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sabato 18 maggio 2024

"Quando muore un amore. Storie di lutto e memoria" di Matteo Carlesi [ Segnalazione& Recensione ]



"Quando muore un amore. Storie di lutto e memoria" è una silloge del poeta toscano Matteo Carlesi (Controluna Edizioni, 13 euro, 102 pp.).

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Il volume comprende 46 poesie, suddivise in due parti - "In morte di A." e "In memoria di A" - più un intermezzo ("Miscellanea") e da subito comprendiamo come il cuore e il motore di questi versi sia principalmente l'Amore, accanto al quale si sviluppano altre tematiche di vita altrettanto fondamentali, come la malattia, la morte, il ricordo di chi non c'è più e, di conseguenza, la potenza della memoria,  in cui la consolazione è mescolata a una dolorosa nostalgia per ciò che di bello è stato vissuto accanto alla persona amata ma che adesso, purtroppo, è andato via con la sua dipartita.

Nelle poesie di Carlesi traspaiono il grande e sincero amore provato e vissuto con il suo compagno Andrea, che una terribile e inesorabile malattia ha strappato a questa vita; la sua assenza si sente in ogni momento, in ogni luogo, gesto e abitudine legati alla quotidianità e al tempo condiviso tra sorrisi e lacrime, tra gioie e difficoltà, scandisce l'oggi e disegna i giorni futuri.


Ma ora tacete le parole
tacete uccelli il vostro canto.
Fermate le campane.
Prosciugate le fontane.
Io solo resto
senza occhi, senza speranza,
senza vita, senza aria né acqua.
Il mio campo è seccato.
Il mio mondo è caduto.
Rotto.
Infranto.
Spezzato.
Il mio amore è morto.


A lenire il dolore per l'assenza c'è la consapevolezza di un sentimento inossidabile che la morte non può calpestare o annullare, rafforzato anzi dalla forza dei ricordi di ciò che è stato, memorie che - come dicevo più su - da una parte alleviano e confortano, dall'altra spesso si posano e pesano sul cuore, rendendo l'aria e i giorni irrespirabili, svuotati di senso e valore.

Perché l'esistenza ha valore nell'amore vissuto giorno per giorno, negli abbracci, nei sorrisi, nelle risate di chi si ama.
E quando questo viene a mancare a causa della morte, continuare a vivere può trasformarsi in una lotta giornaliera per non soccombere alla sofferenza; l'accettazione della perdita dell’amato è un viaggio in cui la solitudine, le lacrime, lo smarrimento, il rumore sordo del vuoto dentro casa... sono i compagni più tristemente fedeli.

Ma se lo struggimento e il dolore più cupo proseguissero senza mai attenuarsi, vivere diverrebbe un inferno per chi resta, ed è così che nel passaggio dalla prima alla seconda parte della raccolta cominciano a interporsi altre consapevolezze, altre emozioni: il dolore non può essere scacciato del tutto perché l'assenza resta, ma forse i ricordi belli possono aiutare a lasciare viva l'immagine del volto amato, a ripensare con tenerezza e commozione al vissuto condiviso, che dalla mente e dal cuore non se ne andranno mai ma continueranno ad essere alimentati dall'amore:

"...in questo mio tempo
mi spetta la tua assenza,
ma nel mio cuore lo sai
resta una sola parola:
Amore."

Lungi dall'essere cupe o disperate, le poesie di Matteo Carlesi trasmettono una grande forza, anche nell'espressione del dolore; perdere l'amato e sapere che al mattino non lo vedremo più accanto a noi è qualcosa di emotivamente devastante (cui si aggiunge, in questo caso, anche il travaglio della malattia nei mesi precedenti la morte) e inevitabilmente l'autore non attenua ciò che prova a livello di angoscia, di senso di vuoto, perché la mancanza è "ingombrante", riempie ogni spazio, ogni attimo, e fingere che non si soffra non aiuta, al contrario.
La luce ci sembra tanto più luminosa quando si è attraversato il buio più nero, e questa luce la percepiamo, la vediamo leggendo queste bellissime poesie: è la luce della speranza di riuscire comunque a vivere con dignità e la giusta serenità in nome di un Amore che non passa, che sopravvive all'assenza fisica dell'altro, il quale continua ad esistere nel cuore di chi l'ha amato e quest'ultimo non può che dare valore al suo ricordo continuando a vivere, a resistere giorno per giorno.

"Là, davanti alla tua foto ho sorriso,
un sorriso appena accennato,
e tu mi hai risposto,
hai risposto nel mio cuore."


Una silloge che si legge d'un fiato grazie ad una scrittura immediata, semplice ma emotivamente ricca e piena, poesie che commuovono per i forti e genuini sentimenti che le attraversano e che arrivano con potenza ai cuori dei lettori, tanti dei quali sicuramente possono ritrovarsi - in virtù di esperienze simili - nel vissuto dell'autore, che ha scritto una raccolta che ritengo, nel mio piccolo, davvero meritevole di attenzione.

Consigliata a quanti amano la poesia perché le riconoscono il suo "potere" straordinario di esprimere, in modo unico, vissuti, emozioni, speranze, ricordi dolorosi e belli, e di concedersi, attraverso questo viaggio dentro sé stessi, il dono di guarire, di gettare un po' di balsamo sulle ferite e di continuare a trovare, di giorno in giorno, il senso della propria esistenza nonostante delle importanti assenze.

mercoledì 15 maggio 2024

LIA di Maria Cristina Russo [ RECENSIONE ]



Questa è la storia di una donna che per trent'anni è stata prigioniera di un matrimonio infelice con un marito violento; una donna vittima di soprusi e umiliazioni fisiche, sessuali, psicologiche, ormai rassegnata a quell'esistenza priva di gioia e amore accanto al suo aguzzino.
Ma un giorno accade qualcosa che le dona, inaspettatamente, la speranza di poter essere felice.


LIA
di Maria Cristina Russo

IVVI Ed.
176 pp
19,90 euro
Febbraio 2024
Poco più che cinquantenne, Lia è ancora una bella donna, con un bel corpo, un bel viso..., ma è lei la prima ad averlo dimenticato.

Sposata con Carlo da trent'anni, non sa cosa voglia dire godere di una relazione di coppia sana, basata su amore, fiducia, stima, complicità, rispetto; al contrario, tra lei e il coniuge c'è un legame tossico, dove lui è colui che comanda, decide, domina sulla moglie, e quest'ultima è totalmente sottomessa alle decisioni, ai capricci e agli scatti d'ira di quello che ormai è divenuto il suo "carceriere".

Sì, perché un matrimonio così altro non è che una prigione infernale, contrassegnata da ogni genere di violenza fisica e psicologica, completamente priva di gesti di tenerezza, di affetto, di calore.

Sarebbe facile giudicarla e chiedersi: "Ma se viene maltrattata, picchiata, abusata, perché Lia non se ne va? Perché non lascia Carlo, questo marito crudele e sadico, che gode nell'infliggere sofferenze alla moglie inerme e silenziosa?".

Ma Lia non va giudicata; Lia va capita, ascoltata, aiutata, e fatta eccezione per l'amica di sempre (Vera) e il fratello Paolo, non ha chissà chi a supportarla, a cominciare dalla madre, che non le è mai stata né di aiuto né di conforto, anzi.

Eppure, una sera, accade qualcosa che cambierà radicalmente l'esistenza della donna.

Sembra una serata come le altre (trascorsa in casa a pulire, preparare la cena, facendo attenzione a non commettere neanche il minimo errore, pena l'ira furibonda di Carlo, che comincerebbe a sfogare ogni frustrazione sulla moglie), ma non è così perchè Carlo sta tardando dal lavoro, cosa che non capita praticamente mai.
Alla porta si presenta un ispettore di polizia, Giuseppe Cafiero, accompagnato da un poliziotto in divisa, che le comunica che il marito è stato ucciso. 

Carlo ucciso? E da chi? Perché?

Sarebbero domande normali da porsi, ma in realtà Lia non se ne preoccupa: Carlo non c'è più, qualcuno - anche se non si sa ancora chi - ha spezzato le catene della sua terribile e dolorosa prigionia e questo è, per la vedova, l'unico pensiero meritevole di attenzione.

Certo, un attimo di smarrimento c'è, ma la consapevolezza di essere finalmente libera a 52 anni le riempie il cuore di un sollievo, di una serena euforia... che mai aveva provato fino a quel momento.

Vivere.
Cominciare a vivere adesso che è una donna matura, non più una ragazza: è forse tardi per lei?
No, non è troppo tardi per prendere in mano la propria esistenza, anzi, può farlo con la certezza che non ci sarà più la presenza malvagia di quel marito-padrone che godeva nel farle del male.

E noi lettori percepiamo questa leggerezza che inonda il cuore di Lia, partecipiamo alla sensazione di liberazione e pace che la travolge e che la spinge a rivoluzionare da subito il modo di vestire, di acconciarsi, la casa, i rapporti con le persone, soprattutto con gli uomini: basta, non c'è più nessuno a condizionarla, a schiaffeggiarla per ogni presunto suo sbaglio, a dirle come deve vestire, se e quando può parlare, uscire, alzarsi o sedersi.

La sua esistenza comincia lentamente una nuova fase in cui rinascita è la parola d'ordine. 

Lia comincia a conoscere persone nuove, a partire dal suo affascinante vicino di casa di origini inglese: John Westmoreland, un professore universitario affascinante, elegante, socievole, con il quale stringe un' amicizia speciale.

E poi c'è lui, l'ispettore Cafiero, l'uomo che sta seguendo le indagini dell'assassinio di Carlo.

