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lunedì 9 maggio 2022

[[ SEGNALAZIONE ]] QUANDO GIOVANNI DIVENTÒ FALCONE di Girolamo Lo Verso



A trent'anni dalla strage di Capaci, sarà presentato a Roma il libro QUANDO GIOVANNI DIVENTÒ FALCONE (PandiLettere ed., 126 pp, 14 euro) del professore Girolamo Lo Verso, ordinario di psicoterapia, Dir. Scientifico corso di specializzazione in psicoterapia individuale e di gruppo Scuola di PolisAnalisi. 

La presentazione avrà luogo il giorno 19 maggio alle ore 10:30 in occasione del trentennale della scomparsa di Giovanni Falcone, nell’ Auditorium di Piazza Adriana, 3 a Roma (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra) presso il Tribunale di Sorveglianza.

Battute di pesca spensierate, discussioni serali sulla Sicilia, il mare, i libri, la vita. 
Per Girolamo Lo Verso l’amicizia con Giovanni Falcone inizia prima del Pool antimafia. Prima della vita blindata alla Procura di Palermo. 
Inizia negli anni Settanta quando il giudice più famoso al mondo era semplicemente Giovanni, un instancabile nuotatore in servizio al Tribunale di Trapani, e l’autore semplicemente uno psicoterapeuta all’Asp di Trapani ed un appassionato esploratore e pescatore subacqueo.

Ricordi privati, ma sobri, custoditi con cura per molti anni dal professor Lo Verso, che vengono ora condivisi per diventare patrimonio di conoscenza condivisa ma, soprattutto, stimolo di riflessione sulla storia di Falcone, della Sicilia e dell’antimafia a trent’anni dalle Stragi del ‘92.

Il testo parla anche del suo metodo e della ricerca sulla psicologia mafiosa collegabile al suo pensiero. 
Il libro è arricchito dalla prefazione di Francesco La Licata e dalla postfazione di Roberto Di Bella.

Farà da moderatore Viviana Langher (Presidente laurea magistrale in psicologia clinica, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”); interverranno a conversare con l'Autore Gigi Clemente (regista), Lara Di Carlo (editrice di PandiLettere), Pietro Grasso (già presidente del Senato e procuratore nazionale antimafia), Filippo Pergola (direttore Scuola di PolisAnalisi).
Letture dell’attrice Tiziana Narciso

lunedì 19 luglio 2021

Recensione: COSA NOSTRA SPIEGATA AI RAGAZZI di Paolo Borsellino (prefaz. Salvatore Borsellino)


Il 19 luglio 1992 in via D'Amelio, a causa di un attentato mafioso, trovano la morte il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Da allora sono passati 29 anni ma l'esempio e il sacrificio di uomini dello Stato, che hanno fatto della lotta alla criminalità organizzata il fulcro delle proprie esistenze, sono immutati e ricordarli è un dovere.


COSA NOSTRA SPIEGATA AI RAGAZZI è la trascrizione della lezione che il giudice Paolo Borsellino tenne nel 1989 in occasione di un incontro con gli studenti di un liceo di Bassano del Grappa.

Il fratello Salvatore ha voluto riportare le parole di Paolo sulla mafia perché arrivassero ai giovani, in quanto esse sono ancora attuali e meritevoli di attenzione e riflessione.
54 pp

Nel 1989 la seconda guerra di mafia aveva insanguinato la Sicilia e imposto sull’isola la dittatura armata dei corleonesi di Riina.

Con parole semplici, chiare e dirette, il magistrato comincia col parlare ai ragazzi di cultura della legalità, di quanto essa sia importante e di come debba essere oggetto di discussione a scuola perché parlarne vuol dire trasmettere alle giovani generazioni il concetto che in uno Stato ci sono delle leggi e queste devono essere osservate e non per la "semplice" paura della sanzione, ma per una questione di senso civico, di giustizia.

Borsellino solleva una questione delicata: l'assenza dello Stato e di risposte pronte ed efficaci ai tanti problemi dei cittadini ha fatto sì che gran parte del Meridione d’Italia (e soprattutto la Sicilia) si sia sentita lontana, estranea allo Stato, e quando un cittadino comincia per una qualsiasi ragione a ritenersi estraneo alle istituzioni, può accadere che smetta di osservare i comandi che da queste istituzione promanano, a infrangerli e a cercare strade diverse (e apparentemente più comodo e veloci) per risolvere i propri problemi.

