domenica 31 maggio 2020

Recensione: ALMARINA di Valeria Parrella


Elisabetta e Almarina: due donne in divenire, che una volta uscite da quell'istituto in cui la prima lavora e l'altra è detenuta, non saranno più le stesse: una donna che il destino non ha reso madre, e una ragazza cui la madre (e, in generale, la famiglia) è stata tolta troppo presto, si incontrano, si comprendono, e a dispetto dei cavilli burocratici, dei tanti interrogativi e della paura di sbagliare, si regalano reciprocamente la possibilità di essere un punto di partenza l'una per l'altra. 
Perché non è mai tardi per ricominciare.


ALMARINA
di Valeria Parrella



Einaudi
136 pp
"Almarina non aveva ricordi cosí ed era stata vestita di carta, ma possedeva la luce del futuro negli occhi: e il futuro comincia adesso."  

 Elisabetta Maiorano vive a Napoli, è una vedova di cinquant'anni, insegnante di matematica nel carcere minorile di Nisida.

Ogni mattina si reca a lavoro, seguendo una routine quotidiana alla quale è abituata e che fa ormai parte della sua vita solitaria: quando la sbarra si alza, dopo aver chiuso in un armadietto non solo la propria borsa ma anche tutti pensieri, le ansie e le tristezze che sono un po' di Napoli e un po' sue, Elisabetta raggiunge i suoi ragazzi in questo luogo in cui il tempo pare allargarsi e sospendersi, un carcere sull'acqua dove le colpe possono sciogliersi e sparire. 

E in un piccolo spazio a fare da aula, finalmente senza sbarre, a simulare una sorta di vita scolastica "normale", la donna cerca di fare della sua professione una missione, dando il suo personale contributo per far sì che a questi giovani detenuti sia data la possibilità di imbastire il proprio futuro, com'è giusto che sia:

"La nostra speranza, credo, è che quel giorno, ora lontano, in cui avranno scontato tutta la pena, tornerà loro nelle mani questa chiave, e dagli archivi spalancati voleranno fogli bianchi senza piú inchiostro sopra, immacolati, come il bucato steso alle terrazze."

La protagonista e voce narrante, Elisabetta, è una donna sola ed insicura, alla (inconsapevole?) ricerca di se stessa, la cui esistenza è contrassegnata, appunto, dalla solitudine: il marito Antonio è morto da tre anni, lasciandola sola; non ha figli e con le sorelle di lui non ha un buon rapporto.

A farle compagnia, quindi, ci sono le fantasticherie su un uomo che non le appartiene e i ricordi di una felicità che pare essersi dissolta per sempre; giorni grigi e fissi, tutti uguali, fino alla mattina in cui i suoi occhi incrociano quelli di una nuova alunna arrivata nella sua classe, a Nisida: è Almarina, un'adolescente romena dal passato difficile (chi, tra questi ragazzi, non ce l'ha?), che ce la mette tutta e chissà... forse, nonostante tutto il brutto e il male vissuto finora, ad attenderla c'è qualcosa di buono oltre quelle sbarre?
Per adesso, quando alza gli occhi deve accontentarsi di immaginare l'orizzonte attraverso una porta chiusa, oltre  la quale c'è la libertà.

Elisabetta ha conosciuto tanti ragazzi e ragazze da quando insegna nel carcere, e non di rado s'è affezionata a qualcuno; e adesso sente di voler provare ad andare oltre il mero sentimento, di fare qualcosa di concreto per dare una possibilità a questa giovane che con la sua presenza ha dischiuso una luce nuova nel suo cuore.

Ma in realtà, quella che sembra essere l'opportunità offerta da un'insegnante empatica e altruista ad una ragazza che la vita ha messo tra le sbarre, si rivela come un dono per la stessa Elisabetta, che con i giorni, a contatto con quella ragazzina che splende benché abbia attraversato il buio della violenza e della separazione dal fratellino, matura il desiderio di lasciar entrare Almarina nella propria esistenza attualmente scevra di affetti.

Quello tra lei ed Almarina è un legame affettivo sincero, disinteressato, genuino, che nasce spontaneamente nella testa e nel cuore di due creature diverse e in fondo estranee, ma così simili nelle loro personali solitudini.
Due piccoli pianeti che, senza volerlo, si ritrovano sulla stessa traiettoria: due donne in divenire, che una volta uscite da quell'istituto non saranno più le stesse, una donna che il destino non ha reso madre, e una ragazza cui la madre (e, in generale, la famiglia) è stata tolta troppo presto, si incontrano, si comprendono, e a dispetto dei cavilli burocratici, dei tanti interrogativi e della paura di sbagliare, si regalano reciprocamente la possibilità di essere un punto di partenza l'una per l'altra. 

Perchè c'è sempre un modo e un tempo per ricominciare, per lasciarsi dietro le spalle gli sbagli, i pregiudizi, i timori, i lutti e le perdite.

"Voi che giudicate siete disposti a credere ai colpi di fulmine, ma altre forme d’amore improvviso vi mettono in sospetto. (...) Volete che l’amore proceda per gradi, vorreste intravederne un percorso lineare, guardare, morbosi, tutto. Invece no, non si guarda: il cuore è opalino e gli esami di coscienza sono per gli infelici. Io mi sono legata ad Almarina cosí, mentre guardavamo il mare".

Con una scrittura che sa essere tanto asciutta e ruvida quanto delicata e poetica, attraverso il racconto di un presente in cui trovano spazio frammenti del passato della protagonista, Valeria Parrella ci narra una storia fatta di amore, paura, desiderio di riscatto e di espiazione, di speranza per il futuro, di affetti - alcuni perduti (e allo stesso tempo custoditi nel cuore), altri cercati e trovati in un posto tra i più improbabili che ci siano: un carcere.

"...il carcere è un dolore che non finisce, da cui non puoi mai distrarti. Chiunque varchi la porta di un carcere lo sa (e se non lo sa, lo sente) che sta passando da un’altra parte inconciliabile con la promessa che ci fecero da bambini: che la vita non avrebbe fatto paura, e non saremmo mai rimasti soli. Il carcere invece è paura e solitudine. In carcere ti addormenti e quando ti svegli sei in carcere. In carcere impari presto che meno fai meglio è."

Se con lo stile dell'Autrice ho dovuto prendere gradualmente confidenza, a convincermi da subito è stata l'ambientazione, che dà un carattere sociale e politico a questo romanzo: il carcere minorile di Nisida, un luogo "protetto", un dentro con confini precisi, dove sostano singole giovani vite in attesa che il loro destino prenda forma, contrapposto alla bella e vivace Napoli, al fuori, che è sì sinonimo di libertà ma anche di pericolo, perché quei giovanissimi detenuti, una volta usciti fuori, "torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui".


Finalista del premio Grinzane Cavour 2020, Almarina è nella dozzina del Premio Strega 2020. 

giovedì 28 maggio 2020

Recensione: IL GIOCO DEL SUGGERITORE di Donato Carrisi



L'ex-poliziotta Mila Vasquez è costretta a tornare nel buio dell'inferno messo in moto dal diabolico suggeritore.
Questa volta dovrà dare la caccia a colui che le ha sottratto l'unico affetto presente nella sua vita, e per farlo si ritroverà ad entrare in una dimensione virtuale dove i confini tra fantasia e realtà sono labili e dove la capacità umana di fare il male si manifesta in tutta la sua violenza.