Tra Giuseppe e Lia scatta un'intesa particolare sin dai primi momenti; entrambi si sentono imbarazzati e intimiditi ma, poiché le occasioni per vedersi e parlare non mancano, ogni volta hanno modo per capire e appurare se l'uno condivide le stesse belle e travolgenti sensazioni che prova anche l'altra.

E quando si accertano che un filo di passione e complicità li unisce, la voglia di vivere nella libertà un sentimento acerbo e appena nato, eppure già così forte, diviene incontenibile.

Intanto, però, l'assassino ha cominciato a tessere la sua tela e a noi lettori viene concessa una prospettiva narrativa più ampia, per cui intuiamo la sua identità, lo vediamo agire col favore delle tenebre e architettare ulteriori crimini per non farsi scoprire.

Non solo, ma quest' assassino è ancora l'ennesimo uomo convinto di poter decidere del destino di una donna, di avere il diritto di accampare pretese su di lei e di essere geloso e possessivo.

Lia è stata liberata da una relazione malata da qualcuno di cui non conosce il volto né il nome; il suo unico e legittimo desiderio è quello di essere felice, indipendente, di amare (ed essere amata da) un uomo che la rispetti, che non voglia dominarla ma starle accanto, che l'apprezzi, la stimi, la supporti, che non la riempia di pugni e calci ma di carezze e baci.

Ne ha tutti i diritti e cercherà di mettere sé stessa al primo posto, di non permettere più a nessuno di trattarla come un oggetto senza valore, di umiliarla, possederla contro la sua volontà, di farla sentire meno di niente.

Lia sogna ciò che ogni persona ha diritto a sognare e ad avere nella propria vita.
Ce la farà ad essere felice?

"Lia" è un romanzo drammatico che tratta la tematica della violenza di genere, delle relazioni tossiche, e lo fa con realismo, con un linguaggio semplice, immediato, con molti dialoghi e altrettanti passaggi più riflessivi in cui abbiamo modo di approfondire le psicologie dei personaggi coinvolti.
Non possiamo non empatizzare con la protagonista, "facciamo il tifo" per lei, desideriamo che sia finalmente l'unica padrona di sé stessa, che non ceda più a un amore (che amore non è!) deviato, egoistico, violento, abusante.
Lia si merita un uomo come Cafiero: onesto, dolce, rispettoso; si merita un'amica come Vera, sempre disponibile e pronta a darle il suo aiuto.

Ma, come dicevo, questo libro è realistico e non pensate che sia scontata la favola, l'happy ending.
Ci auguriamo che per ogni donna che riesce a fuggire da un uomo che non l'ama e che la maltratta, ci sia una concreta possibilità di rinascere dalle ceneri di un rapporto che non ha dato altro che lacrime.
E fino alla fine vorremmo questo anche per Lia.

Un romanzo che scorre pagina dopo pagina, grazie alla scrittura fluida, alla storia così attuale, aderente alla realtà, alla capacità dell'autrice di coinvolgere emotivamente il lettore nelle vicende della protagonista.

Consigliato a quanti cercano una storia che rispecchi tematiche purtroppo tristemente attuali, come la violenza sulle donne.

lunedì 13 maggio 2024

LO SCORPIONE D'ORO di Mariangela Camocardi [ RECENSIONE ]



Vent'anni dopo la prima pubblicazione, "Lo scorpione d'oro" di Mariangela Camocardi esce in seconda edizione in un formato rieditato e aggiornato dall'autrice stessa: intrighi e misteri, amore e vendetta rendono appassionante questo historical romance ambientato nella Milano del 1815.


LO SCORPIONE D'ORO
di Mariangela Camocardi


PUBME
ebook 3,99
cartaceo 18 euro
358 pp
In una gelida notte d'inverno, una donna partorisce due gemelli ma, seppur con dolore, tiene con sé solo uno, mentre l'altro lo consegna alla fidata cameriera Cosima: la partoriente è l'amante (e futura moglie) del conte Murialdo Lattanzi e si è accorsa che il secondo gemello ha un'evidente deformazione fisica che impedirebbe al padre di accettarlo e amarlo, essendo egli ossessionato dalla bellezza e da tutto ciò che è perfetto... Così donna Orsola chiede a Cosima di prendere il bimbo e fuggir via, e questo fa la cameriera dopo aver preso, dalle mani della padrona, danaro e gioielli, tra cui una catenina d'oro da dare al povero bambino, se mai fosse sopravvissuto.

Trent'anni dopo, in casa Lattanzi è accaduta una tragedia e l'unico figlio cresciuto dalla coppia è ormai un uomo di nome David.

Il giovane sta attraversando un momento non certo semplice: i suoi genitori sono morti in circostanze drammatiche e lui scopre che essi gli hanno nascosto un segreto: ha un fratello!
David è intenzionato a cercarlo, a dargli affetto ed eredità pur di non restare solo dopo la morte dei genitori. 

La ricerca del fratello segreto diventa una vera e propria missione e assolda anche un investigatore pur di trovarlo; ma ciò che non si aspetta è che le sue vicende personali si intrecceranno con quelle di una donna tanto bella quanto battagliera, anch'ella impegnata in una intricata impresa.

Clementina Martini è una ragazza testarda e coraggiosa, che non teme di affrontare a muso duro chiunque si riveli un farabutto e un prepotente: che sia l'odiato cognato Gerolamo - che ha sposato sua sorella Celia - o il di lui cugino, il religioso don Ferrante.

Clementina ha tutte le ragioni per detestare i due uomini: qualcuno ha pestato a sangue la sua povera sorella e ne ha rapito il figlioletto, Stefano; un testimone che ha assistito al fattaccio giura di aver scorto, tra coloro che si sono macchiati dell'infame gesto, un individuo con un medaglione su cui era inciso uno scorpione. 

Clementina sa di dover trovare questo delinquente che ha preso Stefano e ridotto in fin di vita Celia, ed è ovviamente convinta che dietro ci sia Gerolamo, un uomo dissoluto, prepotente, che ha sempre trattato male sua moglie, la quale di recente l'aveva lasciato proprio a causa dei continui maltrattamenti: forse Gerolamo, da marito ferito nell'orgoglio, s'è vendicato cercando di far fuori Celia e togliendole il bambino?
E se suo cugino, il viscido don Ferrante, fosse coinvolto in questa brutta storia?

Pur di vederci chiaro, Clementina si mette alla ricerca del cognato lì dove crede di poterlo trovare, ma non trova Gerolamo, bensì... un bell'uomo con un anello vistoso e particolare, su cui è inciso... uno scorpione!

L'uomo è il conte David Lattanzi: possibile che sia in combutta con Gerolamo e Ferrante? Che sia informato sul rapimento di Stefano?

David non sembra un manigoldo come il marito di Celia, anzi, è affascinante, gentile... e anche appassionato e seducente, tanto che tra i due scatta un bacio mozzafiato già dalla prima volta che si incontrano.

Ma Clementina è una ragazza con un grande autocontrollo e, pur provando una forte attrazione per il bel conte, cerca di sopprimerla perché è profondamente delusa dal genere maschile (e non solo in virtù dell'infelice matrimonio della sorella),è determinata a concentrarsi e a spendere ogni energia per cercare i responsabili del rapimento e delle percosse a danno di Celia, e se questo conte ammaliatore è complice, lei è pronta a scoprirlo.

A motivarla c'è anche un'altra importante ragione: don Ferrante le ha messo una pulce nell'orecchio circa un losco giro di rapimenti di poveri bambini, che vengono costretti a divenire dei cantanti..., con tutto ciò che tale scopo può implicare per queste creature...

Ben presto, però, ha modo di appurare che David non ha nulla da spartire con Gerolamo né col sequestro di Stefano e, anzi, i due uniranno le forze per raggiungere ciascuno i propri obiettivi: se Clementina ha a cuore le sorti del nipotino, David continua ad avere in testa il fratello perduto, che ha intenzione di ritrovare a tutti i costi.

Le due missioni finiscono per intersecarsi e i problemi e le difficoltà affrontate da David diverranno le stesse di Clementina, e viceversa.

Ad unirli c'è l'amore fraterno: Clementina ha un gran senso di protezione verso Celia ed è disposta a tutto - finanche a mettere a repentaglio la propria incolumità - pur di aiutarla a riprendersi la sua vita lontana da quel bruto di Gerolamo e a restituirle Stefano sano e salvo; dal canto suo, David non ha mai conosciuto suo fratello e sente il vivo desiderio di rintracciarlo per offrirgli il proprio sincero affetto, per riparare ai torti commessi dai loro genitori, che l'hanno abbandonato chissà per quale ragione.

David e Clementina andranno incontro a numerose avventure, molte delle quali pericolose, se la vedranno con diversi nemici, decisi a fermarli in ogni modo possibile, e per la coppia non sarà facile scoprire chi sta cercando di farli fuori e perché.
Una cosa è certa: lo scorpione d'oro torna spesso quale importante indizio che pian piano li condurrà verso la verità.

E mentre sono impegnati in questa doppia missione famigliare, la passione e il sentimento bussano alla porta del loro cuore, avvicinandoli sempre di più l'uno all'altra.

"Lo scorpione d'oro" è un romanzo che, una volta iniziato, si ha voglia di leggere tutto d'un fiato perché la scrittura è molto fluida, il periodo storico interessante (come lo è il riferimento alle voci bianche e a ciò cui andavano incontro i bambini ritenuti vocalmente dotati...), i dialoghi abbondanti e il linguaggio è consono all'ambientazione e ai personaggi, tutti ben delineati, tanto i principali che i secondari.
Le vicende - sempre molto dinamiche e vivaci - sono sviluppate in modo accattivante e la componente "gialla" - la presenza di misteri e verità da svelare - rende la storia avvincente, tenendo desta la curiosità del lettore sino alla fine.

