lunedì 8 settembre 2025

LIBRI LETTI AD AGOSTO 2025

 

Buongiorno!!

Eccovi le mie letture di agosto.


  1. BUTTERFLY di M. Kaukonen_ thriller psicologico - romanzo corale che ci mette
    all'ascolto di più voci e prospettive narrative, tra cui spiccano quella della psicologa e della sua paziente serial killer (4.5/5). COINVOLGENTE, NON MANCANO I COLPI DI SCENA.
  2. IL MISTERO DI ANNA di S. Lo Iacono: narrativa italiana - una bambina povera e curiosa di imparare incontra una scrittrice famosa (4.5/5). PER CHI VUOL LASCIARSI TRAVOLGERE DAL FASCINO E DAL POTERE DELLE PAROLE.
  3. RITORNO A CASA di K. Morton: mystery - giornalista dei nostri giorni indaga su una misteriosa tragedia famigliare avvenuta in Australia nel 1959. Salteranno fuori non pochi segreti che riguardano lei e i suoi cari (4,5/5). RITMO PACATO, AMBIENTAZIONE AFFASCINANTE, STORIA DENSA E CORPOSA.
  4. YARA GAMBIRASIO. UN CASO IRRISOLTO di F. Liguori: saggio documentaristico su un noto caso di cronaca nera italiano. Bossetti, condannato all'ergastolo per l'omicidio di Yara, è colpevole oltre ogni ragionevole dubbio? (5/5). PER CHI VUOLE CONOSCERE O RIPERCORRERE LE TAPPE DI QUESTO CASO.
  5. IL CANTO DEGLI INNOCENTI di P. Pulixi: noir - primo libro in cui compare Vito Strega, impegnato a risolvere non solo una serie di omicidi commessi da teenager, ma anche i propri problemi personali (5/5). LEGGILO SE AMI O NON HAI MAI LETTO PULIXI, SE AMI IL GENERE.
  6. NEVER FLINCH. LA LOTTERIA DEGLI INNOCENTI di S. King: thriller - un serial killer sta assassinando innocenti per vendicare l'ingiusta condanna e morte di un altro innocente. Sulle sue tracce Holly Gibney, nelle vesti anche di bodyguard impegnata a proteggere un'infervorata femminista da uno stalker (3.5/5). TRAMA BUONA, RITMO LENTO CHE SI RIPRENDE NELL'ULTIMA PARTE DEL ROMANZO.
  7. SPLENDI COME VITA di M.G. Calandrone: narrativa autobiografica - la lettera d'amore della Calandrone alla propria madre adottiva (4,5/5). COMMOVENTE, INTENSO, VERO.
  8. LA STRADA GIOVANE di A. Albanese: narrativa storica - il viaggio di un giovane ex-prigioniero dei tedeschi, durante la II g.m., verso casa (4/5). INTERESSANTE ESORDIO NELLA NARRATIVA DELL'ATTORE E REGISTA.



READING CHALLENGE 


Per la sfida letteraria, nel mese di agosto gli obiettivi erano i seguenti:


- LIBRO PUBBLICATO NEL 2025
- STORIA INCENTRATA SU BUGIA/INGANNO
- CLASSICO LETTERATURA INGLESE
- UNA CASA ALLA FINE DEL MONDO (M. Cunnigham)


Io ho scelto un obiettivo di giugno, LIBRO AMBIENTATO IN MEDIORIENTE:

9. IL RAGAZZO CON LA KEFIAH ARANCIONE di A. Al Said: narrativa contemporanea - la storia di una forte e sincera amicizia sullo sfondo del conflitto in Palestina (5/5). SE HAI VOGLIA DI UNA STORIA RICCA DI EMOZIONI E CON QUESTO GENERE DI CONTESTO.

sabato 6 settembre 2025

[ RECENSIONE ] IL SOLDATO PERDUTO di Gilles Marchand



Con una prosa delicata e poetica, l'autore di questo romanzo racconta al lettore la storia di un amore appassionato, fervente, che sfida la separazione, il dolore, la solitudine dettate da un conflitto mondiale che ha dilaniato innumerevoli vite, ma che non ha ucciso la dolcezza di un sentimento profondo.


IL SOLDATO PERDUTO
di Gilles Marchand



Neri Pozza
trad. S. Folin
176 pp

Siamo a Parigi, nel 1925, ed un uomo - di cui non sapremo mai il nome - , entra in un ristorante accompagnato da un abbigliamento e da un aspetto non proprio raffinati.
L'uomo è un ex soldato sopravvissuto alla Grande Guerra, durante la quale ha perso la mano... e gli affetti più cari.

Come altri ex combattenti, la guerra, feroce e tremenda, gli è rimasta attaccata addosso, come una seconda pelle di cui non si libererà mai del tutto.


"Io non ero partito a cuor leggero, come si dice, con un fiore nel fucile. Non conosco nessuno, del resto, che l’abbia vissuta in quel modo. Certo era una bella immagine, ma non rispecchiava la realtà. Non immaginavamo che il conflitto andasse così per le lunghe, ovviamente. Nessuno poteva prevederlo. Pensavamo di passare l’estate sotto le armi e di tornare entro l’autunno, con l’Alsazia e la Lorena in saccoccia."


Adesso è in quel locale per incontrare una donna, che lo attende seduta al tavolo con una questione urgente da sottoporgli: suo figlio non è mai tornato dal fronte e, sebbene siano trascorsi nove anni dalla battaglia di Verdun, Madame Joplain è graniticamente certa che il suo caro figlio Émile sia ancora vivo. 

Il nostro ex soldato vorrebbe poterle dire che forse è il caso di rassegnarsi e che quasi sicuramente Émile è deceduto; sa bene come sia difficile accettarlo, a maggior ragione quando non c'è neppure un corpo su cui piangere, ma alimentare quella folle speranza non fa che aggiungere dolore su dolore.

L'uomo ha cercato altre volte le tracce di tanti soldati spazzati via e definitivamente dal conflitto, e finora non ne ha mai trovato uno in vita, per cui la triste signora è invitata caldamente a non farsi illusioni di sorta. 

Lo stesso protagonista (e narratore) ha combattuto, ormai dieci anni fa, e ha perso una mano per colpa del nemico tedesco, invalidità che gli ha permesso di lasciare il combattimento attivo; ma egli non è mai uscito completamente dalle trincee e da anni ormai si occupa delle tragedie che la guerra ha lasciato dietro di sé, cercando un modo per fare ammenda, per perdonare a sé stesso di essere ancora tra i vivi.

"Una volta che l’hai assaggiata, la guerra ce l’hai in corpo, sotto la pelle. Puoi vomitare, grattarti fino a sanguinare, non se ne andrà mai. È dentro di te. Allora io ci  tornavo. C’era ancora odore di cenere e di polvere da sparo. Distese di croci all’infinito. E io indagavo, instancabilmente. Per tutti gli anni Venti e buona parte degli anni Trenta ho fatto quello strano mestiere di investigatore."

Per questa intima ragione accetta l’incarico e si mette alla ricerca di Émile su campi di battaglia ormai freddi, fra ex soldati e testimoni che vorrebbero solo dimenticare e guardare al futuro.

Il nostro milite ignoto si butta anima e corpo in questa missione disperata, e per lui essa diventa un'ossessione che lo spingerà a perlustrare luoghi e a fare domande a diversi testimoni ed ex-soldati, imbattendosi in tantissime storie di dolore e sangue ma anche di amore e speranza.

"Servono a questo le storie, a rendere la vita migliore. Avevamo già i piedi pesanti, ci imponevamo di non appesantire troppo il cuore. Se avessimo aggiunto le lacrime alla pioggia saremmo affogati. E bisognava avanzare. Rimettevamo in spalla gli zaini che riempivamo con le storie d’amore prese un po’ da tutti, potevano sempre ritornare utili. L’amore è facile da condividere, ne prendi un pezzetto e altrettanto ne resta a chi te l’ha raccontato. Era facile essere generosi."

Certo, per riuscire a sapere cosa n'è stato di Émile sarebbe utile capire, ad esempio, dove fosse - e quando - l'ultima volta che ha dato una traccia di sè, magari con una lettera o una cartolina.
La signora Joplain afferma con testarda convinzione di essere stata l'unico amore della vita del suo ragazzo, il quale sicuramente non aveva una fidanzata.

Ma è davvero così?

Man mano che la sua ricerca procede, egli scopre che in verità il suo "soldato perduto" aveva un'innamorata: Lucie Himmel, una giovane alsaziana che lavorava per la famiglia Joplain.

L'indagine si sdoppia e trovare informazioni su Lucie (o magari lei in persona) diventa altrettanto importante per ricostruire ciò che n'è stato di Émile, e questo porta inevitabilmente alla luce racconti di guerra e leggende che circolavano tra i soldati, in special modo la suggestiva storia di una figura quasi sovrannaturale conosciuta come la "Figlia della Luna", una donna tanto bellissima quanto misteriosa che si aggirava nella terra di nessuno tra i due schieramenti in cerca dell’amato perduto, apparendo ai soldati come una visione eterea e ultraterrena.