IL GIOCO DEL SUGGERITORE 
di Donato Carrisi



Longanesi
389 pp
E' sera quando una donna, spaventata, chiama la polizia per segnalare che all'esterno della sua casa c'è un uomo, che pare non avere buone intenzioni.
Purtroppo, complice il fatto che l'abitazione sia una fattoria isolata, a una quindicina di chilometri dalla città, e che quella notte scoppi un violento temporale, la prima pattuglia disponibile riesce a giungere sul posto soltanto diverse ore dopo, quando sarà ormai troppo tardi.
All'arrivo della polizia, la tragedia si è già abbattuta sulla famiglia; perché qualcosa dev'essere necessariamente accaduto tra quelle mura, visto il sangue che c'è... Il punto è che in quella casa non c'è nessuno, e se è avvenuta una carneficina, dove sono i cadaveri?
I corpi dei membri della famiglia Anderson non ci sono... 
Cosa è successo tra quelle mura?
Se in quella maledetta notte un uomo è entrato nella casa in campagna degli Anderson e li ha uccisi tutti, che ne ha fatto dei corpi senza vita di Karl, della moglie e delle loro due povere bambine?

Eppure non passa molto che il presunto omicida viene individuato e arrestato, grazie ad una telefonata anonima.
L'uomo sembra aspettare i poliziotti, infatti non oppone resistenza e l'operazione procede liscia come l'olio; non confesserà l'omicidio, anzi non aprirà bocca, ma ad inquietare gli inquirenti è il fatto che il corpo del presunto assassino sia ricoperto di una serie indecifrabile di numeri tatuati.

Siamo in presenza di un folle omicida?

Per sciogliere i tanti interrogativi, il giudice Shutton decide di coinvolgere nelle indagini la sola persona in grado di capire cosa ci sia dietro, quali significati misteriosi e malefici si celino dietro quelle sequenze numeriche che il cosiddetto "Uomo tatuato" ha sulla propria pelle.

Questa persona però non è più una poliziotta; non solo, ma dopo l'ultimo caso  ha deciso di riporre in un cassetto chiuso a chiave il distintivo (la pistola no, di quella purtroppo c'è bisogno) e di ritirarsi a vita privata, assieme alla figlia di dieci anni, Alice: Mila Vasquez ha promesso a se stessa di tenersi lontana da quel buio gelido e spaventoso nel quale si nascondono e agiscono i "cattivi" cui ha sempre dato la caccia fino a un anno prima, quando ancora lavorava nel Limbo, cioè nella sezione investigativa che si occupa di cercare le persone scomparse.
Certo, dentro di lei c'è sempre quella voce sinistra e sgradevole che sussurra, maligna: "E' dal buio che vengo. Ed è al buio che ogni tanto devo ritornare...", ma Mila sa che ormai ha deciso: la sua esistenza è all'insegna della tranquillità e dell'isolamento, in riva a un lago, con la sola compagnia della piccola Alice.

Purtroppo per lei, viene coinvolta suo malgrado nel caso dell'Uomo tatuato, chiamato anche Enigma: questa indagine sembra riguardarla da vicino. Più di quanto lei stessa creda. 

Facendo leva sul proprio senso di responsabilità, Mila si lascia tirare dentro un incubo contrassegnato inevitabilmente da morte e sangue: se davvero Enigma ha ucciso gli Anderson, perché l'ha fatto? Come li conosceva e perchè ha scelto proprio loro?

Cominciando a scavare nella vita della povera famiglia trucidata, Mila scopre il motivo che c'era dietro la drastica (e discutibile, per certi versi) scelta di Karl di far vivere i propri cari isolati da tutti (in primis dalla tecnologia, da internet...): forse l'uomo nascondeva un oscuro segreto, un "vizietto" apparentemente innocuo che gli è sfuggito di mano e che l'ha introdotto in un mondo parallelo a quello reale in cui si può provare ad essere qualcosa di diverso da ciò che si è davvero, e ad essere protagonisti di azioni che nella vita di ogni giorno non si ha il coraggio di commettere...

"Non c'era bisogno di avere un alter ego in un maledetto mondo virtuale. conduciamo una doppia esistenza anche senza internet. Perchè una parte di noi - la più profonda e irraggiungibile - vive di vita propria. Con lei odiamo in segreto, invidiamo di nascosto gli altri augurando loro ogni male, manipoliamo, mentiamo. La usiamo per sopraffare i deboli. La nutriamo con le peggiori perversioni, permettendole di fare tutto ciò che vuole dentro di noi. E infine le diamo la colpa per ciò che siamo."

Mila apprende l'esistenza di un gioco virtuale creato col proposito  di replicare una dimensione parallela a quella reale, una sorta di società perfetta in cui i partecipanti al gioco sono liberi di essere e fare ciò che vogliono, ad es. di realizzare - seppur solo "per finta" - i propri sogni e desideri, che purtroppo nella realtà non riescono a concretizzare.
Una sorta di esperimento sociale, creato non da degli sprovveduti, bensì da gente che aveva ben chiaro come utilizzare l'intelligenza artificiale; purtroppo il controllo di questo programma col tempo è sfuggito, dando vita a deviazioni malate e perverse...
Sì, perchè è il rischio che può verificarsi quando in questa realtà virtuale una persona porta il seme del male, tutta la propria voglia (repressa nella vita vera) di attuare propositi violenti, dando sfogo a quella malvagità che è lì acquattata da chissà quanto in un angolo della mente e che aspettava solo il momento opportuno per manifestarsi in tutta la sua virulenza!

"Internet è un'enorme spugna: assorbe ciò che siamo, soprattutto il peggio. Nella vita reale siamo costretti ad adattarci per convivere con gli altri, a scendere a compromessi con la nostra natura, ad accettare leggi e convenzioni. A volte dobbiamo anche indossare una maschera, ma è inevitabile: altrimenti non riusciremmo a far parte della società... In rete invece ci sentiamo liberi da tutta questa ipocrisia, ma è soltanto un'illusione: ci hanno semplicemente lasciati soli con i nostri demoni".


Basta prendere in mano un joystick, avere di fronte a sè un computer degli anni '80 e inforcare un visore, per vivere esperienze che, per quanto illusorie e fittizie, "regalano" sensazioni forti e molto reali, e soprattutto mettono alla prova la psiche, che molto facilmente si abitua alla dimensione virtuale creata nel gioco, manipolandola, spingendola a concepire disegni e propositi oscuri...

E se c'è qualcuno che sa come sussurrare e persuadere le menti più suggestionabili a fare il male, quello è il Suggeritore.

"Lo scopo del suggeritore non è solo mostrarsi il suo mirabile disegno di morte e distruzione (...). Lui vuole entrarti nella testa... Qualunque cosa tu faccia, per quanto tu possa essere preparato, non potrai impedirglielo. (...) E quando tu pensi che sia finita, non lo è: l'orrore intorno a te svanisce, ma lui è ancora qui" disse e si toccò la tempia."

L'indagine sulla triste sorte degli Anderson conduce, attraverso codici e coordinate da decifrare e incursioni nel gioco virtuale, l'ex-poliziotta in un inferno che diventerà personale, perchè vedrà coinvolta la piccola Alice.
Chi conosce la Vasquez - per aver letto i precedenti libri della saga del Suggeritore - sa che una delle sue peculiarità è la sua incapacità a provare empatia, a sentire e manifestare sentimenti ed emozioni (alessitimia); un "gelo dell'anima" che la perseguita, la tormenta e la fa sentire in colpa, ma allo stesso tempo l'aiuta a restare lucida e razionale quando si tratta di risolvere casi di sparizione, dove il coinvolgimento emotivo è più un ostacolo che un aiuto.

Al suo fianco c'è l'amico ed ex-collega Simon Berish, l'esperto di interrogatori, e la sua presenza sarà importante per aiutare Mila nel mettere insieme tutti i contorti pezzi che la porteranno a sciogliere i tanti misteri che via via si impongono alla sua attenzione.

La comprensione del passato è imprescindibile per capire il presente, ed infatti Mila dovrà attingere dai documenti del Limbo e da specifici casi irrisolti di ragazzi scomparsi anni prima, per arrivare a veder chiaro il diabolico gioco di Enigma, un gioco con il quale egli vuole sfidare personalmente Mila e mettere in dubbio le sue certezze, confondendola e facendo leva sulle sue debolezze.

