Visualizzazione post con etichetta recensioni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta recensioni. Mostra tutti i post

sabato 9 marzo 2024

RECENSIONE ✭ LA NIPOTE di Bernhard Schlink



Kaspar, dopo essere rimasto vedovo, si ritrova tra le mani un manoscritto della defunta e amata moglie; apprende importanti verità sul passato di lei, sul suo percorso esistenziale, sulle scelte operate e sui rimpianti per gli errori commessi.
L'uomo si mette sulle tracce di questo turbolento passato e in questo viaggio la sua vita solitaria e abitudinaria verrà arricchita da un incontro speciale.


LA NIPOTE
di Bernhard Schlink

Ed. Neri Pozza
trad. S. Kolbe
336 pp
«La verità è una sola. Non appartiene né a me né a te, c’è e basta. Come il sole e la luna. E come per la luna, a volte se ne vede solo la metà, ma c’è tutta, è rotonda e bella».


È il maggio del 1964 quando, a Berlino Est, in occasione del convegno promosso dalla Freie Deutsche Jugend (FDJ, l’organizzazione giovanile del partito al comando dell’allora DDR*), i giovanissimi Birgit e Kaspar si incontrano per la prima volta. 

Birgit è incaricata dalla FDJ di accogliere gli ospiti provenienti da ogni parte della Germania; Kaspar è un giovane studioso di storia dell’Ovest. 

I due si innamorano, e mentre i giovani delle due Germanie ballano e suonano insieme, superando ogni barriera e confine, tutto sembra possibile e roseo. 

Nel presente, nella Berlino odierna, quella primavera del 1964 è ormai parte delle illusioni perdute: frantumati i sogni di fratellanza, anche l’amore con e per la sua complicata e sfuggente Birgit pare essersi dissolto nel nugolo offuscato di bugie e segreti che li hanno separati per anni, senza che Kaspar se ne accorgesse. 

Dopo la morte della donna, infatti, Kaspar scopre nel suo computer la bozza di un libro autobiografico che la moglie avrebbe desiderato pubblicare; leggendolo, l'uomo apprende che, prima di lui, Birgit aveva avuto una relazione con un funzionario del Partito, dalla quale era nata una bambina, affidata poi a un’amica. Quest'ultima, a sua volta, aveva avuto da Birgit il triste compito di affidarla a qualcuno che l'adottasse. 

Sebbene deluso e amareggiato, oltre che distrutto dal dolore di un lutto che non ha nemmeno avuto il tempo di elaborare, Kaspar si sente altresì animato anche da una nuova speranza: fare ciò che Birgit non ha mai avuto il coraggio di fare, vale a dire trovare la figlia perduta. 

Inizia così un viaggio che lo porterà in uno degli insediamenti dei Völkischen**, membri dell’estrema destra tedesca che portavano avanti un'idea di “nazionalismo contraddistinto da un codice etnico razzista con una base ideologica anti-moderna”.

Dopo aver chiesto a persone che avrebbero potuto dargli informazioni utili, Kaspar finalmente trova la figlia di Birgit: si chiama Svenja ed è una donna che negli occhi, nei capelli, persino nella voce, ricorda sua madre. 
È sposata col tronfio e iracondo Björn, portano avanti la loro bella fattoria ed hanno una figlia 15enne, Sigrun, una ragazzina dai capelli rossi dallo sguardo vispo e intelligente.

Da sempre (per vissuto e per carattere) tranquillo, ragionevole, accondiscendente e mai aggressivo, Kaspar resta interdetto dai modi di fare del capofamiglia, che quando sente che la madre biologica della propria moglie è da poco deceduta, fiuta l'odore di una possibile eredità e comincia da subito ad avanzare pretese economiche al vedovo, accompagnate da minacce e voce grossa.

Kaspar sarà pure pacato ma non si spaventa per i modi del rozzo fattore: a lui interessa solo interagire con Svenja e poterle parlare di Birgit, farle capire che, anche se è stata abbandonata, non è stata mai dimenticata: anzi, Birgit stava scrivendo un libro sulla propria storia e desiderava tanto poterla cercare per offrirsi a questa figlia perduta, darle una mano (economica e non solo) e provare a stabilire, magari, un minimo di rapporto con lei.

In questa comunità rurale di neonazisti Kaspar è a disagio, anche perché è chiaro che  Björn e Svenja non abbiano molta simpatia per lui; ma a rubargli il cuore è la ragazzina, Sigrun, che con una tenera spontaneità lo chiama subito nonno.

Kaspar è commosso dalla vicinanza emotiva che sente con questa adolescente che è praticamente un'estranea e, per lui che avrebbe voluto dei figli con e da Birgit, pensare di avere una nipote, di punto in bianco, lo riempie di gioia.

Tra i due nasce un'immediata connessione e, nonostante il gap generazionale e l'opposta visione del mondo e della vita, Kaspar e Sigrun si trovano benissimo insieme.

Sigrun è una ragazzina dal carattere molto determinato, legge tantissimo, ha un'ottima dialettica per la sua età, è una figlia obbediente che lavora accanto al padre bracciante; quando riesce ad ottenere - in cambio di lauti bonifici - che la nipote acquisita trascorra del tempo con lui, le sue giornate acquistano un nuovo senso, slancio, scopo.

"Fino ad allora Kaspar aveva vissuto la sua vita, e le vite degli altri per lui erano come i palazzi, le strade e gli alberi che lo circondavano. A meno che non avesse un qualche rapporto con loro e loro con lui; in quel caso le percepiva e riconosceva il valore che assumevano per lui. Adesso invece, per la prima volta, le percepiva per come erano veramente, di per sé, ogni singola vita come un mondo intero, completo e compiuto."


Sigrun è servizievole, premurosa, lo accompagna nella libreria (di proprietà di Kaspar), gli prepara la colazione, insieme vanno ai concerti e il nonno scopre che la ragazzina sa suonare il pianoforte e che cela uno straordinario talento musicale.

Oltre a organizzarle e pagarle le lezioni di piano, i due chiacchierano moltissimo di argomenti importanti e Kaspar ascolta con apprensione e sgomento i discorsi infervorati di quella ragazzina tutta capelli che gli parla esaltata dell'ideologia hitleriana, di Irma Grese come di un'eroina, del Diario di Anna Frank, e dell'Olocausto in generale, come di un'enorme menzogna escogitata dagli ebrei.
Non solo: ma ovviamente lo straniero è visto dai Völkischen come una minaccia alla tranquillità dei tedeschi, al loro benessere e alla realizzazione stessa di una Germania forte e pura.

Kaspar è preoccupato: la testa di Sigrun è strapiena di bugie razziste: è compito suo, in qualità di nonno, aiutarla a rivedere le proprie idee o deve farsi gli affari suoi?
Non sarà una scelta semplice per l'uomo, che dovrà mettere d'accordo la ragione con il cuore per cercare comunque di non perdere questa nipote diventata troppo importante per lui.


Nel complesso, una volta terminato, ho trovato il libro sicuramente scritto bene e interessante, in cui l'intreccio delle dinamiche relazionali del personaggi si amalgama con tematiche esistenziali, politiche, socio-culturali; sono molti, infatti, i passaggi ricchi di dettagli circa le idee di Birgit e dei völkischen sulla Germania, sulla situazione storica, socio-politica ma anche culturale, letteraria, artistica e musicale degli Anni Sessanta e oltre.

Confesso di aver trovato poco stimolante la prima parte del libro, soprattutto quella relativa al passato di Birgit (più che altro perché il ritmo è un po' lento) e di aver gradito maggiormente le pagine in cui si racconta il rapporto tra nonno e nipote, con tutte le disquisizioni sulle idee razziste e nazionaliste di cui è infarcita la testolina della giovane.
Ottima la caratterizzazione dei personaggi anche se, per buona parte del romanzo, personalmente mi è mancato un aspetto per me essenziale: il coinvolgimento emotivo; confesso che mi sono sentita molto distante da ciò che leggevo sulle illusioni e le disillusioni dei tedeschi di quel periodo (anni Sessanta).



CITAZIONI

"Quando si vive in un paese governato da un regime cattivo, si spera sempre in un cambiamento, e poi un bel giorno il cambiamento arriva. Il regime cattivo viene sostituito da uno buono. Se si era stati contrari, si può tornare favorevoli. Se si era stati mandati in esilio, si può rientrare in patria. Chi è rimasto e anche chi se n’è andato può riappropriarsi del paese che ridiventa il suo paese, quello che aveva sognato. La DDR non ridiventerà mai il paese sognato. Semplicemente non esiste più. Chi è rimasto non prova nessuna gioia, chi se n’è andato non ci può più tornare; il loro esilio è senza fine. Di qui il vuoto. Il paese e il sogno sono irrimediabilmente perduti. Non è la perdita irrimediabile che mi mette tristezza, bensì il vuoto. Il vuoto, il dolore del vuoto, il dolore".

"Come si riesce a sfuggire agli altri? Vivendo con risolutezza la propria vita."