Ma la storia più incredibile e toccante resta quella centrale, che sta succhiando ogni energia del nostro ex-soldato: il folle e tenace amore vissuto da Émile e Lucie, che si staglia sullo sfondo tragico di una guerra passata - ma i cui dolorosi effetti si fanno ancora sentire - e di una futura, di cui si cominciano a sentire i primi venti (nel libro, verso la fine, si accenna all'ascesa del nazismo).

È la storia dei due innamorati divisi dall'orrore di un conflitto sanguinoso, una storia dolce, commovente e le ultime pagine toccano alte vette di struggente tenerezza, fino al colpo di scena finale.

 

"Il soldato perduto" è un romanzo breve ed è un piccolo gioiellino letterario, a mio avviso, che si lascia apprezzare per la fluidità e armoniosità di linguaggio, per il connubio di sfumature nostalgiche e dolcemente ironiche, per la sensibilità dell'autore nel narrarci, attraverso gli occhi del protagonista senza nome - che potrebbe rappresentare tutti quei soldati dispersi in guerra -, tante piccole storie intrecciate e collocate in un periodo storico umanamente terribile; sono storie di dolore, separazioni, affanni e preoccupazioni, disperazione, resistenza, rimpianti, paure, resilienza, storie che ci ricordano - se mai ce ne fosse bisogno - di quanto e quale carico di orrore, distruzione, odio, follia... è portatrice ogni guerra, in qualsiasi momento e luogo.

Molto bello, ricco di umanità, potente e delicato.
Consigliato!

Amore mio
Ho pensato a te, oggi
Come ieri. Come l’altro ieri.
Come domani, se sarò vivo.

Tu mi popoli.
Amore mio,
è passato un anno. Un anno che ci è stato rubato.
Un anno perduto per sempre.
Amore mio,
Sono mitragliato dalla nostalgia.
Fa male.

Amore mio, amore mio
Ripeto queste parole nella notte
Le dirò alla fine della mia vita
Forse sarà domani
Forse sarà qui

Amore mio
Se tu muori io muoio
Se tu parti io parto.
Se non mi ami più io ti amerò ancora.
Amore mio
(...) I tedeschi non sanno
Che le frecce possono colpirmi soltanto
Al cuore.
Amore mio
Se sei morta portami con te.

venerdì 5 settembre 2025

LIBRI SOTTO L'OMBRELLONE [ estate 2025 ]



Anche voi avete "il vizietto" di sbirciare i titoli dei libri letti dalle persone attorno a voi?
Secondo me sì, ammettetelo :-D

Quest'anno sono andata per qualche giorno al mare e a farmi compagnia avevo LA RADICE DEL MALE di Adam Rapp e RITORNO A CASA di Kate Morton.




Ovviamente, non potevo non guardarmi attorno per vedere se c'erano spiaggianti lettori.

Ecco i titoli che son riuscita a sbirciare:



Il primo libro che ho adocchiato è un giallo di Agatha Christie, in lingua straniera, e mio marito è riuscito a leggere le tre parole formanti il titolo (Kot wśród gołębi); googlando, ho trovato il libro in questione, che in italiano è MACABRO QUIZ (Oscar Mondadori, 200 pp).

Hercule Poirot appare sulle pagine del romanzo molto più tardi del solito, quando viene interpellato da
l'edizione in polacco
che stava leggendo 
la ragazza in spiaggia

una cliente in erba, una giovane studentessa del Collegio di Meadowbank, perché risolva il problema dell'inafferrabile assassinio che ha messo in subbuglio la tranquillità della scuola con una serie di misteriosi delitti.
Prima, infatti, viene uccisa un'insegnante di ginnastica, poi una studentessa viene rapita. 
"Macabro quiz" deve i suoi esiti più memorabili non tanto alla presenza di Poirot, quanto all'efficacia dell'ambientazione e al tono ricco di notazioni brillanti, con cui l'autrice descrive la vita dei professori e studenti all'interno di un collegio molto esclusivo...
Con "Macabro quiz", Agatha Christie aggiunge un altro capitolo alla lunga storia dei piccoli omicidi sui banchi di scuola, convinta com'è che se il delitto non paga, almeno istruisce.


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L'ISPETTORE ZUCCALÀ. IL PENTITO DI ALTARIVA di Gianmaria Camilleri (PAV Ediz., 196 pp,)

Per Peppe Anzaldi, uomo d’onore e amico fidato e guardaspalle del boss del paese di Altariva, Pino De Cristofori è un’invenzione giornalistica. 
Un uomo che non si considera pentito, che non riconosce i valori e lo spirito con cui era diventato “mafioso”, sepolto dalle ambizioni e da uno Stato connivente, carnefice e manipolatore. 
Una narrazione interrotta da frammenti di sensazioni che, pian piano, danno corpo a fantasmi della mente. 
E ritroviamo Anzaldi nelle campagne di Altariva, che cerca di sfuggire alla sentenza di morte voluta dal capo dei capi Turi Risina.


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Due libri di Gianluca Gotto, di cui non sono riuscita a leggere il titolo ma ho memorizzato le copertine :-D


VERRÀ L'ALBA, STARAI BENE di Gianluca Gotto (Mondadori, 720 pp.).


Cosa succede quando il dolore è troppo? Qualcuno ci sprofonda dentro, altri si arrendono, c'è chi chiede
aiuto, chi tenta di affrontarlo. 
Veronica, invece, sceglie di lasciare tutto e tutti per ricominciare una nuova vita dall'altra parte del mondo. Spinta dalla necessità di darsi sempre da fare, così da non sentire né ricordare, riesce a costruirsi da zero una carriera di successo, che le permette di vivere in una delle zone più trendy di Melbourne ed essere vista come una donna di trent'anni indipendente, in splendida forma, realizzata. 
Una workaholic, sì, ma brillante e impeccabile. 
Eppure, quando la porta del suo appartamento si chiude e si ritrova intrappolata nel silenzio della sua solitudine, il dolore del passato riemerge con prepotenza e l'unico modo che lei conosce per gestirlo è attraverso un controllo maniacale di ogni aspetto della sua vita, dall'attività fisica all'alimentazione al lavoro, fino a ogni minuscolo gesto quotidiano. 
Proprio quando lo stress e le sue ossessioni la spingono sull'orlo di una crisi autodistruttiva, un evento inatteso la costringe prima a fermarsi e poi a cercare l'ennesima fuga da se stessa. 
Ma è proprio a causa di questo tentativo maldestro e disperato che il destino la porterà in una terra lontana, dove l'incontro con un'altra anima smarrita come la sua segnerà l'inizio di un percorso per affrontare il proprio dolore e rinascere. 


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QUANDO INIZIA LA FELICITÀ. DI DOMANI, NASCITE E RINASCITE di Gianluca Gotto (Mondadori, 360 pp.).


In questo libro Gianluca Gotto condivide le domande che lo hanno accompagnato nel corso della sua crescita personale per raccontare senza reticenze le esperienze vissute in questi ultimi anni. 
I momenti difficili e le fragilità, ma anche la sua rinascita, i sogni realizzati, la consapevolezza acquisita attraverso il buddhismo, i tanti incontri che hanno illuminato la sua strada, l'amore smisurato per Claudia e la gioia, immensa, della paternità. 
Un libro pieno di consigli e spunti per vivere al meglio la propria vita, ma anche rassicurante come una tazza di tè in un freddo pomeriggio di pioggia, il primo abbraccio dopo molto tempo, una chiacchierata con quell'amico che ti ascolta senza giudicare. 
Un diario di viaggio scandito da domande su cui tornare più e più volte, per trovare un segnale, un'ispirazione, una motivazione a smettere di aspettare o inseguire la felicità, ma cercarla dove già siamo: qui e ora.


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LA MONTAGNA NEL LAGO di Jacopo De Michelis (Giunti, 576 pp).

La sera del 3 settembre 1992, sul battello che solca le placide acque del lago d'Iseo, Pietro Rota rivede il
profilo imponente di Montisola dopo dodici anni di assenza. 
Fuggito a Milano con l'ambizione di diventare un grande giornalista, le cose non sono andate come sperava e lui si ritrova a collaborare con una scalcinata rivista scandalistica specializzata in cronaca nera. 
Emilio Ercoli, l'uomo più ricco dell'isola, è stato ucciso in maniera feroce e i sospetti degli inquirenti si concentrano su Nevio Rota. Tra i due non correva buon sangue e diversi indizi puntano contro di lui.