Come accaduto già in precedenza, Mila si troverà spesso davanti a bivi e scelte da prendere; dovrà stare attenta e riconoscere i nemici, anche tra coloro che sembrano essere dalla sua parte.


Le trame di Carrisi sono sempre "labirintiche", complesse e tortuose; c'è tanta roba in questo libro, e in certi momenti, durante la lettura, mi appuntavo qualcosa per non ingarbugliarmi e non perdere il filo.
Mi rendo conto che questo modo di narrare può essere, per molti, un difetto più che un pregio, perché più "carne al fuoco" c'è, più avverti che l'autore si impegna a rendere le vicende complicate e ricche di colpi di scena e sorprese..., e più tutto questo questo potrebbe apparire come una grande forzatura, che rende poi poco credibile la storia.

Dico questo perché mi è capitato di leggere pareri di altri lettori che si soffermano su questo aspetto e non lo apprezzano del tutto, ma... io devo ammettere di non riuscire a considerarlo un difetto; mi spiego: io resto letteralmente affascinata da tutti gli intrecci contorti creati da Carrisi, mi spiazzano, stuzzicano la mia curiosità, impennano il livello di suspense, e personalmente ho gradito l'introduzione dell'elemento virtuale (in rete ci creiamo un'altra vita, ci mettiamo una maschera, ci sentiamo protetti e al sicuro dietro una tastiera e uno schermo, e quindi liberi di mostrarci per ciò che non siamo ma vorremmo essere) in quanto molto attuale.

Come nel precedente romanzo (L'uomo del labirinto), anche qui non manca la presenza dei narcotici, la cui assunzione manovra e condiziona la mente, rendendo labile e confusa la distinzione tra realtà e finzione.

Mi cattura sempre l'attenzione posta al male come qualcosa che si nasconde in persone all'apparenza innocue, "normali"; nei libri di questo scrittore c'è sempre il concetto che i mostri non nascono tali, lo diventano, e che 

"I mostri non sanno di essere mostri. (...) Covano dentro di sè un'insoddisfazione, una debolezza. Enigma sa riconoscerli, li intercetta, li avvicina. E' capace di blandirli, sa come conquistare la loro fiducia. E li convince con la sua menzogna... (...) Che possono essere tutto ciò che desiderano. Che le loro fantasie, anche le più malate, non sono un errore. Che anche se coltivano in se stessi un bolo segreto di violenza, non c'è niente di sbagliato in loro." 

Leggere Carrisi per me è come stare sulle montagne russe, un up and down continuo che mi tiene col fiato sospeso, mi insinua dubbi, crea interrogativi, gioca a darmi certezze che poi puntualmente mi crollano come un castello di carta, e tutto questo mi piace da matti, come mi piace il fatto che fino all'ultima pagina non so mai quale colpo di scena mi aspetta; il finale mi soddisfa e al contempo mi tiene sospesa e, più di tutto, mi fa desiderare di leggere un'altra storia creata dalla magistrale penna di Donato Carrisi. 

Per me è promosso, come sempre e non potrei fare diversamente.

I love you, Donà. 



domenica 24 maggio 2020

RECENSIONE: PALESTINA E ISRAELE: CHE FARE? (a cura di Frank Barat)



E' uno di quei "conflitti" che dura da molti, troppi decenni, che vede contrapposti due popoli e ad oggi non v'è stata alcuna soluzione in grado di soddisfare equamente le richieste dell'uno e dell'altro; a dirla tutta, tra i due, uno se la passa meglio, l'altro decisamente peggio.

Sto parlando della "questione israelo-palestinese", e in questo libro il giornalista e attivista Frank Barat ha raccolto, attraverso interviste, le opinioni di Noam Chomsky (filosofo, linguista e attivista politico) e Ilan Pappè (storico israeliano antisionista) in merito all'argomento, perché esaminare il "caso palestinese è (…) essenziale per comprendere dove ci collochiamo come esseri umani".




PALESTINA E ISRAELE: CHE FARE? 
(Noam Chomsky - Ilan Pappè)
a cura di Frank Barat



Fazi Ed.
trad. M. Zurlo
223 pp
Ho letto questo testo spinta dal desiderio di approfondire la tematica in oggetto e ammetto di essermi lasciata guidare, nella scelta, dal fatto che in esso sia esposto il pensiero di Chomsky (autore studiato ai tempi universitari) e che Pappè sia un israeliano; di entrambi confesso di non aver mai saputo, prima d'ora, la loro posizione circa la questione Israele/Palestina.
In pratica, mi sono accostata a questo volume un po' "alla cieca" e cercando, soprattutto, di mettere da parte eventuali preconcetti e saperi precostituiti, leggendo quindi gli interventi dei tre autori con la mente più sgombra possibile.

Più di tutto, però, mi auguro di non scrivere inesattezze e di riuscire a darvi un'idea chiara di quello che è la posizione assunta da Pappè, Chomsky e lo stesso Barat, espressa tra queste pagine.

Le idee sostenute da Noam Chomsky e Ilan Pappé si propongono di offrire un approccio alla questione israelo-palestinese che renda chiaro come sia urgente e necessario porre fine a quello che essi esplicitamente identificano come un'opera di ‘insediamento’ e ‘colonizzazione’ da parte dello Stato d'Israele a danno del popolo palestinese.

"Ristabilire l’equazione “Sionismo uguale a Colonialismo” risulta di cruciale importanza non soltanto perché chiarisce al meglio le politiche israeliane di giudaizzazione all’interno di Israele e le politiche insediative in Cisgiordania, ma soprattutto perché è perfettamente coerente con il modo in cui i primi sionisti percepivano e descrivevano il loro progetto."


Non affrontare il problema, evitando di chiamare le cose col loro nome, significa condannare all'oblio un'intera popolazione, per questa ragione è necessario denunciare quella che è la vera natura di Israele - un paese colonizzatore -, spingere la comunità internazionale a prendere una posizione ferma contro le sue politiche d'occupazione e provare a capire quale potrebbe essere una possibile soluzione a un conflitto che va avanti da anni, a scapito di troppe vittime innocenti.

"Al cuore del conflitto che imperversa dal 1882 vi è sempre stato il desiderio di trasformare la multietnica Palestina in uno spazio etnicamente puro. Questa spinta, mai condannata né ostacolata da un mondo che stava a guardare senza far nulla, portò nel 1948 all’espulsione di 750.000 persone (la metà della popolazione del paese), alla distruzione di oltre 500 villaggi e alla demolizione di
decine di città."


Ilan Pappè parla esplicitamente di "genocidio progressivo", risultato inevitabile della strategia complessiva di Israele in tutta la Palestina in generale, e nei territori occupati nel 1967 in particolare.

In virtù di questo, ha ancora senso parlare ancora di Palestina e Israele usando espressioni come "processo di pace", "soluzione a due Stati", "partizione"?
O forse è più giusto porre la questione nei termini di "decolonizzazione" e "cambio di regime"?


Dalle conversazioni tra Pappè-Chomsky e Barat emergono alcuni punti fondamentali:

1. Quanto è davvero realizzabile la cosiddetta "soluzione dei due stati" (cioè la creazione di due Stati separati nella parte occidentale della Palestina storica, uno ebraico e l'altro arabo)?
Questa "proposta" - sostiene Chomsky - ha il solo merito di contare su un enorme appoggio internazionale e se finora non si è realizzata è per colpa degli Stati Uniti.

E se anche si arrivasse a questa soluzione, chi ne trarrebbe vantaggio: entrambi i popoli o piuttosto solo uno di essi?
E' fin troppo probabile che "la versione sionista dei due Stati" non sia altro che una via accettata dal mondo Occidentale per realizzare una Palestina ebraica, estesa su “appena” l’80% dell’area; la riconciliazione con i palestinesi resta una chimera: l'unico desiderio di Israele è controllare quanta più terra possibile, avendo tra i piedi un numero limitatissimo di palestinesi (zero è anche meglio).