Ideale per chi ha voglia sì di una storia d'amore ma ricca di avventura, colpi di scena, dal ritmo incalzante e che affronta tematiche come i rapporti famigliari, i legami tra fratelli/sorelle, la vendetta, le seconde opportunità.


sabato 11 maggio 2024

IL CERCATORE DI LUCE di Carmine Abate [ RECENSIONE ]



Le vicende personali del giovanissimo protagonista e la sua storia famigliare si intrecciano con il racconto dell'esistenza avventurosa e sorprendente di un artista italiano del Novecento, portando il lettore dal Trentino di Arco e della Scanuppia alle altezze sublimi di Maloja, all'altopiano della Sila nel cuore del Mediterraneo. 


IL CERCATORE DI LUCE
di Carmine Abate


Mondadori
378 pp
È l'estate dei suoi dodici anni e Carlo Adami si reca in vacanza con i genitori e la sorella maggiore Luisa nella baita di famiglia, situata in Scanuppia, una montagna del Trentino; con loro c'è l'anziana nonna Moma, una donna dal carattere granitico, dallo spirito indomito e dalla memoria di ferro.

Memoria cui lei attinge con vivacità e passione per raccontare al nipotino prediletto, Carlù, che somiglia al proprio defunto marito (l'omonimo Carlo Adami, stimato ingegnere), un fiume di ricordi, aneddoti, storie del passato, concernenti non soltanto il proprio vissuto personale, l'amore con e per nonno Carlo, ma soprattutto la vita straordinaria e piena di un uomo che è stato altrettanto straordinario per talento e cuore: Giovanni Segantini, il celebre pittore di Arco (Trento) sempre "in cerca di luce".

"È un cercatore di luce, Giovanni. E di luce nutre gli occhi, l’anima e il corpo."

Il lettore segue, quindi, due storie parallele lontane di molti anni e che vedono protagonisti il giovane Carlo nel presente e Giovanni Segantini nel passato (seconda metà del 1800).

Carlo è un ragazzino solitario, schivo, timido, riflessivo; non è bravo a fare nuove amicizie e preferisce trascorrere gran parte del tempo in compagnia della nonna Moma, di origine calabrese, che gli cucina molte prelibatezze e gli racconta di come nonno Carlo abbia conosciuto, da bambino, il grande pittore Segantini, ricevendone in dono uno dei suoi splendidi dipinti raffigurante una giovane donna con un bambino tra le braccia. 

Carlo è capace di stare ore a guardare quel quadro, ricavandone una forte sensazione di serenità e sollievo, soprattutto quando sente i propri genitori litigare aspramente, o quando vede sua madre tesa e cupa a causa delle lunghe assenze del marito che, con la scusa del lavoro, torna a casa in fretta e furia solo nei weekend (e neanche tutti), col risultato di innescare baruffe e momenti di palpabile tensione.

E se la sorella Luisa cresce bella e indipendente, sviluppando (almeno agli occhi di Carlo) un atteggiamento di sano menefreghismo per i litigi dei genitori e davanti alla possibilità che si separino, Carlo ne soffre oltremodo, non riesce ad accettare che la sua famiglia possa sgretolarsi, che suo padre vada definitivamente via di casa, che la mamma non provi a far pace e a ricomporre ciò che ancora resta della loro famiglia.

"Mi sarebbe piaciuto avere la sua brillantezza nello studio e soprattutto la sua capacità di pensare solo a sé stessa, al suo tornaconto personale, con naturalezza e convinzione. Io invece ero pigro e confuso, legato alla famiglia da un cordone ombelicale che mi strangolava e che però avevo paura di spezzare."

A salvarlo dalla tristezza ci sono la natura, la baita in Scanuppia e lei, Moma: 

"...il mio libro parlante, il più veritiero di tutti, il più appassionato, in particolare quando raccontava del primo e unico amore di Giovanni, per definire il quale usava un solo aggettivo: eterno."
E questo amore ha il nome e il volto della bella Bice Bugatti, la compagna di vita di Segantini ("Segante", come lo chiamava Bice), donna carismatica e compagna fedele, sempre al fianco del proprio uomo sin dall'incontro a Milano e poi ancora in Brianza e in Svizzera, realizzando le promesse che si scambiano gli sposi: restare insieme nella ricchezza e nella povertà, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia.

Bice e Giovanni: lui un sognatore che tende a volare troppo in alto, un Icaro che ha bisogno di una donna con i piedi per terra che gli impedisca di bruciarsi le ali e cadere giù e Bice, con il suo dolce pragmatismo, sarà sempre la sua salvezza.

Carlo si rivede in quel Giovanni amante della natura (uno dei più frequenti soggetti delle sue opere), nel suo amare i momenti di solitudine, di contemplazione e silenzio, e perdersi negli appassionanti racconti della Moma è un balsamo per i suoi piccoli ma brucianti dolori, causati dai genitori e dal suo essere un ragazzino che fatica a trovare il proprio posto nel mondo.

Egli non riesce a brillare negli studi (come fa invece Luisa), non ha una comitiva di amici, non riesce neppure a trovare una fidanzata, per lo meno non una come la devota Bice di Giovanni.

E allora immergersi nelle vicende e nel vissuto personale del pittore diventano un modo per staccarsi dalla propria realtà per immaginarne una decisamente più avventurosa e ricca di eventi, alcuni drammatici, tristi, pieni di difficoltà (Giovanni ha avuto un'infanzia povera e non certo felice) ed altri intrisi di vita, amore, soddisfazioni, talento, viaggi, speranze.
Luce.

Sì, perché se c'è un aspetto che accompagna tutta l'esistenza di Giovanni Segantini è la costante ricerca della luce giusta per le proprie opere, molte delle quali rappresentano paesaggi (di montagna, rupestri...):

"... è consapevole della bellezza della luce, non sta facendo altro nella vita che cercarla. Per un attimo immagina che ogni goccia di luce sia una creatura viva, la madre, il padre, i fratelli, la capinera, un pulcino, (...) ciò che diventiamo dopo la morte, un luccichio così sfavillante che ci ripete miliardi di volte: “La vita è bella, non scordarlo mai”."

"Ai piedi" di nonna Moma non c'è solo il giovane Carlo (che seguiamo fino agli anni dell'università, osservandone la crescita e il suo diventare un giovane riflessivo, sensibile, che cerca di superare i propri limiti e le proprie paure) ma anche noi lettori diveniamo, in un certo senso, uditori della vicenda umana di Giovanni Segantini, che ci viene narrata con un linguaggio quasi poetico e molto evocativo, ricco di suggestioni, in cui i luoghi (con la loro bellezza paesaggistica e umana) visitati hanno un ruolo preponderante, come lo sono i rapporti famigliari, quello tra l'uomo e l'arte, tra l'uomo e la natura, tra l'uomo e la vita/la morte; e poi ci sono la memoria, o meglio la potenza dei ricordi e il tenerli vivi attraverso i racconti orali, tramandati di generazione in generazione.

"Il cercatore di luce" è un romanzo di formazione che dà modo al lettore di conoscere un grande pittore, che prima ancora è stato un uomo semplice (per estrazione sociale, per modo di vivere, per il modo di scrivere e parlare, ecc...) e, allo stesso tempo, ricercato e complesso in virtù del suo immenso talento creativo e artistico, per l'affascinante e colorato universo che aveva dentro di sé e che solo con la pittura riuscita a tirare fuori magistralmente.

Pur avendo trovato il ritmo lento e poco coinvolgente il modo in cui l'autore sviluppa i due filoni narrativi (di per sé interessanti), non posso dire che questo romanzo di Abate non meriti attenzione, tutt'altro, e di esso ho sicuramente apprezzato il fatto di avermi avvicinato a un artista italiano dalla grande sensibilità artistica, come Giovanni Segantini (ho trovato il personaggio davvero molto affascinante) e quella vena nostalgica e quasi struggente che attraversa tutta la narrazione.

"Il compito principale nella vita di un uomo è di dare alla luce sé stesso. E Giovanni Segantini ci è riuscito in pieno, grazie alla sua arte".

Inoltre, c'è da dire che Abate ha un modo di scrivere che per me è, al contempo, un punto di forza e di debolezza: leggerlo è come iniettarmi una dose di calma e pace, che da una parte mi dà delle sensazioni positive, e dall'altra - a lungo andare - finisce per distrarmi e farmi sentire poco partecipe.

Consigliato in particolare a chi ama le narrazioni profonde, quasi contemplative. dal ritmo pacato e dalle atmosfere un po' malinconiche.




Alcune citazioni

"...c’è sempre un istante in cui il talento, se ce l’hai, si svela e ti cambia la vita. Bisogna solo saper aspettare. Fiduciosi. Vera o inventata, una storia non mente mai."

"I luoghi, come degli amanti smaniosi di conquistarti, rivelano le loro bellezze più irresistibili al primo incontro. Poi, con il tempo, ti possono pure pugnalare alle spalle, ma tu li amerai comunque e per sempre."

"...sarebbe bello se il risveglio mattutino cancellasse la realtà più subdola come fa con i sogni. Purtroppo, succede sempre il contrario, e la realtà si ripresenta sotto forma di incubo."

"Forse è questa la base più solida dell’amore eterno: due persone opposte in tutto che si sostengono a vicenda e si compenetrano fino a vivere insieme in un’unica aura, per sempre."

"Il dolore può essere infettivo o morderti il cuore senza pietà, ma ti fa crescere e maturare".