Convinto dell'innocenza del padre, Pietro si mette a investigare in via informale per scagionarlo, insieme al vigile urbano Cristian Bonetti. 
Legatissimi fin da bambini, avevano a lungo formato insieme a Betta un terzetto indissolubile, ma i rapporti fra loro si erano guastati poco prima della sua partenza. 
Le ricerche dei due amici svelano come, dietro la maschera dell'integerrimo benefattore, Ercoli nascondesse diversi scheletri nell'armadio, e Pietro non tarda a convincersi che la chiave per risolvere l'enigma della sua morte vada individuata in uno di quegli scheletri. 
Pietro e Cristian capiranno che la verità giace sepolta in un'epoca tanto remota quanto oscura: i torbidi anni della Repubblica di Salò, durante i quali Junio Valerio Borghese, il “principe nero” al comando della famigerata Decima Flottiglia Mas, aveva fatto di Montisola una sorta di feudo personale.

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DALL'ECONOMIA DELL'OCCUPAZIONE ALL'ECONOMIA DEL GENOCIDIO di Francesca Albanese (PaperFIRST).

Nel presente rapporto, la Relatrice Speciale sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese
occupato dal 1967 [Cisgiordania incluso Gerusalemme est e Striscia di Gaza, NdR] indaga gli ingranaggi aziendali che sostengono il progetto coloniale israeliano di espulsione e sostituzione dei palestinesi nel territorio occupato. 
Mentre i leader politici e i governi si sottraggono ai propri obblighi, fin troppe entità aziendali hanno tratto profitto dall’economia israeliana di occupazione illegale, apartheid e ora genocidio. 
La complicità denunciata da questo rapporto è solo la punta dell’iceberg; porvi fine non sarà possibile senza chiamare a rispondere il settore privato, compresi i suoi dirigenti. 
Il diritto internazionale riconosce diversi gradi di responsabilità, ciascuno dei quali richiede esame e accertamento dei gradi di coinvolgimento, in particolare in questo caso, in cui sono in gioco l’autodeterminazione e l’esistenza stessa di un popolo. 
Si tratta di una misura necessaria per porre fine al genocidio e smantellare il sistema globale che lo ha reso possibile.


ANCHE VOI AVETE FATTO CASO AI LIBRI LETTI DAI VACANZIERI? 😎⛱️

mercoledì 3 settembre 2025

Recensione || BUTTERFLY di Martta Kaukonen



Un thriller scandito da sedute psicoterapeutiche, deliri ad occhi aperti e pensieri ossessivi che trascinano il lettore in un vortice di parole, disegni oscuri e bugie.
Nulla è come sembra e distinguere tra chi dice la verità e chi mente non è così scontato. 


BUTTERFLY
di Martta Kaukonen



Longanesi
trad. D. Sessa
320 pp
Ira è una ragazza complicata, il corpo segnato da un'anoressia che la consuma e una mente occupata da ossessioni che la divorano e che mettono in pericolo lei e gli altri.
Il lettore fa il suo primo incontro con lei in un momento decisamente drammatico: Ira sta commettendo un omicidio con un sadismo che sa di diabolico.

Non è il primo sanguinoso delitto che commette ma lei sa che prima o poi la polizia potrebbe mettersi sulle sue tracce.
E allora perché non cercare una psicologa con cui iniziare un percorso psicologico che, un domani, se dovesse essercene bisogno, potrebbe contribuire a scagionarla dalle sue colpe?
Il piano di Ira è quello di stabilire un rapporto di totale fiducia con una psicologa che veda in lei una personalità fragile, disturbata, che commette omicidi perché "ha qualcosa che non va", così da sfruttare la diagnosi in un eventuale futuro processo.

E per i suoi scopi serve la terapeuta giusta e lei sente di averla trovata: Clarissa Virtanem. 

Clarissa è una psicologa affermata, famosa in tutta la Finlandia, una star dei talk show dove compare in tailleur griffato e tacco dodici, affascinante e solo all'apparenza "leggera", ma in realtà competente e professionale nel proprio lavoro; in particolare, si occupa di persone vittime di abusi sessuali e tutti la ritengono un'ottima psicologa.

È a lei che Ira si rivolge per chiedere aiuto. 
Clarissa non sa che cosa ha in mente la sua nuova paziente, verso la quale prova da subito un'incredibile empatia e la voglia impellente di "salvarla", di aiutarla ad uscire dalle sue ossessioni, individuando la causa dei suoi tormenti e traumi.

Clarissa crede moltissimo nelle proprie competenze e capacità, perché lei è una di quelle psicoterapeute che non sbagliano un colpo con i loro problematici pazienti.

Beh, quasi mai, per lo meno.
Perché un brutto "errore" c'è nella carriera della donna ed ha il nome e il volto di un quindicenne, Riku.
Riku è una ferita aperta nel cuore di Clarissa e rappresenta il suo più grande fallimento professionale, nonostante ella cerchi mille modi per giustificarsi...

Quando si trova davanti la cupa, ombrosa, taciturna ed enigmatica Ira, Clarissa è convinta di poter fare breccia dentro di lei, di riuscire a conquistare la sua fiducia ed aiutarla.
Certo, non può immaginare di aver davanti un’assassina seriale, una spietata killer di uomini in cerca solo di un alibi e di eventuali attenuanti qualora venisse arrestata. 

D’altra parte, nemmeno Ira immagina cosa si nasconde dietro l’aspetto impeccabile di Clarissa e l'unica cosa che le interessa è manipolarla affinché faccia ciò per cui è andata nel suo studio.

Ira non crede nella psicologia, nelle tecniche che i terapeuti usano per far parlare i loro pazienti e per cercare di analizzare le origini dei malesseri interiori e psichici; non crede nell'ipnosi, nella psicanalisi, nei testi di personalità..., per lei ogni seduta è una enorme messinscena in cui lei finge di voler guarire, di tirare fuori, a colpi di chiacchiere sui divanetti, tutti i suoi traumi infantili.
E si rende conto di come Clarissa non veda l'ora di conoscere questi traumi per poterla guidare verso la luce, affinché la giovane Ira torni a vivere, a stare meglio, a scacciare i brutti pensieri.

Quei pensieri che possono indurre una persona che sta male a volersi togliere la vita, e Clarissa è intenzionata ad impedire alla sua nuova ed amata paziente di arrivare a fare un gesto estremo come il suicidio.

Ogni seduta assume, agli occhi del lettore, i contorni di un atto teatrale in cui le due parti in causa rivestono un ruolo, entrambe convinte di interpretarlo bene e di poter manipolare l'altra persona, di comprenderne i silenzi, gli sguardi, di saperne decifrare i segreti, individuando ogni possibile menzogna.


Tanto Ira quanto Clarissa  - che indossano una maschera nel rapporto dottore-paziente - sembrano invece sincere rispetto al terzo incomodo delle loro sedute: il lettore.
Esse si rivolgono al lettore, sfidandolo a stare al loro gioco, a individuare verità e inganni nelle loro parole, nel vortice impetuoso dei loro pensieri ed egli le segue credendo - almeno sino a un certo punto - di aver ben chiaro ruoli, responsabilità, di aver compreso chi ha di fronte e quali obiettivi si stiano ambedue ponendo nella relazione instaurata.

In questo spiegare a turno il proprio punto di vista - in cui ognuna si sente vincitrice sull'altra, imbattibile, più scaltra e di certo non manipolabile - ci sono altre due voci che si intromettono nel dialogo tra Ira, Clarissa e il lettore.

Arto è un giornalista fallito; rimasto vedovo dell'amata moglie Marja, non riesce a risalire dal buco nero in cui si trova e si è convinto che ottenere una bella intervista con una persona famosa, possa fargli riacquistare credito presso il suo capo.
E la persona famosa che ha intenzione di sbattere in prima pagina è Clarissa; purtroppo, è risaputo che la psicologa sia sì generosa nel concedere interviste, carismatica e glamour, socievole e affabile, ma solo quando si tratta di parlare di tutto ciò che esula dalla propria vita privata, sulla quale è abbottonatissima.
Ma per avere uno scoop sensazionale, Arto ha bisogno di far sbottonare Clarissa, e l'unico modo per farlo potrebbe essere quello di giocare sul suo tallone d'Achille (un vizietto che ha purtroppo lo stesso Arto).

Arto sembrerebbe un personaggio secondario, in un primo momento, la cui presenza quasi stona rispetto ad Ira e Clarissa, ma il suo ruolo ci verrà chiarito andando avanti con la lettura.

Un altro personaggio che si staglia sullo sfondo ma che offre al lettore una prospettiva esterna e, all'apparenza, più razionale e lucida è Pekka, il marito di Clarissa.
I due danno l'impressione di essere una coppia felice ed affiatata ma tra di loro ci sono tante bugie, segreti inconfessati che, ciascuno per ragioni proprie, non vuole che vengano fuori...

Pekka capisce che quella tra la moglie ed Ira sembra andare oltre i confini della relazione terapeutica e che sua moglie tiene particolarmente a quella ragazza, della quale l'uomo riesce a sbirciare i disegni mostrati dalla stessa Ira durante le sessioni di terapia.

Disegni oscuri, spaventosi, da film horror, che parlano di esperienze terribili, dolorose, traumatiche.
Forse quegli schizzi sono la chiave per accedere agli angoli più nascosti della psiche di Ira e che possono spiegare a Clarissa e al lettore chi sia davvero la ragazza e di quali azioni si sia realmente macchiata?

