Al centro di Stella maris - secondo volume della dilogia iniziata con Il passeggero - vi è Alicia Western, personaggio affascinante e poliedrico, presentatoci all'interno di una cornice sofisticata, caratterizzata da brillanti conversazioni tra la donna e uno psicologo.
STELLA MARIS di Cormac McCarthy
Einaudi Ed. trad. m. Balmelli 200 pp |
Nell'ottobre del 1972 una donna molto giovane (di soli venti anni) bussa alla porta della struttura psichiatrica "Stella Maris"; con sé ha una busta con dentro quarantamila dollari in contanti e, alle spalle, già dei ricoveri in ospedali psichiatrici.
La ragazza si chiama Alicia Western ed è lì per cercare di sfuggire ai suoi demoni, frutto dei disturbi mentali che l'affliggono.
La conosciamo attraverso gli incontri con lo psicologo cui è stata affidata, il dottor Cohen, che comprende da subito - e noi lettori insieme a lui - come la paziente che ha di fronte sia assolutamente un soggetto particolare.
Non tanto (e non solo) per le diverse diagnosi attribuite alla donna - sociopatia deviante, anoressia, probabile autismo, tendenze suicide e schizofrenia paranoide - quanto per la sua intelligenza brillante e la sua mirabile dialettica.
Sì, perché la giovane Western è una matematica geniale (impegnata nello studio della teoria dei topoi) con un QI alto, nonché una virtuosa del violino.
Sette sono i capitoli che compongono il libro e che corrispondono a sette sedute terapeutiche in cui assistiamo agli incalzanti dialoghi tra lo psicologo ed Alicia, durante i quali apprendiamo alcune informazioni sul passato della donna, in riferimento a sé stessa (alla sua personalità, inclinazioni, "problematiche"...), alla sua infanzia complicata, al rapporto con la nonna, con il padre (la madre muore quando è ancora una bambina) e, soprattutto, con l'amato fratello Bobby (protagonista de Il passeggero).
Bobby è "l'argomento" che più sta a cuore alla ragazza ma, al contempo, è proprio quello su cui ella è meno disposta a parlare, perché Bobby purtroppo non è più con lei, essendo in coma in Italia dopo un incidente automobilistico, e dato per morto.
Per Cohen entrare nella mente della paziente si rivela un'ardua missione in quanto quella che ha davanti è un'anima divisa, tormentata, lacerata, una personalità sfuggente e complessa, una donna che - benché giovanissima - mostra di possedere una grande cultura, una mente vorace ed arguta, un'interlocutrice dalla battuta sempre pronta e perspicace.
Tra i due si innesca una danza di parole intrisa di espliciti e abbondanti riferimenti alla filosofia (Kant, Schopenhauer e Wittgenstein...), alla matematica (Grothendieck e Gödel, Maxwell...) e alla musica, intervallate dalle allucinazioni che occupano la mente di Alicia.
Siamo in presenza di un romanzo dalla struttura narrativa non tradizionale, che inserisce il lettore in un vortice di continue domande e risposte che viaggiano su un doppio binario, ora ironico, ora drammatico, ma comunque finalizzato ad esplorare in profondità la (contorta) psiche di Alicia, che tra una riflessione esistenziale/ matematica e l'altra, non manca di seminare frammenti di ricordi e di confessioni intime.
Vittima della schizofrenia di cui soffre e dei frequenti pensieri suicidi, Alicia sente il tormento del combattimento che avviene dentro di lei e che vede contrapposti razionalità e delirio, realtà e allucinazione, verità e finzione.
Nonostante la donna si mostri inizialmente un po' diffidente verso il giovane Cohen, questi riesce a trovare una via verso la sua paziente grazie a un approccio empatico, che lo spinge non solo a farle domande pertinenti ma soprattutto ad ascoltarla, ad assecondarne i ragionamenti, le emozioni, i silenzi.
La filosofia è indubbiamente al centro delle conversazioni e guida dottore e paziente nell'affrontare temi impegnativi, relativi ad es. alla coscienza, al libero arbitrio, all'esistenza di Dio.
Ho scelto di ascoltare questo libro su Audible attratta dall'ambientazione (la seduta psicoterapeutica) e dalla brevità, per cui ammetto di non aver controllato se fosse il seguito di qualcos'altro; mi pare di capire che comunque lo si possa leggere anche senza aver letto precedentemente Il passeggero, ma immagino che farlo dopo sia più indicato per inquadrare meglio Alicia e, soprattutto, capire chi sia suo fratello Bobby.
Detto ciò, non posso dire che il libro mi abbia fatto impazzire, anzi...
Poca "ciccia" e troppe "chiacchiere", passatemi l'espressione.
Nel senso che di per sé la trama non ha elementi avvincenti in quanto è statica, collocata tra quattro mura e con due soli protagonisti che si limitano a star seduti l'uno di fronte all'altra, per cui le informazioni riguardanti la protagonista concernono il passato o, tutt'al più, ciò che pensa e sente lei al presente.
Va da sé che, mancando dinamiche e vicende a scandire il ritmo narrativo, a contare qui sono le parole, i discorsi, e questo romanzo è l'ideale per chi privilegia addentrarsi nelle intricate maglie delle riflessioni filosofico-esistenzialistiche, per chi ama gli scambi verbali e lo sfoggio di una dialettica spigliata, acuta, figlia di una mente molto intelligente, di una personalità ricercata.
Se cerchi invece dinamicità, colpi di scena, suspense ecc..., non fa per te, ecco.
Ho trovato affascinante e magnetica, tagliente e provocatoria la prosa di McCarthy e questo, assieme al setting clinico, è uno degli elementi che ho apprezzato maggiormente e che mi ha spinta a concludere l'ascolto.
È una lettura, a mio avviso, impegnativa, sicuramente elegante, raffinata (per stile, tematiche, personaggi, contesto) e richiede una certa concentrazione e un'inclinazione ad addentrarsi in argomenti profondi.
Io, evidentemente, non ero molto predisposta in questo senso (e non in questo periodo).