giovedì 31 gennaio 2019

Dal 14 febbraio - NUCLEUS di Rory Clements



E se al segreto della bomba atomica fossero arrivati per primi i nazisti?
È il 1939 e l’Inghilterra si troverà molto presto a fronteggiare Hitler per mantenere la propria libertà e quella del mondo intero. La corsa alla bomba nucleare è già iniziata e la Germania sembra poter arrivare per prima.

Tra spionaggio e omicidi, il nuovo thriller di Rory Clements, uno scrittore bestseller apprezzato a livello internazionale, che nel 2018 con Nucleus ha conquistato l’Ellis Peters Historical Award, il più importante premio assegnato ai gialli di ambientazione storica.


NUCLEUS
di Rory Clements



La Corte Editore
trad. M. Vradini Scusa
416 pp
18.90 euro
9,99 euro (ebook)
USCITA
14 FEBBRAIO 2019
1939. La seconda guerra mondiale sta per esplodere e Tom Wilde sta rientrando dall’America dove ha incontrato il presidente Roosevelt, che gli ha affidato un compito del tutto inaspettato. 
Il professore deve infatti sfruttare la sua amicizia con il fisico Geoff Lancing, per tenere d’occhio gli scienziati del Cavendish, il laboratorio dove menti geniali stanno lavorando alla scoperta che potrebbe cambiare le sorti del mondo intero e da cui sembrano dipendere gli esiti dell’imminente guerra: la fissione nucleare.
Appena tornato a Cambridge, si ritroverà anche a dover ospitare un famoso fisico fuggito dal campo di concentramento di Dachau e scoprirà che Lydia, la sua fidanzata, si è recata a Berlino per una pericolosa missione: la ricerca di un ragazzino scomparso durante uno dei Kindertransport organizzati per permettere a bambini ebrei di fuggire dalla Germania in Gran Bretagna e riuscire così a salvarsi.
Quando uno dei migliori cervelli del Cavendish viene assassinato, il professor Tom Wilde viene coinvolto in un intrigo da cui non sembra esserci scampo.
Mentre anche l’IRA mette sotto assedio l’Inghilterra, Tom Wilde dovrà scoprire di chi potersi fidare in una cospirazione che va da Cambridge a Berlino e dagli Stati Uniti all’Irlanda.
Riuscirà a scoprire la verità prima che sia troppo tardi?

L'autore.
RORY CLEMENTS, autore inglese, dopo una carriera da giornalista che lo ha visto collaborare con testate nazionali come il Daily Mail e l’Evening Standard, si è dedicato a tempo pieno alla scrittura. Fin da subito, i suoi romanzi sono diventati dei bestseller in Gran Bretagna, dove sono stati selezionati tra i migliori thriller dalle principali catene di librerie. Un successo di pubblico e critica che si è ripetuto anche all’estero: i suoi libri infatti sono pubblicati in dieci Paesi.
Accostato a grandi autori come Robert Harris e John Le Carré, in Italia ha già pubblicato con Piemme il thriller Il persecutore e con La Corte Editore Corpus, il primo romanzo della serie che vede protagonista Tom Wilde
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mercoledì 30 gennaio 2019

Nuove entrate nella mia libreria (fine gennaio 2019)



Piccolo bottino libresco di domenica (libri usati).

Ho preso la Chevalier perchè di lei ho letto solo "La ragazza con l'orecchino di perla" ma so che merita di essere maggiormente conosciuta; la Higgins Clark scrive thriller interessanti, molti dei quali son divenuti film per la tv; l'ultimo l'ho preso un po' ad occhi chiusi, mi sono più che altro affidata al nome dell'autrice, Nora Roberts, molto letta dagli amanti del romance.


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LA VERGINE AZZURRA di Tracy Chevalier: XVI secolo, Francia: Isabelle du Moulin è una splendida ragazza dai capelli color rame, chiamata da tutti nel villaggio con lo stesso nome della statuetta della Vergine che il duca de l'Aigle ha portato un giorno in paese: la Rossa. Dall'arrivo di Monsieur Marcel, coi suoi sermoni contro la Vergine, quel nome è diventato un tormento. Non è più un affettuoso nomignolo ma il nome di una strega, il sinonimo stesso di una malvagia creatura in un villaggio accecato dal fanatismo della Riforma. Quando resta incinta del giovane Tournier, a Isabelle non resta altro che abbracciare, dopo le persecuzioni seguite al Massacro di San Bartolomeo, fino in fondo la sorte dei Tournier: l'emigrazione nel villaggio svizzero di Moutier e un destino sconvolgente e inaspettato...

LA FIGLIA PREDILETTA di Mary Higgins Clark: Ellie Cavanaugh ha sette anni quando sua sorella Andrea viene brutalmente uccisa. La polizia ferma tre sospettati: Rob Westerfield, rampollo di ottima famiglia, di cui la vittima era segretamente innamorata; Paul Stroebel, un suo compagno di scuola, e Will Nebels, un quarantenne le cui attenzioni non sono gradite alle ragazze. La testimonianza di Ellie fa condannare la persona da lei ritenuta responsabile. Ventidue anni dopo il detenuto viene rilasciato sulla parola, ed è deciso a provare la propria estraneità al delitto. Ellie, ora affermata giornalista investigativa, torna a ripensare alla tragedia che ha distrutto i genitori, annientati dalla morte della figlia prediletta, e inaridito la sua stessa vita, schiacciata dalla colpa di non aver rivelato tutto ciò che sapeva sugli strani appuntamenti di Andrea. Vorrebbe provare in modo definitivo la colpevolezza del condannato, ma nel corso delle ricerche nuovi fatti vengono alla luce, facendola dubitare di aver puntato il dito sull'uomo giusto, e soprattutto avvicinandola pericolosamente a un assassino ormai disperato.

I DONOVAN di Nora Roberts. Volume antologico che contiene i quattro romanzi della scrittrice, "Morgana", "Sebastian", "Anastasia" e "Liam", che formano l'omonima quadrilogia.
Una maga, un veggente, una guaritrice, uno stregone.
Esistono luoghi in cui si pratica ancora la magia bianca, tra le verdi valli d'Irlanda, sulle ventose brughiere della Cornovaglia, lungo le coste scoscese della Bretagna, ed in California, lungo il tratto di costa tra Carmel e Monterey in cui le montagne si buttano nel mare. Un tempo le fate danzavano nei boschi e si mescolavano con i mortali, a volte per amore, altre per capriccio.
Adesso chi ha ricevuto in dono questo potere antico e prezioso non ha vita facile in un mondo arido, che non conosce più la fantasia e l'incanto di una notte stellata.
Morgana, Sebastian, Anastasia e Liam Donovan sfruttano le loro straordinarie doti per aiutare gli altri, ognuno seguendo le proprie personali inclinazioni...


LI CONOSCETE?
LI AVETE LETTI?


martedì 29 gennaio 2019

Recensione film: THE PLACE (P. Genovese) || MOSCHETTIERI DEL RE. La penultima missione (G. Veronesi)



Cosa sei disposto a fare pur di ottenere ciò che più desideri?
I quattro moschettieri sono in fase di decadenza: ce la faranno a portare a compimento l'ultima missione affidata loro dall'amata regina?


THE PLACE


Il film ha ottenuto 4 candidature ai Nastri d'Argento, 8 candidature a David di Donatello.

REGIA: Paolo Genovese
ATTORI: Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Alba Rohrwacher, Vittoria Puccini, Rocco Papaleo, Silvio Muccino, Silvia D'amico, Vinicio Marchioni, Alessandro Borghi, Sabrina Ferilli, Giulia Lazzarini
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The Place - ispirato alla serie tv americana "The Booth at the End" - è un film particolare che, credo, può non piacere a tutti, anci forse non piace alla maggioranza.
Le persone cui l'ho consigliato, e che ho quasi costretto a vederlo con me, l'hanno cortesemente detestato e trovato noioso...; a me è piaciuto, ovviamente (non l'avrei consigliato, altrimenti) ^_^

La storia è presto detta: un uomo in giacca e cravatta (V. Mastandrea) è perennemente seduto al tavolo di un locale, giorno e notte, con un'enorme agenda accanto, impegnato a mangiare e ad accogliere le persone che spontaneamente si rivolgono a lui.

Di chi si tratta? Chi è questo misterioso personaggio, di cui non sappiamo il nome, la professione, l'età..., nulla? Queste informazioni, sappiatelo, non vi verranno mai date perchè, semplicemente, non è importante saperle.

L'uomo, dall'aria triste che più triste non si può, solo e di pochissime parole, riceve ogni giorno e per tutto il giorno visite da svariate persone: uomini, donne, persone anziane e ragazzi.

Chi sono queste persone?
Di loro, qualcosa veniamo a saperla.
C'è la giovane suora (A. Rohrwacher) che non riesce più a sentire Dio e questo la manda in crisi; c'è il padre disperato (V. Marchioni) con un figlio ammalato di cancro che vorrebbe poter salvare; c'è la ragazza caruccia che però vorrebbe essere bellissima (S. D'Amico); c'è la signora in là con gli anni col marito malato d'Alzheimer che vorrebbe le fosse restituito (G. Lazzarini); il meccanico innamorato della pornoattrice che ogni giorno lo guarda dal calendario (R. Papaleo) e con cui lui vorrebbe passare una notre; c'è il ragazzo cieco che sogna di recuperare la vista (A. Borghi); il poliziotto non proprio incorruttibile che desidera il perdono del figlio (M. Giallini); c'è il giovanotto sballato che odia suo padre e vorrebbe non doverlo più vedere (S. Muccino); c'è la moglie bella ma insoddisfatta del marito indifferente (V. Puccini), di cui vorrebbe risentire l'amore.

Insomma, un gruppetto di persone che si alternano in questo locale, il The Place appunto, e che si dirigono spedite al tavolo in fondo al locale, dove è seduto l'uomo del mistero, e a lui raccontano delle cose.
Cosa?
Ciascuna delle persone che vi ho menzionato sopra, come leggete, ha un desiderio profondo, difficile da realizzare, se non impossibile. 
L'uomo misterioso è lì per loro, pronto a esaudire ogni drammatica o superficiale richiesta, senza dare giudizi di sorta: egli ascolta con attenzione, prende appunti, fa poche ma incisive domande, insomma sembra mostrare disponibilità ed empatia ma non lasciatevi ingannare: quest'uomo non mostra mai vera pietà o comprensione.
Il suo ruolo è quello di affidare dei compiti a chi si rivolge a lui affinchè possa ottenere ciò che vuole.
Non c'è desiderio che possa essere realizzato senza soddisfare prima le terribili condizioni poste dall'uomo.
Vuoi diventare più bella? Ok, ma perchè questo avvenga devi fare una rapina.
Vuoi sentire nuovamente la voce di Dio? Ok, non devi fare altro che restare incinta.
Vuoi salvare tuo figlio dal cancro? Ammazza una bambina qualsiasi.
Vuoi riavere tuo marito guarito dall'Alzheimer? Benissimo, però prima metti una bomba da qualche parte e la fai scoppiare.

