domenica 18 agosto 2013

Recensione: 3096 di Natascha Kampusch




Il libro del quale oggi vi parlerò non è un romanzo, non narra "vicende tratte da fatti realmente accaduti", di cui magari sono stati modificati nomi di persone o di luoghi per rispetto della privacy, e non troverete scritto che ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale.
No no, qui ogni riferimento è certo e chiaro e si riferisce a persone esistenti, con un nome e un cognome, a fatti avvenuti in un determinato periodo e che resteranno impressi nella mente di coloro che li hanno vissuti.

Ed. Bompiani
293 pp
10.90 euro
2010
Anzi, nella mente di colei che l'ha vissuti, perchè l'altro protagonista non c'è più e non può raccontarci più nulla.
Sto parlando del libro-testimonianza di Natascha Kampusch, la ragazza che sopportò di tutto e credette, contro ogni umana speranza, di poter ottenere la propria legittima libertà.
Una ragazza che si presenta ai nostri occhi molto carina, con i suoi occhioni azzurri e il suo sorriso dolce e un po' malinconico....
O forse siamo noi, che "sappiamo" (o pretendiamo di sapere) la sua storia, che vogliamo vedere in lei quel pizzico di tristezza, di struggimento interiore che una persona, vittima di un sequestro e di una prigionia lunga 3096 giorni (otto anni e mezzo) deve necessariamente portare con e dentro sè, possibilmente tutta la vita, perchè è impossibile dimenticare, gettarsi alle spalle un passato così pesante, doloroso, tragico...
Vero?
Beh, bisognerebbe chiederlo a Natascha, per avere la risposta giusta, quella vera.
Ma credo che, se anche voi leggeste il suo libro, forse come me arrivereste all'ultima pagina con il pensiero che l'Autrice ha dentro sè una forza interiore incredibile grazie alla quale è riuscita a resistere e sopravvivere, a non impazzire, non solo in quel terribile periodo in cui le è stata strappata la vita di bimba e adolescente in seno alla sua famiglia e ai suoi cari, ma anche dopo, quando, una volta libera fisicamente, ha dovuto percorrere un cammino di liberazione da catene e prigioni che la tenevano stretta in una morsa nell'anima, nella mente, nelle proprie emozioni...

Ma forse penserete che sto correndo troppo, che vi sto già dando il mio pensiero e la mia "interpretazione" dei fatti prima ancora di introdurvi i fatti stessi.
Come al solito, sto scrivendo il mio parere su un libro appena terminato lasciandomi prendere dall'emotività e rischio di non essere troppo razionale nell'esporvi le cose con ordine.
natascha
Ma che razionalità volete che mantenga nel parlarvi di una storia di schiavitù e soprusi, perpetrati per 3096 giorni da un uomo disturbato all'indirizzo di una bambina/ragazzina impaurita e sola?

Forse sarebbe stato più logico iniziare con il racconto della storia nuda e cruda, chissà magari con un incipit del tipo "Il tempo per Natascha Kampusch si è fermato il 2 marzo 1998, quando un uomo dall'aspetto inoffensivo l'ha sollevata di peso, mentre lei stava andando a scuola, l'ha caricata sul proprio furgone bianco e l'ha rapita, segregandola in cantina per otto lunghi anni...".
Ecco, magari questo sarebbe stato l'inizio giusto, conciso e chiaro, un punto di partenza da cui poi dire tutto il resto.
Ma questa è la storia che sappiamo tutti (quanto meno tutti quelli che hanno seguito o ricordano o si vorranno informare sul "caso Natascha") e non è quella che la protagonista e Autrice ci racconta.

Natascha ci conduce per mano nella segreta che l'ha vista segregata per anni e anni, e ci lascia dare uno sguardo ad essa, alla sua vita lì dentro, alle sue lacrime, ai maltrattamenti subiti, ai chili persi, ai suoi pensieri negativi e a quelli "fiduciosi", necessari per poter sopravvivere al rapitore e per continuare a sperare che di lì, presto o tardi, sarebbe fuggita.