Questo thriller psicologico è come una vertiginosa psicoterapia a cui il lettore ha il privilegio di assistere mentre cerca di districarsi nel fiume di pensieri ansiosi, istinti omicidi e suicidi, sensi di colpa, rimorsi, ricordi intrisi di dolore e lacrime, paure per il proprio futuro, manipolazione della realtà, disturbi psichiatrici gravi, legami famigliari (di coppia e tra genitori-figli) che hanno subito molti, troppi colpi difficili da parare, e in tutti questo gradualmente, attraverso piccoli colpi di scena, chi legge arriva a capire chi realmente mente e chi è vittima di allucinazioni o convinzioni distorte.

Chi è il mostro, il carnefice, e chi è la vittima?

È un thriller che mantiene costantemente un buon ritmo, più si prosegue e più si ha voglia di chiarire ogni dubbio e di individuare colui o colei che è effettivamente pericoloso.

Mi è piaciuto, è un romanzo che sfiora argomenti seri, come le malattie della psiche e della personalità (ansia, ossessioni, disturbi alimentari, schizofrenia...), la pedofilia, il suicidio, quei confini, nella relazione medico.paziente, che non vanno superati; interessanti i personaggi, tutti interconnessi tra loro per vie che ci vengono chiarite gradualmente; intrigante il contesto delle sedute psicologiche.

Consigliato!


Citazioni 

"Il senso di colpa corrode l'anima senza pietà, che sia più o meno fondato".

"Voi non mi conoscete. Per voi io non sono altro che parole su carta. Potrei essere tanto il personaggio di un romanzo quanto una persona reale. (...) Per voi sono parole, ma ogni parola, no, ogni pensiero riapre la mia ferita. Cosa ci guadagno a raccontarvi tutto? Più racconto è più mi credete, forse?"

domenica 31 agosto 2025

[ Recensione ] IL MISTERO DI ANNA di Simona Lo Iacono

 

In una mescolanza di realtà e fantasia, tra personaggi fittizi e reali, questo romanzo incanta e fa sorridere di tenerezza e fanciullesco stupore per il suo essere poetico e commovente, denso di passaggi significativi che portano il lettore a riflettere sul potere e sulla bellezza della parola, della poesia e della letteratura, su come esse possano portare luce e donare nuove e più ricche prospettive da cui guardare il mondo e le persone attorno a sé.



IL MISTERO DI ANNA
di Simona Lo Iacono



Neri Pozza
160 pp

Nel 1968 Anna Cannavò ha dieci anni e frequenta la quinta elementare a Siracusa. 
La piccola proviene da una famiglia molto semplice e povera ma altresì dignitosissima, guidata da genitori umili e gentili.
La famiglia Cannavò vive ai margini della società ma Anna non ne soffre perché ciò che la distingue da chi le è intorno è il suo sguardo: lei vede ogni cosa attraverso gli occhi di chi ama imparare parole nuove per poter descrivere con consapevolezza la realtà attorno a sé ma soprattutto per esprimere emozioni, stati d'animo, pensieri, sogni.
È affascinata dal mistero delle parole poetiche e sta imparando ad amarle, a giocare con esse, a scoprire nuovi significati e a saperli adoperare nei momenti e contesti giusti. 
È una bimba straordinariamente vispa, dall'intelligenza acuta e vivace, con un'invidiabile velocità di apprendimento e una inconsapevole maturità nel dare valutazioni su fatti e persone, dando giudizi ed opinioni con estrema pertinenza e con una naturalezza da lasciare stupiti gli adulti.

Quando la maestra annuncia in classe che il ministero della Pubblica istruzione ha indetto un concorso e che il premio consiste nel trascorrere un'intera settimana a Milano in compagnia di una famosa scrittrice, Anna Cannavò decide di partecipare. 
Il concorso consiste nello scrivere una lettera alla scrittrice  Anna Maria Ortese raccontandole la propria giornata e la giovanissima studentessa si lancia con gioia, fiducia ed entusiasmo in questo compito, scrivendo - con quella schiettezza e freschezza che appartengono a una ragazzina curiosa e piena di gioia di vivere qual è lei - com'è la  sua vita e quella della sua famiglia, e soprattutto manifestando tutto il suo amore per le parole e la poesia, conscia di star scrivendo ad una scrittrice e poetessa famosa. 

Con grande stupore di tutti (del preside, che ne è egoisticamente contrariato; dei genitori, persone semplici che nulla sanno di letterati e artisti ma sono felici per questa vittoria della loro piccola) e della stessa Anna Cannavò, questa viene scelta e così parte alla volta di Milano per trascorrere sette giorni a casa della «signora Anna». 

Arrivata a destinazione la bambina si accorge che ad ospitarla non è soltanto la signora Ortese, ma  anche sua sorella Maria. 

Anna è felicissima di poter condividere una settimana con le due sorelle Ortese, di chiacchierare amabilmente con Maria e di sentire il ticchettio dei tasti della macchina da scrivere della "signora Anna" quando è concentrata nel suo lavoro.
I giorni trascorsi insieme rompono la solitudine nella vita della scrittrice e della sorella, e queste ultime godono dell'allegria e della spensieratezza che la piccola sicula porta con sé in quell'appartamento milanese, regalando risate e conversazioni vivaci e divertenti.

La stessa scrittrice resta meravigliata dalla sensibilità della bambina verso il magico mondo delle parole:

"...ti capita spesso di rimanere colpita dalle parole?"

"Spesso? Signorina Anna, io non faccio altro che restare colpita da tutte le parole, quelle libere e quelle oppresse. E da quelle poetiche, soprattutto, che riconosco per il semplice fatto che mi danno una sensazione di caldo, qui, ma anche di dolore. Oppure le riconosco perché invece di farmi proseguire mi fanno fermare, o perché sono dolci ma hanno pure un certo sapore di inferno. Io mi sono ammalata di parole poetiche, signorina Anna, e sono dispiaciuta di non conoscerle tutte, perché mi sono detta che – forse – a conoscerle davvero tutte, le parole, capivo meglio il mondo...". 


Il racconto dell'eccitante esperienza di Anna Cannavò nel 1968 si alterna a un altro racconto, che si colloca negli anni Cinquanta e che ci viene narrato in forma epistolare, attraverso lo scambio di lettere tra due donne e amiche: Anna Maria Ortese e una certa "signora R.".

In queste lettere, il lettore ha modo di conoscere un po' meglio Anna Maria Ortese, il rapporto con l'amata e fedele sorella (che verrà colpita da una malattia degenerativa), il dolore per la morte dei fratelli, le sue opere letterarie, le sue preoccupazioni, i dubbi, le collaborazioni con altri intellettuali e con le case editrici, il continuo cambiare casa e città, e personalmente un tale "assaggio" della vita e delle opere di questa letterata italiana, mi ha fatto venir voglia di conoscerla ancora meglio attraverso i suoi scritti.

I due filoni narrativi - l'incontro della "piccola Anna" con la "grande Anna", nel 1968, e lo scambio di lettere avvenuto oltre un decennio prima tra la Ortese e la misteriosa amica R. - sembrano scollegati ma ovviamente non lo sono e verso la fine del romanzo capiamo cosa li lega.

Il personaggio fantasioso di Anna Cannavò è meraviglioso, l'ho amato moltissimo, mi ha divertita e commossa insieme; il suo amore per le parole poetiche e per il loro "potere" benefico sulle persone nel guidarle su come vedere e affrontare la vita, è trascinante.

Anna è davvero una "singolare creatura", "Poverissima, ma inconsapevole di esserlo. Poetica, senza
sapere cosa sia la poesia. Innamorata di tutte le parole, che la schiudono al mistero della felicità.
Anna viene (...) guardando i libri alle pareti con gli occhi sgranati, la vedo che si dibatte per il desideri di leggerli. (...) Anna è una creatura letteraria. Per ogni parola trasale, per ogni fenomeno umano mostra uno stupore dolente. Ha capito che la vita è un mistero, e va enumerando tutto ciò che in quel mistero si muove. Non sa ancora che la scrittura è l’unico modo che avrà per sopravvivere, e ignora la forza di questo suo sguardo."


Gli adulti, a causa dei problemi, delle paure, dei fardelli e dei dolori che accompagnano il vivere quotidiano..., spesso sembrano dimenticare com'è stato essere bambini, come ci si sentiva eccitati nel far domande su domande, nello stupirsi ad ogni minima scoperta, entusiasmarsi anche per una piccola novità o traguardo raggiunto...: dovremmo sforzarci di recuperare l'Anna curiosa di apprendere e crescere che vive dentro ciascuno di noi e imparare ogni giorno a guardare il mondo con gli occhi dei fanciulli, più ottimisti, più sensibili, più semplici.

Questo romanzo mi è piaciuto moltissimo, leggerlo è stata una piacevolissima scoperta e lo consiglio perché, nella sua leggerezza e semplicità, ci permette di conoscere meglio la scrittrice Anna Maria Ortese e lo fa attraverso una bambina sveglia e intelligente che "richiama alla mente certi cardilluzzi chiusi nella gabbia,  inconsapevoli di essere in prigione, che si struggono a cantare la bellezza senza sapere di piangere".