"Non siamo noi ad abbandonare i luoghi, sono loro che abbandonano noi. Nel senso che, appena pensiamo a malincuore di partire, non ci trattengono per le radici, ma ci lasciano andare altrove, spesso ci costringono. E quando ci accorgiamo dell’inganno è troppo tardi per ritornare sui nostri passi."

"... le storie sono già dentro di noi, mescolate a ferite e ricordi, al passato e al presente, persino al futuro, e i fili che le legano sono invisibili ma fortissimi. Basta un’immagine che resiste nel tempo, che rimbalza per caso davanti agli occhi, e le storie escono fuori con la necessità di un respiro vitale."

mercoledì 8 maggio 2024

I QUADERNI BOTANICI DI MADAME LUCIE di Melissa Da Costa [ RECENSIONE ]



Amande ha appena perso il marito e la bimba che aspettavano e l'unica cosa che desidera è sparire, allontanarsi da tutto e tutti, lasciarsi andare inerte al buio che ha inondato la sua esistenza.
Ma non ci sono tenebre che un raggio di luce, per quanto flebile, non possa illuminare e anche un'anima ferita e annichilita come quella di Amande continua a conservare, dentro di sé, la speranza e la voglia di rinascere.


I QUADERNI BOTANICI DI MADAME LUCIE
di Melissa Da Costa



Rizzoli
trad. E. Cappellini
304 pp
Non c'è niente di più insopportabile della luce del sole splendente, della vita, del rumore, del vocìo allegro di gente spensierata... per chi vuol solamente chiudersi a riccio nel proprio dolore e circondarsi di buio, silenzio, solitudine.

Ed è ciò che desidera, infatti, per sé Amanda Luzin, una giovane donna da poco rimasta vedova e privata anche della figlioletta che stava aspettando.
Una doppia tragedia che l'ha spinta a prendere una decisione: lasciare tutto ciò che resta della propria esistenza frantumata dal dolore e dal lutto, e andare a vivere lontana dal caos e dalla presenza di altri esseri umani: ha così preso in affitto una vecchia casa nella campagna francese dell’Auvergne.

Per lei è un rifugio nel quale stare da sola, rannicchiata nella propria sofferenza, vivere senza aprire mai le imposte, con le finestre sbarrate, senza l’interferenza della luce e distante da ogni contatto sociale.

Le sue giornate trascorrono monotone e uguali e Amande sta bene attenta a non chiamare nessun famigliare o amico né desidera essere chiamata e visitata.

"Non voglio nulla che mi ricordi la mia vita precedente. Quella prima del 21 giugno e della notte che è seguita. Come fanno le persone? Come si può veder crollare il tuo universo e riprendere la stessa vita che facevi? Tornare al lavoro dopo qualche giorno, continuare ad abitare nello stesso appartamento, frequentare lo stesso quartiere… È al di sopra delle mie forze. Hanno abbandonato il mio mondo all’improvviso, tutti e due, la stessa notte, e a partire da quel momento quel mondo, il mondo in cui mi muovevo, respiravo, mi svegliavo da ventinove anni, quel mondo non esiste più."

Ma fortunatamente, nonostante il suo atteggiamento di chiusura, non viene lasciata sola da chi le vuol bene: i suoceri (Anne e Richard) non fanno che telefonarle per sapere come sta e offrirle il loro sostegno, e così pure il cognato Yann e la moglie Cassandra. Anche la madre di Amande prova a chiamare la figlia ma tra le due non scorre un gran feeling, per cui i tentativi maldestri dell'imbarazzata genitrice fanno più male che bene.

A far compagnia alla donna ci pensa un gattino randagio che pian piano, con insistenza, riesce a conquistare le attenzioni di Amande, che ha sempre avuto un gran terrore dei gatti; non solo, ma ella scopre in casa degli  appunti lasciati dalla vecchia proprietaria di casa, Madame Lucie, riportati con minuziosità e costanza su dei calendari: si tratta di indicazioni semplici ma estremamente dettagliate per la cura del giardino, con annesse anche ricette di torte invitanti e marmellate. 

Amande ha trent’anni, è una donna di città, non ha mai indossato un paio di stivali di gomma, eppure è attratta da quelle istruzioni vergate con una grafia elegante, così prova a seguirle alla lettera, impegnandosi a far rinascere l'orto che un tempo era curato dalla signora Lucie.

Il progetto di buttarsi in quest'avventura tutta nuova la fa sentire viva, finalmente impegnata in qualcosa di bello, utile, che ha a che fare con la vita che, anche dopo un periodo di incuria e abbandono, può tornare a rinascere.

Mai avrebbe pensato di sentirsi elettrizzata all'idea di piantare semi, bulbi, di strappare erbacce, innaffiare, aspettare che germoglino fiori e frutti e verdure.

Eppure è così: prendersi cura di qualcosa che lei stessa contribuisce a far nascere e crescere è esaltante, la fa star bene, la tranquillizza e, soprattutto, le occupa la mente e le giornate, le impedisce di crogiolarsi nel suo plaid sul divano di casa, a piangere e a pensare a ciò che la vita le ha crudelmente strappato.

Certo, non è un orto - per quanto sia impegnativo e la faccia sentire sfinita a fine giornata - ad allontanare i ricordi di un tempo felice.

La narrazione del presente viene arricchita dei ricordi di Amande, che ripensa a quando il suo amato Benjamin era accanto a lei: lui, così allegro, espansivo, pieno di voglia di vivere, comprensivo, affettuoso, un bravo educatore che amava il proprio lavoro ed era amato dai "suoi" ragazzi del centro; un marito così dolce con la sua Poupette, la sua Amande, e così felice al pensiero che presto sarebbero diventati genitori della tanto attesa e già adorata Manon.

Manon, così minuscola nella mani di un'addolorata e distrutta Amande. Un piccolo angioletto che non ha avuto tempo di vivere neppure un secondo fuori dal grembo materno.

Come ci si riprende da tutto questo?

Non è per niente facile, eppure Amande, giorno dopo giorno, si dà dei piccoli e poco pretenziosi obiettivi, uno dei quali è semplicemente "lascia entrare".

"Lascia entrare. Una frase in sospeso, che attende il seguito. Non so. Lasciare entrare cosa? Il sole? La vita? Preferisco fermarmi lì. È già abbastanza. Semplicemente Lascia entrare. Ho bisogno di un margine di manovra."


Un passo alla volta e Amande lascia entrare e rientrare persone nella propria vita e nella propria casa che comincia a profumare di tarte tatin e confetture: prima Julie (la figlia della vecchia proprietaria, con cui allaccia un bel rapporto di amicizia), poi il gatto, poi i cari e amorevoli Anne e Richard, fino ad accogliere altre persone importanti, con cui Amande riassapora le piccole ma necessarie gioie che può dare il trascorrere del tempo con chi le vuol bene e non l'ha mai abbandonata, ma anzi ha atteso con pazienza e premura che uscisse dal suo bozzolo di dolore e solitudine.


Come le piante da lei stessa innestate, anche Amande deve sbocciare di nuovo e riprendere a costruirsi un po' di felicità, per quanto all'inizio sia rabberciata e fragile.

"La vita è ricominciata nonostante il dolore, nonostante la sensazione che niente sarà più come prima, che il mondo si è fermato. Ma non per me… Io sono rimasta lontana da tutto, dal rumore, dalla frenesia, dall’esistenza dei comuni mortali. Sono rimasta nella mia casa, ad appendere obiettivi strampalati alla parete e oggetti colorati al salice. Non è la vita normale, è un’altra vita che mi sforzo di ricreare, una vita su misura, che si adatterà ai miei passi titubanti e lascerà spazio alle mie due perdite."


Ci vuol tempo, nulla nasce in una notte o in un giorno, né tanto meno il suo cuore spezzato può essere ricomposto con facilità e velocemente..., ma un po' alla volta ella imparerà a percorrere con sicurezza la propria strada, anche se adesso ha ancora bisogno di punti di riferimento.

La "sua" casa diviene il suo personale universo, che lei stessa si è costruita: un mondo fatto di alberi colorati, di candele al chiaro di luna, pini sacri e piccoli e gioiosi riti funebri; un'oasi di tranquillità, adornata di alberi e fiori che invadono il prato, arricchita dal dolce tintinnio della campana eolica appesa a un vecchio salice e dal suono del vento che canta e fa danzare i colori tra i rami. 


"Celebro la vita in tutte le sue forme e credo che Ben abiti nel tronco di un pino. Non ha alcun senso, e al tempo stesso ne ha moltissimo. Tutto ciò che so è che… mi fa maledettamente bene!", ammette con gli occhi che le brillano di un rinnovato stupore e della consapevolezza che, sebbene una parte di lei sia andata via con il suo Ben, il ricordo e l'amore per lui e vissuto con lui non se ne andranno mai, ma continueranno a vivere nel cuore suo e di chi l'ha amato.

Ben e Manon saranno sempre lì, con lei, ogni volta che guarderà il salice, che sentirà il profumo di un dente di leone, che assaporerà la dolcezza di una fragola, che si lascerà cullare dal vento. 
Ogni volta che aprirà le finestre per lasciare entrare la luce, la vita, le persone importanti.

È il secondo romanzo che leggo di quest'autrice francese e, se "Tutto il blu del cielo" fu una bellissima scoperta, questo non mi ha deluso e non è stato da meno; vi ho ritrovato la stessa sensibilità, dolcezza e profonda delicatezza nel trattare argomenti difficili, dolorosi, come il lutto, la perdita, la sensazione di immobilità e annichilimento, figlia della consapevolezza che delle persone importanti non sono più tra noi,che non arricchiranno e non daranno più senso e valore alle nostre giornate.