"3096" è la storia di una ragazzina che, fino a dieci anni, ha vissuto un'infanzia come tanti; certo, non le sono mancati molti momenti di tristezza, di problemi: è la figlia di una coppia che prestissimo giunge a separarsi per incompatibilità caratteriale.
Suo padre passa le giornate a bere e porta spesso con sè la piccola e paffutella figlioletta nei locali, dove i suoi amici la vedono, le fanno una carezza e poi la ignorano, perchè è solo una bambina in mezzo a tanti adulti.
Sua madre è una donna forte, razionale, decisa a non lasciar spazio all'emozionalità e questo lo trasmette alla figlia che, da piccola, soffre la durezza della madre perchè desidererebbe da lei più dolcezza, meno asprezza nei rimproveri, ma dall'altra questo muro di difesa emotiva le tornerà utile durante gli anni di prigionia.
E' una bimba solitaria, timida, il cui aspetto fisico (grassottello) la fa sentire un po' a disagio; per non parlare dei problemi di enuresi diurna e notturna, che le attirano gli scherni e le sgridate sarcastiche e/o adirate di grandi e piccini...
Avvertiamo, leggendo le prime pagine del libro, tutte le paure e le fragilità della piccola Natascha, il suo sentirsi a volte tanto sola in mezzo a tanta gente, la sensazione di inadeguatezza.
Sono tutte caratteristiche che in qualche modo favoriranno il processo di umiliazione e schiavitù psicologica di Priklopil verso la sua vittima, che lui mira a tenere soggiogata non solo nella mente ma anche nel corpo.
Forse, come me, anche voi resterete inizialmente stupiti nel leggere come il rapitore nei primi tempi sia stato addirittura "gentile" con la piccola e spaventata Natascha, esaudendole ogni piccolo desiderio, dandole da mangiare ciò che lei chiedeva.
Tutte strategie che nascondevano ben altri progetti crudeli ma che certo la piccola non poteva immaginare.

Il terrore di trovarsi in una cantina fredda e buia verrà presto accompagnato dalla paura che l'uomo le farà ciò che lei aveva sentito dire tante volte in tv  e che era accaduto ad altre bambine: rapita per essere violentata e poi uccisa.
Ma Priklopil ha altri piani: lui vuole una schiavetta tutta per sè, che gli faccia i lavori di casa, che gli prepari da mangiare, che lo soddisfi in tante sue richieste.
Vi dico subito che Natascha non ha mai, nel suo libro, parlato di abusi di natura sessuale, dichiarando che quella "sfera" della propria prigionia è sua e solo sua e che non ritiene opportuno renderla pubblica.

Ciò che mi sento di evidenziare di questa terribile testimonianza è come Natascha abbia trovato la forza e il modo per non lasciarsi andare in una situazione umanamente insopportabile.
Stiamo parlando di una bambina di dieci anni, strappata alla propria vita, alla propria casa, alla propria famiglia e portata in una stanza fredda e puzzolente di umidità, e da quel momento in contatto solo con lui, il rapitore.
Quello che si nota è il fatto che la ragazza sottolinei proprio questa cosa per aiutarci a capire cosa le ha permesso di sopravvivere: non è stato solo il pensiero della fuga (che ha avuto sì da subito, ma che non è stato un pensiero costante...) o della vendetta, bensì l'idea che di fronte a sè aveva UN UOMO, un essere umano, l'unico essere umano a lei vicino in quegli anni, l'unico cui aggrapparsi comunque, per non sentirsi COMPLETAMENTE SOLA, l'unico che poteva provvedere ai suoi bisogni urgenti: la mano che vorresti mordere è la stessa che ti può dare da mangiare!

Non solo, ma Natascha ha mostrato un'incredibile forza anche nel perdonare più volte quell'uomo; se non l'avesse fatto, l'odio l'avrebbe divorata, consumata e che ne sarebbe stato di lei?