E via di questo passo.

A questi disperati, che sfilano ora arrabbiati ora angosciati ora eccitati davanti agli occhi attenti ma mesti dell'uomo con l'agenda, quest'ultimo dice che il loro sogno si può realizzare, solo che c'è un prezzo da pagare, uno specifico compito da portare a termine. E quanto più il loro desiderio è importante, tanto più il compito affidato è di un certo "tenore".

Quanto saranno disposti a spingersi oltre i protagonisti per realizzare i loro desideri? Chi di loro accetterà la sfida lanciata dall'enigmatico individuo, per il quale tutto sembra possibile?

Tutti gli chiedono chi egli sia veramente: il diavolo? un truffatore? 

Una cosa è certa: l'uomo è un pezzo di ghiaccio privo di sentimenti, che chiede cose mostruose ai suoi clienti.

"Perchè chiedi cose così orrende  tu?""Perchè c'è chi è disposto a farle".

E' vero, è portato a riflettere lo spettatore: Mastandrea pone condizioni tremende ai clienti, non ne considera la disperazione (ad es. quella del padre col figlio morente o del ragazzo cieco che vorrebbe vedere), ma pure essi...: una volta aver sentito la richiesta assurda, in molti casi crudele e disumana, perchè non se ne vanno via indignati? Perchè tornano da lui e sottostanno alle sue condizioni? Possibile che il loro desiderio è così grande e irrinunciabile che essi sarebbero disposti a commettere azioni immonde per ottenerlo?

Chi è il mostro?
L'uomo seduto al tavolo o chi va da lui?

"Sei un mostro.""Diciamo che dò da mangiare ai mostri".

Tutto questo via vai di gente si svolge sotto gli occhi della bella cameriera del The Place, Angela (S. Ferilli), che prova ad aprirsi un varco verso Mastandrea, cercando di farci amicizia, di farlo parlare di sè (visto che trascorre la giornata ad ascoltare i fatti altrui)..., pur rendendosi conto di come negli occhi di quell'uomo solo - che sembra non avere mai bisogno di dormire - sembri annidarsi tutta la sofferenza possibile, quella che proviene dai mali del mondo, dell'umanità.

Mastandrea dà al suo personaggio quell'aria seria, sofferente, di chi ogni giorno viene a contatto col Male che è negli uomini e questo è oltremodo stancante per lui.
Il personaggio della Ferilli è il suo esatto contrario: ingenua, solare, affabile, empatica, cerca di vedere il buono negli altri, compreso il suo abitudinario cliente che staziona nel locale, e la sua purezza alla fine sfiderà l'inquietante imperturbabilità di lui...

E' un film che inevitabilmente fa sorgere un sacco di domande nello spettatore.
Ad es. sul protagonista: chi è quest'uomo? Un essere sovrumano? Non ha un'identità, una casa, o mangia o sfoglia l'agenda e parla con i clienti, non dorme mai, non si alza dalla sedia neppure pur un attimo. Di lui non sappiamo nulla, se non che fa questo "mestiere" bislacco.
Chiaramente questo alone di mistero ha un che di paranormale, "fantascientifico", e può far storcere il naso perchè le perplessità su di lui non vengono mai risolte.
Del resto, tutto il film segue un filone "assurdo", nel senso di "non realistico", come lo è il legame - che ha un che di magico in quanto inspiegabile - tra sogno realizzato e condizioni da ottemperare.

Mi rendo conto che un film ambientato in una location statica, fissa, con la telecamera per lo più puntata sull'uomo e, alternativamente, sui clienti che si susseguono, possa non risultare particolarmente avvincente, ma il punto è che per me è uno degli aspetti più geniali di Genovese, il cui film si gioca tutto sui dialoghi, sulle espressioni facciali.

Il cast è eccezionale e ciascuno fa la sua parte in modo credibile, Mastandrea compreso, con la sua faccia stravolta per 90 minuti.
A me questo film piace perchè punta i riflettori sull'animo umano, su cosa si è disposti a fare quando si vuole a tutti i costi ottenere qualcosa di importanza vitale, anche se ciò significa andare contro dei principi che solitamente si giudicano imprescindibili.

"C'è qualcosa di terribile in ognuno di noi, e chi non è costretto a scoprirlo è molto fortunato".


MOSCHETTIERI DEL RE. La penultima missione



Regia: Giovanni Veronesi.
Cast: Pierfrancesco Favino, Valerio Mastandrea, Rocco Papaleo, Sergio Rubini, Margherita Buy, Alessandro Haber, Matilde Gioli, Giulia Bevilacqua, Lele Vannoli, Valeria Solarino.


I Moschettieri sono cambiati.
Non sono più i quattro eroi che sbaragliavano decine e decine di nemici con l'abilità nell'uso della spada e del moschetto, impavidi e agili: sono quattro uomini di mezza età, invecchiati, ingrigiti, tristi, patetici, ognuno chiuso nel proprio orticello e nella propria piccola esistenza priva di grossi stimoli.

D'Artagnan (P. Favino) fa il "maialaro" e il suo fetore si sente da lontano; l'unica ragione per la quale attualmente prende in mano la spada è per battersi con i mariti gelosi delle proprie moglie, che guarda caso sono le sue amanti.

Athos (R. Papaleo) ha un alluce valgo che lo tormenta e trova momenti di piacere solo nel sesso con chiunque respiri.

Aramis (S. Rubini) è un frate indebitato che non ricorda neanche come si prende un'arma in mano e Porthos (V. Mastandrea) è forse il peggio conciato: un locandiere ubriacone, dipendente dall'oppio, che ha perso la gioia di vivere e con le emorroidi ad affliggerlo.

La regina Anna (M. Buy) - ignara di che brutta fine abbiano fatto i suoi moschettieri - si rivolge al fido e coraggioso amico D'Artagnan affinchè raduni gli altri tre e portino a compimento la più importante delle missioni: salvare la Francia dalle trame ordite a corte dal perfido Cardinale Mazzarino (A. Haber) con la sua cospiratrice, l'affascinante e astuta Milady (G. Bevilacqua).

Sono passati più di venti anni dall'ultima volta che i quattro amici si sono dati da fare per il trionfo della giustizia e del bene, e guardarli ora - demotivati, indolenziti, apatici, cinici e disillusi - non t'aspetteresti chissà che impresa, ma i Moschettieri non possono deludere, sono gli eroi un po' di tutti noi, della nostra infanzia, e anche  in questa versione dissacrante e comica i quattro eroici compagni di ventura, nati dalla penna di Dumas, sapranno come trovare la spinta e la motivazione per dare il loro contributo alla Francia, al grido di "Tutti per uno, uno per tutti!".

Ad accompagnarli nelle incredibili gesta ci sono Servo (Lele Vannoli), un gigante buono, muto e con un'alta sopportazione del dolore, e l'esuberante Ancella della regina (M. Gioli), tanto carina e maliziosa quanto furbetta e coraggiosa.

I quattro - in sella a destrieri più matti di loro - combatteranno per la libertà dei perseguitati Ugonotti e per la salvezza del giovanissimo, parruccato e dissoluto Luigi XIV. 

La commedia di Veronesi è davvero molto molto godibile, adatta per tutta la famiglia; mi ha divertita tanto, i quattro protagonisti sono esilaranti, perfettamente a loro agio nei panni di eroi pasticcioni e sgangherati ma in fondo sempre eroi nell'animo; i dialoghi sono pieni di umorismo, Favino fa ridere con il suo modo di parlare sgrammaticato, che mescola italiano, francese e mezzo spagnolo; gli altri tre conservano il loro accento e ugualmente risultano simpaticissimi; ironica e divertente anche Margherita Buy.

Promossa a pieni voti questa commedia avventurosa, una rivisitazione originale e piacevolissima di un classico senza tempo.
Unica pecca: il finale, che non c'entra granchè con tutto il resto della storia ed è quindi un po' forzato, a mio avviso.
Ma gli ultimi 5 minuti non inficiano assolutamente il mio giudizio complessivo del film, che è positivo e per questo ve lo consiglio!!!

lunedì 28 gennaio 2019

Recensione: UN GIORNO DI FESTA di Graham Swift (RC2019)



Una vecchia e famosa scrittrice si guarda indietro, tornando con la memoria ad un giorno specifico - il 30 maggio 1924, giorno della Festa della Mamma - per raccontare "una storia d'amore" sensuale, breve, proibita, che le resterà impressa negli anni in ogni particolare, come un dolce segreto da custodire gelosamente.



UN GIORNO DI FESTA
di Graham Swift



Ed. Neri Pozza
139 pp
Questo lungo racconto di Graham Swift si concentra sostanzialmente su ciò che accade nell'arco di un'unica giornata alla protagonista, Jane Fairchild, che all'epoca dei fatti aveva 22 anni ed era una giovane cameriera inglese a servizio presso una famiglia benestante dell'alta borghesia inglese, i Niven.

Siamo in Inghilterra nel 1924, è il Mothering Sunday, la Festa della Mamma, e se l'incubo della prima guerra mondiale è alle spalle, lo spettro della prossima tra pochissimi anni comincerà ad affacciarsi.
Ma non pensiamoci oggi: è una così bella domenica di fine marzo, il sole splende, l'aria piacevole è arricchita dal profumo dei fiori e dal cinguettio degli uccelli; il giorno perfetto per ricordarsi che siamo vivi nonostante il cuore abbia gravi lutti da piangere.
Sì perchè sono tante le famiglie che hanno perso qualcuno - un figlio, un fratello... - nel conflitto, ma oggi non bisogna fare pensieri tristi!!
E' una ricorrenza speciale da festeggiare in allegria; consuetudine vuole che si facciano visite di cortesia, picnic all’aperto e inviti a pranzo in compagnia di amici e familiari. Un rituale in realtà che si sta un po' perdendo ma che i Niven e gli Sheringham, due delle famiglie più in vista del Berkshire, si tengono ben stretto, come se appartenessero ormai a un’unica famiglia, accomunati dal dolore di aver perso dei giovani figli in guerra.
Su invito degli Hobday, un altro illustre casato delle verdi contee che circondano Londra, decidono di vedersi a pranzo per brindare e parlare dell’evento ormai imminente e fonte di gioia: le nozze tra Paul, il giovane rampollo degli Sheringham (scampato alla guerra), ed Emma Hobday.