Ma la fase del lutto non è un tunnel senza uscita e tra queste pagine respiriamo con Amande il profumo della vita che chiede di tornare a nascere e che lo fa attraverso la natura, la quale è un continuo e costante ciclo di morte e rinascita.

Un libro che si lascia leggere con incredibile fluidità e scorrevolezza, che sa commuovere, intenerire e toccare la sensibilità del lettore.

Consigliato!


***
"C’era un tempo per curare il proprio dolore, per ricordare, per dire addio come si deve. Oggi, la routine deve riprendere appena dopo il funerale: il lavoro, le bollette da pagare… La società non ha più tempo per il lutto."

***

martedì 30 aprile 2024

RECENSIONE: I MUSICANTI DI ROMA di Massimo Ricciardi [ Review Party ]



Nei locali di una vivace Roma dei giorni nostri, c'è chi cerca di sfondare nel mondo della musica underground, che sia il manager in cerca di nuovi talenti o il cantante emergente che vuole sfondare o la band sconosciuta che ha degli inediti chiusi in un cassetto finora rimasto chiuso.



I MUSICANTI DI ROMA
di Massimo Ricciardi



277 pp
10.40 euro
Giulio Bambucci è un liutaio che riesce a fatica a tirare avanti con ciò che guadagna; tenta di risollevarsi acquistando un locale e mettendo in piedi un'etichetta musicale indipendente, con cui contribuire a diffondere bella musica, ma bella davvero e non le canzonette commerciali che vanno per la maggiore ma che, se cerchi sostanza, ti accorgi che non ce n'è.

Il giorno in cui va a vedere un locale che sembra fare al caso suo, conosce un giovanotto, tale Emilio Renetta, che di lì a pochi a giorni diverrà un amico, oltre che un suo dipendente.

Giulio ed Emilio si rimboccano le maniche per cercare di scritturare dei cantanti validi con cui cominciare ad avviare seriamente l'attività, ma attorno a loro c'è un mare di squali, ben più grossi e avidi, che non hanno intenzione di lasciare loro spazio ma, semmai, di divorarli.

Nonostante tutto, Giulio e il suo fido aiutante convincono un cantautore promettente, il cui soprannome - Malandrino - è già tutto un programma, a lavorare con loro.
Malandrino ha un bel caratterino e, soprattutto, è restio a seguire regole e consigli, per non parlare, poi, della puntualità e serietà quando si tratta di andare agli appuntamenti di lavoro! Un ritardatario cronico, che neppure si sogna di scusarsi ma, anzi, si irrita se viene rimproverato.

Quando il contratto sembra pronto per essere firmato (con tanto di clausola rescissoria vantaggiosa per l'etichetta discografica), ecco che l'avvocato di Malandrino (che tra l'altro è sua madre) si appella a presunti cavilli, per spingere il legale assoldato da Bambucci a modificare il contratto.

Ma se Giulio crede che le rogne sul contratto del talentuoso ma capriccioso Malandrino siano il suo più grande problema, si sbaglia di grosso, perché nell'arco di pochi giorni la sua placida esistenza verrà vivacizzata da una serie di eventi e personaggi bizzarri e buffi.

Tanto per cominciare, Francesco Diamante (ex-compagno di scuola di Bambucci), anch'egli a capo di un'etichetta musicale già ben avviata e molto nota a Roma - e che ha tra le sue file cantanti e musicisti molto bravi e che fatturano parecchi soldini -, gli rifila un bel tiro mancino, soffiandogli da sotto il naso un cantante...

E dentro casa, Giulio non vive più sereno e senza pensieri che al lavoro: la sua compagna, Zoe, è una convinta e devota animalista e questo la induce a portarsi a casa (che, per inciso, è casa del fidanzato) gatti e cani soli.

Per carità, non che Giulio non ami gli animali, ma c'è quel benedetto gatto nero, Pongo, che combina un sacco di guai e, se l'uomo tenta di fare amicizia con una carezza, la bestiola lo graffia.
Per fortuna c'è la cagnetta Birba, simpatica, giocherellona e affettuosa; proprio grazie a lei, Giulio conosce una bella ragazza, Elena, che lavora in un negozio di toelettatura per cani.
Tra i due scocca una spontanea simpatia praticamente dai primi momenti.
Peccato, però, che Giulio sia fidanzato...

Beh, vero è che con Zoe non è che proprio, ultimamente, stia vivendo una relazione soddisfacente: lei è distratta, assente in tutti i sensi ed è sempre super impegnata con i suoi amici e volontari di un'associazione animalista, tra cui spicca una sorta di "guru", un certo Miguel, un mezzo spagnolo esaltato, dalla parlata decisamente buffa e pure un po' irritante.

Sarà proprio a partire da una assurda mission impossible di tipo animalista, organizzata dal furbo Miguel, che la casa di Giulio si troverà piena di rumorosi ospiti (umani e non solo) e la sua etichetta discografica si arricchirà di inusuali e virtuosissimi talenti che potrebbero rivelarsi un vero colpo di fortuna a livello professionale.

Ma non sempre le cose vanno come speriamo... e non è detto che sia necessariamente un male!

"I musicanti di Roma" è un romanzo divertente, che regala molti momenti allegri e spensierati, grazie ad una scrittura che scorre senza intoppi e rallentamenti, a un ritmo vivace, a un susseguirsi di eventi bizzarri e, soprattutto, grazie alla presenza di personaggi (sia umani che animali) che danno vita a dinamiche piene di sorprese e comicità.

Il filone principale che attraversa tutto il romanzo è sicuramente la musica e, nello specifico, quella underground romana; è forte la ricerca, da parte del protagonista, di poter produrre un tipo di canzoni e di cantanti che facciano musica autentica, libera dalle imposizioni delle grandi case discografiche, lontana dalla musica mainstream, che vende tanto e fa ascolti, è vero, ma i cui pezzi, poi, si assomigliano tutti, col rischio di appiattire la produzione musicale contemporanea, riducendola a qualcosa di meramente commerciale, priva di una vera identità e di originalità.

Oltre all'ambito musicale - e al fatto che c'è sempre qualcuno più furbo e con più soldi che vuol fare le scarpe ai "pesci piccoli" -, tra queste pagine leggiamo di rapporti di amicizia, di relazioni sentimentali e, soprattutto, dei legami tra gli esseri umani e gli animali, la cui presenza, in questo romanzo, crea situazioni decisamente simpatiche e briose.

Una lettura che sa intrattenere amabilmente il lettore, regalando non pochi sorrisi.




Ringrazio Elisa dell'Ufficio Stampa di "Saper Scrivere" per avermi coinvolto nel Review Party (iniziato ieri) dedicato a I MUSICANTI DI ROMA e vi rimando alla prossima tappa.


29 aprile: Paper Purrr
30 aprile: Chicchi di pensieri
2 maggio: Lilith Hendrix
3 maggio: AnnaEsposito68
10 maggio: Milioni di particelle

giovedì 25 aprile 2024

I DIECI MOMENTI di Giovanni Mignini [ RECENSIONE ]

 

Raccontarsi in dieci frammenti che, simili a scatti fotografici, racchiudono episodi importanti che hanno condotto, giorno dopo giorno, a un presente irto di difficoltà ma anche di speranza.


I DIECI MOMENTI
di Giovanni Mignini



Amarganta Ed.
78 pp
2022
Marco ha superato i trent'anni e la sua vita scorre normalmente, tra successi e sconfitte, tra sogni e rimpianti.
Già dalle prime pagine apprendiamo che nel presente è in una camera d'ospedale: come mai? Cosa gli è successo?

I dieci momenti - che danno il titolo al libro - sono dieci situazioni del passato che tornano alla mente di Marco e che hanno avuto il loro ruolo, in qualche modo e nel bene e nel male, nel condurlo fino a lì, in quella stanza che odora di pulito e disinfettante.
Di momento in momento, impariamo a conoscere questo ragazzo, la sua passione per il calcio, vissuto con impegno e professionalità, con spirito di sacrificio e serietà nella squadra di calcio di cui è il fiero e rispettato capitano.
Marco ricorda la lealtà e l'armonia che regnavano tra lui e i compagni di squadra, e che sono emerse ancor di più nelle difficoltà, quando la squadra ha affrontato momenti di forte scoraggiamento, eppure insieme tutti hanno cercato di reagire, esortando con affetto il loro capitano quando si sentiva sopraffatto da sensi di colpa e dalla paura di fallire.

Conosciamo anche  la compagna di Marco,  Rossella, che da ormai sette anni è una presenza fondamentale nell'esistenza dell'uomo, il quale è innamorato di lei al punto da essere disposto a mettere da parte sé stesso pur di averla vicino.
Il loro amore è sincero, forte, responsabile, non privo di problemi, incomprensioni, affrontati però sempre con il proposito di ritrovarsi e mai perdersi.

Da un po' di tempo, però, Rossella non sta bene, è sempre stanca, pallida e Marco non sa cosa la stia affliggendo, ma è certo che... passerà! Hanno una vita davanti, insieme, e lui vuole starle accanto sempre, sostenendola e amandola come merita.

Eppure il dubbio e la paura sullo stato di salute della fidanzata lo assillano, così cerca di scoprire cos'abbia Rossella portando i suoi referti a un amico medico.

Ciò di cui verrà a conoscenza sarà un colpo per lui: Rossella gli sta nascondendo un grave problema di salute.
Marco non ha alcuna intenzione di starsene con le mani in mano e, pur di essere di sostegno alla donna della sua vita - come le ha promesso da quando stanno insieme - è disposto a sacrificarsi, a rinunciare a qualcosa di importante: ai sogni, alle ambizioni, andando anche incontro a non pochi rischi per la propria vita.