2. Pensare sia realmente fattibile la soluzione summenzionata significa non essere realisti, secondo Pappè: l’unica chance per contrastare il sionismo in Palestina è una campagna per i diritti umani e civili che non si ostini ad operare distinguo tra una violazione e l’altra, e che indichi con precisione chi è la vittima e chi il carnefice.
Inoltre, ciò che serve è trovare un modo per modificare le relazioni tra le comunità e creare una struttura di potere, politica, ideologica, costituzionale e socioeconomica che valga per tutti gli abitanti della Palestina, non solo dello Stato di Israele.

"Nella mia ottica, quindi, sostenere la soluzione a uno Stato significa portare avanti un’attività di militanza che convinca tutti a immaginare l’intera area come un’unica terra e l’intera popolazione come un unico popolo."

3.  Perché si diffonda un approccio più giusto alla questione palestinese, non si può prescindere dal "denunciare" (tra le altre cose) anche come il sapere e le informazioni siano (state) manipolate in modo da contrapporre - al cospetto dell'opinione pubblica internazionale - Israele quale “unica democrazia del Medio Oriente” vs gli arabi palestinesi dipinti come una masnada di terroristi folli e violenti o, nella migliore delle ipotesi, "semplicemente arretrati".

Il popolo di Gaza e di altre aree della Palestina è deluso nel constatare come a livello internazionale manchi una risposta decisa di fronte al perdurare dell'opera di devastazione portata avanti da Israele, che dal canto suo ha elaborato una narrazione convincente per giustificare quel massacro: che altro può fare se non difendersi da Hamas? Di fronte alle aggressioni degli arabi, Israele ha il dovere di reagire per legittima difesa.

Questo voler manipolare o nascondere la verità storica non è rivolto soltanto all'esterno di Israele, ma anche "all'interno", cioè indottrinando i propri giovani e inducendoli a "disumanizzare i palestinesi", annullando sul nascere ogni forma di empatia verso di loro.


4. Ma è possibile "criticare" l'antisionismo - si chiedono i tre attivisti - senza incorrere in accuse di antisemitismo?  Si è liberi o no di pensare e dichiarare che Israele sia un regime non democratico, segregazionista e razzista nei confronti dei palestinesi?


Barat ragiona con i due autori anche in merito all'attivismo pro Palestina, che non dovrebbe limitarsi - non che non sia importante, ovvio - a smuovere l'opinione pubblica internazionale e a sensibilizzarla in merito ai soprusi che i palestinesi subiscono a causa dell'occupazione israeliana, ma soprattutto a pensare a come attuare strategie pratiche che mirino ad ottenere risultati tangibili per i palestinesi.

A questo proposito, è indispensabile conoscere, informarsi seriamente, sapere cosa accade ogni giorno nella striscia di Gaza, senza pregiudizi, mistificazioni.

A Gaza (…) la norma è un’esistenza miserabile in un crudele e devastante stadio d’assedio, gestito da Israele in modo da garantire la mera sopravvivenza e nulla più. Da quattordici anni, la norma è che Israele uccide in media oltre due bambini palestinesi alla settimana.


Nell'ultima parte del libro si  traccia il ritratto di "com'è la situazione a Gaza", come vivono le persone ogni giorno: è un assedio quotidiano, che incide - e non potrebbe essere altrimenti - sulla popolazione in termini di sofferenze di ogni genere, e questo col beneplacito non solo di Israele ma anche degli USA, che lo appoggiano, e dell'Europa che tace e non fa nulla.


"Il silenzio del mondo su questo crimine contro l’umanità (l’espressione con cui il vocabolario del diritto internazionale definisce in generale la pulizia etnica) ha fatto della pulizia etnica l’impalcatura ideologica sulla quale è stato edificato lo Stato ebraico."


Tanto Chomsky quanto Pappè si dicono comunque abbastanza fiduciosi del fatto che la violazione sistematica dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale sia sotto gli occhi di tutti e non sia più possibile girare la testa dall'altra parte; questa consapevolezza  pare stia facendo mutare anche, negli ultimi anni,  l’opinione pubblica statunitense, soprattutto tra i giovani.

Il libro è molto scorrevole, anche per com'è strutturato - conversazioni a tre, con Barat che guida attraverso specifiche domande; consigliato a chi vuole approfondire l'argomento, informarsi, magari accostandosi anche a posizioni non necessariamente vicinissime alle proprie. Del resto, confrontarci con chi la pensa diversamente da noi non dovrebbe mai spaventarci, né tantomeno dovremmo privarci della possibilità di rivedere il nostro pensiero e metterci in discussione.



"Conoscere è il primo passo verso una soluzione". 

(Vittorio Arrigoni)

sabato 23 maggio 2020

RECENSIONE: PEPPINO IMPASTATO. UNA VITA CONTRO LA MAFIA di Salvo Vitale



Nella Giornata della Legalità ho pensato di ricordare insieme a voi un uomo che ha fatto della lotta alla mafia lo scopo della sua (purtroppo breve) vita, lasciando un segno indelebile non soltanto nella "sua" Sicilia, ma in tutti coloro che abbracciano i suoi stessi valori, il suo coraggio e il suo ardore.
Questo libro ci parla di Giuseppe Impastato ad ampio raggio, a partire dal contesto in cui è nato e cresciuto, in cui si è formato come uomo, come politico, giornalista, passando inevitabilmente per la tragica fine che gli ha fatto fare la mafia, arrivando agli anni successivi alla sua morte e alla "eredità" culturale e umana lasciataci da un giovane che, pur di denunciare le storture presenti nella società in cui viveva, non ha esitato ad andare contro la propria famiglia.



PEPPINO IMPASTATO. UNA VITA CONTRO LA MAFIA 
di Salvo Vitale


Rubbettino Editore
318 pp
« Tra la casa di Peppino Impastato e quella di Gaetano Badalamenti ci sono cento passi. Li ho consumati per la prima volta in un pomeriggio di gennaio, con uno scirocco gelido che lavava i marciapiedi e gonfiava i vestiti. Mi ricordo un cielo opprimente e la strada bianca che tagliava il paese in tutta la sua lunghezza, dal mare fino alle prime pietre del monte Pecoraro. Cento passi, cento secondi: provai a contarli e pensai a Peppino. A quante volte era passato davanti alle persiane di don Tano quando ancora non sapeva come sarebbe finita. Pensai a Peppino, con i pugni in tasca, tra quelle case, perduto con i suoi fantasmi. Infine pensai che è facile morire in fondo alla Sicilia»

Il libro di Salvo Vitale ci racconta la storia di Peppino Impastato - del quale è stato amico, condividendone le battaglie sociali -, di questo giovane nato a Cinisi, piccolo centro vicino a Palermo,
e con grande accuratezza ci fornisce informazioni di carattere storico, sociale, demografico del luogo; leggiamo di come la presenza mafiosa incidesse sulle attività commerciali, edilizie, e di come abbia in qualche modo "segnato" l'esistenza di Peppino prima ancora che egli nascesse.

Sì perché la mafia era già in "casa sua", quand'egli è nato, essendo suo padre Luigi imparentato con don Tomasi Impa­sta­to, capomafia di Cinisi nell’immediato dopoguerra.

Apprendiamo, quindi, quanto contassero i legami familiari, la centralità di Tano Badalamenti, il sistema scolastico di quei tempi - così privo di qualsiasi valenza pedagogica, di rispetto per il bambino e i suoi bisogni -, i primi approcci di Peppino alla politica e alle tematiche sociali, e come le sue idee lo abbiano allontanato irrimediabilmente dal padre, che si vergognava di avere un figlio comunista.