IL MORSO di S. Lo Iacono ( RECENSIONE)

Citazioni

"⟪pure per voi la vita è solo il presente?⟫
⟪Sì, è solo il presente, ma la vita si pone anche sul piano dell’immortalità, perché è una chiamata, una scelta non nostra, una specie di obbedienza a un disegno voluto da altri. Ma una obbedienza tutta speciale e particolare, come risposta a un progetto pensato solo per te. ⟫
(...)
⟪E io a cosa venni chiamata?⟫
⟪Tu sei chiamata alla bellezza, perché cercare la bellezza è emergere dal male. E perché la scuola della bellezza non è altro che disciplina. La disciplina dello straordinario.⟫"


"... la periferia è qualcosa che sta ai margini di qualcos’altro, perciò se ami le parole devi andare a  cercarle proprio dove nascono, e anche là dove mancano.
Ma cose dei pazzi, mi sono detta a quel punto. E io che pensavo che le parole nascevano dalle cose  belle. Quanto mi sbagliavo. La signorina Anna mi ha fatto capire che le parole non nascono dalla bellezza ma dalla mancanza. E non dal centro ma dai margini. E non dal Duomo di Milano, ma dai muri pieni di scritte."



venerdì 29 agosto 2025

Cold case australiani: quando la finzione viene ispirata dalla cronaca nera (parte 2)

 

Nel post precedente abbiamo ricordato due tristi casi di cronaca nera: la misteriosa ed irrisolta scomparsa dei fratelli Beaumont e la morte di Azaria Chamberlain a causa di un dingo.

In questo post, come anticipato, vedremo gli altri due casi citati da Kate Morton in Ritorno a casa: la ragazza dal pigiama giallo e l'Uomo di Somerton.


Linda Agostini (nome completo: Florence Linda Platt) è nata a Forest Hill (un sobborgo di 
Londra) il 12 settembre 1905; è nota come la "ragazza in pigiama" (o "la ragazza dal pigiama giallo") ed è stata una vittima di omicidio, il cui cadavere fu ritrovato lungo un tratto di strada ad Albury, nel Nuovo Galles del Sud, in Australia, nel settembre del 1934.

Trasferitasi a 19 anni in Nuova Zelanda, vi rimase fino al 1927, quando pensò di andare a vivere in Australia a Sydney. 
Trovato lavoro in un cinema, prese casa presso una pensione in Darlinghurst Road a Kings Cross, dove si racconta che intrattenesse uomini giovani e attraenti. 
Linda aveva il vizio di alzare il gomito, amava frequentare feste e quando iniziò una relazione con l'italiano Antonio Agostini, lo sposò nel 1930 ma il matrimonio si rivelò da subito infelice; per cercare di salvare il salvabile, la coppia decise di partire per Melbourne per sottrarre Linda all'influenza dei suoi amici di Sydney.

Linda sparì in una giornata di fine agosto del 1934 e pochi giorni venne ritrovata senza vita, con indosso un pigiama di seta gialla con un motivo a drago cinese, dettaglio che faceva pensare che la vittima fosse benestante in quanto quell'indumento, in quegli anni (Grande Depressione) era ritenuto "lussuoso". 

A trovare il corpo della vittima fu Tom Griffith, un uomo del posto che stava conducendo un toro da competizione lungo il ciglio di Howlong Road, vicino ad Albury; Linda giaceva in un canale di scolo sotterraneo, gravemente ustionata e nascosta in un sacco di iuta.
La testa della pyjama girl era avvolta in un asciugamano, era stata picchiata selvaggiamente e, da una radiografia, si scoprì che aveva un proiettile nel collo. 

In un primo momento non si riuscì a identificarla (furono fatti più nomi di ragazze scomparse in quel periodo) e la salma fu portata a Sydney, dove fu esposta al pubblico; conservata in un bagno di formalina presso la Facoltà di Medicina dell'Università di Sydney fino al 1942, fu poi trasferita alla sede della polizia, dove rimase fino al 1944, anno in cui, in seguito a numerose prove forensi e al riesame dell'arcata dentaria, si arrivò a identificare il cadavere con Linda Agostini. 

Ovviamente il coniuge di Linda, Antonio (Tony) fu informato del ritrovamento; l'uomo era da poco tornato a Sydney dopo essere stato internato nei campi di Orange, Hay e Loveday dal 1940 al 1944 (per le sue simpatie per il nazifascismo). 
Il capo della polizia rintracciò Tony nel ristorante in cui lavorava come cameriere e lo interrogò. 

Tony Agostini confessò di aver causato la morte della moglie sparandole, anche se disse che non voleva ucciderla; spaventato dal proprio irreparabile gesto, aveva gettato il corpo nel tombino, lo aveva cosparso di benzina e dato fuoco per distruggere le prove. 
Agostini fu processato per omicidio ma - con gran sorpresa da parte dell'opinione pubblica - fu riconosciuto colpevole di omicidio colposo e condannato a (soli) sei anni di carcere (se ne fece tre). 
Fu rilasciato nel 1948; morì in Italia nel 1969.

In teoria il caso fu chiuso, ma successivamente nuove prove scoperte da Richard Evans, uno storico di Melbourne, avevano messo in dubbio la ricostruzione e la conclusione da parte della polizia; nel libro "The Pyjama Girl Mystery", Evans ha sottolineato che ci fossero delle importanti differenze tra la donna trovata morta e Linda Agostini; ad es., la ragazza in pigiama aveva una taglia di seno diversa da quella di Linda, come anche la forma del naso e il colore degli occhi (Linda li aveva azzurri, la ragazza in pigiama castani). 
Richard Evans sostenne inoltre che erano ben 125 le donne presenti nella lista delle possibili identità in mano alla polizia, e che queste non fossero mai state rintracciate.

Il regista italiano  Flavio Mogherini ha prodotto, nel 1977, un film intitolato "Il caso della ragazza in pigiama" con Dalila Di Lazzaro e Michele Placido.



L'altro caso è sempre australiano ed è altrettanto celebre: l'Uomo di Somerton.


Siamo a Somerton, un sobborgo di Adelaide nell’Australia Meridionale.
La sera del 30 Novembre 1948 un uomo dai capelli biondo-rossicci, di circa 40-45 anni, ben vestito, semidisteso sulla spiaggia con la testa appoggiata all’argine, le gambe allungate con i piedi incrociati  e una sigaretta spenta sul viso, viene notato da alcune coppie che passeggiano; sembrerebbe dormire, se non fosse che degli insetti gli girano intorno e lui non ne è infastidito.
La mattina dopo, quel corpo è ancora lì e non ci sono dubbi: è morto e non presenta segni di violenza.

Non è in possesso di documenti, né di portafoglio; vengono ritrovati due biglietti per viaggiare (uno
Un busto in gesso del cosiddetto Uomo di Somerton

usato per un autobus da Adelaide a Glenelg, e un altro non usato per il treno, da Adelaide a Henley Beach).

Si stima che sia morto verso le due del mattino per un arresto cardiaco causato dall’assunzione, si ipotizza, di un veleno.

La salma viene imbalsamata così da preservarla in vista di futuri esami; da una successiva analisi autoptica, l’avvelenamento si conferma l’ipotesi principale.

Nel gennaio 1949 c'è una svolta: al deposito bagagli della stazione ferroviaria di Adelaide viene ritrovata una valigia, che era lì dal 30 novembre; dentro vengono ritrovati diversi oggetti e indumenti, questi ultimi privi di etichette; su alcuni di essi è riportato il nome T. Keane o Kean  ma la polizia dubita che si tratti del nome del morto.
Controllando i registi ferroviari viene fuori che l’uomo era giunto in stazione nella notte del 30 novembre, si era fatto una doccia e si era rasato in un bagno in città e poi era ritornato in stazione, acquistando il biglietto per il treno delle 10:50 per Henley Beach ma in realtà poi aveva cambiato idea e preso il pullman per Glenelg.

Si brancola nel buio sino a quando, esaminando di nuovo i pantaloni dell’uomo misterioso, in una tasca interna viene recuperato un pezzo di carta su cui si leggono queste parole: Taman Shud. 

Sembra che Taman Shud siano le parole finali di una raccolta di poesie (il "Rub’ayyat") del matematico, astronomo e filosofo persiano dell’XI secolo  'Umar Khayyám  e significano “è finito” o “è concluso”.

Esse vogliono forse indicare che il misterioso individuo senza identità si sia suicidato?

Ma i colpi di scena non sono finiti.

messaggio in codice mai decifrato


Siccome quel pezzo di carta era la pagina strappata da un libro, si scopre che esso proviene da una copia rara del 1859; tanto per aggiungere un ulteriore pizzico di mistero, sul retro di questo libro vi sono cinque righe di annotazioni scritte a matita - che sembrano dei messaggi in codice - e anche un numero di telefono appartenente a Jessica “Jestyn” Thomson (il nome non viene rivelato subito), un'ex infermiera di Glenelg, la cui abitazione è a circa 400 metri a nord del luogo dov’era stato ritrovato il cadavere. 