Le organizzazioni di tipo mafioso traggono forza proprio da queste lacune istituzionali, proponendosi come una sorta di risposta alternativa alla sfiducia verso lo Stato, promettendo di dare una soluzione alle difficoltà di cui esso non si cura.

Con il suo modo di esporre il proprio pensiero in maniera schietta, Borsellino arriva a dire che "lo Stato italiano non si è mai preso veramente carico dei problemi della giustizia", e non solo...:

"La verità è che vi è stata una delega inammissibile a magistrati e polizia di occuparsi essi soli della mafia, poi lo Stato non ha fatto sostanzialmente nulla; non ha fatto nulla per creare un’amministrazione della giustizia efficiente in senso soprattutto civile, a cui il cittadino si potesse rivolgere quando doveva risolvere i suoi problemi..."

A proposito di questo, egli dice che in quanto magistrato non si sente protetto dallo Stato, perché il fatto di aver lasciato ogni responsabilità di lotta alla mafia a magistratura e forze dell'ordine ha portato automaticamente ad una loro sovraesposizione, per cui nella mentalità del criminale, togliendo il magistrato fastidioso di turno o i poliziotti che si occupano di mafia, si elimina il nemico numero uno (se non l'unico) della mafia.

Borsellino ricorda poi come a dare un ulteriore slancio all'enorme potenza economica che la mafia ha acquisito negli anni sia stato il traffico di sostanze stupefacenti.

Rispondendo alle domande degli studenti, egli espone il proprio pensiero sul fatto che il carcere possa o meno davvero essere un luogo in cui il criminale trovi la strada della redenzione; accenna al pentitismo, e alla indiscussa utilità della figura del pentito, le cui dichiarazioni possono offrire la chiave di lettura del fenomeno mafioso.

Salvatore Borsellino, nell'introdurre la trascrizione delle parole di suo fratello, ricorda come egli avesse ammesso che Palermo non gli piaceva, ma proprio per questo imparò ad amarla, "perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace, per poterlo cambiare".

Paolo, ci dice ancora Salvatore, era pazzo d’amore, "di quell’amore che ha ispirato tutta la sua vita e ne ha determinato tutte le scelte, come quella di restare al suo posto anche quando avrebbe dovuto rendersi conto che pezzi deviati di quello stesso Stato a cui aveva prestato giuramento stavano tramando per ucciderlo."

Le sue parole, rivolte a quegli studenti ma che risuonano attuali ancora oggi, tanto alle orecchie dei ragazzi quanto degli adulti, rivelano il suo ottimismo e la fiducia che egli riponeva, per il futuro della sua lotta, proprio nei giovani.

Uno scritto breve ma denso di importanti verità e di riflessioni che possono aiutarci a tener desta la nostra coscienza per imparare a riconoscere la mafia in tutte le sue manifestazioni, dalle più eclatanti a quelle più nascoste e, per questo, insidiose.

sabato 23 maggio 2020

RECENSIONE: PEPPINO IMPASTATO. UNA VITA CONTRO LA MAFIA di Salvo Vitale



Nella Giornata della Legalità ho pensato di ricordare insieme a voi un uomo che ha fatto della lotta alla mafia lo scopo della sua (purtroppo breve) vita, lasciando un segno indelebile non soltanto nella "sua" Sicilia, ma in tutti coloro che abbracciano i suoi stessi valori, il suo coraggio e il suo ardore.
Questo libro ci parla di Giuseppe Impastato ad ampio raggio, a partire dal contesto in cui è nato e cresciuto, in cui si è formato come uomo, come politico, giornalista, passando inevitabilmente per la tragica fine che gli ha fatto fare la mafia, arrivando agli anni successivi alla sua morte e alla "eredità" culturale e umana lasciataci da un giovane che, pur di denunciare le storture presenti nella società in cui viveva, non ha esitato ad andare contro la propria famiglia.