Ed in questa giornata di festa, i ricchi signori si mostrano oltremodo generosi con la servitù, lasciandola libera di godersi anch'essa questo giorno libero come meglio desidera;  così, i domestici delle tre famiglie approfittano per trascorrere del tempo con i propri cari.

L'unica che non ha una famiglia alla quale tornare è lei, Jane Fairchild; perchè Jane è un'orfana, una trovatella, non sa neppure chi sia sua madre, quindi per lei il Mothering Sunday è un giorno come un altro.
Il buon Mr Niven le regala mezza corona e le dice che può fare ciò che le pare in quella giornata tutta per sè e la bella ragazza già immagina cosa farà: trascorrere la domenica di festa su una panchina in giardino, tra il ronzio dei fuchi e il profumo della magnolia già carica di boccioli, e con un libro di Joseph Conrad a farle compagnia.

Ma quella mattina in casa Niven squilla il telefono.
Come ogni volta, la domestica si affretta all’apparecchio e il suo cuore fa un volo acrobatico  nel riconosce la voce all’altro capo del telefono: è Paul Sheringham, il giovanotto che tra due settimane convolerà a giuste nozze (Jane ben immagina che sia un matrimonio combinato, che accrescerà il prestigio degli Sheringham, oltre alle finanze) che la invita per la prima volta a casa sua.

I due, infatti, sono amanti da ben sette anni, quindi da poco tempo dopo che la cameriera è andata a lavorare dai Niven (aveva solo 14 anni quando fu assunta).
Vivono la loro relazione clandestina con gioia e senza alcun pudore, ovviamente stando molto attenti a non farsi scoprire e a non dare scandalo.

Jane parla di questa particolare storia d'amore come qualcosa che l'ha fatta star bene, che l'ha resa felice, facendola sentire importante per qualcuno e togliendola, almeno in parte, dal bozzolo dell'invisibilità.

"Amante segreta. Amica segreta. Era stato lui a dirglielo, una volta: «Siamo amici, Jay». Lo aveva fatto a mo’ di annuncio, e lei si era sentita girare la testa. Nessuno l’aveva mai chiamata così, e con tanta decisione, come se lui non avesse altri amici, e avesse appena scoperto quanto fosse bello averne uno. E come se lei dovesse tenere per sé quella rivelazione così inusitata. Si era sentita leggera come una piuma. Aveva diciassette anni. (...) Dunque, erano veramente amanti? C’era stata una tale, solenne intensità nelle loro sperimentazioni, una tale consapevolezza di fare qualcosa di sbagliato (con il mondo in lutto intorno a loro), da richiedere una forma di leggerezza che agisse da compensazione: il riso. A volte era quasi sembrato che far ridere l’altro fosse il vero scopo dei loro incontri: un obiettivo molto pericoloso, quando ad accompagnarlo c’era la necessità assoluta di non farsi scoprire."


Quella telefonata apre alla bella domestica la possibilità di passare un Mothering Sunday in compagnia di quest'uomo che è stato il suo primo amante e le (poche) ore poi trascorse con lui faranno di quel giorno di festa del 1924 una data incancellabile nel ricordo di Jane, che negli anni a venire andrà sempre lì con la memoria, a quel dì speciale cominciato nella luce più pura e terminato nel buio di un’oscura notte della vita e dell’anima.

Una giornata tranquilla e illuminata da un sole che scalda ossa e cuore si trasforma, in pochi attimi, in una tragedia privata, intima, personale e famigliare, e nella mente dell'intelligente piccola Fairchild, col tempo, diventerà il momento in cui il suo destino ha preso una determinata piega.

La Jane adulta, ormai quasi centenaria, è una scrittrice affermata, con all'attivo molti romanzi di successo; è una donna colta, arguta, dotata di grande acume e spirito critico, oltre che di umorismo e capacità di sorridere anche di ciò che potrebbe, a buon diritto, rattristarla.

Jane ci racconta, attraverso vivaci flashback che si alternano al racconto ironico e disincantato del presente, la sua vita, anzitutto cosa accadde quel giorno del 30 maggio, ma anche il dopo.

Jane era una giovane donna disinibita, libera, una sorta di femminista convinta senza saperlo, una ragazza cresciuta in orfanotrofio che anelava a non restare anonima e ignorante, e che ha fatto della propria passione per i libri e la lettura il perno della propria esistenza.
E' sola al mondo, Jane, ha soltanto il suo modesto lavoro alle dipendenze di gente ricca che si ritiene alquanto generosa e paziente con questa servitù capricciosa; e lei "approfitta" di questa generosità per crescere, per acquisire consapevolezza di se stessa, delle proprie attitudini, e così un po' alla volta riesce ad avere accesso ai libri della biblioteca dei suoi padroni e a tuffarsi tra le pagine di quei volumi che costantemente spolvera, leggendo appassionanti storie di avventura, fino ad incrociare il suo unico vero amore letterario, il già menzionato Joseph Conrad.

Jane ama Paul, anche se non ci svela i suoi sentimenti in modo esplicito, però lo comprendiamo dalla gioia che le dà semplicemente essere con lui, farlo sorridere, sentirsi chiamare amica e trattata da tale, restare in silenzio a guardarlo mentre, con studiata grazia e lentezza, l'uomo si riveste per recarsi all'appuntamento con Emma; certo, l'idea che lui sia fidanzato, che a breve sposi un'altra donna e che questo possa costituire un impedimento per continuare a vedersi, non la rende felice, ma Jane non si lamenta, non fa recriminazioni, non piagnucola come una sciocca femminuccia sedotta e abbandonata; quanto ad abbandoni è esperta dalla nascita, ahilei, e per il resto, non è una debole, una sciocchina senza sale in zucca e con la lacrima facile; per quanto giovanissima, nel suo piccolo Jane sembra aver capito "come va il mondo", chi è lei, da che parte sta rispetto agli "altri" (i Niven, Sheringham...) e questa presa di coscienza la rende libera.
Anche libera di gironzolare nella grande casa di Paul (che, dopo i momenti di intimità, la lascia sola nella propria dimora per andare dalla fidanzata che lo aspetta), di fermarsi a guardare le orchidee candide sul tavolo, le cornici sui mobili, i quadri appesi al muro e i libri in biblioteca.
Una "scena", questa di Jane che gira nuda per casa, che forse è la più emblematica del libro e che non possiamo non immaginarci e sorriderne, restando stupiti davanti all'innocente sfacciataggine di questa giovane, che si gode questi sprazzi nascosti di libertà totale prima della tragedia finale, che scoprirà pochissimo tempo dopo, tornando a casa.

“Siamo solo materia combustibile. Nasciamo per bruciare, alcuni più rapidamente di altri. Ed esistono diversi tipi di combustione. Ma non bruciare affatto, non prendere mai fuoco, sarebbe il massimo della tristezza, non trova?”

E l'esistenza di Jane Fairchild è così: un piccolo grande fuoco che  non smette di ardere, perchè la passione per la vita e ciò che le riserva alimenta la sua anima, la divora e la porterà ad ottenere tanti successi, a maturare ambizioni che mai avrebbe creduto fossero alla portata di una Cenerentola come lei.

"Un giorno di festa" è un romanzo breve incentrato, come il titolo stesso suggerisce, sul racconto di quella giornata collocata nel passato, che assume ora caratteri voluttuosi ed intimi ora di ineluttabile e privata tragicità, per poi spostarsi nel presente della ormai anziana protagonista; questa lettura veloce ma intensa mi ha colpita non tanto per la storia in sè quanto per il suo personaggio principale, questa giovane dallo spirito indipendente, e per lo stile dell'Autore, che sa sapientemente usare ogni parola, ogni frase concisa ma significativa, ogni dettaglio - anche quello più descrittivo che potrebbe sembrare irrilevante - per inserirli in un'unica cornice dai contorni sensuali, languidi; ci sembra di sentire il calore dello stesso sole che illumina a giorno la camera in cui i due amanti godono della reciproca compagnia; ci sembra di essere nudi come Jane mentre scorrazziamo indisturbati in una casa che non è la nostra, percorsi dal brivido del proibito; e proviamo anche noi quell'indefinita nostalgia ripensando a quel che è stato in quel Mothering Sunday e che resterà celato nella mente e nel cuore di Jane per sempre.

Un gioiellino da non sottovalutare.

domenica 27 gennaio 2019

Giornata della memoria - per non dimenticare



Ricordare perché non accada più.



HOLOCAUST

Abbiamo giocato, abbiamo riso
siamo stati amati
Siamo stati strappati dalle braccia dei nostri genitori e gettati nel fuoco.


Non eravamo nient'altro che bambini.
Avevamo un futuro.

 Saremmo diventati avvocati, rabbini, mogli, insegnanti, madri. 
Abbiamo fatto sogni,  non avevamo speranza. 
Siamo stati portati via nel cuore della notte in macchine come bestiame, senza aria per respirare
 soffocando, 
piangendo,
 morendo di fame, 
morendo. 
Separati dal mondo per non essere più. 
Dalle ceneri, ascolta la nostra supplica.
 Questa atrocità verso l'umanità non può accadere di nuovo. 
Ricordati di noi, perché eravamo i bambini i cui sogni e le cui vite sono state rubate.

Barbara Sonek




Libri sull'argomento recensiti sul blog:


BAMBINO N. 30529 di F. Weinberg
SI CHIAMAVA ANNA FRANK di M. Gies
IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI di G. Bassani
IO NON MI CHIAMO MIRIAM di M. Axelsson
LA TREGUA di P. Levi
SE QUESTO E' UN UOMO di Primo Levi
ANNA FRANK. DIARIO
IL BAMBINO DI SCHINDLER di L. Leyson
LA LISTA DI SCHINDLER di T. Keanellay
LA MIA AMICA EBREA di R. Domino
TRACCE DI MEMORIA di P. Lantos
QUANDO DAL CIELO CADEVANO LE STELLE di S. Domino
SOPRAVVISSUTA AD AUSCHWITZ di E. Schloss
SE NON ORA, QUANDO? di P. Levi
DIARIO di Etty Hillsum
LA FIGLIA DEI RICORDI, di S. McCoy
LA CHIAVE DI SARAH di Tatiana de Rosnay
MI RICORDO di P. Capriolo


venerdì 25 gennaio 2019

ANTEPRIMA: ELEVATION di Stephen King




L'ultimo libro del leggendario Stephen King è una storia avvincente, straordinariamente inquietante, commovente e ottimista sulla ricerca di ciò che accomuna nonostante le profonde differenze.