Un aspetto che mi ha fatto riflettere molto e mi ha fatto soprattutto pensare quanto sia difficile giudicare certe situazioni assolutamente straordinarie e che non tutti (grazie a Dio) sperimentiamo, è il fatto che Natascha si sente vittima due volte.
In che senso?
A farla sentire vittima due volte è l'opinione della massa (dalla polizia alla gente comune); come se la violenza di un sequestro lungo più di otto anni (costellato da maltrattamenti e umiliazioni) non fosse sufficiente a rendere una persona vittima, ad esso si aggiunge il giudizio di chi crede assurdo e singolare che Natascha possa mostrare comprensione, pietà, perdono per il proprio sequestratore, verso il quale è comprensibile che si debba provare solo odio, disprezzo...!
E di fronte al paradosso di questi sentimenti ritenuti ambigui e contrastanti, ecco che giungono in aiuto la medicina e la psichiatria, con i loro paroloni e le loro etichette: "Sindrome di Stoccolma".


Particolare stato psicologico che può interessare le vittime di un sequestro o di un abuso ripetuto, i quali, in maniera apparentemente paradossale, cominciano a nutrire sentimenti positivi verso il proprio aguzzino che possono andare dalla solidarietà all’innamoramento. L’espressione fu usata per la prima volta da Conrad Hassel, agente speciale dell’FBI, in seguito ad un episodio avvenuto in Svezia nell’agosto del 1973: quattro impiegati di una banca di Stoccolma, tenuti in ostaggio da due rapinatori per sei giorni, una volta rilasciati, espressero sentimenti di solidarietà verso i sequestratori arrivando a testimoniare in loro favore, con manifestazioni di ostilità verso il mondo esterno (polizia, autorità, ecc.). Gli effetti a breve e lungo termine sono caratterizzati da una sintomatologia ansiosa, disturbi fisici e psicofisici e sintomi depressivi. (Treccani).


Come risponde Natascha davanti a questo tentativo di rinchiuderla in un'etichetta patologica, in modo da "giustificarle" i suoi sentimenti ambivalenti verso il proprio aguzzino?

"Una diagnosi che io rifiuto decisamente. Perchè, per quanto gli sguardi di coloro che buttano  là questo concetto, possano essere pieni di compassione, l'effetto è terribile. Questo giudizio rende la vittima, infatti, due volte vittima, perchè la priva dell'autorità di interpretare la propria storia; gli avvenimenti più importanti della sua esperienza vengono così liquidati con le aberrazioni di una sindrome. E proprio quel comportamento, che ha contribuito in modo decisivo alla sopravvivenza del prigioniero, viene giudicato quasi sconveniente".

Ciò che dice Natascha è che la gente vuol vederla eternamente vittima, sofferente, si stupisce e storce il naso con diffidenza davanti ad una ragazza che cerca di vivere, di riappropriarsi della propria esistenza dopo un'esperienza tanto traumatica.
Una ragazza che, da bambina, a un certo punto ha fatto un patto con la se stessa di 18 anni: Tirami fuori di qui, chiede la Natascha bambina alla Natascha maggiorenne.

Passeranno 8 anni e mezzo, 3096 giorni: ore, settimane, mesi, anni... in balia di un folle, di un uomo infelice, solo e paranoico, che cercherà in tutti i modi di spezzare la personalità della sua giovane vittima per renderla sua in ogni senso, finchè un giorno come un altro, il 23 agosto 2006, la Natascha grande mantiene la sua promessa alla se stessa di qualche anno fa.
La libera.
Via, fuori dalla prigione, da una non vita nelle mani di un uomo che, pur essendo stato per lei l'unico riferimento per tanto tempo, resta un criminale, un pazzo, uno che le ha rubato la libertà e che stava uccidendo tutto di lei.