Luigi non può sopportare l'onta di questa pecora nera in famiglia (che figura ci fa coi parenti!?), così lo caccia di casa ma, forte delle sua formazione comunista, il giovane avvia un'attività politico-culturale contro il silenzio e le diffuse connivenze mafiose.

Dalla protesta in piazza ai giornali volanti alle manifestazioni improvvisate, Peppino arriva infine all'uso politico di una radio libera autofinanziata, Radio Aut, e dai suoi microfoni non teme di fare nomi e cognomi, denunciando gli interessi che ruotano intorno all'ampliamento dell'aeroporto di Punta Raisi, e mettendo con le spalle al muro il boss Tano Badalamenti.

Si potrebbe legittimamente essere portati a pensare che Impastato si sia avvicinato precocemente alla politica a partire da una sua precisa  esigenza di reagire ad una condizione familiare insostenibile, e sicuramente in parte è così, ma quella che è iniziata come una "missione personale" si è poi trasformata in qualcosa di più ampio e strutturato.

"Egli era un “politico” nel vero senso della parola, un uomo che aveva un’ideologia in cui credere e per la quale lottare".


E questa lotta la portava avanti con le "armi" che gli erano più congeniali: quelle della cultura, dell’ideologia.

"Il principio era quello di rifiutare la politica istituzionale, sostituendo ad essa, come cultura politica, la cura del personale e la ricerca di soddisfazione dei propri bisogni: tuttavia, anche in questo, non si ricercavano solo i bisogni propri della società perbenista, ma se ne scoprivano altri, quali il socializzare per una realtà migliore ed egalitaria."

Emerge, dal dettagliato ritratto che di Giuseppe Impastato ci viene offerto in queste pagine, come la sua opera fosse essenzialmente di natura pedagogica: puntava sull’uomo, per educarlo a cambiare gradualmente il proprio atteggiamento acritico nei confronti dei modelli impliciti del potere.

Ma evidentemente la sua battaglia dava fastidio a qualcuno che, purtroppo, aveva gli strumenti per interromperla.
E' la notte del 9 maggio 1978.

Alle ore 1,40 un'esplosione si verifica dopo il passaggio dell’ultimo treno della linea Palermo-Trapani; la rotaia è divelta e verranno trovati brandelli di resti umani e di indumenti nel raggio di 300 metri.
Non ci saranno dubbi sul fatto che la persona deceduta sia Giuseppe Impastato.

Si tenterà di far passare la cosa come una morte "accidentale", avvenuta in seguito al fallimentare tentativo di un atto terroristico da parte della "vittima", per poi cercare di insistere sulla tesi del suicidio…, ma la verità - per la quale gli amici e la famiglia di Peppino si batteranno - verrà fuori: Peppino è stato ucciso dalla mafia, questo dev'essere chiaro a tutti e i colpevoli devono venir fuori prima o poi.
Non sarà un percorso facile quello che porterà a inchiodare coloro che hanno assassinato Peppino; nel maggio 1984 il consigliere istruttore Antonino Caponnetto, a sei anni dal delitto firma la sentenza definitiva: «Omicidio ad opera di ignoti».

L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti, dopo quattro anni di processo, è condannato all'ergastolo come mandante e responsabile dell'omicidio di Peppino.

E' un libro sicuramente interessante perché al centro c'è la vita di Peppino, che non dovremmo mai smettere di ricordare come esempio di lotta contro le sopraffazioni, le ingiustizie, il clientelismo, l'omertà, le connivenze mafiose; alcune parti le ho trovate meno coinvolgenti (quando ci si sofferma lungamente sulla situazione politica di quegli anni, ad es.), e ho letto con più slancio quelle relative alle vicende personali di Impastato; commuove la testimonianza di Felicia Bartolotta, la madre: una donna che ha sofferto e non poco accanto a un uomo come don Luigi Impastato, un marito maschilista e prepotente, un padre padrone con un particolare senso dell’onore e scarsa comunicazione; una mamma che non ha esitato a onorare la memoria di suo figlio combattendo coraggiosamente affinché la verità sulla sua morte venisse fuori e nulla potesse anche solo lontanamente sporcare il ricordo di ciò che Giuseppe ha fatto per rendere quella piccola porzione di mondo in cui viveva, migliore.

Se vi interessano le biografie e se siete alla ricerca di un suggerimento letterario in occasione della Giornata della Legalità, questo libro potrebbe fare al caso vostro.

giovedì 21 maggio 2020

On my wishlist (maggio 2020)



Due libri che hanno attirato ultimamente la mia attenzione; sono entrambi storie di sorelle che la vita mette alla prova, anche se le ambientazioni sono decisamente diverse.




L’elastico viola
di Patricia Daniels


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Due sorelle, Sara ed Elena, sei e tre anni, vengono portate, con l’ordine immediato del Tribunale dei Minori, in un collegio di suore. 
La madre delle bambine non è in grado di accudirle, il padre ha persino il divieto di vederle da lontano. 
In collegio le bambine vengono separate, ognuna nella propria sezione, e la vita per loro si fa molto dura. 
Sara, la maggiore, per ricordare alla sorella che le resterà sempre accanto le regala un elastico viola con il quale raccoglieva la sua coda di cavallo, ma che le suore hanno reciso di netto una volta entrata. 
Mentre Elena, la più fragile delle due, si adatta silenziosamente a quel mondo pazzo, Sara si ribella e per questo viene spesso punita. 
Un giorno, con la compiacenza di una religiosa, il padre viene a trovarle di nascosto. 
Usciranno dal collegio dopo otto lunghi anni e torneranno a vivere con la madre che nel frattempo si è risposata con un uomo inutile. La madre alcolizzata rende la vita difficile a tutti. 
Elena, in particolare, diventa sempre più fragile e prenderà una via che si rivelerà molto pericolosa. Sara cercherà di aiutarla fino alla fine.



Il cammino verso casa
di Catherine Ryan Hyde


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Carly e Jen camminano. Camminano perché su di loro si è abbattuta una tragedia. Camminano perché hanno solo sedici e dodici anni e in tasca non hanno che pochi dollari. 
Camminano per non rischiare che qualche adulto le noti, chiami i servizi sociali e le divida. 
Camminano perché Carly vuole provare a tornare dall’unica persona di cui si fida, Teddy, il loro patrigno, e Jen vuole dimenticare l’orribile segreto che non riesce a condividere con nessuno.

Inizia così il viaggio di Carly e Jen, centinaia di chilometri nel deserto e sotto il sole, tra animali selvatici e umani inaffidabili. Le due sorelle si imbatteranno in minacce e pericoli ma anche nella gentilezza inaspettata di alcuni sconosciuti.

Ambientato nel West americano, dal New Mexico al territorio dei nativi in Arizona, fino in California, Il cammino verso casa è un inno alle nuove possibilità e al ritorno alla vita.

mercoledì 20 maggio 2020

RECENSIONE / SEGNALAZIONE >>> Gratis l'e-book di “Parole Rubate”, la graphic novel di Pietro Favorito




In occasione del Maggio dei libri, a partire dal 20 Maggio per 5 giorni sarà a disposizione di tutti i lettori “Parole Rubate”, la graphic novel firmata da Pietro Favorito.

Ecco il link per scaricare e leggere l'e-book
⇓⇓

Personalmente ho approfittato dell'offerta e ho letto con piacere questa graphic novel che in pratica è un reboot, quindi una sorta di remake cinematografico (sono presenti, infatti, tre attori italiani molto noti, che hanno prestato il loro volto per questo fumetto) che narra vicende avventurose ed inquietanti, in un'atmosfera paranormale, in cui l'horror si incrocia con il giallo e fatti e personaggi storici.


Il punto di partenza è una seduta spirita a sfondo sessuale che finisce in carneficina; le terribili ed efferate immagini di questo pluriomicidio (mai risolto) tormentano un ignaro studente di lettere antiche, che assiste in sogno a omicidi spaventosi che paiono reali tanto sono vividi e ai quali egli non sa dare spiegazione.