ELEVATION 
di Stephen King


Ed. Sperling&Kupfer
208 pp
15.90
USCITA
19 FEBBRAIO 2019
Scott Carey sta percorrendo senza fretta il tratto di strada che lo separa dal suo appuntamento. 
Si è lasciato alle spalle la casa di Castle Rock, troppo grande e solitaria da quando la moglie se n'è andata, se non fosse per Bill, il gattone pigro che gli tiene compagnia.
Non ha fretta, Scott, perché quello che deve raccontare al dottor Bob, amico di una vita, è davvero molto strano e ha paura che il vecchio medico lo prenda per matto. Infatti Scott sta perdendo peso, lo dice la bilancia, ma il suo aspetto non è cambiato di una virgola. Come se la forza di gravità stesse progressivamente dissolvendosi nel suo corpo.
Eppure, nonostante la preoccupazione, Scott si sente felice, come non era da molto tempo, tanto euforico da provare a rimettere le cose a posto, a Castle Rock. Tanto, da provare a riaffermare il potere della parola sull'ottusità del pregiudizio. Tanto, da voler dimostrare che l'amicizia è sempre a portata di mano.
In un racconto di rara intensità, che è anche un omaggio ai suoi maestri, King si prende la libertà, più che legittima, di dare una possibile risposta alle tristi derive del nostro tempo.

giovedì 24 gennaio 2019

Recensione: LA BANDA DEGLI SFIGATI di Antonio Tufano (RC2019)



Tra queste pagine, scritte con semplicità ma anche con molto cuore, ritroviamo un principale grande filone: il bisogno di giustizia. L'essere umano deve recuperare il concetto di giustizia e applicarlo nei rapporti con i propri simili, abbattendo pregiudizi e non reputando le diversità come qualcosa che allontanano, quanto piuttosto delle ricchezze da conoscere a apprezzare.



LA BANDA DEGLI SFIGATI
di Antonio Tufano


KIMERIK Ed.
288 pp
18 euro
In questo libro lo scrittore Antonio Tufano analizza le vicende di cinque ragazzi dei nostri tempi.

Marco, Luca, Gianni, Antonello (detto Nello) e Alberto sono cinque ragazzi che, ciascuno per ragioni diverse, vivono una condizione di emarginazione e spesso sono presi di mira dai bulli della scuola, che li prendono in giro e li maltrattano.
Marco è un ragazzino educato deriso perchè risponde sempre agli adulti con "Sì, signore", "No, signore!", proprio per la rigida educazione ricevuta.
Luca è un ragazzo di colore, adottato, che viene discriminato per il colore della sua pelle e chiamato con disprezzo "il negro".
Nello ha una problema di natura fisica che lo rende zoppo, e potete immaginare perchè i ragazzacci lo scherniscano.
Gianni è intelligente e studioso ed è per tutti "il secchione".

Ma questi quattro amichetti provengono da brave famiglie, che  vivono dignitosamente e hanno tirato su dei figlioli speciali, buoni, generosi, che però non riescono a farsi accettare dalla maggioranza per via di sciocchi pregiudizi.
Sentendosi esclusi, i quattro tredicenni si uniscono per formare una sorta di banda, per farsi forza e coraggio contro le angherie dei bulli.

E poi c'è Alberto: lui non ha una famiglia presente ed affettuosa alle spalle, in quanto suo padre è in carcere e sua madre è una sbandata; il ragazzo va sempre vestito in modo trasandata, con l'eterno mozzicone di sigaretta (spento) tra le labbra che gli dà un'aria "vissuta"; Alberto si unisce ai quattro perchè capisce che, come lui, essi sono degli emarginati, degli incompresi, dei buoni che non riescono a trovare un punto di incontro con la maggior parte dei coetanei, che assumono atteggiamenti prepotenti e arroganti.
Per aiutare loro ad acquisire sicurezza e per avere anch'egli un punto di riferimento per non perdersi ma, anzi, per essere una persona migliore, Alberto presto diventa il leader di questa banda, e la battezzerà con il singolare nome di "La banda degli Sfigati".

Del resto, è così che "il mondo" li vede, no? Come degli sfigati tristi e incapaci di difendersi.
Ma Alberto ha tutta l'intenzione di dimostrare che non è affatto così!

Allora, anzitutto i cinque fanno un patto di sangue, per il quale decidono di essere come fratelli presenti l'uno nella vita dell'altro, sempre, nel bene e nel male, in ogni circostanza della vita si offriranno aiuto e conforto.

E subito Alberto si mette all'opera e incoraggia gli amici a cominciare a far sentire la propria presenza in modo concreto.
Come? 
L'obiettivo è portare le persone del paese - adulti e ragazzi - a maturare il concetto di giustizia, a rendersi conto che in una società giusta non possono esserci discriminazioni ed emarginazione, nè tantomeno bullismo verso i più deboli, e per dare questa "lezioncina", i cinque decidono di mandare messaggi anonimi ai cosiddetti figli di papà cui tanto piace fare i prepotenti con chi non sa difendersi, e anche a quegli adulti lavativi e boriosi, che si vantavano di vivere negli agi ignorando i bisogni di chi è meno fortunato: queste categorie di persone sono i veri bersagli della Banda degli Sfigati, che "minaccia" di osservarli e, se non avessero cambiato comportamento, prima o poi avrebbe agito contro di loro!!
I messaggi si susseguono uno dietro l'altro, incutendo timore tra la popolazione, mettendo in allerta addirittura polizia e carabinieri, ma ben presto diventa chiaro che la brava gente non ha nulla da temere, ma solo chi "è in difetto" deve sentirsi interpellato e, soprattutto, mutare atteggiamento e smetterla di fare il bullo o l'indifferente o il superficiale!

I ragazzi sono mossi dal desiderio di giustizia, di solidarietà e sono felici di constatare che, dopo un po', ciò che era "storto" comincia a raddrizzarsi!
Un gruppo di ragazzetti, oltretutto bersaglio dei più forti e bulli, riescono nel loro intento di "moralizzare" la società e migliorarla, renderla un posto più vivibile per tutti!

E questo obiettivo, nel loro piccolo, non li abbandonerà mai, anzi sarà un'eredità che lasceranno alle future generazioni.

L'Autore, infatti, ci fa conoscere cosa succede ai componenti della Banda negli anni: il loro impegno nello studio viene ripagato ed essi sapranno farsi strada nel mondo, dando soddisfazioni ai loro amati genitori; Alberto, poi, diventerà fratello adottivo di Luca perchè entrerà a far parte della sua famiglia e avrà modo anch'egli di poter studiare e trovare la propria strada.
Apprendiamo come, benchè le strade degli amici, si dividano, la loro amicizia non si interromperà mai e non smetteranno di incontrarsi nonostante i tanti impegni personali e poi famigliari; quel "patto di sangue" sarà un punto fermo nella loro vita e addirittura i loro figli finiranno per legarsi molto tra tanto loro da ripetere lo stesso tipo di legame sincero e indissolubile che aveva unito anche i genitori. 

Certo, la vita non sempre va come vorremmo e le brutte sorprese, le prove, i dolori... arrivano anche per i cinque: uno di loro si metterà contro la malavita per mettersi dalla parte degli ultimi e andrà incontro a un brutto destino, e in seguito i lutti e le sofferenze non smetteranno di far capolino nelle esistenze dei cinque ex-sfigati e delle loro famiglie.

Ma l'affetto che li unisce, il loro condurre la propria esistenza, sempre avendo in mente di lasciare un'impronta positiva nella società in cui vivono, non li abbandonerà mai, ma guiderà le loro azioni, - anche quando gli ostacoli non mancheranno - tanto da riuscire a cambiare la piccola comunità in cui si muovono, le istituzioni, le persone. 

Se ogni uomo decidesse di essere e comportarsi da giusto, che è colui che ama e sogna di vivere in un mondo onesto, il mondo sarebbe governato dalla giustizia, dal desiderio di pace, dalla fratellanza.

"Se manca la giustizia, il mondo è destinato a scomparire".

Nel presente volume, c'è anche un'appendice che comprende dei racconti, e anch'essi ruotano attorno al tema della giustizia, delle disuguaglianze, di come di sovente pregiudizi, superstizioni, ignoranza... possano portare ad agire in modo incosciente verso il prossimo, delle discriminazioni, della povertà, dell'indifferenza che troppo spesso caratterizza il vivere quotidiano rispetto ai piccoli o grandi problemi che affliggono il nostro prossimo.

"La banda degli Sfigati" è un lungo racconto di formazione, intriso di buoni sentimenti; lo stile è semplice e immediato, i protagonisti sono persone buone che vogliono cambiare, se non il mondo, almeno la comunità in cui si trovano a vivere e lavorare.
E' quindi un libro pregno di insegnamenti positivi, didascalico, che vuol lasciare dell'esortazioni, incoraggiare a incidere in modo costruttivo e positivo sul prossimo, un libro che si sofferma sui valori fondamentali dell'Uomo, che dovremmo imporci ogni giorno di recuperare a vivere concretamente

mercoledì 23 gennaio 2019

LE GUARIGIONI - l'esordio letterario di Kim Rossi Stuart (dal 24 gennaio in libreria)



Un attore e regista che seguo sin dagli inizi della sua carriera con piacere è Kim Rossi Stuart, che finora ha vinto un David di Donatello, tre Nastri d'argento, due Globi d'oro, tre Ciak d'oro e tre Premi Flaiano.

Ebbene, domani esce in libreria il suo esordio letterario:

LE GUARIGIONI



Ed. La nave di Teseo
206 pp
16 euro
USCITA
24 GENNAIO 2019
Un padre dal carattere volubile e un bambino silenzioso lasciano la città per aprire un maneggio tra il fango e la solitudine della campagna; uno scrittore cerca ripetutamente di innamorarsi davvero, per capire ogni volta di volere tutt’altro e in tutt’altro modo; un piccolo e morigerato imprenditore viene travolto dall’arrivo di una donna tanto appassionata quanto ingestibile; una moglie scettica, indipendente e sicura di sé sospetta di essere stata scelta per una rivelazione mistica; un prete ribelle combatte contro la pressoché totale scomparsa del Male nel mondo.