PEPPINO IMPASTATO. UNA VITA CONTRO LA MAFIA 
di Salvo Vitale


Rubbettino Editore
318 pp
« Tra la casa di Peppino Impastato e quella di Gaetano Badalamenti ci sono cento passi. Li ho consumati per la prima volta in un pomeriggio di gennaio, con uno scirocco gelido che lavava i marciapiedi e gonfiava i vestiti. Mi ricordo un cielo opprimente e la strada bianca che tagliava il paese in tutta la sua lunghezza, dal mare fino alle prime pietre del monte Pecoraro. Cento passi, cento secondi: provai a contarli e pensai a Peppino. A quante volte era passato davanti alle persiane di don Tano quando ancora non sapeva come sarebbe finita. Pensai a Peppino, con i pugni in tasca, tra quelle case, perduto con i suoi fantasmi. Infine pensai che è facile morire in fondo alla Sicilia»

Il libro di Salvo Vitale ci racconta la storia di Peppino Impastato - del quale è stato amico, condividendone le battaglie sociali -, di questo giovane nato a Cinisi, piccolo centro vicino a Palermo,
e con grande accuratezza ci fornisce informazioni di carattere storico, sociale, demografico del luogo; leggiamo di come la presenza mafiosa incidesse sulle attività commerciali, edilizie, e di come abbia in qualche modo "segnato" l'esistenza di Peppino prima ancora che egli nascesse.

Sì perché la mafia era già in "casa sua", quand'egli è nato, essendo suo padre Luigi imparentato con don Tomasi Impa­sta­to, capomafia di Cinisi nell’immediato dopoguerra.

Apprendiamo, quindi, quanto contassero i legami familiari, la centralità di Tano Badalamenti, il sistema scolastico di quei tempi - così privo di qualsiasi valenza pedagogica, di rispetto per il bambino e i suoi bisogni -, i primi approcci di Peppino alla politica e alle tematiche sociali, e come le sue idee lo abbiano allontanato irrimediabilmente dal padre, che si vergognava di avere un figlio comunista.

Luigi non può sopportare l'onta di questa pecora nera in famiglia (che figura ci fa coi parenti!?), così lo caccia di casa ma, forte delle sua formazione comunista, il giovane avvia un'attività politico-culturale contro il silenzio e le diffuse connivenze mafiose.

Dalla protesta in piazza ai giornali volanti alle manifestazioni improvvisate, Peppino arriva infine all'uso politico di una radio libera autofinanziata, Radio Aut, e dai suoi microfoni non teme di fare nomi e cognomi, denunciando gli interessi che ruotano intorno all'ampliamento dell'aeroporto di Punta Raisi, e mettendo con le spalle al muro il boss Tano Badalamenti.

Si potrebbe legittimamente essere portati a pensare che Impastato si sia avvicinato precocemente alla politica a partire da una sua precisa  esigenza di reagire ad una condizione familiare insostenibile, e sicuramente in parte è così, ma quella che è iniziata come una "missione personale" si è poi trasformata in qualcosa di più ampio e strutturato.

"Egli era un “politico” nel vero senso della parola, un uomo che aveva un’ideologia in cui credere e per la quale lottare".


E questa lotta la portava avanti con le "armi" che gli erano più congeniali: quelle della cultura, dell’ideologia.

"Il principio era quello di rifiutare la politica istituzionale, sostituendo ad essa, come cultura politica, la cura del personale e la ricerca di soddisfazione dei propri bisogni: tuttavia, anche in questo, non si ricercavano solo i bisogni propri della società perbenista, ma se ne scoprivano altri, quali il socializzare per una realtà migliore ed egalitaria."

Emerge, dal dettagliato ritratto che di Giuseppe Impastato ci viene offerto in queste pagine, come la sua opera fosse essenzialmente di natura pedagogica: puntava sull’uomo, per educarlo a cambiare gradualmente il proprio atteggiamento acritico nei confronti dei modelli impliciti del potere.

Ma evidentemente la sua battaglia dava fastidio a qualcuno che, purtroppo, aveva gli strumenti per interromperla.
E' la notte del 9 maggio 1978.

