come una foresta cresciuta senza possibilità di ceretta; se Anemone è sfacciata, vivace, senza pudore, Ortensia è triste, affetta da senescenza precoce, grigia, ingrugnita.
Queste sorelle paiono, messe insieme, un singolare scherzo della natura, come un grande scherzo sono i racconti che esse fanno delle loro esistenze, personalità, manie, paure, desideri.
La vita stessa sembra giocare con loro e, alla fine, in un certo senso si prende gioco di loro rovesciandone i ruoli.
MANOLA
di Margaret Mazzantini
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Ed. Mondadori 252 pp |
Manola non nasce come un romanzo, bensì come una pièce teatrale, che vede la stessa scrittrice nel ruolo di interprete (nel 1995).
È un libro particolare, volutamente "strano" e strambo nei toni, nel linguaggio, perché tali sono le due protagoniste,
Anemone e Ortensia, e il mondo e il modo in cui esse vivono.
Come dicevo nell'introduzione, sono due donne agli antipodi: splendente e colorata Anemone, nera e ombrosa Ortensia.
Sono cresciute nell'albergo dei propri genitori, abituate a un viavai di uomini e donne di tutti i tipi; sono cresciute un po' come due selvagge, lasciate a sé stesse e con due genitori altrettanto singolari e bizzarri.
E Manola? Chi è?
"Ma lei, Manola, esattamente cos'è? Una prana, una sensitiva, una teosofa, un'antroposofa, un'alienista?"
Manola non è, a ben guardare, un vero e proprio personaggio, nel senso che, pur essendo colei alla quale entrambe le ragazze si rivolgono (per raccontarsi), non la vediamo né parlare, né agire e interagire, ma è tra le pagine solo per accogliere, muta e invisibile, le confidenze, gli sfoghi. C'è ma non c'è, insomma.
Le due sorelle pensano ciascuna che l'altra sia "sbagliata", che non abbia tutte le rotelle al posto giusto; se per Orty, Any è un essere superficiale, cui la vita e la perfida madre natura ha donato tutto, "una sorta di uccello del paradiso, un goffo impiastro variopinto, eppure non conosce la levità aerea dei volatili, ha il passo terrestre di un trattore a cingoli", quest'ultima ritiene che sua sorella non abbia alcun senso della realtà, delle proporzioni:
"È brutto, Manola, non riuscire a guardarsi nella giusta dimensione. È una vera e v propria malattia, la malattia dello sconfinamento. Se e 'è una cosa che bisogna avere bene in testa nella vita sono i confini, poi, per il resto, fai come ti pare. Io sono per la libertà vigilata. Ma mia sorella è una tale zuccona di fosso. Io vorrei aprirgliela, la zucca, dico, per vedere cosa c'è dentro."
Insomma, per la coloratissima Anemone, l'infelice gemella è un ammasso di peli sotto cui convivono tante, troppe manie e fissazioni: Ortensia è incapace di vivere, è inadeguata, una bruttona con la vocazione per il martirio, o meglio per l'ostentazione dello stesso, della sofferenza, del dramma.
A sentirle parlare (e sparlare) l'una dell'altra, può sembrare che si odino, ma non è esattamente così: a modo loro, come tutte le sorelle (e le gemelle ancor di più) si vogliono bene e sono l'una lo specchio dell'altra.
Entrambe imperfette ("Sono le imperfezioni che ci caratterizzano"), bisognose di amore, attenzioni, forse per questo, a un certo punto, si innamorano dello stesso uomo, Poldo.
Ecco, Poldo.
Che personaggio assurdo, repellente e comico allo stesso tempo.
Potrebbe sembrare un uomo ma boh..., non è detto che lo sia davvero.
È probabilmente il più grottesco dei personaggi (già tutti irrealistici) che ruotano attorno alle gemelle, e a lui si affiancano altri tipi incredibili, dal tacchino Grogo al medico serbo, alla psicanalista freudiana Lucianella (matta come un cavallo, se non di più).
Non c'è una trama ordinata e con un filo logico in quanto il libro si pone come una lunga doppia confessione, per cui le due donne si raccontano partendo dal passato, dall'infanzia in albergo, ci parlano dei loro genitori e di loro stesse e di come ciascuna vede l'altra, di come concepiscono la vita, delle avventure sessuali di ogni tipo di Anemone e delle mille fobie di Ortensia, dell'autostima della prima - carina, boccolosa, guardata con lascivia dagli uomini - e della consapevolezza di Orty di essere quella brutta, che tutti scacciano schifati...,fino a quando nella sua vita non arriva Poldo, appunto.
Poldo: grasso oltre ogni lardosità possibile, viscido, fissato con l'autoerotismo e soprattutto col cibo: mangia tutto e, se non stai attento, se magna pure a te.
Il ritratto spassoso e divertente di questo soggetto - che non può esistere davvero perchè è ... troppo, decisamente troppo!! sotto ogni aspetto - ce lo dà la sarcastica Anemone, che non riesce a comprendere come a quell'acciughina tutta preghierine e occhi al cielo di sua sorella, possa piacere quell'ammasso rivoltante di ciccia.