Curiosi, burberi, inafferrabili, irrisolti e romantici, oppure fragili, buffi, egoisti e testardi, i personaggi di Kim Rossi Stuart si muovono nelle loro storie con l’andamento irregolare e imprevedibile di una vita che sposta i cartelli e confonde le direzioni, per irriderli e confonderli ogni volta.
Uomini (e donne) che combattono contro gli eventi e le loro stesse idiosincrasie, per provare a trovare, se non le risposte, almeno le domande giuste da porsi, lungo un filo comune ma ben dissimulato che raccoglie assieme questi cinque racconti: microcosmi di amore, lotta, impazzimenti e visioni.

martedì 22 gennaio 2019

Recensione: A TOR BELLA MONACA NON PIOVE MAI di Marco Bocci (RC2019)



I personaggi di questo romanzo, ambientato nella frazione della capitale Tor bella Monaca, custodiscono in se stessi il desiderio di riscattarsi da una vita fatta di sfruttamenti, delusioni, penuria di quattrini, ambizioni non ancora realizzate (e che probabilmente resteranno solo sogni), e per uscire dal triste buco dell'anonimato sono pronti (alcuni di essi) anche a lanciarsi in "imprese" improbabili e non proprio lecite.
Ma si sa..., cattivo ci devi nascere, e se uno è buono dentro, è difficile che si trasformi in ciò che non è.


 A TOR BELLA MONACA NON PIOVE MAI
di Marco Bocci



Ed. Bookme
219 pp
7.80 euro
2016
Mauro Borri è un giovane che ha passato i 30, senza laurea e con la voglia di trovarsi un lavoro dignitoso attraverso concorsi (per i quali non studia...), ma per adesso deve accontentarsi di lavorare per lo Sciacallo, un romanaccio borioso e zotico per il quale distribuisce (rigorosamente in nero, per carità!) volantini in cambio di poche decine di euro a settimana.

Ahilui, la vita si sta dimostrando decisamente poco generosa e la ruota della fortuna pare girare per il verso sbagliato, per il buon Marco e la sua famiglia.
Tanto per cominciare, è appena morta la cara e dolce nonna Giulia, un'adorabile vecchietta con un buon appetito che dispensava dolci sorrisi a tutti in casa e, più di tutto, la sua pensioncina, grazie alla quale mangiavano tutti nella famiglia Borri.

Sì perchè casa Borri è alquanto affollata: oltre a Mauro ci sono infatti: la mamma con l'eterna cipolla infiammata al piede che la rende quasi zoppa; papà Guglielmo, un brav'uomo disperato perchè non riesce a farsi pagare l'affitto dal salernitano che s'è impiantato nella seconda casa da nove mesi e che non riesce neppure a sfrattare a causa di una burocrazia tutta all'italiana, lenta ed ingiusta, contro la quale - e, in generale, contro lo Stato assente che pretende solo tasse e la polizia che se ne infischia delle ingiustizie che si perpetrano ogni dì a Tor Bella Monaca - partono regolarmente filippiche accorate e angosciate.
E poi con loro tre vive anche il fratello sposato, con la famiglia (moglie e figlioletta, che ha due anni ma ancora non articola suono, il che desta inevitabili preoccupazioni ai genitori): Romolo, che ha 40 anni, lavora in una fabbrica prendendo uno stipendio da fame e sogna di migliorare la propria situazione, dando una casa alla sua piccola famiglia. Nel suo passato c'è il carcere, ma Romolo ha scontato la sua pena e adesso ha messo la testa a posto, lavora, non si mette nei guai, insomma non è più la testa matta e la pecora nera di un tempo.

Mauro, al contrario del fratellone, è sempre stato il buono e il bravo di casa: mai una bravata, mai un gesto avventato che potesse dargli problemi con la giustizia, sempre ragionevole e, per un po', ha dato ai genitori anche la speranza (poi disattesa) di avere un laureato in casa.

Ma Mauro si sta stufando di essere il bravo ragazzo che rallegra il cuore di mamma e papà; finora essere onesto non è che gli abbia fruttato granchè, se non avere le tasche vuote, disgrazia che lo ha  reso single, visto che l'amore della sua vita, la bellissima e sexy Samantha, che ormai è la sua ex, l'ha mollato proprio in quanto stanca di stare con uno spiantato senza futuro e senza una lira in saccoccia...
In alternativa, gli ha preferito un dottore ricco con cui è andata a convivere immediatamente, senza però tagliare del tutto i ponti con Mauro, col quale ogni tanto si sente o si vede.

Insomma, se la dea bendata continua a girarsi dall'altra parte e ad essere cieca, Mauro Borri ha tutta l'intenzione di darsi una mossa... e ad offrirgliela sono insospettabilmente i suoi due più cari amici, Fabio e Domenico.

I due ragazzi, proprio come Mauro, ne hanno piene le tasche di lavoretti inutili e malpagati, e il caso vuole che essi si imbattano nei loschi traffici di un cinese di nome Yun; così, euforici come non mai, chiedono a Mauro di unirsi a loro per mettere a punto il colpaccio destinato a cambiare le loro vite, rapinando niente meno che la mafia cinese.

Sebbene reticente, la tentazione di lasciarsi coinvolgere è troppo forte per Mauro, che però sa di essere fondamentalmente una brava persona e quindi per sua natura incapace di far del male, di mettersi volutamente nei guai, dando poi anche una grande delusione agli amati genitori.

Eppure Mauro non si dà pace: deve trovare il modo di riscattarsi, una via d'uscita che gli consenta di andare incontro al futuro a testa alta (e, già che c'è, di provare a riconquistare Samantha), di non restare un'anonima figura che si muove invisibile tra i casermoni di Tor Bella Monaca, ma di provare a dimostrare che lui non è un debole, non è solo un bravo ragazzo ma sa anche tirar fuori gli attributi quando vuole.

E mentre con gli amici cerca di capire come organizzare il colpaccio a danno dei cinesi, la vita gli mette davanti ostacoli e imprevisti.

Quel maledetto Ciro, il salernitano prepotente che non si decide né a pagare l'affitto né a lasciare l'appartamento dei Borri, sta facendo impazzire il povero papà, e Mauro sente che sta per scoppiare e che da un momento all'altro la rabbia verso le troppe ingiustizie dovrà trovare una valvola per sfogarsi...
Del resto, se aspetti che la polizia o chi per lei faccia il proprio dovere... stai fresco! Mauro lo sa: a Tor Bella monaca non piove mai!

Intanto il fratello, ex-delinquente redento, non fa che metterlo in guardia e ripetergli che "cattivi" si nasce, non ci si improvvisa, e Mauro si scontrerà con una realtà fin troppo imprevedibile e carogna e con un  destino beffardo che si prepara a giocare l'ennesimo brutto tiro al povero Mauro, ai suoi amici e alla sua famiglia...

L'esordio dell'attore Marco Bocci mi ha piacevolmente sorpresa; il romanzo ha uno stile molto scorrevole, la scrittura è fluida, vivace, l'Autore sa come essere diretto, "sfacciato" e ironico pur narrando di una periferia aspra e degradata, che conserva storie di vita di gente semplice che vorrebbe solo tirare avanti onestamente, di operai che a malapena riescono ad arrivare a fine mese, di giovani che non hanno grandi aspettative future ai margini della Casilina, tra i sottopassi (frequentati da tossici e soggetti poco raccomandabili, come l'inquietante Ruggero, ex-poliziotto magro come un chiodo) e i grigi palazzoni in cui sono cresciuti.


"...la gente ha bisogno di quella  ( la speranza) per andare avanti, anche una piccola dose ogni giorno, quel tanto che basta per ricaricare le batterie e combattere".

Giovani che aspettano che arrivi una buona occasione pure per loro, la svolta giusta per ritrovare la grinta e lo slancio, possibilmente senza mettersi nei pasticci dando retta a "pensieri che cominciano a diventare pericolosi, malsani...".

Bocci ha scritto una storia che ci scorre davanti in modo spigliato grazie a un linguaggio asciutto ed essenziale, all'uso del dialetto romano, alla presenza di dialoghi, ai personaggi, vivaci e a volte un po' grotteschi, al contesto realistico in cui le vicende sono collocate.
Ho letto in web che è in lavorazione il film tratto dal romanzo, scritto e diretto dall'Autore stesso, in cui reciterà anche sua moglie, Laura Chiatti.

Sono davvero curiosa e intanto vi consiglio questo libro, adatto per chi ricerca una lettura piacevole e non impegnativa.

lunedì 21 gennaio 2019

Alcune brevi curiosità su... George Orwell



In questo giorno, di 60 anni fa, moriva lo scrittore George Orwell.

Il su vero nome non era questo, bensì Eric Arthur Blair; nato il 25 giugno 1903 a Motihari, nel Bengala, era figlio di un impiegato statale che lavorava presso il governo indiano britannico col compito di sorvegliare la crescita dell'oppio da parte dei contadini indiani.
Quando Eric aveva un anno, la madre Ida si trasferì coi bambini in Inghilterra e da allora Eric non è mai più tornato a Motihari.

George Orwell
Ha frequentato Eton, dal 1917 al 1921 grazie ad una borsa di studio.
Il suo amore per lo studio non fu costante e a un certo punto decise di fare una sorta di servizio civile imperiale, come suo padre, però in Birmania anziché in India, avendo là ancora parecchi membri della famiglia di sua madre, inclusa la nonna.
Divenne poliziotto e aveva sotto di sè 200.000 persone. Trascorreva il suo tempo libero leggendo, scrivendo e facendo in modo che i domestici fossero pronti a soddisfare ogni sua esigenza. In quegli anni si è fatto fare alcuni tatuaggi sulle nocche, oltre a farsi crescere i suoi famosi baffetti.

Lavorare per l'impero britannico si rivelò una delusione e, a differenza del padre - che era rimasto in quel mondo per almeno quaranta anni -, Eric decise di uscirne abbastanza presto.
Dopo aver contattato la febbre dengue, gli fu permesso di partire nel 1927. I suoi ricordi di questo periodo della sua vita si possono trovare nel libro Burmese Days (Giorni in Birmania) e nei saggi Shooting An Elephant (L'uccisione dell'elefante) e A Hanging (Un'impiccagione).