Quando alla donna viene mostrato un calco in gesso della parte superiore del torso dell’uomo, ha una reazione di sgomento e riconosce in quei tratti un certo Alfred Boxall, sottotenente dell’esercito australiano Sezione Trasporti Acquatici, al quale aveva regalato nel 1945 proprio quella raccolta di poesie.

Il problema era che il presunto Boxall era vivo più che mai e ancora in possesso sua copia del Rub’ayyat.

E se il codice misterioso indicasse che l'uomo era una spia sovietica? 

A nutrire questa teoria si aggiunse la notizia della morte (nell'agosto 1948) di Harry Dexter White, funzionario del Dipartimento del tesoro statunitense morto per avvelenamento da digitale (digossina) e ritenuto un agente sovietico. 

Ma non finisce qui.
Nel 2013 la figlia di Jessica Thomson rivelò che sua madre (simpatizzante comunista), prima di morire, le confidò di aver mentito sull’identità dell’uomo di Somerton, il quale era noto non solo a lei ma anche a livello istituzionale e alla stessa polizia.

Ad ogni modo, le impronte digitali di Somerton Man furono inviate in tutto il mondo, ma nessuno riuscì a identificarlo; fu sepolto nel cimitero di Adelaide nel 1949 e sulla lapide è stato scritto "Qui giace l'uomo sconosciuto che è stato trovato a Somerton Beach".

uomo di Somerton  >> Carl Webb
Settant'anni dopo, all'intricata storia dell'uomo trovato sulla spiaggia si aggiunge un nuovo tassello grazie alla tenacia di un ricercatore dell'Università di Adelaide, Derek Abbott, che è riuscito ad analizzare il DNA dell'uomo dai capelli, conservati quando le autorità fecero realizzare il busto in gesso.
Dalle tracce genetiche si è costruito l'albero genealogico e da lì sono stati rintracciati i parenti ancora in vita.

Abbott ha finalmente dato un nome e un'identità all'individuo sconosciuto: Carl Webb, ingegnere elettrico di Melbourne,  sposato con Dorothy Robertson; ma a parte questo, tante domande ancora non hanno trovato risposta, una su tutte com'è morto ed eventualmente per mano di chi.

Chissà se questa enigmatica storia riserva ancora sorprese?


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martedì 26 agosto 2025

Cold case australiani: quando la finzione viene ispirata dalla cronaca nera (parte 1)

    

Durante la lettura dell'ultimo libro recensito qui sul blog. Ritorno a casa di Kate Morton, ho notato che l'autrice cita al volo alcuni casi reali di scomparse misteriose, accostandoli al mistero attorno al quale verte la storia narrata nel romanzo, vale a dire la misteriosa morte di quattro membri di una stessa famiglia mentre erano a fare un picnic durante la vigilia di Natale.


Curiosa qual sono, ho cercato informazioni su questi casi di cronaca nera, accaduti tutti in Australia diversi decenni fa; oggi vedremo la misteriosa scomparsa dei fratellini Beaumont e la tragica morte di Azaria Chamberlain.


Partiamo dalla scomparsa dei fratellini Beaumont, avvenuta il 26 gennaio del 1966, durante l'Australia Day, giorno di festività nazionale attraverso la quale si celebrano le origini di questo meraviglioso Paese.

Jane, Grant e Arnna Beaumont nel 1965. © MRU
 
Sin dal mattino quella giornata prometteva di essere molto calda e i tre fratelli Beaumont (Jane di 10 anni, Arnna di sette e Grant di quattro) chiesero il permesso alla madre (Nancy) di andare alla spiaggia a Glenelg Beach, distante cinque minuti di autobus dal sobborgo di Adelaide in cui abitavano.

Permesso concesso, per cui i tre presero l’autobus delle 8:45 promettendo di ritornare con quello di mezzogiorno; ma quando passò l'autobus senza i fratellini, e poi anche il successivo, Nancy cominciò a preoccuparsi. 

Non appena rientrato il marito (Jim Beaumont) dal lavoro (alle 15), i coniugi si recarono immediatamente alla spiaggia per cercarli ma niente: i bambini non c’erano. 

I genitori pensarono di tornare indietro, verso casa, rifacendo la strada che i figli potrebbero aver percorso tornando a piedi (nel caso avessero perso l’autobus), si recarono anche da amici e conoscenti ma senza ottenere risultati.

Così, passate le 17, decisero di denunciare la scomparsa alla polizia.

La polizia fece perlustrare la spiaggia e le aree adiacenti, vennero controllati anche l’aeroporto, le linee ferroviarie e le strade interstatali.
Tre giorni dopo, il 29 gennaio, sul Sunday Mail comparve un articolo che parlava dei tre fratellini scomparsi: forse erano stati rapiti e assassinati da un molestatore sessuale?

Come spesso accade in questi casi, numerose furono le testimonianze di avvistamenti che cominciarono ad arrivare: chi li aveva visti presso il porto turistico di Patawalonga Boat Haven, chi nel parco di Colley Reserve, vicino alla spiaggia, in compagnia di un uomo sulla trentina alto, biondo e magro, con cui i tre si erano messi a giocare, dando l'impressione di essere sereni e felici. I quattro si erano poi allontanati dalla spiaggia orientativamente verso le 12.15.

I Beaumont reputarono questa testimonianza poco attendibile, in quanto, a detta loro, i loro figli non erano soliti dar confidenza o addirittura giocare con gli sconosciuti, ma - su sollecitazione della polizia - Nancy ricordò che effettivamente la figlia minore Arnna le aveva detto che Jane aveva “trovato un fidanzato in spiaggia”, ma lei aveva pensato che parlasse di un compagno di giochi e non ci aveva più pensato.

Un panettiere di Glenelg Beach riferì che Jane aveva comprato pasticcini e una meat pie con una banconota da una sterlina (una somma superiore a quella data loro dalla mamma); tempo dopo, una donna riferì che la notte della scomparsa aveva visto entrare un uomo, accompagnato da due ragazze e un ragazzino, in una casa disabitata vicina alla propria; addirittura, aveva osservato una scena allarmante: più tardi il bimbo era uscito di casa ma l'uomo lo aveva brutalmente acchiappato e riportato dentro; la mattina dopo, l'edificio tornò ad essere vuoto.

Ben due anni dopo la scomparsa, Jim e Nancy ricevettero due lettere (spedite dallo Stato di Victoria) firmate “Jane”, e un’altra da un uomo che si firmava “The Man”, in cui questi diceva di avere con sé i bambini; dalle analisi forensi, inizialmente le missive furono ritenute autentiche, ma anno dopo si appurò che erano false.

Diversi individui furono sospettati di aver rapito i bambini Beaumont, tra essi Harry Phipps, un ricco uomo d'affari di Adelaide accusato in precedenza di abusi sui minori, e Bevan Spencer von Einem, un assassino che negli anni '80 aveva rapito ed ucciso un ragazzo; secondo la soffiata di un informatore anonimo, von Einem si vantava di aver rapito tre bambini da una spiaggia diversi anni prima ma, dopo accurate indagini, per quanto ci fossero elementi che potessero sostenere questo possibile coinvolgimento del criminale, si arrivò alla conclusione che von Einem non c'entrasse nulla, anche perché non ci si trovava con l'età del rapitore: l’uomo avvistato in compagnia dei tre bambini, infatti, era stato descritto come “trentenne”, mentre von Einem all’epoca aveva solo vent’anni.

Jim e Nancy Beaumont rimasero per anni nella loro casa di Somerton Park, nella speranza che i loro figli un giorno tornassero a casa...

L'angosciante storia dei tre fratellini Beaumont, mai ritrovati, è uno dei cold case più tristemente famosi in Australia.

Di recente (febbraio c.a.), c'è stato un nuovo interesse per questo caso.
Avete presente uno dei principali sospettati, Phipps?
Ecco, nel 2008 lo scrittore Stuart Mullins contattò l'ex detective Bill Hayes per mostrargli il proprio personale fascicolo in cui aveva raccolto dati ed ipotesi circa la scomparsa dei fratellini Beaumont e in cui faceva il nome del presunto rapitore...

Mullins si avvicinò a Bill dopo aver individuato una prova interessante: la borsa beige con clip che Jane Beaumont portava con sé il giorno della fatidica gita, Stuart la vide mentre visitava la casa di un'anziana vedova, Elizabeth Phipps, nel giugno 2007.
Un particolare da brividi, soprattutto se si considera che sovente gli assassini collezionano 'souvenir' appartenenti alle loro vittime.

Per Stuart, tale avvistamento confermò ciò che sospettava da tempo: l'uomo che aveva rapito i Beaumont quel giorno era il defunto marito di Elizabeth, il milionario e pedofilo Harry Phipps. 
Quando però Stuart ottenne che la polizia indagasse su questo particolare, Elizabeth affermò di aver gettato via la borsa. 