" «Birgit, la figlia, le cose taciute – mi sento come se mi mancasse il terreno sotto i piedi. Come se tutto fosse solo “forse”»."

"Come è quieto il mondo 
avvolto nel crepuscolo, 
così intimo e incantevole, 
come una stanza tranquilla, 
dove gli affanni del giorno 
possono essere dimenticati nel sonno."



NOTE

* Repubblica Democratica tedesca, nota anche con il suo acronimo DDR, fu uno stato formatosi durante la Guerra Fredda nella parte orientale del paese (fonte)

**  Ho trovato in internet questo articolo in pdf, magari potreste trovarlo interessante per approfondire il movimento Völkisch QUI

martedì 27 febbraio 2024

★ RECENSIONE ★ IL RITORNO di Diana Gabaldon (Outlander #3)



Abbiamo lasciato, nell'Amuleto d'ambra, Claire Randall impegnata a raccontare a sua figlia Brianna la verità sull'incredibile avventura da lei vissuta fra il 1945 e il 1946, quando scomparve misteriosamente; grazie al magico cerchio di pietre di Craigh na Dun, Claire era stata catapultata nella Scozia del Settecento, dove si era innamorata follemente del nobile giacobita James Fraser. 
In questo terzo volume seguiamo Jamie e Claire da Lallybroch a Culloden, intenti a provare a cambiare la storia affinché gli Highlander non soccombano davanti agli inglesi.



IL RITORNO
di Diana Gabaldon



Ed. Tea
trad. V.Galassi
394 pp
Finalmente Claire e Jamie possono fare ritorno dalla Francia (assieme al giovanissimo e devoto Fergus) alla Scozia, e casa significa Lallybroch. 
Lontani dagli intrighi di Parigi, la coppia ritrova un po' di conforto e serenità nell'idilliaca vita da Laird, ma la pacchia termina presto: Jamie, infatti, non solo deve obbedire a Prince Charles e unirsi alla battaglia contro gli inglesi, ma deve anche andare da suo nonno Simon Fraser (con cui non ha praticamente mai avuto relazioni di alcun genere) per riferirgli l'ordine da parte del re di "prestare" gli uomini del proprio clan per la guerra.

Simon Fraser, detto Lord Lovat e anche The Old Fox, è tutto fuorché un nonnino pacioccone e simpatico: è un individuo volgare, cafone e sgradevole e Claire, che accompagna il marito per incontrarlo e parlargli, avrà modo di rendersene conto da subito.

Mentre Jamie cerca di addestrare gli uomini a sua disposizione per l'imminente Rivolta, Claire continua a fornirgli tutte le (poche) informazioni che conosce sul destino della Scozia in questa fase storica.

La loro speranza è quella di poter agire sul futuro, modificando le sorti della battaglia così come Claire le conosce (che poi è come si sono in effetti già verificate, viste dalla prospettiva futura) e risparmiare un sacco di morti agli scozzesi.

Ma saranno davvero in grado di cambiare le carte in tavola o tutto ciò che avverrà è già stato deciso ed è immodificabile?

Il lettore accompagna passo passo Jamie e la sua Sassenach in questa avventura pericolosa che li vede attraversare paludi e affrontare gli acerrimi nemici; a Prestonpans, Jamie e l'esercito giacobita intraprendono la loro prima battaglia contro di essi e riescono ad uscirne vincitori.
Ma la fortuna non sarà sempre dalla loro parte...

Rivedremo vecchie conoscenze, come Colum MacKenzie, suo fratello Dougal e il viscido duca di Sandringham, che riesce a far prigioniera Claire in casa propria con l'obiettivo di poter attirare Jamie e consegnarlo agli inglesi.

Ma soprattutto non mancherà l'odiatissimo Jack "Black" Randall, sempre malvagio e perfido; eppure, sarà proprio lui a rivolgersi a Claire per chiedergli aiuto: suo fratello minore Alex è in fin di vita e la donna lo aiuterà ad andare incontro alla morte alleviandone le sofferenze fisiche.

Questo terzo volume è appassionante come i precedenti anche se ho riscontrato un ritmo meno incalzante; ci si sofferma molto sulla lotta giacobita e sulle scarse possibilità di vittoria degli scozzesi; mentre si avvicina la famosa e catastrofica battaglia di Culloden, sale la tensione e hanno luogo avvenimenti importanti, che incidono molto sui due protagonisti e sul loro amore.

Teniamo presente che questo è il resoconto che Claire fa a Brianna e Roger Wakefield nel 1968, per cui Claire è adesso nel presente ma non ha mai smesso di pensare al passato, anzi i suoi ricordi sono costantemente abitati dai "fantasmi" delle tante persone conosciute due secoli prima, primo tra tutti, il suo amato Highlander dai capelli rosso fuoco.
E a proposito di lui, ciò che le preme sapere è: fermo restando che la battaglia di Culloden fu una terribile disfatta, chi sopravvisse? E se ci fosse proprio James Alexander Malcolm MacKenzie Fraser tra i pochi fortunati che riuscirono a non morire?

Le ultime pagine sono movimentate e dinamiche perché rivediamo un'altra persona che Claire ha incontrato nel Settecento in Scozia e che... è viva nel 1968, il che significa che è anch'essa una viaggiatrice.

Mi verrebbe voglia di iniziare subito il successivo e non posso che consigliare la saga a chi ama il romance mescolato ai fatti storici con l'elemento fantasy del viaggio nel tempo; la penna della Gabaldon è ipnotica, per me, riesce a trasportarmi in un periodo storico affascinante, descrivendolo benissimo e in modo vivido, tanto da sentirmi immersa totalmente in quel contesto.
L'amore tra Claire e Jamie è sempre coinvolgente, forte, sincero, ardente e votato anche al sacrificio pur di salvare l'altro quando è in pericolo.


"Lascia che io te lo dica nel sonno quanto ti amo. Perché non c'è molto che io possa dirti mentre siamo svegli, se non le stesse, povere parole, ripetute ancora e ancora. Mentre dormi tra le mie braccia, invece, posso dirti cose che suonerebbero sciocche nella veglia, e i tuoi sogni sapranno che sono vere. Dormi, mo duinne".


Recensioni    

lunedì 19 febbraio 2024

>> RECENSIONE << IL BOSCO DI FAGGI di Salvina Alba



Sentirsi imbrigliati in una situazione che crea disagio, frustrazione, infelicità è una delle sensazioni più spiacevoli che si possano provare ed è proprio ciò che vive il protagonista di questo romanzo, la cui vita procede in una corsa quotidiana per compiere sacrifici per far quadrare i conti e non scontentare coloro che gli sono vicini.
Ma a volte basta poco perché avvenga qualcosa che sconvolge l'esistenza proprio quando sembrava arrivata a un punto morto.

IL BOSCO DI FAGGI
di Salvina Alba


Ed. Convalle
234 pp
Alain ha venticinque anni, vive a Torino e lavora come operaio in una fabbrica; non ama il suo lavoro meccanico, fatto di gesti sempre uguali e alienanti, ma non può certo permettersi il lusso di licenziarsi: deve lavorare, come tutti, per portare lo stipendio a casa.
Alain vive con il padre invalido e un fratello (Roberto) e una sorella (Anna) ancora minorenni; la situazione familiare è difficile perché vede Alain come l'unico responsabile dell'andamento della casa, visto che il padre è inabile e va assistito e i fratelli adolescenti, che frequentano ancora la scuola, mostrano un irritante menefreghismo verso i sacrifici del fratello maggiore, che desidererebbe da loro un po' di collaborazione per alleggerirgli il carico.

E invece, dopo otto ore in fabbrica, Alain deve pure sistemare casa, cucinare, sparecchiare, occuparsi del padre e stare anche attento a che i fratelli facciano il loro dovere a scuola.

Insomma, Alain si sente soffocato dalle responsabilità, spesso è frustrato, arrabbiato, avrebbe voglia di urlare, sbattere la porta e scappare da quella situazione (mollare casa, lavoro, tutto) ma fortunatamente ad offrigli un po' di consolazione c'è la musica e ci sarebbe anche la fidanzata, Serena. 

Con Serena il condizionale è d'obbligo ma non perché la ragazza abbia qualcosa che non va: lei è dolce, comprensiva, premurosa, innamorata di Alain e, soprattutto, vorrebbe sposarsi, metter su famiglia, costruire qualcosa di stabile insieme.
Eppure Alain temporeggia: lui si ripete di amare Serena e comprende che il desiderio di lei di sposarsi sia legittimo, ma... non è pronto a fare il grande passo.

Perché? 
La difficile situazione col padre e i fratelli, e le responsabilità che ha verso di loro, lo bloccano e lo stressano, per cui prendere un ulteriore impegno con Serena è qualcosa che per ora non se la sente di affrontare.