"La storia migliore è sempre quella ancora da scrivere".

C'è una storia migliore che attende Marco Reali e la sua Rossella?

"I dieci momenti" è un romanzo che, nel suo essere breve e diretto, regala una storia dolce, semplice,  intrisa di quei sentimenti, quelle situazioni belle e brutte, felici e infelici, che appartengono al vissuto di ciascuno di noi e questo rende la lettura efficace perché realistica, autentica, in grado di arrivare al lettore in tutta la sua genuinità e verità.
Marco e Rossella sono un uomo e una donna come tanti, e ciò fa sì che l'immedesimazione e l'empatia scattino in modo naturale verso di loro, le cui esperienze positive e negative, i sogni e i rimpianti, le speranze e le illusioni, sono le stesse che possono capitare ad ognuno di noi.

In queste pagine si raccontano episodi di amicizia, amore, vita famigliare, c'è la passione per lo sport come anche la malattia e la decisione di andare incontro, per amore, a percorsi accompagnati da possibili rischi personali.
Un romanzo dallo stile semplice, adatto al tipo di personaggi e vicende umane che li vedono coinvolti, che dosa bene le parti narrative e dialogiche con quelle più riflessive, in cui traspare l'animo puro e leale del protagonista, la sua forza d'animo e la sua capacità di amare donandosi completamente.

Una lettura che non si limita a intrattenere il lettore ma più che altro a farlo riflettere su come la vita, nonostante sia spesso imprevedibile e costellata di difficoltà e continue sfide,  sia un po' "come una partita di calcio dove si parte in svantaggio e occorre recuperare. L'unica certezza è che non si è da soli".

Ringrazio l'autore, che mi ha gentilmente fatto dono del proprio libro, e non mi resta che consigliarvene la lettura.

giovedì 18 aprile 2024

IL MANOSCRITTO di Franck Thilliez [ RECENSIONE ]

 

Un romanzo nel romanzo, una storia cruda e crudele dove emergono il marcio e il male che possono abitare nella mente dell'uomo; un thriller che tiene il lettore avvinto dalla prima all'ultima pagina, conducendolo verso un finale enigmatico e spiazzante.



IL MANOSCRITTO 
di Franck Thilliez



Fazi Ed.
trad. F. Angelini
500 pp
La giovane Sarah viene rapita in una sera d'inverno mentre sta facendo una passeggiata; inghiottita dal buio, sparisce senza che di lei si sappia nulla... fino a quando un serial killer - che sta scontando in prigione la propria pena - non confessa di averla uccisa lui, con le proprie mani.
Il corpo, però, non è mai stato ritrovato e l'assassino non ha mai rivelato il luogo della sepoltura.

Quattro anni dopo, i suoi genitori - Léane e Jullian Morgan - non si sono ancora rassegnati del tutto; e se la donna, bene o male, cerca di andare avanti nonostante il dolore, suo marito non si è mai dato pace e ha continuato a cercare la verità, convinto che Sarah sia ancora viva, in realtà, e che prima o poi qualcosa di nuovo emergerà.

Léane è una scrittrice famosa e apprezzata da pubblico e critica; è autrice di numerosi thriller ma firma i suoi libri con uno pseudonimo per preservare la propria vita privata, decisamente sconvolta dopo il presunto omicidio della povera Sarah.
Dopo la tragedia, Léane e Jullian si sono allontanati, a motivo dell'ossessione di lui nel continuare a cercare la figlia; del loro matrimonio non resta che la solitaria villa sul mare nel Nord della Francia, ormai abbandonata.

L'esistenza di Léane viene ulteriormente turbata quando il marito viene brutalmente aggredito subendo una parziale perdita di memoria; proprio lui, così tormentato dal pensiero di Sarah, alla frenetica e disperata ricerca di qualsiasi dettaglio possa aiutarlo a ritrovarla, adesso si ritrova smarrito, privato di ricordi belli e brutti e lei, Léane, non sa come gestire questo nuovo dramma capitato alla sua già smembrata famiglia.

Confusa e frustrata, torna nella casa al mare, carica di ricordi dolorosi che sa di dover, prima o poi, riportare alla memoria del marito; ma intanto, dalle indagini condotte dalla polizia di Grenoble, emergono dei particolari inquietanti che lasciano intuire che Jullian avesse scoperto qualcosa di importante sulla scomparsa della figlia...

Cosa? E in che modo queste scoperte hanno a che vedere con l'aggressione da lui subita?
A questi interrogativi senza risposta, si aggiunge un'ulteriore terribile scoperta: nella villa sulla costa suo marito aveva sequestrato un uomo, che Léane, con grande sgomento, scopre essere tenuto prigioniero e con molti lividi, segno che è stato picchiato e addirittura torturato.

È stato il mite e razionale Jullian a fare questo? Chi è quell'uomo tenuto nascosto in cantina nella villa abbandonata e perché il marito lo aveva sequestrato? Forse ha a che fare con Sarah?

Intanto, nei dintorni di Grenoble, viene ritrovato un cadavere senza volto nel bagagliaio di una macchina rubata; sarà solo il primo di altri macabri ritrovamenti che terranno tristemente impegnato il  poliziotto Vic Altra, uomo particolare, dotato di una memoria prodigiosa (è ipermnesico) e di ammirevoli capacità deduttive, qualità che - unite a una grande tenacia e professionalità - gli permetteranno di incastrare importanti tasselli dell'intricato puzzle, arrivando a capire che colui che attualmente è dietro le sbarre è, sì, coinvolto negli atroci delitti... ma il dubbio è: e se non fosse l'unico responsabile?

E se vi fosse un altro serial killer libero che continua a prendersi gioco della polizia e a far sparire povere ragazze innocenti?

Tanto Vic quanto Léane conducono le loro indagini per mettere in fila tutti i pezzi; entrambi sono costretti a confrontarsi col buio più nero e spaventoso che può arrivare ad avvolgere la mente umana quando si lascia dominare a travolgere dalle perversioni più disgustose e pericolose.

La voragine su cui si affacciano è fatta di deviazioni sessuali, di comportamenti sociopatici, di alienazione, sadismo, crudeltà, di una capacità di macchinare il male che, se da una parte turba, dall'altra lascia a bocca aperta, tanto è così sapientemente architettata.

La catena di eventi e personaggi coinvolti per arrivare a sperare di chiudere il cerchio è fitta e complessa e sarà necessario seguire tanto Léane nei propri spostamenti (che la portano ad assumere condotte discutibili che mai avrebbe pensato di essere capace di adottare) quanto Vic nei suoi ragionamenti e nella sua ricerca forsennata dei feroci assassini che gli stanno girando attorno, sfidandolo a trovarli.

Come spesso accade quando si è in presenza di assassini seriali, anche Vic dovrà cercare di conoscere e comprendere le origini del male, dove tutto è cominciato, e individuare la vera mente che sta alla base di questo maledetto gioco infernale che sta mietendo troppe vittime.

Jullian e Vic: ambedue ossessionati (per ragioni diverse) dalla ricerca del killer e ambedue con una peculiarità legata alla memoria.
Il primo ha (temporaneamente?) cancellato troppi ricordi importanti, l'altro, invece, ricorda tutto di tutti, anche se vorrebbe poter dimenticare tante cose che lo fanno star male.

Un romanzo che mi ha sorpresa: l'ho trovato davvero appassionante, scritto benissimo, attraversato da una bella tensione emotiva, suspense e un ritmo serrato che hanno reso la lettura oltremodo interessante: come i personaggi principali, mi son ritrovata immersa in un vortice ricco di elementi via via sempre nuovi che di proposito possono confondere e che mettono alla prova l'attenzione, la memoria e l'intuito del lettore stesso, al quale è richiesto, seppur per gioco, di non essere superficiale ma di stare attento ai particolari, perché è lì che potrebbero trovarsi le risposte alle tante domande che inevitabilmente sorgono leggendo.

Lo stesso finale è sospeso, aperto, misterioso, soggetto a più letture e interpretazioni.

"Un romanzo è un gioco di illusioni, tutto è vero quanto è falso, e la storia inizia a esistere solo nel momento in cui voi la leggete".

Giunta alla fine, vi dico solo un'ultima cosa: come potete leggere, il titolo del libro è IL MANOSCRITTO (titolo originale: Le manuscrit inachevé, "il manoscritto incompiuto"), il che potrebbe sembrare slegato dalla trama, se non fosse che nel prologo apprendiamo che ciò che ci apprestiamo a leggere (Léane, Vic, gli omicidi...) è parte di un romanzo mai portato a termine dal suo autore, un certo Caleb Traskman, e dopo la sua morte il figlio (il quale nota, nel testo, diversi "particolari" criptici, come se nascondessero dei significati nascosti e chi legge venisse sfidato a svelarli) ha il compito di scriverne il finale.

Insomma, leggetelo.
Se amate i thriller densi e intensi, complicati, se siete pronti ad affrontare pagine truculente ed esplicite e scendere negli abissi più neri della psiche umana, questo romanzo è per voi.


domenica 14 aprile 2024

IL SUCCESSO DI ESSERE NESSUNO di Alessandro Regis [ RECENSIONE ]



Il successo di essere nessuno è una raccolta autobiografica di pensieri, considerazioni ed esperienze personali che l'autore condivide con i propri lettori, rivolgendosi ad essi in modo franco e schietto, confidandosi, parlando a cuore aperto del proprio vissuto e traendo da esso spunti di riflessione sulla vita, la famiglia, la difficile età dell'adolescenza, l'influenza dei social, il raggiungimento degli obiettivi e la realizzazione dei propri sogni.