Chiede aiuto allora, attraverso una telefonata al programma radiofonico cui partecipa lo psicologo Dorian Ferri, a quest'ultimo, cui racconta di questi incubi orribili.

Inizia così la ricerca della verità da parte del protagonista - che ha le sembianze dell'attore Alessio Boni - , il quale è convinto che esistano più universi paralleli attraverso i quali è possibile viaggiare (nel tempo, oltre che nello spazio), per cui non ha difficoltà a buttarsi a capofitto in una storia in cui si parla di persone morte ma il cui spirito è ancora presente tra i vivi e, non solo, ma che possono agire con violenza fino a quando non troveranno pace.

Dorian si fa aiutare nelle proprie ricerche dall'amica e antropologa Emma (alla quale presta il volto la bella Maria Grazia Cucinotta) e da un ex-psichiatra considerato pazzo, tale Pisso Leone (con le sembianze di Claudio Bisio).

Per arrivare a capire il perchè degli omicidi, Dorian dovrà fare i conti con uno spirito molto arrabbiato che ammazza brutalmente per vendetta attraverso la possessione e scoprirà che attorno alla morte del grande poeta di Recanati, Giacomo Leopardi, ruotano particolari sinistri e misteriosi; non solo, ma verrà a conoscenza di uno sconosciuto scrittore brindisino del XVII secolo, la cui opera poco nota è collegata proprio a Leopardi...
Scoprire cosa accomuna questi elementi sarà compito del protagonista e del lettore.


Accanto all'elemento sovrannaturale, ciò che intriga di “Parole Rubate” è che la storia si ispiri a fatti realmente accaduti, ossia al ritrovamento di un libro del 1600 da parte della professoressa Vittoria Ribezzi, che riconosce in esso una fonte sconosciuta del pessimismo cosmico leopardiano; in queste pagine è menzionato anche il suo libro "Scherzi d'ingegno, la fonte segreta del pessimismo leopardiano".

L'autore mescola finzione e realtà anche in merito all'ambientazione: il protagonista, infatti, collabora con RAI RADIO 1, e inoltre nel fumetto sono presenti l’ex-manicomio di Latiano (in provincia di Brindisi), la Casa-Museo Ribezzi Petrosillo, e tanti posti caratteristici di Roma e Napoli.

Personalmente se c'è un genere che leggo meno di tutti è proprio l'horror, tanto più se ci sono soggetti posseduti, però a prescindere da questo mio gusto personale, se vi piace il genere e amate i fumetti, potete approfittare anche voi come me di questa promozione gratuita.



martedì 19 maggio 2020

AUTORI CHE... SONO STATI IN PRIGIONE



Era il 19 maggio del 1897 quando lo scrittore Oscar Wilde veniva rilasciato dalla prigione Reading Gaol.

Questo evento mi ha spinta a fare una piccola ricerca su...


AUTORI CHE... SONO STATI IN PRIGIONE



-

OSCAR WILDE (1854-1900)

Il drammaturgo e romanziere irlandese, autore di opere come Il ritratto di Dorian Gray e L'importanza di chiamarsi Ernesto, ha vissuto l'esperienza del carcere nel 1895 con l'accusa di sodomia e omosessualità, e quindi condannato a due anni di lavori forzati. 
Il caso era contorto: Wilde aveva sporto denuncia per diffamazione nei confronti del padre di uno dei suoi amanti, il Marchese di Queensbury, che a sua volta accusava Wilde di sodomia. Queensbury ha portato le prove dell'omosessualità di Wilde in tribunale e questi fu successivamente arrestato. 

Frutto della prigionia furono il De profundis (pubbl. post., in parte nel 1905 e per intero non prima del 1949) e "La ballata della lettura della prigione"; dopo due anni trascorsi in prigione, lasciò l'Inghilterra, si stabilì a Parigi, visse con l'aiuto di amici sotto il nome di Sebastian Melmoth.


Fëdor  Dostoevskij (1821-1881)
Scarseggiava la libertà d'espressione negli anni (siamo attorno alla metà del 1800) in cui un giovane Dosto fu arrestato per aver letto e distribuito saggi politici vietati dallo zar, e in seguito condannato a morte, condanna che fu commutata dallo zar stesso all'ultimo minuto.
Dostoevskij trascorse otto anni in prigione, durante i quali - essendo ritenuto un detenuto pericoloso - visse la maggior parte del suo tempo incatenato e malato. 
Dopo la scarcerazione, ha continuato a scrivere capolavori come Delitto e castigo e I fratelli Karamazov.


PAUL VERLAINE (1844-1896)

Il poeta maledetto ha avuto un'esistenza tumultuosa e in carcere vi è andato più di una volta. E' il 1871 quando riceve una lettera dall'amico e poeta Arthur Rimbaud; nel giro di un anno Verlaine decide di abbandonare moglie e figlio per fuggire con Rimbaud; la relazione era però tormentata dalla gelosia di Paul che, nel corso di una litigata con l'amante, sparò e ferì (superficialmente) Rimbaud. 
Anche se questi non sporse denuncia, comunque Paul fu arrestato e andò in prigione, dove si convertì al cattolicesimo.
Successivamente ha affrontato problemi di miseria, alcolismo, tossicodipendenza, e nel 1885, dopo aver divorziato ufficialmente dalla moglie, sempre più schiavo dell'alcol, tenta di strangolare la madre, finendo nuovamente in carcere...


DANIEL DEFOE (1660 ca. - 1731)

Il giornalista e romanziere inglese non ha scritto solo importanti romanzi, ma anche diversi saggi di natura politica ed economica.
E proprio in virtù delle sue idee, fu arrestato diverse volte, ad es. quando scrisse un libello in cui si guadagnò l'inimicizia della Chiesa Anglicana: il libro fu bruciato, Defoe subì prima la gogna e poi imprigionato nel carcere di Newgate. Mentre attendeva in carcere la sentenza, Defoe scrisse A Hymn to the Pillory (Inno alla Gogna), che circolò per tutta Londra e in questo modo la condanna si trasformò in trionfo e servì a renderlo di nuovo popolare.

Marchese de Sade (1740-1814)

Colui al quale si deve il termine sadismo, è stato imprigionato più volte durante la sua vita per reati sessuali ed è morto in un manicomio.
Nel 1768 scoppia l'affaire Rose Keller: un'operaia che viveva in miseria racconta di essere stata sequestrata e fustigata da Sade, il quale viene arrestato e condannato.

Nel 1772, a Marsiglia, dove vive con il suo servo Latour, sempre lui viene accusato di flagellazione, omosessualità e utilizzo di pillole avvelenate; le accuse vengono sostenute da quattro prostitute che lamentano dolori intestinali e accusano Sade di sodomia. Nuovo soggiorno in prigione, ma evade e viaggia in Italia sotto il nome di conte de Mazan.
Insomma, ha fatto "entra ed esci" da prigioni e manicomi; l'ultima prigionia è del 1801, quando viene internato nel manicomio di Charenton, dove trascorrerà gli ultimi 13 anni della sua vita. Muore il 2 dicembre 1814, all'età di 74 anni, una trentina dei quali trascorsi in prigione.


Fonti consultate:

fonte 1
fonte 2
fonte 3


lunedì 18 maggio 2020

Chicchi di... recensioni: LA PROFEZIA DELL'ARMADILLO di Zerocalcare || IL SETTIMO SPLENDORE di Leonardo Favia & Ennio Bufi



Il mio abbonamento gratis a Kindle Unlimited terminerà il 22 maggio; dopo due mesi posso dire di averlo "sfruttato" meglio che ho potuto, e in questi giorni ci sto dando dentro per terminare i libri presi in prestito, nei pochi giorni che mi restano.
Ieri mi sono concessa la lettura di due graphic novel, che mi sono piaciute e che mi hanno messo una gran voglia di dare più spazio a questo genere.