Una volta lasciata la Birmania, decide di concentrarsi sull'attività di scrittore a tempo pieno. Il suo pensiero è scrivere delle vite dei perdenti e l'unico modo per farlo era diventare uno di loro.
Così a Parigi fa il lavapiatti, a Londra diventa un vagabondo, parlando tutto il tempo con persone  che realmente vivevano nella povertà. Sì perchè lui, dopotutto, a Parigi non ha mai rischiato di morire di fame e freddo in quanto aveva sua zia Nellie ad aiutarlo dandogli del cibo quando era disperato. Lo aiutò anche a trovare una stanza in rue Pot de Fer e lo presentò a Henri Barbusse, l'uomo che pubblicò il suo primo articolo (a carattere politico), per il quale fu remunerato, nel 1929.

Quando e perchè scelse Blair di chiamarsi "George Orwell"?
Beh anzitutto, gli piacque perché gli sembrava un buon nome inglese; si ipotizza che si sia ispirato al fiume Orwell della contea di Suffolk, in Inghilterra, ma magari lo scrittore potrebbe semplicemente aver preso spunto dal nome di uno zio, George Limouzin, il fratello più giovane di sua madre Ida.
Ma perché ha inventato uno pseudonimo? Per prima cosa, non gli era mai piaciuto "Eric Blair", e poi lo fece anche per evitare di creare imbarazzi alla propria famiglia, soprattutto dopo che scrisse "Senza un soldo a Parigi e a Londra".
Si racconta che nel corso della propria esistenza, George Orwell abbia sempre cercato di tener separata la vita come Orwell da quella in cui era Eric Blair; addirittura si impegnava per tenere lontani i gruppi di amici (quelli che lo conoscevano come Eric da quelli che lo conoscevano come George).
Un'altra ragione furbetta per la quale si dice che abbia scelto proprio "Orwell" era perché voleva un nome che iniziasse con una lettera centrale dell'alfabeto, così che i suoi libri fossero collocati nella parte centrale degli scaffali in libreria: né troppo in alto, dove i clienti non riescono a vedere bene, né troppo in basso, vicino ai loro piedi.

Orwell era un ateo, legato però alle tradizioni della Chiesa d'Inghilterra; non solo, ma era anche abbastanza superstizioso. 
Dichiarò di aver visto un fantasma, un giorno che era nel cortile della chiesa di Wallington.
Aveva la convinzione che le persone potessero fare una magia nera segreta solo partendo dal nome di una persona (sarà pure per questo che si scelse uno pseudonimo??).
Nei suoi primi anni di Eton, lui e un compagno di scuola avevano creato una bambola voodoo con il sapone di un ragazzo più grande da cui si sentivano presi in giro: la "vittima" finì per rompersi una gamba e, più tardi, morì di cancro. Orwell si sentì in colpa per questo fatto per il resto della sua vita. Abbiamo già detto che in Birmania si fece disegnare dei tatuaggi sulle nocche, cioè dei cerchi blu per scongiurare la sfortuna.

Orwell è stato un insegnante prima di divenire uno scrittore famoso; in particolare, è stato tutor di un ragazzo disabile e poi  per alcuni semestri insegnante alla Hawthorns High School per ragazzi. In seguito divenne insegnante al Frays College di Uxbridge.
Dopo essersi trasferito a Londra, ha lavorato part-time al Booklovers' Corner di South Green ad Hampstead, una libreria che poi è diventata una panineria; ancora adesso c'è affissa una targa che indica che Orwell ha lavorato lì, in Pond Street.
Proprio mentre lavorava al Booklovers' ottenne il suo primo incarico di scrittura: un romanzo verità sullo sfruttamento e la disoccupazione esistente in una cittadina mineraria dell'Inghilterra settentrionale durante gli anni Trenta (The Road to Wigan Pier).

Ad una festa ad Hampstead Heath incontrò Eileen O'Shaughnessy (1905-1945), una studentessa di psicologia a Oxford; i due si sposarono nel giugno del 1936 nella chiesa di Wallington, nell'Hertfordshire. Hanno tenuto un cottage chiamato The Stores (immagine a sinistra) dove vendevano cose di vario genere agli abitanti del villaggio, facendo un po' di soldi con le caramelle vendute ai bambini del posto. La casa in sé era terribile (scarsamente riscaldata, con un tetto di lamiera che faceva un rumore terribile quando pioveva), ma i due amarono stare lì. Coltivavano alcune verdure e allevavano galline e capre. Fu durante la sua permanenza in The Stores che concepì Animal Farm (La fattoria degli animali) e inserì gran parte della sua vita a Wallington nel libro.

Durante gli anni '30, i regimi dittatoriali erano sempre più diffusi in tutta Europa, con Hitler che guadagnava potere in Germania, Mussolini in Italia e Stalin in Russia. Francisco Franco stava tentando di fare lo stesso in Spagna.
Orwell andò in Spagna per combattere sul fronte repubblicano e si arruola nella milizia del P.O.U.M. (Partito Obrero de Unificacion Marxista), un piccolo movimento anarco-sindacalista della Catalogna, venendo ferito però alla gola nel 1937 da un proiettile sparato da un cecchino franchista.

Dopo essere tornato a Wallington per un breve periodo, lui ed Eileen andarono a Marrakech nella speranza che l'aria secca favorisse la salute di Orwell, al quale era stata ufficialmente diagnosticata la tubercolosi da suo cognato Laurence O'Shaughnessy (noto chirurgo toracico). Mentre faceva la sua solita coltivazione di verdure e allevamento di almeno una capra e polli, Orwell ha scritto la maggior parte di Coming Up For Air (Una boccata d'aria). Suo padre, Richard Blair, sarebbe morto poco dopo la pubblicazione.

Orwell, non potendo trovare lavoro nelle forze armate a causa del cattivo stato dei suoi polmoni, alla fine aveva trovato lavoro alla BBC. Ha fatto trasmissioni per il dipartimento dei servizi orientali.
Gran parte dell'immaginario della vita lavorativa di Winston Smith (protagonista di 1984) presso il Ministero della Verità si ispira proprio ai giorni trascorsi da Eric alla BBC.

Sembra che lui ed Hemingway si siano trovati diverse volte negli stessi posti e nello stesso momento senza però mai incrociarsi; ad es., Hemingway ha anch'egli combattuto nella Guerra Civile Spagnola, aveva vissuto a Parigi nello stesso periodo di Orwell e deve averne seguito la carriera ,a la cerchia di amicizie era evidentemente diversa.
Ci fu un'occasione in cui, tornando Blair a Parigi, dopo una visita nella parte della Germania occupata dagli alleati, vestito in uniforme (era corrispondente di guerra per The Observer) soggiornava all'Hotel Scribe, e si mise a sbirciare il registro dell'albergo per vedere se c'era qualcuno con cui parlare e si accorse con sua grande gioia che figurava  il nome di Hemingway. Allora andò a bussare alla porta della sua stanza e, dopo essersi presentato come George Orwell (inizialmente disse il suo vero nome, ma ad Ernest "Eric Blair" non diceva proprio nulla...) l'altro gli offrì un bicchiere di scotch.

Orwell era un donnaiolo; aveva molte amiche che poi divennero sue amanti, soprattutto quando la sua fama di scrittore lo travolse.
Se la moglie sapesse e soffrisse per i tradimenti del coniuge, non è dato sapere (pare che il loro fosse un matrimonio piuttosto "aperto").
I due avrebbero voluto avere bambini ma Orwell era convinto di non poterne avere, così nella primavera del 1944, George ed Eileen seppero di una donna che non riusciva a tenere il suo bambino e subito si diedero da fare per ottenere la custodia del bambino; lo adottarono e fu chiamato Richard Horatio Blair.

Per quanto riguarda il celebre romanzo distopico 1894 (RECENSIONE), benchè non fosse più lungo di altri suoi libri precedenti, ci mise un'eternità a terminarlo. Aveva iniziato a scriverlo per la prima volta nel 1946, interrompendosi a causa di mille impegni lavorativi; in seguito alla sua malattia che avanzava con la tubercolosi, il libro impiegò sempre più tempo prima di venire alla luce.
Inizialmente esso doveva essere ambientato nel 1980, poi nel 1982 e infine nel 1984; trascorse la maggior parte del 1948 a scrivere il manoscritto finale, e quando lo concluse pensò al titolo, che in origine era The Last Man In Europe, ma i suoi editori, Secker & Warburg, pensarono che 1984 fosse di gran lunga migliore.

George Orwell è morto il 21 gennaio 1950 per tubercolosi, in un ospedale di Londra.


Fonte per articolo: QUI

domenica 20 gennaio 2019

Recensione: BAMBINO N.30529 di Felix Weinberg (RC2019)



La testimonianza onesta e commovente di un uomo finito nell'incubo dei lager nazisti all'età di dodici anni. Ricordare ciò che è stato è e sarà sempre un'urgenza imprescindibile, perchè solo non dimenticando di quali atrocità il genere umano si è macchiato in passato (ahimè, continua a macchiarsene anche nel presente) c'è la possibilità di evitare gli stessi tragici errori...


BAMBINO N.30529
di Felix Weinberg



Ed. Newton Compton
trad. G. Agnoloni,
A. Maestrini
288 pp
Felix Weinberg (1928-2012) c'ha pensato su parecchio prima di decidersi a raccontare la propria storia di sopravvissuto a ben cinque campi di concentramento.
Per anni, dopo essersi ricostruito la propria vita pezzo dopo pezzo, ha cercato di vivere il presente e guardare verso il futuro: un futuro fatto di soddisfazioni professionali (è stato professore di Fisica all'Università di Londra) e dell'amore e del calore di una bellissima famiglia.
Ma raccontare, da parte di chi come lui è passato attraverso l'inferno uscendone vivo (segnato per sempre, certo, ma vivo), è un dovere.
Verso se stessi e verso le future generazioni.
Perchè quella serie di numeri sul braccio - 30529 - non sono un numero di telefono che è bene annotare per non rischiare di dimenticare a causa dell'avanzare dell'età, ma è il ricordo indelebile di ciò che si è vissuto.