"Lui si chiama Poldo. Non ho mai visto niente di simile. Lui è la "Cosa", un oggetto molle e immondo, che si spande ovunque. Sono letteralmente sgomenta. No, non credo che sia di questa terra; credo, piuttosto, che sia stato espulso in corsa da un disco volante, in transito nella nostra atmosfera. Poldo è il classico abominio che neanche gli ET vogliono tenersi. Non so come spiegarle. Ha presente trecentocinquanta chili di trippa fetida montati su centoquaranta centimetri d'altezza? (...)
Mangia tutto, Manola, macina tutto! Ortensia mi ha spiegato che il trippone si vorrebbe mangiare la madre, ma siccome non può s'innervosisce e deve ruminare giorno e notte."
Comunque, nella vita ci vuole fortuna e questo Poldo - che nulla di attraente possiede, dal fisico abnorme alle sue ipocrite velleità da pseudointellettuale dei poveri sfigati - a un certo punto diventa il principe azzurro delle gemelle, l'oggetto erotico, il sogno proibito di Anemone e Ortensia.
Come andrà a finire: se lo divideranno? Si batteranno con le unghie e coi denti per averlo ognuna tutta per sé?
Beh, a dirla tutta, il nocciolo del libro non è Poldo con la sua carica erotica, ma sono le nostre gemelline e la loro affannata ricerca di un proprio posticino in questo mondo, il loro bisogno di amore, approvazione, di trovare un senso da dare alla propria esistenza, chiusa tra le mura di quell'albergo.
In questo libro, la Mazzantini affronta tanti temi in modo apparentemente leggero e "folle", con l'intelligenza e l'ironia che le appartengono e che spingono ad andare oltre la superficie, a scavare, a sviscerare, grazie anche all'uso di termini insoliti e stravaganti, con una forte valenza onomatopeica, e di espressioni e descrizioni che evocano nel lettore precise sensazioni (disgusto, stupore, ilarità...): c'è l’universo femminile con tutto ciò che lo compone, la sessualità, l'amore senza inibizioni, il rapporto con il cibo, i legami coi genitori (e tra madre e padre), quello tra sorelle, la psicanalisi e Freud, il desiderio di emancipazione e il bisogno di legarsi a qualcuno (fino a dipenderne) pur di sentirsi parte di qualcosa, le fobie, pure il comunismo e le mode culturali.
Un minestrone, penserete.
Eh, un po' sì (non ditelo troppo forte chè c'è il rischio che se lo mangi Poldo!), ma con un suo senso, che è da ricercare nell'autoironia e nella capacità della Mazzantini di descriverci personaggi femminili sopra le righe, visti sempre da dentro, mentre sono impegnati a pensare, mangiare, andare al bagno, fare sesso, piangere, disperarsi..., a vivere, in pratica.
In Manola troviamo una scrittura potente dal punto di vista della capacità e dell'efficacia comunicativa, che alterna l'uso di un linguaggio volutamente ricercato (sono presenti molti vocaboli non di uso comune, quotidiano) a uno molto informale, con termini gergali, spesso utilizzati nella loro forma alterata (zerbinaccia, gozzaccio, fazzolettuccio, acchiappaticcio, ecc...), dialettali, parole ed espressioni che di proposito sconfinano nello scurrile, soprattutto nel loro riferimento alla sessualità, raccontata in modo insolente, sfacciato, ma anche giocoso e comico.
Credo che questo aspetto dello stile narrativo della Mazzantini sia, del resto, più che noto a quanti abbiano letto almeno un suo libro: non ha peli sulla lingua, se deve essere esplicita e "sfrontata" lo è, e lo sono anche i suoi, spesso eccessivi e originali, personaggi.
Consigliato? Bah, ad essere onesta, non posso dire che lo consiglio a tutti, perchè il modo di scrivere della mia adoratissima Margy non è da mezze misure: o lo si odia o lo si ama; è fin troppo diretto ed esplicito, senza dubbio efficace nel tratteggiare in modo molto vivido i personaggi e il loro vissuto ma, proprio per questo, può infastidire, "urtare"; mentre leggevo, soprattutto all'inizio, mi son ritrovata spesso a pensare: "Ma che vuoi raccontare? Davvero dovrei seguire le folli psico-confessioni di queste due sorelle matte e sorbirmi le loro sciagure, le manie, i vaneggiamenti, la loro malata e anomala sessualità ecc...? Dove vuoi arrivare con questo minestrone condito con una maionese impazzita?".
Ma non potevo lasciare un libro di Margaret a metà; aspetto e spero che si decida a pubblicare qualcosa di nuovo e poi che faccio?, abbandono Anemone e Ortensia così, senza pensarci due volte?
E no, non potevo.
Tra l'altro, le due mi hanno lasciata nel dubbio: ma sono realmente due sorelle... o è una donna sola ma con qualche problemino di bipolarità?? Due facce della stessa medaglia? Le contraddizioni e le mille sfaccettature che formano la nostra personalità? Luce e tenebre, bianco e nero, timidezza e sfacciataggine, dipendenza affettiva ed emancipazione... e potrei continuare.
Insomma, cari lettori, con Margaret è difficile che la lettura assomigli a una dolce carezza sul viso: è più simile a una risata sguaiata, a un trippone che continua a mangiare a sbafo senza fermarsi, a un tacchino psicopatico. È come una seduta di brainstorming, una chiacchierata con lo psicanalista muto e senza lettino.
Effetto shaker assicurato.
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