Alle ore 1,40 un'esplosione si verifica dopo il passaggio dell’ultimo treno della linea Palermo-Trapani; la rotaia è divelta e verranno trovati brandelli di resti umani e di indumenti nel raggio di 300 metri.
Non ci saranno dubbi sul fatto che la persona deceduta sia Giuseppe Impastato.

Si tenterà di far passare la cosa come una morte "accidentale", avvenuta in seguito al fallimentare tentativo di un atto terroristico da parte della "vittima", per poi cercare di insistere sulla tesi del suicidio…, ma la verità - per la quale gli amici e la famiglia di Peppino si batteranno - verrà fuori: Peppino è stato ucciso dalla mafia, questo dev'essere chiaro a tutti e i colpevoli devono venir fuori prima o poi.
Non sarà un percorso facile quello che porterà a inchiodare coloro che hanno assassinato Peppino; nel maggio 1984 il consigliere istruttore Antonino Caponnetto, a sei anni dal delitto firma la sentenza definitiva: «Omicidio ad opera di ignoti».

L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti, dopo quattro anni di processo, è condannato all'ergastolo come mandante e responsabile dell'omicidio di Peppino.

E' un libro sicuramente interessante perché al centro c'è la vita di Peppino, che non dovremmo mai smettere di ricordare come esempio di lotta contro le sopraffazioni, le ingiustizie, il clientelismo, l'omertà, le connivenze mafiose; alcune parti le ho trovate meno coinvolgenti (quando ci si sofferma lungamente sulla situazione politica di quegli anni, ad es.), e ho letto con più slancio quelle relative alle vicende personali di Impastato; commuove la testimonianza di Felicia Bartolotta, la madre: una donna che ha sofferto e non poco accanto a un uomo come don Luigi Impastato, un marito maschilista e prepotente, un padre padrone con un particolare senso dell’onore e scarsa comunicazione; una mamma che non ha esitato a onorare la memoria di suo figlio combattendo coraggiosamente affinché la verità sulla sua morte venisse fuori e nulla potesse anche solo lontanamente sporcare il ricordo di ciò che Giuseppe ha fatto per rendere quella piccola porzione di mondo in cui viveva, migliore.

Se vi interessano le biografie e se siete alla ricerca di un suggerimento letterario in occasione della Giornata della Legalità, questo libro potrebbe fare al caso vostro.

mercoledì 17 aprile 2013

Libri, novità. Da oggi in libreria: LA SARNEGHERA - UN UOMO MOLTO CATTIVO



newssss

Fanno il loro ingresso in libreria proprio oggi....

LA SARNEGHERA
di  Laura Muhlbauer


La sarneghera
Ed. elliot
Scatti
192 pp
16 euro
USCITA 17 APRILE
2013
Trama

La vicenda ha inizio sulle sponde del lago Iseo - chiamato Sebino dagli abitanti del posto - e con la morte di Gianna "la santa", giunta alla fine della propria vita nel dare alla luce la terza figlia femmina.
Ma il vedovo e padre delle bimbe, "Ol Buel", un tipo manesco e rancoroso, non ha alcuna intenzione di accudire le figlie, così Giulia, Matilde e Agnese crescono prendendosi cura l'una dell'altra.
Giulia ha la stessa dolcezza materna; Matilde ha un atteggiamento adorante verso il padre; Agnese non ha neppure conosciuto la mamma e cresce senza freni e in piena libertà.
E sarà proprio Agnese ad innamorarsi per prima, ma della persona sbagliata: il parroco del paese!
Un amore ostacolato e chiacchierato, che però la consumerà per tutta la vita.
In paese il pettegolezzo è d'obbligo, irrequiete come la Sarneghera, cioè la tempesta violenta che rovescia le barche e pure i destini. 
Un’antica leggenda vuole che la Sarneghera sia portata dai due amanti che riposano sul fondo del lago. La loro relazione fu ostacolata in vita, e ora, ogni volta che gli amanti si corrono incontro per abbracciarsi, muovono le acque del Sebino. L’amore di Agnese per il parroco, condannato allo stesso destino infelice della leggenda, ha lo stesso impeto e la stessa perseveranza.