Consiglio questa lettura a chi ama le storie vere, anche forti, per avere una vaghissima idea di quale tipo di trauma vivono le persone rapite, ma anche quali grandi ed insospettabili risorse emotive e psichiche l'essere umano è capace di tirar fuori per salvarsi dal baratro e dalla morte.


manifestino diffuso
dopo la scomparsa

rapitore
porta di cemento che conduceva
alla segreta


AP Photo / polizia austriaca / ho
cantina in cui fu rinchiusa Natascha per 3096 giorni
La casa del reo nel caso Kampusch, Wolfgang Priklopil in Strasshoff a Vienna (foto d'archivio del 24 agosto 2006).
casa del rapitore a Strasshof



sabato 17 agosto 2013

Mini-recensione: IL GOLEM di Gustav Meyrink



Un romanzo gotico, connotato da un'atmosfera cupa, misteriosa, a tratti soffocante, che scaraventa il lettore in una Praga, buia, popolata da personaggi legati al mondo dello spiritismo e dell'occultismo:  un immenso ed interminabile incubo da cui non ci si riesce a svegliare.




IL GOLEM
di Gustav Meyrink



La storia narra di Athasius Pernath, intagliatore di pietre preziose. Un uomo scambia un giorno, nel duomo di Praga, il suo cappello con quello di Pernath, e rivive come in una visione la sua vita nell'antico ghetto di Praga.
Accanto a Pernath sono due figure principali: il vecchio rigattiere Aaron Wassertrum, che funge nel racconto da genio del male; e Hillel, impiegato al municipio ebraico, e che funziona da genio del bene. Vi è inoltre lo studente di medicina Charousek, suo figlio naturale e giustiziere; e Miriam sua figlia.



Il protagonista è colui che scambia il cappello di un certo Pernath vivendo, o meglio rivivendo, degli episodi strambi e un tantino angoscianti, propri della vita di questo individuo.

La storia, che si snoda attorno a questo mastro intagliatore, Pernath, e alle persone che vivono vicino casa sua, a cominciare da Wassertrum, brutto come la morte (ha il labbro leporino e questa caratteristica fisica lo rende, agli occhi del protagonista, sgradevole a guardarsi) non solo fisicamente, ma più che altro moralmente, nell'animo: è infatti malvagio, avaro, pronto a far del male per difendere i propri interessi.

E poi ci sono alcuni grotteschi amici con cui il protagonista trascorre parte del suo tempo e che gli raccontano una serie di storie strane, quale quella del Golem, di cui abbiamo visto qualche notizia in un post  dedicato proprio a questa figura leggendaria.

Questo essere indefinibile e inquietante si intreccia con gli incubi claustrofobici del protagonista, che spesso e volentieri si ritroverà a vivere esperienze "extra-corporali", come se uscisse dal proprio corpo o dalla propria anima per guardarsi dall'esterno, o meglio ancora, come se sentisse di "sdoppiarsi" in un altro Io, che lo fissa e gli si rivela in determinati momenti.

C'è il tisico e magrissimo Charousek, che vive solo ed unicamente per vendicarsi del rigattiere malvagio; ma soprattutto ci sono il rabbino Hillel, visto come figura positiva, saggia, con una grande conoscenza di tutti i segreti della cabala ebraica, e sua figlia Miriam.
Miriam è l'unico personaggio che mi ha colpito positivamente, perchè è ingenua, semplice, fiduciosa: vive ogni giorno aspettando un miracolo, che non è necessariamente qualcosa di grandioso, ma anche solo trovare una monetina per poter comprare qualcosa da mangiare giorno per giorno.

A un certo punto, tra i deliri cui è soggetto il protagonista - che a volte si immedesima totalmente in Pernath, altre volte capisce che non è lui e questo lo fa sentire enormemente a disagio, fuori da se stesso - c'è anche un episodio che ha un che di kafkiano: l'uomo viene accusato di un omicidio ingiustamente e trascorrerà dei mesi in prigione, in una cella piccola ed angusta, al buio.