Ovviamente le sue esitazioni innervosiscono la fidanzata, con cui spesso litiga; menomale che c'è almeno la musica a consolarlo e distrarlo! Alain non solo suona il piano ma scrive anche canzoni che canta e suona col suo gruppo di amici - Ginko, Manuel e la sua ragazza, Silvia -, con cui si riunisce per suonare i pezzi.
Un giorno i ragazzi gli comunicano una notizia che potrebbe essere bella e brutta insieme, per Alain: hanno ricevuto una proposta imperdibile, quella di fare delle serate nel mese di agosto, in giro per la regione.

Un'opportunità davvero vantaggiosa per la band; rinunciarvi sarebbe da matti.

Eppure Alain sente la delusione montagli nel petto: come potrebbe lui lasciare casa per un mese intero?
Chi bada al padre, a Roberto e Anna, alla casa? 
Lui vorrebbe tanto poter essere libero e andarsene in giro a suonare e cantare... ma come fa?
Ha degli obblighi che gravano tutti sulle sue spalle, scrollarseli di dosso, come se niente fosse, è più facile a dirsi che a farsi.

Ma quando si vuole qualcosa a tutti i costi, la soluzione al problema la si può trovare e, in un modo o nell'altro, Alain la trova.

In un impeto di autodeterminazione e volontà, si organizza e decide di seguire il suo gruppo nella tournée estiva. 
Ma poco dopo essersi messi in viaggio i ragazzi fanno un incidente stradale che sconvolge tutti i piani e che sarà l'inizio di un'esperienza incredibile, estrema, assurda, dai risvolti inaspettati per tutti, in special modo perAlain.

Non voglio aggiungere molto altro perché ciò che vive Alain (e, fino a un certo punto, anche Ginko, Silvia e Manuel) è un po' il fulcro del romanzo; posso però accennare al fatto che l'incidente costituisce una sorta di point break per il protagonista, che viene risucchiato in una situazione inquietante, paradossale, kafkiana.

Incontra persone molto strane e poco rassicuranti e vive momenti di vero panico, in cui si ritrova accusato di aver commesso azioni terribili per le quali deve pagare un "prezzo", ma questo prezzo è incomprensibile, irragionevole; Alain finisce in un incubo dai contorni agghiaccianti, paurosi, in cui si trova ora imprigionato, ora lasciato libero di provare a scappare attraversando un bosco di faggi.

La narrazione in prima persona ci lascia entrare da subito nel vivo delle vicende personali e famigliari di Alain e, quando insieme a lui lo accompagniamo in questa esperienza al limite dell'assurdo (dopo l'incidente), non possiamo non chiederci, con lui: "Ma è uno scherzo della mente di Alain? Sta forse perdendo il lume della ragione? Quanto di ciò che sta vivendo, e che lo sta terrorizzando e confondendo, è reale?".

L'autrice è abile nell'introdurre il protagonista e il lettore in questa "seconda parte" del libro senza salti bruschi ma, anzi, in modo naturale; il ritmo e il tipo di dinamiche che si innescano sono decisamente diverse (se non opposte) alla prima parte: prima dell'incidente, la vita di Alain scorre piatta, grigia, priva di grossi stimoli ed egli è infelice, non appagato di come vive perché i suoi desideri lo porterebbero verso altre esperienze, anche verso un'altra donna; dopo l'incidente, le cose cambiano e Alain vive un'avventura surreale, pericolosa, inspiegabile, in cui si vede costretto a contare solo su se stesso per uscirne sano e salvo.

Ma da cosa o da chi deve salvarsi esattamente?

Addentrarsi nel bosco di faggi diventa per Alain una tappa obbligata e necessaria per affrontare il proprio disagio esistenziale, le cause della propria infelicità, il sentirsi ingabbiato in una prigione che, se da una parte lo immobilizza, dall'altra egli è cosciente che potrebbe addirittura lasciarla, se proprio lo volesse.

Il romanzo di Salvina Alba è un'efficace metafora di come spesso l'uomo si crei delle strade e delle dimensioni diverse e alternative rispetto a quelle che sta vivendo, nell'illusione di poter essere libero, contento, soddisfatto, cercando di ritagliarsi il proprio posto nel mondo e seguendo i propri desideri.

È una lettura che, per quanto mi riguarda, ha saputo incuriosirmi soprattutto quando, a partire dall'incidente, lo scenario muta drasticamente e ogni certezza - tanto per Alain quanto per il lettore - viene meno, per cui la voglia di capire cosa ci sia dietro l'avventura nel bosco mi ha spinta a proseguire con molto interesse nella lettura.

Un romanzo che sembra partire con un "basso profilo" per poi aprirsi a scenari ricchi di interrogativi e sorprese, oltre che di significato. 

Consigliato!

sabato 17 febbraio 2024

[[ RECENSIONE ]] NICO E I CIBI DELLA SALUTE di Imma Pontecorvo

 

Quanto è importante educare le giovani generazioni a mangiar sano e a cercare di ridurre il più possibile il consumo di cibi troppo grassi e zuccherini! 

Questa che vi presento oggi è una storia adatta sia ai bambini, per stimolarli a riflettere sull'importanza di avere sane abitudini alimentari, sia agli adulti (genitori ed insegnanti), chiamati a indirizzare i propri i piccoli verso un modo corretto di mangiare.



NICO E I CIBI DELLA SALUTE
di Imma Pontecorvo

56 pp
Nico è un bambino che frequenta la seconda elementare e ama da impazzire il momento della ricreazione perché può rilassarsi sotto il grande tiglio in fondo al cortile in compagnia di Pietro, suo grande amico e compagno di banco; non solo, ma si divertono a scambiare le figurine e poi... che bello mangiare la merendina che la mamma ha messo nello zaino!

Pietro è l'amico paffutello che mangia dolci e beve coca-cola a più non posso, col risultato che, quando si tratta di accelerare il passo o addirittura correre, Pietro non è proprio agile!

Un giorno si unisce a loro un nuovo compagno di classe di nome Alan, timido e riservato, che stupisce tutta la classe perché dal porta-merenda tira fuori... della frutta!

Eh sì, Alan non mangia crostatine, ciambelle e girelle, bensì banane e mele, il che genera commenti e smorfie da parte di qualcuno, tipo Laura e le sue "seguaci", che trovano niente meno che disgustoso il mangiare frutta.

Ma una mattina accade qualcosa che spaventa tutti e che sarà motivo di riflessione su cosa voglia dire mangiar sano.
Pietro si sente male mentre tutti i bambini sono in palestra a giocare, così viene portato al Pronto Soccorso.

Cosa gli è successo? Come mai si è sentito male?

Ovviamente Nico e i suoi amici sono tristi e preoccupati perché non conoscono la ragione del malore ma è la maestra a spiegarglielo.

Prendendo spunto proprio da ciò che è successo al loro compagno, l'insegnante tiene una bella e utilissima lezione su come il cibo che mangiamo sia determinante per la nostra salute e come alcuni cibi siano più sani di altri, che invece vanno ridotti, se non a volte proprio eliminati.

Attraverso un costruttivo lavoro di gruppo incentrato proprio sull'alimentazione e volto ad aiutare Pietro a mangiar bene, quando tornerà a scuola, Nico e i suoi compagni avranno modo di riflettere su quanto ciascuno di noi, sin da piccolo, sia responsabile di ciò che mangia perché da questo può dipendere l'insorgere di certi disturbi o, al contrario, il crescere sani e forti.

"Nico e i cibi della salute" è un breve racconto per bambini (adatto a una fascia tra i 5 e gli 8 anni) che incoraggia ad affrontare questa tematica importante e necessaria: sviluppare corrette abitudini alimentari nella vita di tutti i giorni per aiutare il nostro corpo a crescere bene, tenendo lontane quelle malattie frutto di una cattiva alimentazione (obesità, diabete ecc...).

Il linguaggio è molto semplice, adeguato a giovani lettori, corredato di illustrazioni colorate, ricco di dialoghi vivaci e molto realistico nel tratteggiare i rapporti tra compagni e tra bambini e adulti; accanto all'alimentazione, ci sono anche temi come l'amicizia, la solidarietà e l'inclusione.

Un libro di facile lettura, ideale per trattare quest'argomento fondamentale con i bambini; può costituire un valido spunto per gli adulti.

Avevo già incontrato Nico in un precedente racconto di Imma Pontecorvo, "Nico e il fantastico mondo del mare", che si soffermava sulla necessità di mantenere pulite le spiagge e di rispettare il mare, preservandolo dall'inquinamento; non posso che consigliarvi la lettura di entrambi.

giovedì 15 febbraio 2024

|| RECENSIONE || D COME DAVIDE. STORIE DI PLURALI AL SINGOLARE di Davide Rocco Colacrai

 

Leggere poesie è come attraversare una porta che conduce in una dimensione fatta di immagini, suggestioni, evocazioni, ricordi, ritratti e frammenti di vicende e persone in cui il lettore sensibile si rivede, ritrovando nei versi pezzi di sé e del proprio vissuto emotivo ed esperienziale.