La prima è di queste due letture è la più famosa, e senza dubbio anche molto apprezzata:

LA PROFEZIA DELL'ARMADILLO

di Zerocalcare



160 pp
«Si chiama "profezia dell'armadillo" qualsiasi previsione ottimistica fondata su elementi soggettivi e irrazionali spacciati per logici e oggettivi, destinata ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti, nei secoli dei secoli. Amen.»


Il disegnatore di Rebibbia, Zero, una notte riceve una brutta notizia che - come di sovente gli succede quando ne riceve una, soprattutto se "luttuosa" - gli suscita una irrefrenabile risata che, lungi dal voler essere irriverente, gli sale su in gola come per esorcizzare la tristezza e la paura che altrimenti farebbero da padrone: Camille, una sua amica del periodo dell'adolescenza, è morta.
Non lo sa nemmeno lui come si sente; per essere triste, è triste, su questo non ci piove, e realizza pure che... deve dirlo a qualcuno, sente il bisogno di raccontare di questa perdita.
Ma è notte fonda e gli amici di sempre - Greta e Secco - non gli rispondono al telefono...
A fargli compagnia c'è, fedelissima, la sua coscienza in formato armadillo.
Il suo bell'Armadillo chiacchierone: lui sì che Zero non lo abbandona mai, anzi, e la sua presenza illusoria è parte integrante della quotidianità del giovane, incarnandone paure ed insicurezze.

E' proprio nel quotidiano di Zero che entriamo: Zero che è stato assunto in un'azienda spacciando competenze che non ha (che sarà mai?? siamo circondati da incompetenti, in ogni ambito e in ogni ufficio!); Zero che, mentre parla con qualcuno, la sua mente parte per la tangente e immagina scenari apocalittici popolati da zombie et similia; Zero che associa le persone attorno a lui - a cominciare da madre e padre - a personaggi famosi, con cui intrattiene brevi ma esilaranti botte e risposte.

Zero che ci riporta indietro nel tempo e dai nostri più vicini Duemila saltiamo ai mitici anni '80 attraverso flashback, e così conosciamo ad es. la storia dell'amicizia con la povera Camille, una ragazza solare ma che celava una natura anche un po' triste; è stata il suo primo amore, al quale il giovanotto non ha mai avuto il coraggio di dichiararsi, convinto che il suo immaginario "guardiano del tempo" stesse lì a ricordargli che non c'era fretta, poteva tranquillamente rimandare il momento della dichiarazione..., salvo poi capire che si era solo autoingannato e che il tempo che credeva di avere dalla sua parte, stava solo andando verso il proprio termine.

Zero è un protagonista che suscita molta simpatia, perchè in fondo siamo tutti un po' come lui, pieni di insicurezze, inclini (chi più, chi meno...: io tanto, ad es.) a farci pippe mentali assurde per qualsiasi problema, grande o piccolo, consapevoli di avere uno o più "mostri" appollaiati in qualche angolo della nostra mente e sempre pronti a spaventarci e a farci sentire sbagliati...!
Un fumetto molto bello - dai disegni ai testi -, che con ironia e sense of humor scava nella testolina del protagonista, facendo ora sorridere ora riflettere.
Avrei letto immediatamente altro di Zerocalcare, e sicuramente lo farò ^_^


Seconda graphic novel:


IL SETTIMO SPLENDORE
di Leonardo Favia & Ennio Bufi



127 pp
Modì torna a Parigi, per la prima volta senza la madre, per comprendere il senso della sua scomparsa. 
Dieci anni prima, infatti, la sua cara mamma si è suicidata e
questa tragedia il giovane non l'ha mai superata.
Forse se imparasse a conoscerla meglio ricavando qualche informazione attraverso persone che l'hanno conosciuta, riuscirebbe a capire anche il perché del suo gesto... e chissà, a darsi pace lui stesso?

A Parigi Modì (che in realtà si chiama Guglielmo ma lui ama usare questo nomignolo, diminutivo di Modigliani, pittore amato dalla madre, artista anch'ella) conosce Henry, Gemma, Jakob, Isabelle, e con quest'ultima scatta anche un'attrazione che potrebbe trasformarsi in qualcos'altro.

Se non fosse che il pensiero fisso di Modì è far chiarezza sul passato della madre, e grazie all'incontro con alcune persone che hanno conosciuto molto bene la donna nel periodo parigino, e alla lettura delle pagine del diario materno, pian piano comincerà a mettere insieme le tessere del puzzle, venendo a conoscenza di verità sconcertanti.

Il pericolo di Modì è di farsi sopraffare dal dolore per il triste destino della madre, una donna bella, creativa, dallo spirito indipendente, ma evidentemente anche piena di fragilità e lati oscuri..: gli stessi che sente di avere anche lui e che gli impediscono di vivere con serenità, di apprezzare i rapporti umani e di lasciarsi andare ai sentimenti?

Prima che sia troppo tardi e che la ricerca del passato schiacci il presente, il tormentato Modì dovrà realizzare una verità che sua madre gli ha trasmesso: 

"Non importa quanto desideri una cosa, se non sai quanto sei disposto a sacrificare. (...) A volte il sacrificio è lasciar andare qualcuno, accettare di essere messi da parte. Ma altre volte vuol dire solo continuare a combattere".


A volte amare può significare non trattenere, lasciare libero l'altro; ma ci sono situazioni in cui, se ci teniamo all'altra persona, dobbiamo avere il coraggio di mettere da parte paure e reticenze e combattere per conquistarla.

Un racconto carino, piacevole, sia graficamente che nei contenuti; forse la storia ha qualche elemento prevedibile e non originalissimo, ma mi è piaciuta l'atmosfera malinconica sullo sfondo parigino (che ha sempre il suo fascino).

sabato 16 maggio 2020

Libri in wishlist (maggio 2020)



Libri entrati in wishlist ^_-
Li conoscete e/o li avete letti?


Con questa odissea dolorosa e surreale Khaled Khalifa racconta di nuovo il presente siriano e ci mostra senza sconti la quotidianità di chi vive tra le macerie.



MORIRE E' UN MESTIERE DIFFICILE
di Khaled Khalifa


Bompiani
trad. M. Avino
208 pp
17 euro
2019
Bulbul ha appena perso il padre, che giace in un ospedale di Damasco. L’ultima promessa che gli ha fatto è stata di seppellirlo accanto alla sorella nel suo paese natale, vicino ad Aleppo.
Solo quattrocento chilometri, ma a separare le due città c’è un solco ben più profondo: Damasco infatti è sotto il controllo del regime di Assad, mentre Aleppo è nelle mani dei ribelli.
Viaggiare dall’una all’altra con una salma si rivela presto un compito molto arduo, che Bulbul condivide con il fratello Huseyn e la sorella Fatima.
Tra controlli, sbarramenti e minacce i tre ricostruiscono insieme il ricordo del padre e il loro legame, un appiglio di umanità tra i marosi della guerra.

L'autore.
Khaled Khalifa è nato ad Aleppo, Siria, nel 1964. Tra i fondatori della rivista letteraria “Alif”, è autore di quattro romanzi tra cui L’elogio dell’odio. È autore di numerose sceneggiature di film e serie tv e vive a Damasco. Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città ha vinto la Naguib Mahfouz Medal per la Letteratura nel 2013 ed è stato finalista dell’International Prize for Arabic Fiction nel 2014.




Con tutta la forza evocativa della sua migliore scrittura, Philippe Claudel imbastisce magistralmente una storia nera in cui alle note dell’attualità più scottante fanno eco i temi da sempre toccati dalla grande letteratura: la giustizia, la colpa, il rispetto per la verità, consegnandoci un romanzo e un appello che non può lasciarci indifferenti.