Felix ha avuto una meravigliosa infanzia: nato a Ústí nad Labem (città della Repubblica Ceca) nel 1928, cresce in una famiglia unita, amorevole, affettuosa e abbiente, che non di rado si concedeva piccoli viaggi e vacanze.
Anni e anni dopo, Felix riconosce che proprio l'aver avuto un'infanzia così serena e felice, l'aver incamerato ricordi belli, lo ha aiutato nei momenti difficili, unito al tipo di educazione (alimentare e fisica) ricevuta, in particolare dal padre; senza saperlo, quindi, il piccolo Felix stava incamerando delle risorse emotive, psicologiche e fisiche che in un certo senso lo avrebbero aiutato a resistere all'esistenza provata e debilitante dei lager.

"La mia infanzia fu molto felice. Finì troppo presto e in modo troppo repentino a causa di Adolf Hitler, ma credo che siano i primi anni a contare. Hanno dato alla mia mente un bozzolo sicuro e beato in cui può ritirarsi nei periodi dolorosi. (...) Il mio bozzolo era pieno di avvolgenti ricordi e della certezza di essere stato molto amato e coccolato."

A dodici anni, però, il suo mondo va in pezzi: a causa delle persecuzioni naziste, il padre è costretto a fuggire in Inghilterra con l'intenzione di aiutare, da lì, tutta la famiglia scappare dalla regione dei Sudeti prima che la situazione per gli ebrei cechi peggiori con la speranza di potersi rifare lì una vita con i suoi cari.

Ma purtroppo, per una serie di concause, raggiungere il padre non sarà possibile, e il ragazzino, il fratello minore e la madre andranno incontro al proprio duro destino: vengono catturati dai tedeschi e da quel momento ha inizio il loro drammatico calvario nei campi di concentramento.
Prima Terezìn, poi il campo di Bechhammer, quindi Auschwitz e Birkenau, partecipando addirittura alla terribile “Marcia della Morte” per poi essere trasferito da un campo all’altro, fino a Gross-Rosen e infine a Buchenwald (che fu tra i lager dove si attuò principalmente lo sterminio tramite il lavoro), dove arrivò al limite delle forze fisiche, quasi morto; ma in questo durissimo  campo di concentramento ebbe la "fortuna" di finire sotto l'ala protettiva di Antonin Kalina, un comunista imprigionato dai nazisti proprio a Buchenwald e che gestiva il Blocco 66, composto da prigionieri molto giovani e che sopravvissero in quanto lì le condizioni di vita - per quanto sempre orribili - erano un po' meno peggio che altrove nel campo, tant'è che ad es. i ragazzi avevano accesso a coperte e un po' più cibo.
L'11 aprile 1945 questo campo di sterminio fu liberato.

"Così, nove giorni dopo il mio diciassettesimo compleanno, mi venne restituita la mia vita. Mi ci volle molto tempo per rendermene veramente conto, e non credo di esserci mai riuscito del tutto. A pensarci bene, il concetto stesso di cambiamento non ha senso in questo caso, dal momento che non ero più la stessa persona. I campi mi avevano cambiato per sempre".

Dopo essere tornato in libertà, passò un po' di tempo e potè finalmente riabbracciare l'unica persona vivente della propria famiglia: suo padre, che intanto era rimasto a Londra.
Dopo cinque anni di orrore e dopo essere passato per ben cinque campi di concentramento, Felix Weinberg può tornare a ricostruirsi la propria vita, a farsi una propria famiglia, a studiare (attività che aveva dovuto interrompere in seguito alle leggi naziste antisemite) e impegnarsi in ciò che ama (l natura e tutto quello che la riguarda).
La sua è di certo una storia incredibile perchè egli stesso, molte volte nella narrazione, riconosce che la propria salvezza è dipesa da piccoli miracoli, apparentemente casuali, da circostanza fortuite che hanno contribuito a mantenerlo in vita.

Il suo racconto è molto lucido, duro e teso all'onestà e alla chiarezza; egli dichiara apertamente di non condividere una larga parte della letteratura sull'Olocausto in quanto troppo romanzata e dunque poco attendibile; lui stesso ammette di poter essere poco preciso e molto parziale nel proprio resoconto, non solo per il tempo trascorso rispetto a quando ha deciso di metterlo su carta, ma ancor di più per via del suo bisogno - neanche tanto inconscio - di non sentirsi legato a quell'orrendo passato che gli ha rubato i suoi cari e la sua adolescenza, in una parola Felix si rifiutava di parlare dell'argomento (cioè della propria esperienza nei lager) con chiunque, anche col padre o la moglie..., perchè non voleva essere identificato come "un sopravvissuto dei campi di concentramento".
A questa comprensibile volontà, si aggiunge un altro aspetto: per uscire vivo dall'incubo in cui è stato protagonista dai 12 ai 17 anni, Felicx (e come lui, altri sopravvissuto) ha cercato di staccarsi emotivamente dalle brutture che lo circondavano quotidianamente, di "guardarle senza vederle" e "ascoltarle senza sentirle" proprio per non soccombere; una sorta di "amnesia autoindotta" al fine si soffrire il meno possibile.
Ragion per cui, Felix chiarisce che il proprio racconto può avere delle piccole lacune, tipo nella successione degli eventi.

Il libro si legge piuttosto scorrevolmente; è sempre doloroso leggere le esperienze di chi ha subito atrocità inumane come quelle narrate tra queste pagine autobiografiche, però è anche vero che l'Autore - probabilmente per le motivazioni espresse poche righe più su - ha utilizzato uno stile un po' "distaccato", non si lascia andare a una narrazione struggente; ecco, non è uno di quei libri sull'Olocausto che strappano pianti di commozione ma, attenzione!, non lo dico in riferimento ai contenuti (inevitabilmente agghiaccianti e strazianti, essendo raccontato con molta chiarezza e vividezza) ma appunto allo stile, essenziale, razionale, frutto anche, a mio avviso, della formazione accademica di Weinberg, che era un fisico, quindi un uomo di scienza abituato ad analizzare i fatti in modo nudo e crudo.

Una testimonianza che si va ad aggiungere alle tantissime altre sempre su questa importante tematica.


"...tutti noi sopravvissuti siamo, in qualche misura, compromessi. Non abbiamo sacrificato la nostra vita perché altri potessero magari avere qualche minima possibilità in più di farcela. In sostanza, restare vivi non appare un atto particolarmente eroico, quanto qualcosa di simile all'aver vinto alla lotteria, nonostante previsioni astronomicamente sfavorevoli. È facile mettersi a fantasticare sul fatto che debba esserci stata qualche ragione profonda dietro la sopravvivenza di una persona, ma alla fine, probabilmente, si è trattato solo di una combinazione di fortuna e di un buon istinto di conservazione."

sabato 19 gennaio 2019

Libri in wishlist (gennaio 2019)



Libri scovati sbirciando in libreria e viaggiando in pullman, chiaramente finiti in wishlist  ^_-


Il primo romanzo l'ho preso in mano durante un giro alla Mondadori; non l'ho comperato ma son rimasta attratta dal titolo e dalla copertina, così ho cercato la trama e ho appurato che anch'essa mi attira: anzitutto perchè è una storia vera e poi perchè sullo sfondo c'è il triste periodo del nazismo...


LA RAGAZZA CANCELLATA
di Bart Van Es


Ed. Guanda
288 pp
18.50 euro
«Senza le famiglie, non ci sarebbero storie.» 
Bart van Es tira fuori dal passato della propria famiglia una storia mai raccontata prima: la vicenda di Lien, una bambina ebrea che i nonni dell’autore accolsero in casa loro durante l’occupazione nazista, crescendola come se fosse una figlia, ma con la quale misteriosamente interruppero ogni contatto molto tempo dopo la fine della guerra. 
Come mai? 
Che cosa ne era stato di Lien e per quale ragione i rapporti si interruppero? Che cosa impediva di pronunciare perfino il nome di Lien, bambina cancellata dalla memoria? 
Inizia così la ricerca dell’autore, un viaggio nei ricordi personali e del suo paese d’origine, l’Olanda, che lo porterà a esplorare il periodo più buio del secolo scorso e le contraddizioni nascoste in seno alla sua stessa famiglia. 
Scoprirà che Lien è viva e abita ad Amsterdam, e dal loro incontro nascerà un’amicizia speciale e profonda. 
Nel raccontare la sua storia Van Es non tace sulle sofferenze che Lien ha patito durante la clandestinità, affidata a adulti non sempre limpidi nei loro propositi, né sul lungo percorso che, come molti altri sopravvissuti alla Shoah, ha dovuto affrontare anni dopo la fine della guerra per trovare un senso a tutto il dolore vissuto. 



Questo noir di recente pubblicazione, invece, l'ho notato in quanto iscritta alla newsletter di Bompiani Edizioni.


GENNAIO DI SANGUE
di Alan Parks


Ed. Bompiani
trad. M. Drago
368 pp
18 euro
Glasgow, primo gennaio 1973. I festeggiamenti sono appena terminati e l’ispettore Harry McCoy della polizia di Glasgow è impegnato nel carcere di Barlinnie, dove un detenuto gli rivela che una ragazza sta per essere uccisa. 
E forse lui può salvarla. Ma non arriva in tempo. 
In un’affollata stazione degli autobus Tommy Malone spara a Lorna Skirving e poi si toglie la vita. 
I giornali si scatenano, il Capo si aspetta una rapida soluzione del caso. 

Il 30enne Harry McCoy si tuffa nell'indagine, immergendosi in una realtà che è fin troppo nota a un tipo come lui, abituato a trasgredire ordini e passare limiti; tra bordelli, vicoli bui e droghe come unica via di fuga dalla realtà, l’indagine si cala nel mondo dell’intrattenimento sessuale, un mondo dove con i soldi si possono comprare l’anima e il corpo di chiunque. 

Il primo romanzo di Alan Parks è un viaggio nella vita di un uomo inseguito da demoni più che mai reali, nel cuore nerissimo di una città che non lascia scampo, dove ogni speranza di redenzione sembra destinata a sprofondare nelle acque gelide del Clyde.


L'ultimo romanzo lo incrocio tutti i giorni: lo sta leggendo un pendolare in questo periodo, mentre viaggia come me la mattina in pullman.



LA BELVA NEL LABIRINTO
di Hans Tuzzi



Ed. Bollati Boringhieri
327 pp
17.50 euro

Quale filo invisibile lega fra loro un sacerdote di frontiera, un travestito di mezza età e un brillante studente universitario nella cui auto giace cadavere una ragazza? 
E le altre vittime dell’anonima mano omicida che nell’estate del 1987 nelle vie di Milano porta la morte, annunciata dai beffardi e inquietanti Arcani dei tarocchi?
A cosa si riferisce la misteriosa scritta che l’assassino traccia su ogni Arcano? E ha davvero un senso tutto l’armamentario del nazismo esoterico che costantemente affiora fra i più diversi indizi? E i Servizi segreti hanno, in tutto ciò, un ruolo oscuro?