D COME DAVIDE. STORIE DI PLURALI AL SINGOLARE
di Davide Rocco Colacrai


Sono 26 i componimenti che formano questa silloge poetica divisa in sei parti e caratterizzata dalla presenza, in diverse delle poesie che la compongono, di tematiche di interesse sociale, storico e civile. 
Ed. Le Mezzelane
 92 pp

Accompagnate spesso da citazioni letterarie (Antonia Pozzi, Pier Vittorio Tondelli...) e musicali (Lucio Dalla, Anna Oxa, Luciano Ligabue...), molte di queste liriche hanno un preciso rimando a fatti storici drammatici e di rilievo, come il racconto degli esuli d’Istria e Dalmazia, la tragedia di Rigopiano, la strage di Ustica, il massacro di Shatila.

In questi versi l'autore trasmette con efficacia tutto il senso di impotenza, di smarrimento, il peso della malinconia ("un alito di malinconia a soffitto del cuore") e quello dei ricordi, gli odori, i pensieri, i sentimenti associati a certe esperienze e a determinati luoghi, il dolore e la paura di chi si rende conto che sta per essere ingoiato dal buio della morte. 

Ritratti di donne, che le parole dipingono, con sapienza e sensibilità, nelle loro fragilità come nella loro forza, di uomini che hanno lasciato il segno nella storia e nelle coscienze (vedi i giudici Borsellino e Falcone), di scrittori, di gente semplice e comune, di genitori che hanno lasciato il proprio paese per emigrare all'estero.

La penna dell'autore scava, mette a nudo emozioni, memorie, sogni, speranze, e attraverso un linguaggio ricco di figure retoriche e associazioni simboliche, avvolge con malinconia e intensità, con tenerezza e dolcezza, il lettore trasportandolo in scenari emotivi e umani in cui le storie dei singoli diventano universali, e non potrebbe essere diversamente visto che il linguaggio poetico ha il dono di arrivare al cuore di chiunque vi si accosti col desiderio di essere arricchito e di ritrovare, nella forza evocativa delle parole dei poeti, squarci di vita personale, emozioni, esperienze, verità che appartengono al vissuto di ogni uomo.

È una raccolta che si lascia apprezzare per stile e tematiche, molto piacevole da leggere grazie alla capacità dell'autore di toccare argomenti dolorosi e ricchi di umanità con eleganza e autenticità.


Di questo autore ho letto e recensito sul blog un'altra raccolta di poesie:
"DELLA STESSA SOSTANZA DEI PADRI- POESIE AL MASCHILE" (RECENSIONE).



lunedì 12 febbraio 2024

RECENSIONE 👨‍👩‍👧‍👦 UNA FAMIGLIA AMERICANA di Joyce Carol Oates



Questa è la storia di una famiglia borghese benestante che negli anni Settanta vive in una fattoria da fiaba, tra cavalli e mici, in un'atmosfera famigliare serena, gioiosa.
I Mulvaney destano invidia in quasi tutti coloro che li conoscono.
Fino al giorno infausto in cui accade una cosa che colpisce uno di loro e, di conseguenza, tutta la famiglia. Un evento drammatico da cui parte il "disfacimento" dei Mulvaney, tanto a livello sociale che privato.


UNA FAMIGLIA AMERICANA
di Joyce Carol Oates



Ed. Il Saggiatore
trad. V. Curtoni
512 pp

I Mulvaney, se li conosci, li ami.
O li invidi.
Sì, perché sembrano perfetti, felici, affiatati, sereni, moderatamente cristiani, sempre educati e corretti, di un'esuberanza e di un'allegria sane, floride.
A far da sfondo a quest'allegra combriccola - composta da Micheal Sr, mamma Corinne e i quattro figli, Patrick, Mike, Marianne e Judd - c'è la loro dimora: High Point Farm, una bella e grande fattoria nel Nord dello stato di New York dove gli umani convivono pacificamente con cavalli, gattini e altre bestiole.

I Mulvaney si sono guadagnati il rispetto di tutti quelli che li conoscono: lui, il capofamiglia, ha un’impresa edile ben avviata ed è un rispettato membro del Country Club; Corinne è una donna attiva, profondamente religiosa e con la passione per l’antiquariato e la politica. 
Anche i figli fanno la loro bella figura: Mike junior è un campione di football, Patrick uno scienziato in erba (intelligentissimo e colto, dà del filo da torcere a chiunque incappi in una conversazione "filosofica" con lui, che ha sempre la risposta e le argomentazioni pronte); il piccolo Judd è la mascotte della squadra; la femminuccia di casa - la dolce Marianne - è una studentessa modello, altruista, comprensiva, sempre attenta agli altri, una sedicenne brava e obbediente che mai si sognerebbe di infilarsi volontariamente in qualche guaio né di commettere cattive azioni.

L'unica "colpa" di Marianne è essere una Mulvaney di sedici anni, ingenua.

La vita idilliaca di questo nucleo famigliare si spezza nel giorno di san Valentino del 1976: c'è il ballo della scuola, a conclusione del quale accade qualcosa di terribile alla povera Marianne. 
Quello che le accade, in famiglia verrà chiamato sempre l'«incidente», cercando di evitare accuratamente altri termini più adatti a descrivere il tipo di violenza subita dalla ragazza ad opera di un compagno di scuola, tale Zachary Lundt.

"L'incidente" diventa un fattaccio da non nominare più con nessuno e in nessun caso; Marianne sviluppa tanti e sbagliati sensi di colpa, che la inducono a tenersi tutto dentro e non voler rendere noto "il fattaccio".

A casa, quando la cosa si viene a sapere, tutti ne restano addolorati, sconvolti, arrabbiati.
Se Judd e Mike cercano "semplicemente" di evitare l'argomento doloroso per Marianne e per i genitori, Patrick matura dentro di sé un'enorme e cieca rabbia verso il farabutto che s'è approfittato della sua sorellina.
Corinne è distrutta, non accetta l'idea di non essersene accorta immediatamente e vorrebbe proteggere la sua bambina da tutto, compresi i pettegolezzi cattivi e ingiusti di chi non sa e parla alle spalle, addossando colpe a chi non ne ha e scagionando chi le ha.
E poi c'è lui, il padre: Micheal Sr è anch'egli dilaniato e vorrebbe spaccare la faccia a tutti gli ipocriti che si sono già schierati dalla parte del figlio di papà, contro cui nessuno ha intenzione di mettersi.

"...i Mulvaney erano una famiglia nella quale tutto ciò che accadeva era prezioso e tutto ciò che era prezioso era immagazzinato nel ricordo e tutti avevano una storia. Per questo molti di voi ci invidiavano, credo. Prima degli eventi del 1976, quando tutto per noi andò in pezzi e non venne mai più ricomposto nello stesso identico modo".

La serenità della casa è ormai annientata; in un attimo la famiglia perfetta non esiste più: ciascuno combatte la propria lotta in nome della giustizia, della vendetta o del perdono, tutti si trasformano e si allontanano, sia col cuore che fisicamente. 

Ogni Mulvaney prende la propria strada, prendendo le distanze dalla fiabesca fattoria in cui hanno vissuto la felicità e l'unione, per percorrere cammini differenti, distanti l'un dall'altro; per dimenticare, per non litigare, per non riversare rancori e ira su chi si ama, per cercare di andare avanti, ingoiando il boccone amaro dell'ingiustizia.

Da amati e ammirati a reietti: i Mulvaney diventano, all'interno della cerchia di amicizie (di adulti e ragazzi) degli appestati, gente da cui è meglio stare alla larga perché son capaci di combinare pasticci.

Attorno ai membri di casa Mulvaney si forma la cosiddetta "terra bruciata", un'opera meschina di isolamento e allontanamento da parte di coloro che, fino a una settimana prima, erano amici.

Pur amandosi, i due genitori e i quattro figli non sanno più interagire tra loro; a separarli c'è quel muro creato dall'incidente occorso a Marianne, ed è lei la prima che va allontanata in quanto la sua presenza ricorda troppo tutto il dolore, l'impotenza, la rabbia.

La storia ci viene narrata in retrospettiva dal piccolo di casa, Judd, attraverso il cui racconto entriamo in questa famiglia e, già dopo poche pagine, ci sembra di conoscerli e riconoscerli come se facessimo parte di loro.

"Narrando questa storia dei Mulvaney, dei quali mi trovo a essere il figlio più giovane ma anche, spero, un osservatore neutrale, o almeno qualcuno le cui emozioni sono state purgate ed esorcizzate dal tempo, io voglio scrivere ciò che è vero. (...) Molto si basa su ricordi e su conversazioni con membri della famiglia su cose che non ho vissuto in prima persona e che non potrei mai conoscere, se non seguendo le vie del cuore. Come diceva papà (...) «Noi Mulvaney siamo legati dal cuore»."

Ci fanno sorridere i nomignoli affettuosi affibbiati a tutti - umani e no -, i piccoli e simpatici aneddoti legati all'infanzia che, quando si ricordano da adulti, sembrano sempre più divertenti e buffi; li vediamo cambiare da un giorno all'altro dopo l'incidente, condividendo con ciascuno la sua tempesta emotiva; di alcuni comprendiamo le scelte, di altri meno, ma negli anni impariamo a capirli, a scusarli, e a me personalmente tutti hanno suscitato tenerezza per motivi diversi, nonostante qualcuno (come papà Michael) abbia preso una strada peggiore degli altri. 