UN UOMO MOLTO CATTIVO
di Giuseppe Di Piazza


Un Uomo molto cattivo
Ed. Bompiani
Narratori Italiani
288 pp
17.50 euro
USCITA 17 APRILE
2013
Trama

Sari De Luca è un cinquantenne di successo, alla guida del più importante gruppo editoriale italiano. 
La sua vita privata è divisa tra una seconda moglie ormai in disparte e una giovane amante, Valeria, per cui ha perduto la testa. Ma il destino è in agguato: la ragazza, durante un viaggio di lavoro a Barcellona, viene rapita. 
Il sequestro è stato ordinato da un boss mafioso, Mommo Spadaro, che ha deciso in questo modo di mettere alla prova il manager, per capire se può fidarsi di lui e del suo sangue. 
Sari De Luca, nato e cresciuto a Milano, è infatti l’ultimo discendente di un’importante famiglia mafiosa palermitana, pressoché estinta, con la quale non ha mai avuto rapporti. 
Ma oggi quei fili sottili si riannodano nella sua vita, trasformandosi in un cappio. A
ccetterà Sari, per salvare Valeria, di stare al gioco della mafia? 
E se mai dovesse accettare, con quali conseguenze per la sua vita e per quella della ragazza? 
Le decisioni che prenderà avranno un prezzo altissimo, che Sari dovrà pagare in soli sette giorni. I sette giorni in cui si svolge questo noir senza respiro dell’autore de I quattro canti di Palermo, ambientato questa volta tra Milano, Barcellona e Ginevra.

L'autore.
Giuseppe Di Piazza ha cominciato la sua carriera giornalistica nel 1979 al quotidiano “L’Ora” di Palermo. Ha diretto il settimanale “Sette”, il mensile “Sette Green”, l’agenzia “Agr” e il mensile “Max”. Lavora al Corriere della Sera, insegna all’università Iulm e nel 2011 ha esordito come fotografo con la mostra “Io non sono padano”. Il suo primo romanzo è stato I quattro canti di Palermo (2012)
.

sabato 5 gennaio 2013

Leggere storie vere: "Il bambino che sognava i cavalli" di Pino Nazio (recensione)



Oggi voglio parlarvi di un libro che narra una storia  triste; triste due volte: perché lo è in sè, in virtù dei fatti narrati, e perché è veramente accaduta.

IL BAMBINO CHE SOGNAVA I CAVALLI.
779 giorni ostaggio dei corleonesi
di Pino Nazio


Il bambino che sognava i cavalli
Ed. Sovera
Collana Inchieste
384 pp
19.50 euro
2010
Questa triste storia vede coinvolto un innocente, un bambino senza colpa alcuna.
E' un libro che ho letto con molta emozione e commozione e credo sia inevitabile perché chi si accosta ad esso lo fa con la consapevolezza che non è un romanzo, non è una "fiction"..., ma sono pagine che trasudano realtà..., una realtà per alcuni vicina, per altri (come me) piuttosto lontana (e grazie a Dio!), ma che non riesce a lasciarti indifferente perchè ti tocca nel profondo dell'anima, ti interroga, ti mette con le spalle al muro e ti scopre il velo su ciò che c'è di più profondo e complesso al mondo: l'animo e il cuore dell'uomo.

A quanta bassezza può scendere un essere umano?
Di quali atrocità e malvagità si può macchiare?

A cosa si è disposti a rinunciare di se stessi, della propria dignità di esseri umani (pensanti e con un cuore..) pur di restare fedeli a un'organizzazione dominata da logiche di potere, sopraffazione, abusi, violenze perpetrate su scala individuale e sociale?

Questo libro ci racconta la breve esistenza di un bambino, nato e cresciuto (seppur per pochi anni) nel posto sbagliato, forse anche nel tempo sbagliato; un posto in cui a far da padrona era (ed è? forse sì, ma voglio sperare in modo meno incisivo...) lei: la Mafia, Cosa Nostra.