E fu così che Mullins si decise a chiedere aiuto a Bill; questi prese a cuore il caso e, indagando, si rese conto che tutte le strade portavano a Phipps, uomo ricco e influente nella comunità, con legami con la Chiesa e lo Stato. 
Bill e Mullins sottolineano come egli possedesse delle proprietà a pochi passi o a breve distanza da Glenelg Beach, il luogo della scomparsa dei tre fratelli.
A dare conferma della perversione sessuale di Phipps è lo stesso figlio, Haydn, che  confessò di essere stato abusato dal genitore, quand'era un bambino...; non solo, ma egli, che aveva 15 anni al momento della scomparsa dei bambini, affermò di aver visto i Beaumont nella sua casa di famiglia a Glenelg.

Ma la svolta per un'eventuale riapertura avvenne nel 2013, quando due uomini si fecero avanti dopo aver ricordato di aver scavato una buca di due metri per un metro nella fabbrica Castalloy (North Plympton, Adelaide) di Phipps l'ultimo fine settimana di gennaio del 1966. 
L'uomo che commissionò la buca corrispondeva alla descrizione di Phipps. 

Ci sono state, quindi, delle operazioni di scavo nel sito dell'ex fabbrica Castalloy ma mi sembra - leggendo diversi articoli nel web - che non sia stato trovato nulla di rilevante, almeno per ora...

Altro elemento ritenuto importante da Mullins e Hayes: una persona vicina alla famiglia Beaumont ha riferito che, dopo la scomparsa dei fratelli, la nipote di Phipps si fossebsposata con un cugino di Jim Beaumont, il che fa supporre che allora Harry Phipps potrebbe aver avuto modo di conoscere Jane, Arnna e Grant, e magari proprio in virtù di questa conoscenza i tre non si sarebbero allarmati quando l'uomo gli aveva avvicinati...

Non ci resta che aspettare che emergano altre novità, con la speranza di poter sapere cosa sia accaduto a quelle tre anime innocenti e per mani di chi.

📝📖📝📖📝📖📝📖📝📖📝📖

L'altro caso nominato dalla Morton è quello della piccola Azaria Chamberlain.

Figlia di un pastore avventista, Azaria morì a poche settimane di vita uccisa da un dingo; nell'agosto 1980 la piccola era nella tenda all'interno di un campeggio a Uluru (Ayer's Rock, Australia) e fu portata via dall'animale.

Fu sua madre, Lindy Chamberlain, a riferire di aver visto un dingo uscire dalla loro tenda subito dopo la scomparsa della bimba, e immediatamente partirono le ricerche ma il corpicino non fu ritrovato.

Una settimana dopo la scomparsa di Azaria, un uomo, mentre stava scattando foto di fiori selvatici vicino ad Ayer's Rock, notò dei vestiti strappati vicino a un masso, che si rivelarono essere un pannolino strappato e la tutina di un neonato.

Lindy purtroppo fu accusata di aver ucciso la propria figlia, nonostante non vi fossero prove oggettive che facessero pensare a lei quale autrice di questo crimine abietto; la donna fu comunque condannata in primo grado di omicidio sulla base di prove circostanziali, tra cui il sangue trovato nell'auto di famiglia, inizialmente ritenuto appartenente ad Azaria, cosa che venne confermata da una biologa, mentre il medico legale sostenne che gli strappi trovati nella tuta di Azaria fossero più compatibili con delle forbici che con il morso di un dingo. 

Nel 1982, Lindy fu condannata all'ergastolo, mentre suo marito, Michael, ricevette una pena minore.

I Chamberlain erano membri della Chiesa Avventista del Settimo Giorno e su quest'affiliazione religiosa ruotarono numerose speculazioni e teorie assurde, tra cui quella che i genitori avessero ucciso la figlia in una sorta di sacrificio rituale. 

Ma mentre Lindy era in prigione, nuove prove emersero a favore della donna: anzitutto, venne fuori che nell'auto della famiglia c'era dell'emulsione di vernice e non del sangue. 
Ma l'evento determinante fu un fatto del tutto accidentale: un escursionista inglese (David Brett) cadde da Ayer's Rock, il suo cadavere fu ritrovato otto giorni dopo la caduta in una zona piena di tane di dingo e lì gli investigatori rinvennero la giacca mancante di Azaria, in una delle tane. 

I coniugi Chamberlain e i loro sostenitori dovettero lottare molto e a lungo perché fosse fatta giustizia ma perché la donna fosse liberata e il verdetto ribaltato, dovettero attendere il 2012, quando perché il coroner emise la sentenza ufficiale: il responsabile della morte di Azaria fu un dingo.

Dopo la vicenda e il tragico errore giudiziario, la vita della famiglia Chamberlain cambiò radicalmente: Lindy si trasferì negli States e Michael dedicò il resto della sua vita alla lotta per la giustizia e contro i pregiudizi e le persecuzioni. 


Gli altri due casi - la ragazza del pigiama giallo e l'uomo di Somerton - li vedremo in un prossimo post.




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domenica 24 agosto 2025

[ Recensione ] RITORNO A CASA di Kate Morton



In un caldo pomeriggio estivo, i quattro membri di una famiglia sono stesi sul prato; hanno l'aria di essere serenamente addormentati e, a vederli, la scena è così perfettamente immobile da sembrare un  dipinto.
Ma se si osserva con attenzione, si può notare che tutta quell'immobilità è troppo strana, tanto da risultare sospetta ed infatti quelle persone (una donna con i suoi tre figli) sono morti.
Che cosa è successo? Perché un normalissimo picnic è finito in tragedia?
Decenni dopo, una donna - appartenente a quella famiglia - si proporrà di capire cosa sia davvero successo.


RITORNO A CASA 
di Kate Morton

HarperCollinsIt
trad. R.Zuppet
592 pp
Adelaide Hills, Australia Meridionale, 1959. Quando il fattorino Percy Summer si avvicina alla bellissima tenuta di campagna, chiamata Halcyon dai padroni di casa, vede una donna e i suoi bambini appisolati, nel corso di un picnic.
La donna è Isabel Turner e i tre sono i suoi figli Matilda, Evie e John, che hanno evidentemente deciso di trascorrere il pomeriggio della vigilia di Natale del 1959 a fare merenda sul prato e forse a fare una nuotata.
Eppure, agli occhi di Percy c'è qualcosa in quella che sembra una scena tranquilla e bucolica, che stona terribilmente.

"La scena sotto il salice trasmetteva una certa intimità, una certa vulnerabilità. Ecco una famiglia riunita che dormiva, con le tracce del pranzo ancora disposte a casaccio sulla coperta: piatti e tazze, croste di pane e briciole di torta. 
Fu allora che l'immobilità della scena lo colpì. Era quasi innaturale. (...) Qualcosa si muoveva sul polso della bambina più piccola, notò. Si avvicinò cautamente. E fu allora che vide la fila di formiche strisciare sul suo corpo, lungo il braccio e verso gli avanzi del picnic. Tutto il resto era statico, silenzioso. I lineamenti non si contraevano nel sonno. Nessuno sbadigliava o cambiava posizione (...). Nessuno alzava o abbassava il petto".

In un misto di sorpresa e terrore, Mr Summers si rende conto che i quattro... sono morti!

Senza indugio, ed evitando di farsi domande che in quel momento resterebbero prive di risposta, monta sul proprio cavallo e va a cercare aiuto.

Partono immediatamente le indagini per capire cosa sia accaduto ai Turner: come sono morti? Si tratta di un incidente o è un pluriomicidio? 
La piccola e tranqueilla città di Tambilla sprofonda in uno dei casi di omicidio più sconvolgenti della storia dell’Australia Meridionale e ad incrementare il livello di angoscia e di shock ci pensa un altro agghiacciante particolare: Percy, preso dalla paura, non si era accorto di un elemento importantissimo e che però si palesa, agli occhi della polizia, quando questa giunge sulla scena della tragedia (o del delitto?), vale a dire che appesa a un ramo c'è una cesta in cui doveva esserci la piccola Thea, l'ultimogenita della signora Isabel.
Dov'è finita la piccola, che ha solo pochi mesi? Chi l'ha presa e perché?

Percy Summers è sconvolto e quella maledetta scena che gli si è presentata davanti non la dimenticherà più, anzi assumerà i contorni di un incubo che continuerà a perseguitarlo e tormentarlo negli anni a venire.

Ovviamente, la polizia deve battere tutte le piste possibili ma è tutto molto misterioso in quanto i corpi non presentano alcun segno che faccia pensare ad un'aggressione da parte di qualcuno....

Come sono morti i Turner? E se sono stati assassinati, da chi? Chi poteva avere interesse a uccidere tre minori e una signora bella e gentile proveniente dalla lontana Inghilterra, sposata con un uomo rispettabile (purtroppo spesso via per lavoro)?