Nell'arco di 14 anni, i Mulvaney non si allontanano mai del tutto ma ognuno di essi intraprende un cammino personale importante, imparando a liberarsi dall’obbligo sociale di incarnare la perfezione,di comportarsi secondo delle etichette, di essere per forza  accettati dagli altri per contare qualcosa, e scegliendo di diventare semplicemente se stesso.

"Quali sono le parole giuste per riassumere una vita, tanta affollata confusa felicità che si conclude con un atroce dolore al rallentatore?"

Già, lettori, quali sono le parole giuste per parlare dei Mulvaney?
Di Micheal senior: l'aitante, il gioviale, il burlone, il ricco e carismatico padre, marito, amico e imprenditore o l'uomo solo, arrabbiato col mondo e con i propri cari, ridotto a una larva che trova piacere soltanto nel bere?
Di Corinne, la madre e moglie cristiana, fervente, saggia, entusiasta, o della "seconda Corinne" che vede il proprio nido casalingo disfarsi sotto i propri occhi?
Di Marianne, debole, indifesa, bisognosa di amore, di essere accolta, accettata per ciò che è e per quella macchia sul suo passato.
Di Patrick, la cui razionalità non basta per calmare i fiumi di furore e vendetta che lo lacerano dentro.

La Oates ha saputo magistralmente raccontarci le vicende di questa famiglia, di come l'ossessione per l'ingiustizia subita da una di loro abbia pesato sulle loro vite, singole e in quanto membri del medesimo nucleo famigliare.

Il tratteggio umano che emerge da queste pagine mi ha soddisfatta appieno, la penna della scrittrice americana scorre senza intoppi e facendo crescere, di capitolo in capitolo, l'interesse e la partecipazione affettivo-emotiva ai fatti narrati e ai personaggi coinvolti.

Si fa il tifo per loro, per i cari Mulvaney.
Vi prego, ritrovatevi. Basta un abbraccio e una sincera pacca sulla spalla per spazzare via le nubi.


Un romanzo che mi è piaciuto davvero molto e che vi consiglio, se amate la narrativa americana contemporanea e le saghe famigliari.

giovedì 8 febbraio 2024

⛺🔪RECENSIONE 🔪⛺ ESTATE DI MORTE di Harlan Coben

 

Dopo vent'anni dalla misteriosa scomparsa di sua sorella - legata a una serie di efferati omicidi avvenuti in un campeggio estivo - l'avvocato Paul Copeland viene catapultato nuovamente nel passato: ciò che è successo anni prima lo sta ancora inseguendo, sfidandolo a scoprire ciò che davvero è accaduto a sua sorella, scomodando fantasmi e disseppellendo segreti inimmaginabili.


ESTATE DI MORTE
di Harlan Coben



Ed. Mondadori
trad. L. Guida
378 pp
"Il passato stava tornando, tutto quanto. Sembrava che i morti stessero scoperchiando le loro tombe."

Paul Copeland, avvocato e Procuratore della contea di Essex, sta provando a costruirsi una carriera politica mentre intanto combatte le ingiustizie a suon di arringhe; vicino ai quaranta, vedovo (l'amata moglie Jane è morta di cancro e Paul ha aperto una fondazione per la ricerca in suo onore), è padre della piccola Cara, che trascorre più tempo con la zia Greta che col genitore super impegnato.

Un pomeriggio, mentre è a scuola e sta assistendo ad una rappresentazione di ballo di Clara, viene raggiunto da due detective in cerca di risposte.
Mai avrebbe sospettato che il passato, come una furia, ripiombasse di prepotenza nel presente sconvolgendoglielo.
Ancora una volta.
E questo passato ha il viso e il nome di Camille.

Camille Copeland era la sorella di Paul, di cui si son perse le tracce vent'anni prima durante un campeggio estivo; a quel tempo, accaddero fatti davvero agghiaccianti, che videro quattro ragazzi - Gil Perez, Margot Green, Doug Billingham e, appunto, Camille Copeland - protagonisti e vittime della furia omicida di un serial killer denominato "il tagliagole dei boschi"; i quattro amici si avventurano nei boschi di notte e non fecero più ritorno alle loro tende né a casa. 
Margot e Doug furono assassinati e i loro cadaveri ritrovati; ma Gil e Camille svanirono nel nulla, il che fece nascere la convinzione che il killer li avesse comunque uccisi ma fosse riuscito a nascondere molto bene i loro corpi nei boschi attorno al campeggio.
Per quegli assassinii sanguinosi fu arrestato e condannato Wayne Steubens, a quel tempo molto giovane anch'egli, e che era l'assistente principale del proprietario del campeggio, il signor Ira Silverstein.

Pur non avendo mai visto il corpo senza vita di Camille, la famiglia Copeland ha sempre creduto che fosse morta in quella sventurata estate; certo, avere una tomba presso cui piangere avrebbe potuto aiutarli ad elaborare meglio il lutto... ma è andata così.

Camille non c'è più da tanto tempo, ormai, e benché il papà di Paul (morto tre mesi prima) abbia chiesto al figlio, in punto di morte, di cercare ancora Camille, Paul sa che c'è poco da cercare e che l'unico che potrebbe dare loro un po' di pace e rassegnazione è Steubens, che però non ha mai detto dove ha sepolto i corpi di Gil e Camille.
Anzi, si dichiara innocente!

E allora che vogliono i due detective?
Paul viene chiamato all'obitorio per il riconoscimento di un uomo ucciso la notte prima; questi (che sembra chiamarsi Manolo Santiago) è in qualche modo legato agli omicidi del bosco; non solo, ma una cicatrice sul braccio di questo Santiago rivela una verità sconcertante: il morto è, in realtà, Gil Perez, il ragazzo che - assieme a Camille - era nei boschi ma non fu mai ritrovato.

Questa scoperta getta Paul in un baratro di ricordi strazianti, riaprendo ferite mai rimarginate.

Se Gil era riuscito a sopravvivere alla follia di Steubens, dove si era nascosto durante tutto questo tempo? E perché non è riapparso prima? 
Che cosa era accaduto davvero nei boschi durante quella tragica vacanza? 
È possibile che anche Camille sia ancora viva? 

Da questo momento per Paul inizia una vera e propria ricerca per sapere la verità su chi uccise Margot e Doug e su cosa accadde a Camille e Gil: è proprio la persona in carcere l'assassino?

Paul è un ottimo avvocato, attento, scrupoloso, intelligente, tenace e lo dimostra nel modo in cui porta avanti i casi affidatigli; attualmente, ad es., sta seguendo il caso di una minorenne che fa la spogliarellista e che ha denunciato due giovanotti di averla stuprata.
Il caso non è semplice, tutto è contro la ragazza e per di più i due presunti stupratori sono dei "bravi ragazzi" figli di papà, ricchi e viziati, i cui genitori sono disposti a tutto pur di far uscire puliti i propri figlioli.

Paul si ritrova a dover subire le minacce delle famiglie dei ragazzi, i loro meschini tentativi di infangarlo, colpendo anche i suoi famigliari.
Ma Paul non si lascia intimorire e porta avanti entrambe le battaglie, quella in tribunale e quella volta a scoprire cosa accadde a Camille.

Ad affiancarlo in questa ricerca c'è Lucy, una donna che ha conosciuto molto bene Paul ma che non lo frequenta più da tanto tempo, cioè proprio da quelle maledette vacanze estive: Lucy, attualmente docente universitaria con una laurea in psicologia, è la figlia di Ira, il proprietario del campeggio e "a quel tempo" non solo era anche lei al campo ma quella notte era con Paul, essendo i due fidanzati.

La tragedia li travolse, li ferì e piegò, allontanandoli, ma oggi c'è qualcuno che sta spuntando nuovamente alla porta di entrambi esigendo tutta la loro attenzione.

Sia Paul che Lucy avrebbero voluto solo dimenticare l'estate che cambiò definitivamente le esistenze di ambedue e delle loro famiglie, ma gli spettri del passato - che mai hanno smesso di perseguitarli e condizionarli - riaffiorano per presentare loro un conto salato: la verità.

L'autore ha costruito un impianto narrativo sostanzioso, con non poca "carne al fuoco": per dipanare la matassa degli omicidi del campeggio, Paul deve affrontare e sciogliere altri nodi più personali e famigliari, deve inoltrarsi in un dedalo di reticenze e ambiguità, di bugie e segreti, fare i conti con le zone d'ombra della sua stessa famiglia e con il proprio inestinguibile senso di colpa per non aver vigilato a dovere sulla sorella. 

La trama si apre a diversi piccoli colpi di scena che creano un effetto novità di volta in volta; il lettore, insieme a Paul, scopre tanti pezzi di verità che non avrebbe immaginato e che, effettivamente, possono a un certo punto sembrare "too much", nel senso che, pur di dare una spinta alla storia e renderla accattivante e ricca, Coben vi ha messo dentro tanta roba, anche lo spionaggio russo!