IL SUCCESSO DI ESSERE NESSUNO
di Alessandro Regis



Youcanprint
122 pp
13,50 euro
Alessandro Regis, classe 1975, è un attore romano che in queste pagine autobiografiche si fa scrittore per riportare nero su bianco i propri pensieri, la propria concezione della vita, spaziando tra vari argomenti: famiglia, lavoro, passioni e hobbies, esperienze personali, errori e successi, insomma tutto ciò che ha contribuito, nel bene e nel male, a renderlo l'uomo che è oggi.

Ho aggettivato questo libro come "autobiografico" ed è vero nel senso che Alessandro parla di sé, dei luoghi in cui è cresciuto, della famiglia (d'origine e quella che si è costruito), degli amici del passato, di tante vicissitudini, ma non dovete pensare a un'autobiografia classica, in cui l'autore si limita a raccontare una catena sterile di episodi personali: Alessandro arricchisce ogni capitolo con considerazioni e lezioni di vita apprese negli anni, non mancando di offrire molti consigli a chi lo legge, soprattutto ai giovani/giovanissimi.
Essendo egli padre di un adolescente, sa quanto questo periodo dell'esistenza sia tanto meraviglioso quanto complesso e, per certi versi, "pericoloso": sono gli anni della transizione, del passaggio dall'infanzia all'età adulta e, proprio perché non si è più bambini ma neanche ancora adulti e maturi, si può essere più facilmente influenzabili, si ha voglia di sperimentare, di osare e rischiare, di provare emozioni forti e fare anche esperienze al limite, ad es. con la droga o usando con poca cautela i social.

Lungi dal risultare didascalico, vestendo i panni del "moralista" cui piace predicare dall'alto della propria saggezza, Alessandro non perde mai la propria semplicità e schiettezza e, anche quando dà suggerimenti spassionati, lo fa partendo sempre dalla propria esperienza, da ciò che egli stesso ha provato sulla propria pelle, da ciò che ha imparato attraverso i problemi, gli sbagli, le delusioni, ma anche dalla propria determinazione, che l'ha portato a raggiungere obiettivi e traguardi importanti.

"Daje!", "Non mollare mai": sono due dei motti che contraddistinguono la sua esistenza da sempre e che connotano la sua prorompente personalità: Alessandro è caparbio, deciso a non arrendersi davanti alle prime difficoltà o ai piccoli - spesso inevitabili e sicuramente fondamentali per maturare - fallimenti; pur essendo sanguigno, pieno di idee, energie e voglia di fare, negli anni ha saputo anche aspettare che il momento giusto bussasse alla sua porta, portando con sé nuove e stimolanti opportunità per esprimere sé stesso, la sua personalità vivace e travolgente.

Egli si descrive come testardo, sicuro ma non arrogante e, anzi, generoso e predisposto a mettersi al servizio di chi ha bisogno di aiuto, tratto che l'ha portato, non poche volte, ad intervenire per soccorrere i più deboli.

Nell'alternarsi di consigli e frammenti di vissuti personali, apprendiamo quali sono le sue passioni più grandi ((una su tutte: viaggiare) e di come abbia saputo incanalare personalità e talento in professioni per lui appaganti, in particolare come tatuatore e attore (vedi note biografiche).

Entrambi i lavori lo hanno introdotto nel mondo dello spettacolo, che lui ama, certo, e che gli ha dato innegabilmente tante soddisfazioni personali e lavorative, ma Alessandro Regis non ha mai smesso di tenere i piedi ben piantati a terra e ha sempre affrontato il lavoro con spensieratezza e professionalità insieme, senza mai perdere di vista sé stesso, i propri valori e le cose che davvero contano e restano nella vita: la famiglia (i genitori, l'amore della sua vita - Annia - e il loro figlio, Christian), le amicizie vere, il coltivare le proprie passioni in maniera sana.

Ovviamente, non sono mancati momenti in cui ha preso delle decisioni con troppa leggerezza e poca responsabilità e questo gli ha causato conseguenze spiacevoli e dolorose, che hanno inciso fisicamente su Alessandro, sulla sua salute.

Anche se non perfetto dal punto della forma (per quanto riguarda l'uso della punteggiatura, in special modo), il libro si legge con sufficiente scorrevolezza grazie a un linguaggio informale, colloquiale e immediato, che raggiunge il lettore in modo diretto e dal quale emergono onestà e franchezza; si percepisce la personalità dell'autore, la sua voglia di vivere appieno ogni giorno, ponendosi obiettivi ben precisi, amando la vita con tutto ciò che essa reca con sé - di bello e di brutto - nel suo essere imprevedibile e per questo esaltante.

Vivere è una continua sfida, un costante protendersi verso nuovi traguardi e questo Alessandro Regis lo ha imparato e desidera, con la passionalità e l'energia che lo contraddistinguono, trasmetterlo a chi lo legge, a partire da suo figlio.

Un libro che consiglio, soprattutto se cercate storie di vita vissuta narrate in modo autentico e genuino.


NOTE BIOGRAFICHE

Alessandro Regis, 
tatuatore romano classe 1975, entra nel mondo dello spettacolo, divenendo un volto celebre in TV, sia su Mediaset che su Real Time, passando anche per Rai 1 e Rai 2. Partecipa a “Le Iene”, “Scherzi a parte”, “Italiani Fantastici e dove trovarli”, viene insigniti del Premio Vincenzo Crocitti International come attore emergente nel 2020 e nel 2021 con il Premio Eccellenze Italiane AssoTutela. 
Amante anche della musica, ha due singoli al suo attivo come produttore sia delle musiche che del videoclip “Cambia er disco” del 2021, e nel 2023 il singolo “Privè” in collaborazione Techpro Records. 
Tra i prossimi progetti un corto cinematografico, di cui ha già ha disposizione sia la sceneggiatura che gli attori, con la collaborazione di Alessandro Fiorucci.

giovedì 11 aprile 2024

APEIROGON di Colum McCann [ RECENSIONE ]



In Apeirogon McCann dà voce a due padri, un palestinese e un israeliano, che hanno rispettivamente perso le loro figlie a causa della violenza e che hanno imparato, con non pochi sforzi, a trasformare il loro dolore in parole e gesti di pace.


APEIROGON
di Colum McCann


Ed. Feltrinelli
trad. M. Magrì
528 pp
22 euro
Bassam Aramin è palestinese. Rami Elhanan è israeliano.
Le loro vite cambiano drammaticamente e irrimediabilmente quando subiscono entrambi un lutto gravissimo: la 13enne Smadar, figlia di Rami, rimane vittima di un attacco suicida a Gerusalemme, nel 1997; nel 2007, la decenne Abir, figlia di Bassam, viene uccisa da un proiettile di gomma mentre sta uscendo da un negozio, dove ha comperato un braccialetto fatto di caramelle.

Quando Bassam e Rami vengono a conoscenza delle rispettive tragedie, si rispecchiano l'uno nell'immenso dolore dell'altro, stringono una forte e sincera amicizia e si uniscono all'associazione Parents Circle per essere dei Combattenti per la Pace che spargono semi di rispetto, speranza, riconciliazione e non di vendetta, disprezzo, odio... perché questi sono già fin troppo diffusi.

Questo è il cuore del libro di McCann, il quale però non si limita a narrare le storie personali di queste due famiglie colpite dalla tragedia, ma attorno a questo nucleo ci vengono raccontate un'infinità di aneddoti, curiosità, storie ecc..., alcune delle quali anche apparentemente sconnesse dalla tematica principale.


Il titolo si riferisce a "un poligono dal numero infinito di lati", come infiniti (immagino che questo possa essere l'accostamento operato dall'autore) sono gli aspetti, i livelli, gli elementi di scontro che caratterizzano le esistenze dei due popoli - palestinese ed ebraico - su un'unica terra.


Questo libro l'ho letto in dieci tappe nell'ambito di una lettura condivisa con altri lettori, con cui poi ci ritrovavamo a commentare una volta a settimana e a esporre i punti che ci avevano maggiormente colpiti.

Vi riporto, quindi, alcune delle riflessioni e degli aspetti che personalmente mi sono rimasti maggiormente impressi:

❖ La sezione iniziale del libro è già particolare e singolare in quanto l'autore inizia parlandoci degli uccelli, e non ho potuto fare a meno di pensare che gli uccelli, in questa terra, sono più liberi degli umani, soggetti alle limitazioni e restrizioni dovute all'occupazione israeliana.

❖ Apprendiamo che Bassam, in gioventù, è stato detenuto nelle prigioni israeliane e mi ha impressionato la sua serenità nonostante le costanti umiliazioni da parte dei soldati, la sua "missione" di sopravvivere come essere umano che ha e mantiene una sua dignità.

"È una tragedia dover continuamente provare che siamo degli essere umani".


❖ Ovviamente i racconti relativi ai due fatidici giorni (separati da 10 anni di distanza) in cui Smadar prima e Abir dopo vengono uccise, è toccante e straziante, e tutta l'angoscia, la paura, la sofferenza di questi poveri genitori emergono in modo molto vivido e reale.

❖ Tanto la bimba palestinese (il cui nome significa "profumo, fragranza del fiore") quanto la ragazzina israeliana ("grappolo della vigna, fiore che si schiude") hanno nomi dal significato molto bello che richiamano alla bellezza di un fiore, ed entrambe queste creature sono state spezzate nel fiore degli anni.