"Il bambino che sognava i cavalli" ci racconta la storia vera di un bambino, Giuseppe Di Matteo, ostaggio dei corleonesi per 779 giorni; a fare questa ricostruzione lucida ma sensibile allo stesso tempo è Pino Nazio, giornalista ed inviato di "Chi l'ha visto?".
Giuseppe era un ragazzino di 13 anni come tanti; o meglio, sarebbe potuto essere uno dei tanti, ma non  lo era, suo malgrado: suo padre Santino era un affiliato di Cosa Nostra, come anche il nonno Giuseppe.

giuseppe
Con una sapiente ricostruzione del contesto storico-sociale, nonché "ideologico" proprio di cosa Nostra, Pino Nazio ci lascia scendere i gradini di una storia che, pagina dopo pagina, si tinge di colori scuri, cupi; gradini che ci conducono all'ultimo "passaggio segreto", al quale il lettore può decidere di non accedere; nel libro, verso la fine, c'è infatti  un capitolo chiuso, che può essere saltato senza perdere il filo della narrazione.

È chiuso perché arrivati lì ci si possa sentire liberi di decidere di non scendere i gradini che portano in un abisso, in un inferno che spaventa e inorridisce perché tragicamente reale.

Giuseppe Di Matteo
Giuseppe fotografato dai rapitori
Giuseppe era un bambino felice, che viveva col fratellino Nicola, la madre Franca e il padre Santino; affezionatissimo ai cavalli, Giuseppe partecipava alle gare di equitazione e tutti erano orgogliosi di lui; era un bambino dolce, pieno di gioia di vivere, curioso.
La sua vita è trascorsa serena fino al giorno in cui il padre è stato arrestato in quanto mafioso; l'uomo decide di diventare un "pentito" e di raccontare i "segreti di Cosa Nostra", i retroscena e i nomi di coloro che hanno ordinato delitti e stragi (compresa quella di Capaci).

Ma questo "cambiamento di pensiero" non piace ai vertici mafiosi, che decidono di vendicarsi dell'"infame pentito" Di Matteo sequestrandogli il figlio.
Tra questi "uomini d'onore" c'è lui, "u verru" (in siciliano, "il porco", chiamato anche "lo scannacristiani", per la crudeltà con la quale agiva verso le proprie vittime), Giovanni Brusca.
Brusca

Lo tengono nascosto per 775 giorni, trasferendolo spesso in varie "celle", umide, spoglie, tristi, dove il ragazzino è costretto a vivere (o sopravvivere ...) solo, senza poter respirare l'aria di fuori, senza poter fare ciò che tutti i ragazzi della sua età hanno il diritto di fare: vivere con serenità ed entusiasmo la propria fanciullezza, i propri sogni,
A Giuseppe questo diritto è stato tolto e così l'11 gennaio 1996 viene ammazzato: i suoi assassini lo strangolano e infine, per far perdere ogni traccia, lo sciolgono in una vasca piena di acido nitrico.

Non ce l'avrete con me se vi svelo questo triste finale; è una storia nota (purtroppo), che sarebbe stato meglio non scrivere per il semplice fatto che non è giusto che sia accaduta.
Della triste storia di Giuseppe si è tanto parlato, da allora, e questo libro più che mai riesce a fermare l'attenzione sui particolari, sulle parole, sui sentimenti di coloro che hanno subito la malvagità di uomini che hanno perso ogni barlume di umanità macchiandosi di efferati delitti.

Lo consiglio e credo che sarà apprezzato non solo per la sua accuratezza ma anche per la sensibilità nel palesare le emozioni, i pensieri, i conflitti interiori dei protagonisti, compresi i pensieri e le sofferenze subite da un bambino innocente: pensieri che avremmo voluto sapere da lui, se fosse stato liberato piuttosto che ucciso crudelmente, ma che possiamo solo immaginare, e l'autore ha saputo, anche in questo, essere toccante e profondo.

venerdì 26 ottobre 2012

Storia di una donna che rifiutò la mafia "Se muoio, sopravvivimi"



I libri tratti da vicende vere sono sempre molto interessanti per me, se parlano di mafia ancora di più.

Eccone uno di fresca uscita.