La soluzione di ogni piccolo/grande mistero e dubbio arriva, alla fine, ma devo dire che l'ho trovata un po' troppo tirata, come se l'autore abbia forzato per cercar di creare l'effetto wow... ma ottenendo un effetto bah.

Nel complesso, non mi è dispiaciuto perché gli riconosco una grande snellezza e agilità nel ritmo, ho apprezzato l'abbondanza di dialoghi, i riferimenti agli aspetti irrisolti del passato e anche (nella parte iniziale) l'atmosfera da legal-thriller quando il protagonista è impegnato negli interrogatori in tribunale; avrei preferito una maggiore e più matura caratterizzazione di Paul, che invece ho trovato adulto solo quando si tratta di fare l'avvocato, ma nel privato ha ancora da lavorare su se stesso.

Quindi, mi è piaciuto ma non è un capolavoro di thriller; nondimeno, lo stile di Harlan Coben mi intriga, per cui leggerò altro di suo.

Curiosità: mi è venuta la voglia di leggere questo autore dopo aver visto una mini serie ispirata a un suo romanzo, SUBURBIA KILLER. La serie è complicata e strapiena di dinamiche, sorprese, inganni e questo mi aveva affascinata. Ho scoperto che anche da Estate di morte è stata tratta una mini serie 

"Mi sforzai di ricordare che la speranza è la più crudele di tutte le amanti, che può sbriciolarti l’anima. Ma ora non volevo saperne, volevo coltivare la speranza. Volevo conservarla e fare in modo che per un po’ mi facesse sentire leggero."

mercoledì 31 gennaio 2024

RECENSIONE 🌈 I COLORI DI ARCOIRIS di Thokozile Martucci Schiavi


I colori di Arcoiris di Thokozile Martucci Schiavi è un racconto illustrato per bambini che ha come protagonista un ragazzino di nome Samu, il quale è in viaggio con la famiglia; a un certo punto, però, l'aereo su cui si trova Samu deve fare un atterraggio di emergenza e finisce nei pressi di una località remota e poco nota: Arcoiris. 

Le Mezzelane Casa Editrice
Ill. Marco Ghergo
40 pp
15 euro
LINK

Samu è un bambino curioso e, quando incontra il sindaco di quel posto bello, incastonato tra rigogliosi boschi e prati in fiore, non può fare a meno di porgli un sacco di domande per conoscere meglio Arcoiris, che gli pare, a una prima occhiata, un posto davvero singolare.

Cosa rende Arcoiris un luogo diverso da tutti gli altri?

Qui la vita scorre tranquilla ed equilibrata, c'è un'armonia speciale tra gli abitanti, che amano vivere in quel posto e starsene tra di loro; passeggiando col sindaco Murino, chiacchierando con lui ed ascoltando le sue risposte, Samu capirà come sia la vita ad Arcoiris e quanto essa sia straordinaria nella sua incredibile semplicità.

Tra una domanda e l'altra, Samu imparerà a mettere in discussione il proprio modo di vedere le cose, ad adottare "occhi nuovi" per esplorare e conoscere, con sincero stupore, il mondo, la natura, le persone, gli animali, i fiori.

Perché ad Arcoiris non hanno importanza le apparenze, l'esteriorità: se una cosa è bella, lo è perché porta gioia a chi la guarda, a prescindere da come sia esteriormente e da quale nome si scelga per nominarla.


Questo racconto si rivolge a lettori molto giovani ed è piacevole e di facile lettura, grazie ad uno stile chiaro e semplice, alle belle illustrazioni e agli spunti che offre per riflettere insieme ai piccoli su tematiche come l'accoglienza dell'altro - diverso da noi e, allo stesso tempo, simile a noi per tanti aspetti -; l'importanza data alla sostanza, all'interiore prima ancora che a ciò che vediamo dall'esterno, in superficie; il saper vivere in comunità, godendo della compagnia di chi ci è vicino, apprezzare il posto in cui si vive e goderne la bellezza.

Insomma, un libro che ha qualcosa di importante da dire a grandi e piccini.



L’autrice
Thokozile Martucci Schiavi, italiana di origine eritrea, dopo gli studi in Comunicazione espatria nel Regno Unito e poi si trasferisce in Germania.
Lavora come editor e copywriter, si dedica allo studio della criminologia e la sua più grande passione è viaggiare, soprattutto nel suo amato Brasile. Attivista per i diritti umani e le minoranze, con la sua penna mira a diffondere importanti messaggi di sensibilizzazione. Oltre a racconti per bambini, scrive di mondi immaginari e persone reali.


domenica 28 gennaio 2024

🖤 RECENSIONE 👑 LA REGINA DEGLI INFERI. LA MALEDIZIONE DI PERSEFONE di Hannah Lynn



Una madre e una figlia legatissime tra loro; la prima si è allontanata dalla sua famiglia per evitare di soffrire, la seconda è cresciuta con la madre, apprensiva, controllante e che l'ha sempre trattata come un'eterna adolescente.
E le due donne, di eternità, se ne intendono.
Perché sono due dee, immortali, potenti, superiori agli umani ma travolte dalle medesime forti passioni, soggette anch'esse a odio, amore, rabbia, vendetta, tenerezza, desiderio di essere amate.


LA REGINA DEGLI INFERI.
La maledizione di Persefone
di Hannah Lynn



Ed. Newton Compton
trad. F.Gazzaniga
S. Decio
384 pp
Questa è la storia di Demetra e di sua figlia Kore, che hanno cercato di crearsi un'eternità fatta di serena felicità e di sicurezza lontano dagli dèi dell'Olimpo, ma qualcosa, nei loro piani, non è andata come volevano.

Demetra è una delle 12 divinità dell'Olimpo, essendo figlia di Crono e sorella del famigerato Zeuz, il dio di tutti gli dèi.
Zeus: il fratello minore tanto amato, il "liberatore" dei suoi fratelli, che è riuscito a far sì che il loro padre, che aveva ingoiato i suoi primi cinque figli, li risputasse fuori.

Demetra ama Zeus, così forte, potente, impetuoso, ma sarà proprio il carattere dominante e prepotente del dio a renderglielo odioso, quando un giorno il padre di tutti gli dèi violenta sua sorella Demetra, e da quello stupro nascono Iacco e Kore.

Demetra non si darà mai pace per la violenza subita e si allontanerà dalla sua divina famiglia, rottura che diventerà definitiva quando ancora lui, Zeus, le toglierà l'unico barlume di felicità (l'amore di un uomo, di un mortale) in maniera egoistica e violenta (ancora una volta).

La bella e triste Demetra capisce che nulla può farla sentire ancora legata a quel mondo immortale che non le ha dato molte gioie, ma semmai dolore, rabbia, lacrime, disperazione.
La sola via per vivere la propria eternità serenamente è stare il più lontana possibile dall'arrogante fratello e crescere la propria figlia adorata, Kore, su un'isola chiamata Sifanto.

"Al mio tocco la terra arida si trasformava e diventava fertile, e il grano brillava alla luce del sole, in quantità tali da esaudire i sogni di qualsiasi contadino. Perché quello era il mio dono. Era per quello che i mortali mi veneravano, perché portavo loro l'abbondanza dei raccolti."

Demetra è una divinità molto amata, che trova il suo diletto nel portare benefici agli umani ed essendo ella la dea della natura, gode nel far del bene alla terra, attraverso abbondanza di raccolti, campi fertili,  ricevendo in cambio la gratitudine e la sincera adorazione di quegli esseri limitati, bisognosi degli interventi divini e dall'esistenza così breve.

Ma il sogno di vivere per sempre con le ninfe (quelle fedeli che l'hanno seguita nella sua fuga dall'Olimpo) e con la dolce e spensierata Kore, che ha sempre mostrato di essere una figlia obbediente, che accetta le decisioni materne senza fiatare, è destinato a finire.

Sì, perché Kore (il cui nome significa "fanciulla"), col trascorrere dei secoli, è stanca di quella segregazione nell'isola e sente l'impellente bisogno di girare il mondo, di passare di prato in prato, di conoscere e raccogliere le specie di fiori e frutti più belle e mai viste prima, di osservare gli umani che amano, cantano, ballano, si sposano, fanno figli, lavorano, muoiono... e di sentirsi viva!

Kore non vuol diventare come sua madre.
L'ama, certo, l'ammira per la sua pervicacia, per il coraggio di sfidare la famiglia decidendo di allontanarsene, per la capacità di conservare nel proprio cuore una misura d'amore abbondante, che neppure lo scorrere del tempo può indebolire.

Ma non può condividere il desiderio (o la paura?) di Demetra di starsene per conto proprio, di limitare i rapporti con le altre divinità, di condurre un'esistenza immortale all'insegna della solitudine.

No, Kore non è come la madre: lei ha un fuoco dentro che la divora, ha una vitalità e un'energia dirompenti, che la spingono a "costruirsi" una sorta di seconda vita: quando decide di lasciare Sifanto durante il giorno, per andare a visitare il mondo, Kore si rende conto che oltre la pacifica esistenza accanto alla mamma, c'è tanto da conoscere: posti nuovi, muovi sapori, brezze, colori... e forse anche un amore.