L'ARCIPELAGO DEL CANE
di Philippe Claudel



Ponte alle Grazie
trad. F. Bruno
204 pp
16 euro
2019
Sull’Arcipelago del Cane, costellazione di isole vulcaniche a metà strada tra due continenti, il tempo sembra essersi fermato. Attaccati alla loro terra nera e al loro tratto di mare, gli abitanti non si sentono parte del resto del mondo, a cui guardano con diffidenza. 
Finché, una mattina di settembre, è il mondo a irrompere nell’Arcipelago: il mare deposita sulla spiaggia tre cadaveri. Non si sa chi siano né come siano finiti lì, ma per le autorità – il Sindaco, il Parroco, il Dottore e l’anziana maestra di scuola – è chiaro che devono sparire. 
Nessuno deve sapere del ritrovamento, pena l’arrivo dei giornalisti, la fine della quiete e il rischio di compromettere un futuro sviluppo turistico; non ci sarà nessuna pietà per quei morti, e neppure per i vivi che oseranno chiedersi da dove sono venuti. 

L'autore.
Philippe Claudel è nato nel 1962 in Lorena. Affermato scrittore e sceneggiatore, nel 2003 ha raggiunto il successo internazionale con Le anime grigie, che è stato tradotto in ben trenta paesi e ha vinto il Prix Renaudot nel 2003 e il premio per il miglior libro dell?anno di Lire; Il Rapporto (2008) ha vinto il Goncourt des Lycéens nel 2007.

mercoledì 13 maggio 2020

Recensione: LIVIA LONE di Barry Eisler



Il primo capitolo della serie sulla detective Livia Lone ci racconta la orribile esperienza che l'ha profondamente toccata e che l'ha indotta a diventare poliziotta per dedicarsi anima e corpo alla ricerca di gente depravata che si macchia di crimini sessuali.



LIVIA LONE
di Barry Eisler



366 pp
«Credi in te stessa. Indipendentemente da tutto. Capito? Credi in te stessa. E niente potrà fermarti.»


Livia Lone è una giovane detective della polizia di Seattle specializzata in indagini su crimini sessuali e abusi sui minori; ha un carattere forte e molto determinato, è coraggiosa, non esita a esporsi a rischi se questa è l'unica strada per ottenere i risultati prefissi; porta a termine ogni incarico col massimo impegno, cercando di assicurare alla giustizia i mostri a cui dà la caccia.
Per lei è sì un lavoro... ma è sopratutto una missione che affonda radici e motivazioni nella sua storia personale.

E proprio perchè per lei fermare questi mostri è una questione personale, quando la giustizia fallisce Livia non esita a vendicare personalmente le vittime, anche con metodi discutibili per un poliziotto.

Ciò che spinge la donna ad agire senza rimpianti e senza reticenze è quel drago che le si agita dentro, che spesse volte sembra assopirsi ma che, di fronte a certi esseri lascivi e depravati, si sveglia e pretende di divorare il male, per difendere chi è più debole e non può farlo da sé.

Cosa c'è nel passato di Livia Lone che ha influenzato drammaticamente la sua vita, rendendola dura e restia a fidarsi di chiunque?

Livia non è sempre stata Livia. C'è stato un tempo - che adesso sembra così lontano - in cui si è chiamata Labee.
Labee è nata sulle montagne thailandesi, dove viveva con sua sorella Nason, i genitori e un fratello; ma un giorno - quando lei ha solo 13 anni e Nason 11 - accade qualcosa di inaspettato: degli uomini vengono a prendere lei e la sorellina, li gettano in un furgone insieme ad altri spaventati bambini e da quel momento inizia un viaggio verso l'inferno.

Labee scopre che lei e Nason sono state state vendute dai genitori; il suo obiettivo diventa allora quello di sopravvivere e di proteggere la sua Nason, il suo "dolce uccellino" da chiunque voglia farle del male, perchè purtroppo è chiaro che gliene faranno.

Il tragitto che porterà le vittime di questo infamante rapimento in America, all'interno di un container, sarà uno dei peggiori incubi al quale una persona - e una bambina ancora di più - potrebbe mai andare incontro.

Labee subisce abusi e torture fisiche e psicologiche che annienterebbero tante vittime; inoltre, al fine di evitare che i porci che li tengono prigonieri possano divertirsi con la sorellina, fa di tutto perché essi scelgano lei piuttosto che Nason, ma il suo animo di ragazzina inesperta di come va il mondo non sa (ma lo imparerà sulla propria pelle) che questi non sono uomini la cui parola valga alcunché, e che il loro cinismo, la loro malvagità, la loro lascivia e il desiderio di far soldi, li hanno privati di ogni forma anche minima di umanità e compassione.

A fine viaggio Labee si ritroverà senza la sua Nason, di cui perderà ogni traccia; scopre di essere a Llewellyn e che si prenderà cura di lei un uomo di nome Fred Lone; questi, infatti, la prende con sé in casa propria, adottandola (le cambia anche il nome, Livia appunto) ma ancora una volta la ragazzina, sola e indifesa in un Paese straniero di cui non conosce lingua, usi e costumi, dovrà fare i conti con persone viscide, che si credono dio in terra, e che pensano di poterla trattare come un oggetto.

Non hanno fatto i conti con la forza interiore di Livia, che crescendo imparerà a far leva sulle proprie risorse e capacità, e attraverso l'aiuto di un compagno di scuola e di suo padre (due persone oneste, che la prenderanno sotto le loro ali e le vorranno bene), che l'avvieranno nella pratica del jujitsu, Livia si rafforzerà nel corpo e nello spirito, imparerà ad difendersi e ad attaccare e capirà cosa "vuol fare da grande" e perché.
Il pensiero di cercare Nasone di scoprire cosa ne è stato di lei, sarà per anni l’unica cosa che le darà la giusta motivazione per rimanere in vita.

Quando una nuova pista riaccende le sue speranze, a Livia non basta più essere un agente, e nemmeno una giustiziera.
Dovrà rivivere gli orrori del passato per arrivare a scoprire una cospirazione di inimmaginabile  crudeltà, fatta di trafficanti internazionali, bande criminali, suprematisti bianchi e legami con il potere politico.

La narrazione procede in un alternarsi di "ora" e "allora", in cui il presente ci mostra l'agente Lone impegnata a dar la caccia a stupratori incalliti, mentre il passato apre il sipario sull'orribile esperienza vissuta a tredici anni; l'autore non si tira indietro dal raccontarci gli abusi sessuali subiti da Livia e quanto dolore si sia accumulato nel suo cuore; dolore che a mano a mano è stato affiancato dal puro odio, dal disprezzo più profondo per chi ha fatto del male a lei e a Nason (e in generale continua a farne ad altri innocenti), e il desiderio di vendetta - il drago feroce e affamato che le dorme dentro - non può placarsi se non viene soddisfatto.
E Livia è pronta ad affrontare qualsiasi cosa pur di sapere la verità sul rapimento e su Nason ed infatti la sua ricerca spasmodica dei colpevoli di quel maledetto viaggio infernale dalla Thailandia in America, la porterà a rischiare la propria vita, anche perchè i nemici di allora e di ora sono gli stessi, e sono anch'essi pronti a tutto pur di continuare indisturbati con i propri sporchi traffici.

C'è molta azione in questa crime fiction, il ritmo è serrato, ci si sente coinvolti dalle dolorose vicissitudini della protagonista e non si può che "fare il tifo" per lei nel vederla tirare fuori personalità, coraggio, resilienza; la scena finale - inevitabilmente la si immagina mentre si legge - è cruda ma placa la sete di giustizia di Livia... e un po' anche del lettore.
Se vi piace il genere, non posso che consigliarvelo, è una lettura travolgente che tocca un argomento delicato, attuale e doloroso, come quello del traffico di esseri umani e degli abusi sui minori.

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