La narrazione si divide in due piani temporali: il 1959, appunto, e il 2018 e per capire nel dettaglio cosa sia accaduto in quel torrido 24 dicembre del 1959, il lettore farà molti salti da un anno all'altro e sarà nel 2018 che una donna - legata per parentela ai Turner - farà di tutto per capire cosa sia accaduto in quel drammatico pomeriggio e  per sciogliere ogni piccolo dubbio su colpe e responsabilità.

Questa donna è Jess Turner-Bridges, che nel 2018 è vicina ai quarant'anni; vive a Londra, ha da poco chiuso una relazione importante ed è stata pure licenziata, per cui è alla disperata ricerca di un lavoro come giornalista; ad aumentare il carico di ansia e disperazione ci pensa una telefonata dall'Australia (la sua terra natia) che avrebbe preferito ricevere il più tardi possibile: la sua cara e amata nonna Nora è ricoverata in ospedale in seguito a una caduta e, quando Jess va a trovarla, sembra non sia rimasto nulla della donna coraggiosa che conosceva.

L'anziana è immobile in un letto d'ospedale, per lo più dorme ma, in quei rari momenti in cui riesce ad articolare suoni, mormora parole incomprensibili e misteriose in cui è evidente come la nonna abbia paura..., paura che qualcuno voglia rubarle la sua bambina...

D quale bambina sta parlando? Di Jess o della propria figlia Polly (la madre di Jess)?

Jess non capisce cosa turbi la donna e, in più, viene a sapere che Nora è caduta mentre cercava di andare su in soffitta, quella stessa soffitta che a Jess, da bambina, era stata severamente proibita.
Ovviamente, proibire qualcosa a una bimba vivace e curiosa come Jess era come invitarla a disobbedire, ed infatti ella ha costantemente frequentato di nascosto la vecchia soffitta a Darling House, la bella casa di Nora, in cui Jess ha trascorso gran parte della propria vita e a cui sono legati tantissimi cari ricordi.

Certo, questi ricordi sono meno cari quando Jess pensa alla madre Polly, verso la quale nutre non pochi rancori: Polly, infatti (ragazza madre e -pare - abbandonata dal padre di Jess), a un certo punto prese la decisione di lasciare la figlioletta (allora decenne) a Darling House, con Nora; nonostante avesse promesso di andare a riprenderla e portarla con sé, non l'aveva mai fatto e questa distanza fisica ne aveva creata una emotiva, così da deteriorare il legame madre-figlia.

Nora ha fatto da madre a Jess, c'è sempre stata per lei, non ha fatto che incoraggiarla ad essere una ragazza determinata, vincente, a non arrendersi davanti agli ostacoli ma a porsi degli obiettivi e a lavorare sodo per raggiungerli.
Jess ama sua nonna teneramente e il pensiero che potrebbe morire in quell'asettica stanza d'ospedale, la fa star male.
Ma cosa ancora più urgente, Jess vuole scoprire cosa angosciava Nora tanto da spingerla a rischiare di prendere la scala e salire in soffitta: cosa cercava in quell'angolo della casa? Cosa la turbava tanto nei giorni precedenti la caduta?

Jess inizia a scavare nella polvere di Darling House e, grazie alla lettura di un testo - un libro-inchiesta scritto in una forma romanzata -, "Come se dormissero" del giornalista americano Daniel Miller, apprenderà una tragica verità sul passato dei Turner: c'è stato un terribile omicidio il giorno della Vigilia di Natale del 1959, un cold case rimasto irrisolto e che ha inquietanti collegamenti con la stessa Jess, che si appassiona tanto alla lettura del libro da non riuscire a staccarsene: lei deve assolutamente capire cosa effettivamente sia accaduto a Isabel, a John, a Matilda, ad Evie...
E poi c'è la questione della neonata rapita, Thea, anche se vent'anni dopo (quindi nel 1979), un tristissimo ritrovamento (non distante dal luogo del tragico picnic) farà ritenere chiusa almeno quella parte del mistero.

Il romanzo ha una trama davvero molto articolata e complessa, composta da numerosi personaggi, dislocata in un arco di tempo che va dal 1959 (con "fermate" nel 1978-'79) al 2018; l'autrice unisce il passato al presente attraverso una narrazione a più livelli, per cui alla prospettiva di Jess (nel presente) si aggiunge quella offerta dall'autore del saggio "Come se dormissero" (il reporter  Miller), letto dalla stessa Jess ("libro nel libro", in pratica) e che   occupa non poco spazio, permettendo tanto alla protagonista quanto al lettore di immergersi totalmente nella vita della famiglia Turner all' interno dell' affascinante tenuta Halcyon, sbirciando nel privato di Isabel, dei suoi figli, ma anche dei Summers e degli altri abitanti di Tambilla, così da sentirsi coinvolti emotivamente dalla brutta faccenda riguardante la morte dei quattro sfortunati nel corso del picnic.

La ricerca della verità conduce Jess ad aprire un baule (letteralmente e metaforicamente) pieno zeppo di segreti, di cose non dette, di verità taciute per paura o egoismo, di bugie e inganni che però pian piano verranno tutti a galla e questo permetterà a Jess di dare un senso a quel suo tornare a casa - in generale, in Australia, e a Darling House nello specifico - per comprendere meglio, con chiarezza e senza più ombre e nebbie, le proprie origini, la storia della propria famiglia, per guardare da vicino e ad ascoltare con attenzione un lungo e doloroso racconto che parla di donne forti ma anche sole, di madri che hanno dovuto fare delle scelte difficili e sofferte, di figli molto desiderati ed amati, di azioni incoscienti dalle conseguenze atroci.

Ricco di descrizioni suggestive delle due case in cui i personaggi si muovono (Darling House ma soprattutto Halcyon), il romanzo ha per lo più un ritmo pacato, dilatato, in cui io personalmente ho avuto modo di gustarmi ogni particolare, ogni descrizione (di persone, ambienti naturali, di pensieri e stati d'animo dei personaggi...) senza sentirmi mai annoiata, ma anzi accogliendo questa calma come coerente con l'impianto narrativo, fatto di attese lunghe decenni.

Forse qualche pagina in meno non avrebbe guastato, senza dubbio il romanzo soffre di un po' di lentezza, ma io ho amato molto la storia, i luoghi, i piccoli colpi di scena, l'intreccio fitto di misteri e graduali scoperte che girano attorno al picnic, alla morte dei Turner, alle origini di Jess, a ciò che successe alla bimba scomparsa dalla cesta.

Un racconto corale molto ricco, quindi, di tanti elementi e dettagli, in cui il concetto di casa, di sentirsi a casa, lì dove si è al sicuro e accolti e amati per ciò che si è, accompagna Jess e il lettore dall'inizio alla fine, e dove la conoscenza della verità e del passato sono necessarie per capire chi si è.

"Casa, aveva capito, non era un luogo, un tempo o una persona, benché potesse essere tutte queste cose insieme. Casa era una sensazione, un senso di completezza. Il contrario di casa non era lontananza, bensì solitudine. Quando qualcuno diceva: <Voglio andare a casa> in realtà intendeva che non voleva più sentirsi solo".

A me è piaciuto molto; per i miei gusti letterari, la Morton si conferma una bravissima narratrice e ho amato questo romanzo dalle atmosfere inevitabilmente malinconiche, nostalgiche, decadenti, come lo sono, di sovente, le grandi case di campagna quando, dopo anni in cui sono state abitate e riempite di voci, risate, giochi e scherzi tra bambini, vengono  poi abbandonate, lasciate all'incuria crudele del tempo, diventando tristemente silenziose ma pur sempre cariche di ricordi e storie da scoprire.

"Le persone che sono vissute nelle vecchie case arrivano a capire che gli edifici hanno un carattere. Che hanno ricordi e segreti da raccontare. Bisogna solo imparare ad ascoltare e poi a comprendere, come con qualsiasi lingua."

Consigliato a chi ama i libri che si concentrano su vicende famigliari e misteri da risolvere.


Alcune citazioni

"Eppure c'erano momenti in cui provava terrore per la propria desolazione, per la sensazione tormentosa di aver perso qualcosa a cui non sapeva dare un nome e che dunque non poteva sperare di ritrovare".

"...all'interno delle copertine c'erano mondi interi, pieni di persone e luoghi, di avventure e umorismo, che aspettavano solo che lui vi prendesse parte".

"...la paura è la porta dell'opportunità. E posso assicurarti, tesoro, che ogni cosa bella che mi è successa da allora è arrivata quando ho agito nonostante le mie paure".

"Le cose brutte succedono anche alle persone migliori e non possiamo lasciarci sopraffare. La vita non va sempre come l'abbiamo pianificata, ma alla fine le cose si risolvono".

"Le parole (...) sapevano essere insidiose quanto le persone: sembravano dire una cosa, mentre sotto la superficie si nascondeva un altro significato segreto".

"La lettura plasma le persone. Il paesaggio dei libri è più reale, per certi versi, di quello fuori dalla finestra".

"La casa è dove si trova il cuore, e il cuore può essere un luogo oscuro e danneggiato ".




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