Non l'amore malinconico come quello perduto e rimpianto da Demetra, ma un amore passionale, vissuto con tutta se stessa, con il cuore quanto con il corpo. 
Quel sentimento che ti fa battere il cuore a mille, ti fa arrossire le gote e seccare la bocca... e che vorresti fosse eterno.

E Kore vive un amore così... fino al momento in cui sparisce nel nulla. 

A rapirla è Ade, il sovrano dell’Oltretomba e fratello di Demetra e Zeus; il dio la porta con sé sottoterra e Kore è sgomenta e disperata, anche al pensiero della madre, che starà impazzendo nel non sapere dove si trovi l'amatissima figlia. 

Quando si rende conto che implorare Zeus è inutile, Demetra scatena la sua furia, facendo calare un inverno perenne.

Il padre degli dei dell'Olimpo non vuole aiutarla? Bene, lei non benedirà più i mortali con rigogliosi raccolti, anzi: la terra diventerà sterile e arida, non ci saranno più musica né gioia finché ciò che le è stato sottratto non verrà restituito. 

Gli dèi non si sarebbero mai aspettati una tale e ferrea presa di posizione da una dea piuttosto pacifica quale è Demetra, ma l'amore di una madre ferita può divenire un fiume in piena, violento e inarrestabile.

Demetra rivuole indietro sua figlia, non accetta che sposi Ade né che lui la segreghi nel regno dei morti, tutto tenebre e spettri. Kore è luce, vita, sorrisi, colori...: non appartiene a quel regno oscuro e triste!

La stessa Kore non è a suo agio lì e vorrebbe che Ade capisse che il suo è stato un rapimento operato con violenza e inganno: davvero si aspetti che lei lo ami e che accetti volentieri di diventare sua moglie, la regina degli inferi?

Ma una serie di circostanze imprevedibili interverranno a cambiare Kore, nel suo interiore e anche esteriormente.

È vero, non è scesa negli inferi di propria volontà, ma c'è qualcosa nel comportamento di Ade che pian piano le si insinua dentro, inducendola a cambiare, a maturare, ad acquisire nuove consapevolezze su se stessa, sulla propria personalità, sull proprio valore come dea.

Scendendo nell'oltretomba, la spensierata ed eterna fanciulla figlia di Demetra, cresce e una parte di sé - fino a quel momento soffocata - comincia a farsi spazio, a reclamare dignità e brama di potere.

Kore è ormai al di fuori del controllo (seppure amorevole) materno ed è colpita da come Ade la tratti come una sua pari, come la regnante che è; lui la rispetta, è paziente e dà importanza alla sua opinione.
Ade capisce che, durante quel soggiorno negli inferi, Kore si sta trasformando in una dea nuova, autorevole, "adulta".
No, non è più tempo di essere solo la figlia, la fanciulla, bensì di imporsi quale regina del regno dell'Oltretomba: Persefone.

Demetra saprà accettare di non riavere sua figlia tutta per sé?
Dovrà accettarlo suo malgrado e da quel momento la terra conoscerà se mesi di abbondanza e natura lussureggiante e sei di aridità e freddo.

Questo romanzo mitologico è molto bello, la lettura scorre splendidamente, i personaggi sono ben caratterizzati e di essi comprendiamo la psicologia, il carattere, le debolezze e la forza attraverso le loro azioni e reazioni; Demetra e Kore/Persefone sono due donne dalle personalità distanti ma accomunate da un cuore buono e da un grande bisogno di dare e ricevere amore.
Entrambe amano con tutto il cuore e sì struggono per un  amore perduto.
Entrambe, seppur con percorsi differenti, evolvono, mutano nel corso del tempo, divenendo più coscienti di sé stesse e imparando a ritagliarsi il proprio spazio, a usare con saggezza risorse e capacità personali.

Un libro che consiglio a quanti amano le storie degli dèi immortali dell' Olimpo (così umani nel loro modo di amare, vendicarsi, adirarsi, soffrire..., e in un certo senso anche invidiosi dei mortali, che vivono la loro breve e fugace esistenza con tanta passione) e, consentitemelo, a quanti sono cresciuti con l'indimenticabile Pollon (⁠◠⁠‿⁠◕⁠)



ALCUNE CITAZIONI

"...ci sono momenti in cui la sofferenza va anestetizzata e altri in cui bisogna lasciarla bruciare, con tutto il fuoco che il tuo corpo può sopportare".

"Chi ha conosciuto il lutto sa che il dolore ha il potere di piegare il tempo. Di far durare un'eternità ogni secondo".

sabato 27 gennaio 2024

"IL SEGNALIBRO DELLA MEMORIA"





AUDIOFICTION


LA SIGNORA DEI TULIPANI di Mauro Ruggiero

Un'anziana e taciturna signora dai capelli bianchi vende fiori in una strada di Praga tra l'indifferenza dei 


passanti. Ad accorgersi di lei sembra essere solo un giovane giornalista che, spinto dal desiderio di aiutarla, compra spesso quell'unico mazzetto di tulipani che la donna offre.
Presto, però, il giovane scoprirà che dietro quegli occhi azzurri e assenti, la "Signora dei tulipani" nasconde una storia incredibile e toccante iniziata al tempo dell’occupazione nazista della Cecoslovacchia e della Shoah.



L'uomo incapace di sorridere di Giancarlo Villa

-
Londra, 28 Novembre 1962. È una piovosa serata di fine autunno, gelida e cupa.
Due giovani avventori del locale "The Star" si stanno godendo gli ultimi minuti di una serata blues. Il chitarrista del gruppo è un tipo strano, cupo, eccentrico.
La sua terribile storia è una storia di sopravvivenza estrema contro il male; la Storia di un sopravvissuto al campo di sterminio di Mauthausen.

Pur essendo due fiction, quindi con personaggi fittizi, di fantasia, ciò che viene narrato rispecchia vicende assolutamente realistiche; sono racconti brevi ma aventi una loro intensità, che coinvolgono emotivamente l'ascoltatore spingendolo a riflettere sui concetti di bene e di male, e di come questi siano presenti entrambi nel profondo dell'animo umano; in particolare nel secondo audiolibro, il personaggio principale è sopravvissuto all'Olocausto per cui la sua esperienza è ovviamente (e tristemente) fedele alla realtà.
In entrambi i casi l'ascolto è stato gradevole grazie all'espressività dei narratori espressivi.



BIOGRAFICO

Il comandante Franz Ziereis di Giancarlo Villa.
,

Al centro vi è la figura del massimo comandante di Mauthausen, 
il campo di concentramento dove venivano deportati principalmente gli intellettuali polacchi e i prigionieri di guerra sovietici.
Dopo esser entrato nella polizia tedesca, Ziereis scala gli ordini gerarchici fino a ottenere il comando del campo, dove si trasferì con la propria famiglia e risiedette per tutta la durata del suo ruolo.
 
Passato alla storia come uno dei più spietati e crudeli gerarchi, incapace di pentirsi persino in punto di morte, Ziereis era noto per la sua ossessione di sparare dalla sua abitazione, davanti al figlio undicenne, a qualsiasi prigioniero tentasse di scappare.

In questa breve ed essenziale biografia l'ascoltatore apprende come sia stata l'infanzia di Ziereis a Monaco, che era un bambino timido e vittima di bullismo da parte dei coetanei, fino ad arrivare agli orrori commessi da comandante nazista, nell'angolo di secolo più buio per l'umanità.
Interessante, permette di conoscere un altro personaggio meschino che ha contribuito a scrivere una pagina nerissima della storia.


TESTIMONIANZE

Le storie di Stanka e Maria: Il campo di concentramento di Gonars e la deportazione dei rom e dei sinti in Friuli Venezia Giulia durante la Seconda guerra mondiale di Andrea Giuseppini


-
Nel campo di concentramento fascista di Gonars, un paese in provincia di Udine, furono internate decine di migliaia di civili sloveni e croati. Il campo rimase in funzione dalla primavera del 1942 fino all’8 settembre del 1943. Si calcola che in questo periodo, all’interno del campo, morirono di fame e di malattie circa 500 persone.

Stanka è un’anziana donna rom, nata nella provincia di Lubiana e deportata nel 1942 nel campo di Gonars. Nei ricordi di Stanka, raccolti in questo audio documentario, ci sono la terribile fame, il gran freddo, e le morti, tra cui quella di una piccola bambina rom.

Maria è invece una sinta italiana, nata nel 1929 a Trieste. Per fuggire ai pericoli dei bombardamenti, Maria e la sua famiglia si rifugiano nelle campagne friulane. Qui, dopo l’8 settembre del 1943 e l’occupazione tedesca, incontrano i rom sloveni deportati a Gonars.

Nei mesi successivi, la madre e un fratello di Stanka, il fratello di Maria e altri giovani rom saranno catturati dai tedeschi e deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
Solo in pochi faranno ritorno.