❖ Gli israeliani creano modelli computerizzati e studiano per cercare di sfruttare alcuni dei movimenti degli uccelli così da perfezionare droni e missili. Per il paesaggio dell' animazione fu usata una mappa computerizzata di Gaza, con i suoi reali mercati, i veicoli, le capanne, le macerie... È una cosa, che soprattutto alla luce di ciò che sta accadendo dal 7 ottobre mi ha colpito molto, come anche il nome dei missili "Fire and forget", spara e dimentica.
Come si sta facendo ora e in tutte le guerre: punta un bersaglio, abbattilo, ammazza e dimentica, non pensarci più.

❖ Affascinante il concetto di numeri amicabili, numeri diversi ma connessi tra loro. Proprio come noi esseri umani: siamo tutti diversi ma inevitabilmente legati gli uni agli altri.

❖ Mi commuove il pensiero dei migliaia di palestinesi che, quando ebbe inizio la Nakba (1948), hanno dovuto lasciare le proprie case e hanno portato con sé la chiave, simbolo del desiderio di tornare un giorno nella propria terra, alle proprie umili ma preziose abitazioni.

❖ Attualissimo (se n'è parlato quest'anno, per ragioni che sappiamo) il pensiero di Bassam circa la possibile strumentalizzazione della Shoah per giustificare i crimini di Israele oggi.

"Onorava il Giorno della Memoria... ma nel tempo aveva cominciato ad accorgersi della strumentalizzazione di quegli anni, del senso di nostalgia, dell'industria sorta tutt'intorno. Il dolore. La paura. Il modo in cui il passato plasmava il presente. Senza alcun potere per contrastarlo."

Bassam ha studiato con accuratezza l'Olocausto, scrivendo una tesi sull'argomento.

"Volevo parlare di come il passato fosse utilizzato nella giustificazione del presente. Della spirale della storia, in cui ogni momento è legato al successivo. Dei punti in cui il passato si interseca con il futuro."


❖ Fanno riflettere moltissimo le considerazioni sull'occupazione, il vero e comune nemico di ebrei e palestinesi, e sul potere della parola, che è il jihad più grande, l'arma più affilata.


Un'occupazione che non può mai essere positiva o neutrale, tanto meno compassionevole.

"Lui non odiava gli ebrei, non odiava Israele. Quello che odiava era essere occupato, l' umiliazione che ne derivava, il senso di soffocamento, la quotidiana degradazione, l' avvilimento.Finché non fosse terminata, niente sarebbe stato sicuro. Provate l'esperienza di un checkpoint, anche solo per un giorno. Di un muro che taglia in due il cortile della vostra scuola. Dei vostri ulivi sradicati da un bulldozer. Del vostro cibo che marcisce fermo a un posto di blocco."


❖ Quando comincia a partecipare agli incontri dell' associazione Parents circle, Rami dichiara di aver cominciato solo allora a realizzare come tutti quei genitori, che avevano perduto tragicamente un familiare in questo sanguinoso status quo che caratterizza da oltre 70 anni la Palestina, fossero accomunati dal medesimo dolore, ebrei e palestinesi ("era la prima volta che vedevo i palestinesi come esseri umani (...) che portano lo stesso fardello che porto io, gente che soffre esattamente come soffro io. Un' uguaglianza nel dolore").

Giustissime le sue parole circa la necessità di comprendere ("quello che fanno è scatenato da rabbia e frustrazione e umiliazione. Gli è stata presa la terra") per poter trovare una soluzione.

"Non possiamo continuare a ripudiare la possibilità di vivere gli uni accanto agli altri".


❖ L' episodio dell'ambulanza che trasportava Abir mi ha fatto inevitabilmente pensare alle giustificazioni dell' IDF che spara o bombarda ambulanze (e non solo, anche edifici religiosi o scuole eccetera) perché convinti vi si nascondano terroristi.

❖ Mi sono piaciute molto le parti dedicate ai familiari di Rami e Bassam: i figli di Rami tutti impegnati nell'esercito israeliano pur cercando di mantenersi saldi nei propri principi etici e provando a conciliare la difesa della patria con il rispetto per i palestinesi;

Salwa, la mamma di Abir, dignitosa e silenziosa nel suo dolore, non espresso a parole.

Nurit, la mamma di Smadar, invece non sceglie il silenzio, anzi parla e scrive per esporre il proprio punto di vista sull'occupazione israeliana a danno dei palestinesi.
Il dolore per la perdita di Smadar non le fa perdere la lucidità nell'attribuire colpe e responsabilità: sì, è stato un attentatore terrorista a uccidere sua figlia ma sono l'industria del terrore e l'occupazione a generare i terroristi.

❖ Ho provato una grande ammirazione Bassam per il suo coraggio a non rassegnarsi all'ingiusta morte (assassinio) della propria bambina e la decisione di intentare niente meno che una causa (penale/civile) contro lo stato di Israele, consapevole che vincere sarebbe stato molto difficile e altamente improbabile.

Nel complesso il libro l'ho apprezzato per la tematica, ovviamente, che mi è molto cara e che, per ragioni che abbiamo sotto gli occhi, è purtroppo drammaticamente attualissima.

È stato commovente leggere le esperienze dolorose vissute dalle queste due famiglie - palestinese ed ebraica -, immaginare le due giovanissime vittime e quanto dolore abbia portato la loro morte ai familiari.

Ammiro la forza interiore di questi genitori che decidono di affrontare il dolore non lasciando spazio a sentimenti di vendetta, odio e rancore ma coltivando desideri di pace e di rispetto reciproco, basi imprescindibili per una convivenza pacifica che, come vediamo, finora non si è assolutamente realizzata ed è anzi ben lontana dal verificarsi.

Mi fa piacere che l'autore abbia sottolineato più di una volta che il problema alla base del (cosiddetto) conflitto israelo-palestinese sia l'occupazione da parte degli israeliani nei confronti del popolo palestinese, perché ignorare questo problema significa non voler analizzare le cause dell' "inimicizia" e non volere contestualizzare, pure in merito alle origini di Hamas e degli stessi attentati terroristici (preciso che per me analizzare i rapporti di causa-effetto non implica la giustificazione ma quanto meno la comprensione critica di tutto il contesto), il che allontana qualsiasi discorso di pace e tolleranza, perché se non si va alla radice di un problema, non lo si potrà mai risolvere.

Tra gli elementi che mi sono piaciuti c'è anche il fatto che offra molteplici spunti di ricerca su avvenimenti e personaggi a me totalmente sconosciuti o solo sentiti nominare superficialmente, nonché l'attenzione dell'autore circa l'etimologia di determinate parole.

Dal punto di vista dello stile, la caratteristica principale - su cui siamo stati d'accordo tutti noi lettori della condivisa - è il continuo divagare e aprire digressioni abbastanza lunghe su fatti, personaggi o dettagli che distolgono l'attenzione dal tema principale; è vero che alcuni riferimenti a determinati personaggi e/o eventi erano legati in modo diretto a Israele/Palestina e mi hanno spinta a cercare informazioni per imparare qualcosa, ma in generale ho trovato che l'eccessivo uso di questi espedienti narrativi rallentasse non di poco il ritmo e fosse più che altro fonte di distrazione.

Per intenderci: solitamente amo consigliare libri su questo tema, soprattutto a persone che confessano di saperne poco e di volersi informare; nello specifico "Apeirogon" non lo consiglierei a chiunque, perché ritengo che per portarlo a termine ci debba essere una forte motivazione e, magari, è bene che non sia il primo libro sull'argomento, in quanto la tentazione di volerlo mollare può assalire, durante la lettura, proprio a causa di questo costante allontanarsi dal filone principale.

Concludo, inoltre, con una umile considerazione: per quanto sia bello e ammirevole scrivere un libro sui rapporti tra ebrei e palestinesi, e sulla possibilità che in tanti (??) di loro ci sia il sincero desiderio di non cedere all'odio, che divide e genera morte, ma anzi di unirsi per dimostrare che andare d'accordo, convivere come fratelli è possibile, in diversi momenti, durante la lettura, ho avuto la sensazione (immagino di essere stata influenzata inevitabilmente dal dramma ancora più intenso che stanno vivendo i palestinesi da sei mesi a questa parte) che le belle parole fossero tante ma, alla fine... a cosa servono quando poi non ci sono dei veri cambiamenti a livello pratico (politico, sociale...) e quotidiano?

Voglio dire..., è fantastico che ci siano associazioni come Parents circle, ma ahimè... se l'occupazione - e tutto ciò che essa di negativo comporta - non cessa, le voci di questi genitori verranno continuamente soffocate e resteranno qualcosa di confinato a conferenze, incontri mirati, riunioni di gruppo o nelle scuole ecc..., un atteggiamento (per quanto genuino) di empatia fine a sé stesso o che, comunque, ha effetti solo nel "piccolo" ma che non va a incidere sulle esistenze di chi subisce l'occupazione da quando nasce.

Togliete le vostre armi dai nostri sogni


Vi lascio alcune citazioni.


"Ieri ero intelligente e volevo cambiare ilo mondo. Oggi sono saggio e ho cominciato a cambiare me stesso"

"Noi non parliamo della pace, noi facciamo la pace."

"giunsero gradualmente a capire che avrebbero usato la potenza del loro dolore come arma".

"Pace senza riconciliazione.
Perdonare ma non giustificare
Colonizzare la mente."

"Usiamo la parola sicurezza per tappare la bocca al prossimo. Ma non si tratta di occupare la vita di qualcun altro, la terra di qualcun altro, la mente di qualcun altro, Ha a che fare con il controllo. Che significa potere".

"l'Occupazione agisce in ogni aspetto della tua vita, ti sfinisce, ti amareggia in un modo che nessuno da fuori riesce davvero a capire. Ti sottrae il domani."


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