SE MUOIO, SOPRAVVIVIMI
di  Alessio Cordaro - Salvo Palazzolo

Se muoio, sopravvivimi. La storia di mia madre che non voleva essere più la figlia di un mafioso
Ed. Melampo
160 pp
15 euro
25.09.2012
Sinossi

Questa è la storia inedita della figlia di un padrino e della sua ribellione soffocata
Lo hanno svelato i pentiti: Lia Pipitone sarebbe stata uccisa per ordine del padre, uno dei capimafia più fedeli a Riina e Provenzano
La colpa: avrebbe intrattenuto una relazione extraconiugale. 
Ma dopo un processo il padre è stato scagionato e il giallo è rimasto irrisolto. 
Adesso l'indagine di un figlio e di un giornalista riapre il caso della giovane assassinata a Palermo il 23 settembre 1983 durante una finta rapina. 
Il giorno dopo l'omicidio il più caro amico di Lia si suicidò: così recita la versione ufficiale dei fatti, che continua a essere carica di misteri e messinscene architettate dai boss. 
Perché il gotha di Cosa nostra arrivò a tanto contro una giovane di 25 anni? 
Di che cosa avevano paura i mafiosi? 

Alessio Cordaro, il figlio di Lia, nel 1983 aveva quattro anni. Questo libro è il suo diario, alla ricerca della verità sulla morte della madre
Ma è anche un'indagine giornalistica vecchio stile di Salvo Palazzolo: il clan dell'Acquasanta, a cui apparteneva Antonino Pipitone, il padre della ragazza uccisa, ha segnato l'ascesa, gli affari e i delitti eccellenti della Cosa nostra di Riina e Provenzano. 
"Se muoio, sopravvivimi" è il titolo di una poesia di Pablo Neruda. Era la poesia preferita da Lia Pipitone.

venerdì 5 ottobre 2012

Pensieri ...


L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, 

è saper convivere con la propria paura 

e non farsi condizionare dalla stessa. 

Ecco, il coraggio è questo, 

altrimenti non è più coraggio, è incoscienza. 

Giovanni Falcone



venerdì 20 luglio 2012

PAOLO BORSELLINO: UN UOMO COME TANTI, UN EROE COME POCHI.




Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare
e diventerà la lotta di ciascuno di noi
(parole che pronunciò il giudice Caponnetto il giorno dei funerali, il 24 luglio 1992).

Ieri ricorreva l'anniversario della morte del giudice Paolo Borsellino, vittima della Mafia, ucciso vent'anni fa davanti casa della madre, che ogni mattina lui andava a salutare.
Con lui morirono anche gli agenti della scorta:  Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina; unico sopravvissuto Antonino Vullo.
In occasione di questa "giornata del ricordo", segnalo un libro, che parla di lui, di questo coraggioso magistrato che, insieme a Giovanni Falcone, son diventati IL SIMBOLO della lotta alla mafia.

ERA D'ESTATE
a cura di R. Puglisi e A. Turrisi

Era d'estate
Ed. Vittorietti
144 pp
12 euro
2010
Sinossi
Era quasi estate quando Giovanni Falcone fu massacrato con la moglie e gli uomini della scorta, mentre tornava a casa. 
Era estate piena quando Paolo Borsellino lo seguì, con gli uomini della sua scorta, un attimo prima di suonare il citofono di sua madre. 
Cosa rimane di quell'estate nella mente e nel cuore? 
Come possiamo ancora ricordare, senza cadere nelle trappole involontarie della retorica, nei tranelli delle lacrime di convenienza, nel marasma della commozione a buon mercato che tutto copre e pareggia fino a svuotare di senso il dolore che abbiamo davanti agli occhi? 
Noi abbiamo pensato che per recuperare la vista giusta, la luce esatta degli occhi, fosse necessario ripartire dalla voce. Anzi dalle voci, dagli accenti di tanti che attraversarono quell'estate di morte. 
Qui c'è il racconto delle metamorfosi, delle vocazioni alla giustizia e alla bellezza che sono nate nel nome e nel ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. 
Qui sono piantate le corone di spine di un travaglio, di un sentiero di sassi che ha avuto come sbocco la resurrezione civile di più generazioni
Una galleria di ritratti individuali, ognuno col suo timbro e col suo tono specifico, nella filigrana di un'identica presa di coscienza collettiva.


Il libro termina con una bellissima e toccante lettera di Manfredi Borsellino, figlio di Paolo.

lunedì 23 maggio 2011

Giovanni Falcone

L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa.
Altrimenti non è più coraggio, è incoscienza!

Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola.

La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l'eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.

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