Nell’audiolibro, oltre alle voci di Stanka e Maria, si possono ascoltare quelle della storica Alessandra Kersevan, della partigiana Rosa Cantoni e dello scrittore Boris Pahor.

Testimonianze che vanno ascoltate, conosciute perché sono storie vere, drammatiche, dolorose, che escono direttamente dalla bocca di chi le ha vissute sulla propria pelle, di chi ha sofferto la fame, il freddo, la paura di essere picchiato, ucciso per il solo fatto di essere rom.
Storie che per molto tempo sono state ignorate, non considerate, storie di crimini per i quali i colpevoli non sempre hanno pagato.


Tutte storie da ricordare per il Giorno della Memoria ma affinché questa ricorrenza - che è giustissimo celebrare, non solo il 27 gennaio, ma sempre - non perda il suo valore e il suo fine, è necessario, a mio avviso, denunciare ogni sopruso, violenza, crimine di guerra, tentativi di pulizia etnica/sterminio ecc... che ancora oggi purtroppo avvengono.
Il fatto che ad oggi in tante parti del mondo i diritti di tanti uomini, donne, bambini... vengano costantemente violati non deve far cadere nell'errore di credere che il Giorno della Memoria abbia perso significato, che sia pura retorica e che quindi non serva più ascoltare ancora le testimonianze dei sopravvissuti (il cui numero, ovviamente, si fa sempre più esiguo), leggere libri/articoli o  guardare film/documentari a tema...; nondimeno, proprio per onorare con onestà e in una logica inclusiva questa giornata, nessuna vittima di azioni criminali a scopo di sterminio, di negazione dei diritti umani, va ignorata, sminuita, dimenticata, altrimenti la memoria di ciò che è accaduto durante la seconda guerra mondiale non sarà mai un ricordo, se poi sotto i nostri occhi continuano a verificarsi ingiustizie simili davanti alle quali si tende a girare la testa dall'altra parte e quasi a considerarle "di serie B".


"...se la storia e la memoria pubblica sono un antidoto dovremmo chiedercelo sempre, dove eravamo e dove siamo. Per provare a non correre il rischio di finire in quel maledetto scantinato stantio, a rifugiarsi nello studio, mentre i bambini gridano nella notte. “La memoria della Shoah è di tutti”, ha sostenuto sul sito di “Gariwo” la storica Anna Foa, e ha ragione: è anche delle donne e dei bambini intrappolati a Gaza o nei campi profughi di tutto il Medio Oriente. Sempre che sopravvivano.

Forse, chissà, un giorno succederà quello che immagina Elie Duprey (“Contretemps”, 23 dicembre 2023):

"La situazione non lascia spazio all'ottimismo. In Palestina, innanzitutto e prima di tutto, dove il sostegno incondizionato dato a Israele dalle potenze occidentali rende difficile immaginare qualcosa di diverso dall'approfondimento delle dinamiche attuali: pulizia etnica, apartheid, fascistizzazione sempre più spinta della società israeliana, indignazione generale – da parte dell'Occidente – di fronte alle esplosioni di violenza più spettacolari, indifferenza generale – da parte dell'Occidente – di fronte alla violenza quotidiana della colonizzazione. La storia degli Stati Uniti dimostra che certi processi coloniali possono trionfare e certi popoli scomparire. Forse un giorno qualche turista entrando in un casinò di Gaza verserà una lacrima in memoria dei crimini passati, prima di tornare a godere dei benefici della civiltà. Forse no".

Forse sarà così, forse no – in ogni caso decine di migliaia di persone non ci sono più. Dipende anche da noi, dal poco – pochissimo – che contano le nostre voci. Se non le alzeremo abbastanza, e se non verremo ascoltati, chissà, può essere che un giorno qualcuno ci verrà a cercare, sempre che non sia già troppo tardi. Quando busserà alla nostra porta chiedendoci se davvero non sentivamo, non vedevamo, non parlavamo, noi, o almeno io, probabilmente non sapremo cosa dire."


(stralcio di un articolo di Carlo Greppi presente su Gariwo)

lunedì 22 gennaio 2024

|| RECENSIONE || AMARO IN VETRO di Davide Carotenuto



Ironico, arguto, scanzonato e romantico, "Amaro in vetro" è un’autobiografia sentimentale con cui il protagonista (e voce narrante) si mette a nudo, si espone raccontandosi a 360°, gettando maschere e inibizioni per guardarsi dentro e, al contempo, confrontandosi col complicato e "misterioso" universo femminile.


AMARO IN VETRO
di Davide Carotenuto


La Bottega delle parole
135 pp
La vita è un susseguirsi di incontri - alcuni più importanti di altri -, di occasioni mancate, di amori rincorsi e persi, di relazioni -alcune più intense, altre meno - il cui ricordo (dolce o amaro che sia) può accompagnarci per anni.
In queste pagine, che scorrono agevolmente sotto gli occhi del lettore, il protagonista si racconta in prima persona, lasciandoci entrare nel suo mondo interiore, fatto di mille pensieri, ricordi, battute scherzose, considerazioni, amarezze, sorrisi, e il racconto di sé è un vero e proprio fiume in piena, travolgente e appassionato.

Nel suo raccontarsi senza filtri e senza riserve, il protagonista torna indietro nel tempo molto spesso e, proprio come se parlasse a un amico silenzioso con cui ha voglia di aprirsi, ci confida aneddoti del suo passato e lo fa senza essere mai pesante, triste o patetico, ma al contrario con un piglio simpatico, autoironico, sempre pronto alla battuta spensierata.

Incontri con donne più o meno importanti, ciascuna della quali ha lasciato comunque un segno - per piccolo che sia - nella sua vita (altrimenti non varrebbe neppure la pena parlarne, no?) e ha contribuito a renderlo la persona che è: pragmatica, forse a tratti anche un tantino cinica e disillusa, eppure mai privata di quel romanticismo di cui egli sente fortemente il bisogno.

Perché il nostro protagonista non ha smesso mai di sperare di incontrare, presto o tardi, l'amore della vita: "...nonostante tutto, ci credo ancora nell’amore. Credo ancora di poter trovare la persona giusta che, al mattino, mi svegli sussurrandomi “...ho fatto il caffè ... facciamo colazione insieme?”".

Dai suoi racconti emerge quanto egli provi ad analizzare - criticamente eppure senza prendersi troppo sul serio - tutte le affascinanti contraddizioni dello sfaccettato mondo femminile, raccontandone le sfumature, le fragilità che spesso risultano poco comprensibili agli uomini. 

Il racconto vivace (una vivacità in cui però non manca, talvolta, una vena di malinconia) e disinvolto delle proprie avventure sentimentali diventano il trampolino per parlare di sé, dei propri pensieri e sentimenti, riflettendo sulla vita e sui rapporti con chi lo circonda, fino ad arrivare ad una migliore conoscenza della propria persona, aprendosi alla possibilità che ogni esperienza fatta, ogni difficoltà incontrata, ogni presenza importante e ogni mancanza che pesa, hanno avuto il loro perché nella alla scoperta di sé stesso, nella sua crescita come uomo che si interroga, che prova a guardarsi e riconoscersi attraverso gli occhi degli altri, individuando, comprendendo e accettando debolezza e insicurezze, proprio quelle che ha sempre cercato di negare e che forse un po' gli hanno impedito di costruire una solida relazione amorosa. 

Nello svelarci ciò che gli passa per la testa, il protagonista prova a smorzare col sorriso la tristezza e a celare ferite che però, a un certo punto, devono essere curate.

"Incidere, drenare e tagliare. E proprio come per una strana infezione, che ti fa stare male al punto da girarsi e rigirarsi nel letto in preda agli spasmi, bisogna praticare un’incisione nel punto nevralgico, favorire la fuoriuscita di quel male oscuro e tagliare via tutto ciò che non serve più..."

Nel parlare di sé, egli è, come dicevo più su, un fiume inarrestabile, che va da un episodio all'altro, collegandoli tra loro attraverso associazioni e ricordi che si succedono di seguito e che sono un po' come delle tappe nel suo percorso esistenziale, tanti piccoli "qualcosa" che hanno spezzato, anche soltanto per un po', la solita routine fatta di gesti abitudinari, più o meno inconsapevoli "che somigliano sempre più al movimento di un automa".
In fondo, fermarsi a ricordare qualcuno e qualcosa ha la sua importanza, perché significa che non ci siamo limitati a vivere senza renderci conto del chi, dove, come quando, perché, ma che abbiamo, anzi, conservato dei frammenti di certe esperienze, di certi attimi, parole, sguardi, silenzi, persone.


"Amaro in vetro" è un romanzo breve ma denso, che riesce ad essere ricco ed introspettivo senza mai appesantire la lettura, la quale - grazie a un'oculata e intelligente leggerezza mista a sfumature di lieve malinconia - risulta costantemente snella e piacevole.

Ringrazio la casa editrice partenopea La Bottega delle parole per la gradita copia digitale in omaggio.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...