Conscio che in simili casi soltanto una paziente indagine è possibile, ma non è mai sufficiente, poiché occorre anche un aiuto del Caso, o un errore da parte del colpevole, il vicequestore Melis, coadiuvato dai suoi uomini, intraprende un frustrante cammino di conoscenza attraverso una Milano varia e cangiante nelle sue componenti sociali, fra il vizio manifesto da un lato e l’oscuro mondo del fanatismo dall’altro, sino a giungere alla tenebrosa fonte del male che l’uomo infligge all’uomo allorché è convinto di detenere la verità.

venerdì 18 gennaio 2019

Recensione: IL RACCONTO DELL'ANCELLA di Margaret Atwood (RC2019)



Margaret Atwood ha immaginato un tipo di società che definire inquietante è dire poco: cosa resta alla Persona quando le vengono sottratti i diritti e le libertà fondamentali, quando è considerata e trattata come un mero contenitore e non ha alcun potere sulla propria vita?


IL RACCONTO DELL'ANCELLA
di Margaret Atwood



Ponte alle grazie
311 pp
"La Repubblica di Galaad, diceva zia Lydia, non conosce confini. Galaad è dentro di te".

Siamo negli States, non ci vien detto l'anno ma è di certo in un tempo futuro; a raccontarci la storia è lei, l'ancella, Difred, e i suoi occhi inevitabilmente diventano i nostri, e con occhi prima perplessi e poi via via sempre più inquieti ci addentriamo in questo "nuovo mondo", in questa società contrassegnata da totalitarismo e maschilismo allo stato puro.
In seguito a radiazioni atomiche, il numero di donne fertili si è ridotto drasticamente, e per non rischiare l'estinzione, gli Stati Uniti hanno creato un governo particolare...: la Repubblica di Galaad, in cui il controllo del corpo femminile sta alla base di tutto.

Un gruppo di donne in età fertile, le Ancelle, dopo aver vissuto un periodo di addestramento nel Centro Rosso, sono state smistate presso varie famiglie appartenenti al ceto dominante; il loro compito è... farsi inseminare.
Eh già, queste ancelle dimorano temporaneamente in casa di questi uomini importanti e mettono il loro corpo al servizio della nazione, accettando (non che abbiano scelta, in realtà) avere rapporti fisici con essi, con la speranza di restare incinte.

La protagonista e voce narrante è una di queste povere ragazze strappate alla propria vita, alla propria vera famiglia e, nel caso di Difred, al proprio compagno Luke e alla loro figlioletta, per andare in casa del "Comandante" e della sua algida consorte, Serena Joy.

"Il mio nome non è Difred. Ho un altro nome, che adesso nessuno usa perchè è proibito. Mi dico che è importante, un nome e come un numero di telefono, utile solo per altri; ma mi sbaglio, è importante. Tengo la coscienza di questo nome come qualcosa di nascosto, un tesoro che tornerò a scavare un giorno. E' un nome sepolto, circondato di mistero come un amuleto, un amuleto sopravvissuto a un passato incredibilmente distante. La notte sono sdraiata sul letto, con gli occhi chiusi, e il mio nome è lì, sospeso dietro gli occhi, non del tutto a portata di mano, che brilla nel buio".

Il suo nome vero non è Difred; ma non conta più la sua vecchia identità, perchè ormai lei è semplicemente l'ancella che appartiene al Comandante Fred, al quale deve garantire una discendenza.
Se entro un certo tempo questo non dovesse accadere, il suo destino diventerebbe decisamente spiacevole, e chissà che ne sarebbe di lei...

Il racconto di Difred è un crescendo di piccoli preziosi dettagli che vanno a incasellarsi al posto giusto per darci, man mano, un quadro della situazione chiaro, che non può che farci rabbrividire: ve la immaginate una società di questo tipo, con militari a ogni angolo, suddivisa rigidamente in "caste" che schierano da una parte "coloro che contano" e dall'altra i reietti, coloro che non hanno alcuna prospettiva di vivere felicemente perchè il loro destino è stato deciso a tavolino dai "piani alti"? una società in cui non possono esistere dissidenti?
Una società tetra, cupa, triste, in cui le donne non hanno alcuna libertà di pensiero, parola, azione..., ma sono totalmente soggette all'autorità maschile.
Tra esse, solo le Mogli se la passano apparentemente meglio, in quanto consorti di uomini di potere e padrone in casa propria; padrone di comandare alle Marte (le domestiche, esseri invisibili, da cui ci aspetta solo che cucinino e puliscano, per il resto a loro non è data alcuna importanza), di intessere pseudo amicizie con le altre Mogli, e soprattutto di trattare quelle svergognate legalizzate delle Ancelle come più le aggrada, che sia con ostentata freddezza e indifferenza o con malignità e sgarbatezza.
In fondo, non dev'essere facile neppure per loro accettare con finta condiscendenza il dato di fatto che anzitutto non possono procreare, ma che poi debbano assistere un paio di volte al mese ai tentativi di copulazione dei consorti con l'ancella di turno...

Difred ci racconta la sua vita in casa del Comandante, l'ambiguo legame che si instaura con lui - che coinvolge la ragazza in qualcosa di proibito -, i tentativi di introdurre un che di umano in quella casa glaciale senza però riuscirci più di tanto perchè ognuno sa di non poter uscire fuori dai propri compiti, pena torture, punizioni varie o la morte.
La sola presenza che le donerà momenti di conforto è quella di Nick, l'autista del Comandante; con l'uomo, infatti, nascerà un sentimento che però non sembra avere alcuna speranza di essere vissuto appieno e apertamente.

Ancora, Difred ci descrive con lucidità e una pacatezza impressionante tutto ciò che la circonda, che siano persone, strade, edifici, giardini; dopotutto, se non le è permesso parlare per dire ciò che vuole quando vuole, almeno il pensiero nessuno può toglierglielo, e così l'ancella viaggia con la mente, a quando era ancora una donna libera che lavorava, innamorata del proprio compagno, mamma della propria bimba adorata (li rivedrà mai? potrà unirsi a loro? Luke sarà riuscito a salvarsi? La sua bimba è in un posto sicuro?), che usciva, rideva e scherzava con l'amica Moira (che ritroverà prima al Centro Rosso e poi in un altro, squallido luogo...) o che battibeccava con la madre, femminista convinta.

Non solo, ma la narratrice non si limita a descrivere: ella commenta, con sarcasmo, cinismo, pietà, paura... ciò che succede, le mostruose ingiustizie cui assiste o quelle di cui le giunge voce, e per non impazzire si aggrappa a qualsiasi cosa, che sia la bellezza dei fiori (è incredibile come la natura continui ad essere colorata, profumata, viva... in mezzo a tanto grigiore) o una qualche fatua speranza che qualcosa o qualcuno... venga a salvarla.

E intanto un pensiero la sostiene: non permettere che i bastardi ti schiaccino (nolite te bastardes carborundorum).

Difred/June ci ricorda che non c'è stato repressivo che riesca a schiacciare del tutto e definitivamente i desideri delle persone, la voglia di ribellarsi a ciò che è sbagliato; si può insegnare, con la violenza o il plagio, a ubbidire senza fiatare a certi riti, modi di vestirsi, di umiliarsi e sottomettersi, di parlare..., ma se dentro di sè si riesce a restare lucidi, razionali, a resistere, forse c'è ancora la speranza che qualcosa possa cambiare.

Questo romanzo distopico, un bestseller scritto nel 1985, diventato un film negli anni '90 e una ben fatta serie tv recentemente, fa riflettere, e non poco, perchè ciò che presenta, pur avendo tratti che noi, ad oggi, possiamo ritenere assurdi..., non ha in realtà nulla di irrealizzabile.
E' questo che spaventa: l'idea che questo tipo di società (o per lo meno alcune sue caratteristiche) siano attuabili, verificabili, tecnicamente possibili. E se accadesse..., cosa faremmo, come ci comporteremmo?

La storia di Difred e il suo resoconto di cosa succede sotto la Repubblica di Galaad è qualcosa che la stessa è riuscita a "tramandare", a lasciare ai posteri; ciò che non sappiamo è cosa ne è stato di lei, se sia riuscita o meno a trovare una via di uscita dall'inferno in cui era finita.

Però la Atwood ha ben pensato di avere pietà di noi curiosoni e ha annunciato la pubblicazione c.a. di The Testaments, il seguito di The Handmaid's Tale, ambientato 15 anni dopo la scena finale nel romanzo originale, e che vedrà tre personaggi femminili in qualità di narratrici; la scrittrice non ha ancora specificato se qualcuno di esse sarà già nota ai personaggi del romanzo originale.
Ovviamente sono ben lieta e oltremodo curiosa di conoscere questo sequel, ma intanto spero che la terza stagione della serie arrivi prima.
Come già ho avuto modo di dire nel post relativo alla recensione della serie "The Handmaid's Tale", quest'ultima mi è piaciuta davvero tanto e non posso nascondere che leggevo avendo in mente facce, voci, ghigni, sguardi, abiti, case, il che mi ha aiutata a rendere la lettura più viva.
C'è da dire anche il ritmo del libro è meno vivace di quanto me lo aspettassi; è uno di quei casi in cui la serie tv è quasi meglio del romanzo, ecco...; devo altresì ammettere che è più fedele il film, su diversi particolari, ad es. l'età anagrafica e l'aspetto fisico del Comandante e della moglie, ma sono dettagli su cui passo su volentieri perchè è il coinvolgimento a contare, e la serie raggiunge meglio questo scopo.

Non voglio darvi l'impressione di non aver apprezzato il libro, eh, tutt'altro: è una lettura che merita di essere affrontata perchè offre numerosi spunti di riflessione su tematiche sempre attuali (dal ruolo della donna al fanatismo religioso) e ha saputo trasmettermi il senso di impotenza, di claustrofobia, di rabbia o rassegnazione, il bisogno di non perdere la testa a fronte dell'incubo in cui ci si trova, la solitudine, l'angoscia..., insomma tutti gli stati d'animo e i pensieri provati dalla protagonista, la cui impronta emotiva è conforme alla materia narrativa in oggetto, che è tutto fuorchè leggera.

Bel romanzo, era una lacuna che desideravo colmare e sono felice di averlo fatto.
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