Tutto il libro è attraversato da un'atmosfera cupa, misteriosa, a tratti soffocante, se ci si immagina davvero per le strade di Praga, al buio, "inseguiti" da storie e personaggi legati al mondo dello spiritismo e dell'occultismo, come in un immenso ed interminabile incubo da cui non ci si riesce a svegliare.
Devo dire che il finale non mi ha spiazzato in male ma in bene, perchè se fosse finito diversamente da come l'ha pensato l'Autore, davvero poi non c'avrei capito nulla e mezzo.

Insomma, ve lo consiglio o no....?
Sì, se siete tra coloro cui piacciono le storie al limite della follia, dell'allucinazione, un po' inquietanti, con personaggi loschi e atmosfere surreali e "gothic", allora potrebbe piacervi e, magari, attirarvi verso Praga, che è una città bellissima! ^_^

Consigli per gli acquisti: QUALCHE PIANO OLTRE di Sabrina Gregori



Ed eccomi col segnalarvi un libro dalla trama molto misteriosa!!!

QUALCHE PIANO OLTRE
di Sabrina Gregori


Ed. Linee infinite
256 pp
12 euro
2013
Trama

Nella cornice di un cortile condominiale degli anni ’70, Sara e Paolo vivono la loro infanzia uniti da
una forte amicizia. Pomeriggi d’estate si allungano tra giochi con gli amici, sogni di supereroi e
innocenti fughe in un luogo appartato, solo per loro due, la tana. 
Qui, un giorno, Sara trova dei disegni nascosti, figure di mostri intrappolate nei fogli di carta: è il segreto di Paolo, tormentato da visioni pericolose e inconfessabili, segni di una realtà che nessuno può comprendere. 
Per impedire che anche Sara ne diventi vittima, Paolo la prega di dimenticare ciò che ha visto, e l’amica cancella l’episodio dalla memoria. 
I due bambini diventano adulti e l’amicizia si trasforma in un sentimento più intenso, ma la vita di Paolo si copre di ombre che Sara cerca di scacciare, fino a quando... 
In un giorno come tanti, Sara va a far visita a sua madre, nella stessa palazzina in cui è cresciuta. Entra nell’ascensore e preme il tasto per salire al terzo piano, ma quello che sembra un semplice gesto si rivela una scelta che cambierà la sua esistenza. 
Chiamata a salvare il suo amico di sempre, Sara supererà i limiti della morte, varcherà le porte dell'inimmaginabile e si troverà a fare i conti con il passato e con i suoi sentimenti, in luoghi dove la paura prende molte forme e il coraggio ha i contorni dell’infanzia.
Qualche piano oltre è un viaggio che sfida il tempo e lo spazio, uno sguardo attento nell’animo di una donna capace di affrontare un percorso di riscatto e consapevolezza interiore.


L'autrice
Sabrina Gregori, nata a Trieste, classe '68. Laureata in Scienze Politiche, ha lavorato per anni nel campo della formazione. È attrice di teatro amatoriale e si diletta nello studio del canto mo­derno. Ama andare a cavallo nei boschi, osservare le mosse sinuose dei suoi due gatti e leggere. Nel 2010 ha pubblicato il suo primo libro, TRE INNOCUI DELIRI (Ibiskos Editrice Risolo), una raccolta di racconti dal profilo inquietante, con cui ha partecipato al Festival letterario Grado Giallo. Ha proseguito le sue indagini nelle pieghe oscure dell'animo umano pubblicando poi altri racconti in alcune antologie e sul web. QUALCHE PIANO OLTRE è il suo primo romanzo. Immagina di entrare in un ascensore e premere il tasto del tuo piano. Immagina che l'ascensore non si fermi, ma prosegua ininterrottamente la sua corsa. Immagina che all'aprirsi delle porte la familiare realtà sia completamente trasformata. Ora immagina che sia tutto vero.


Recensione I GIORNI DEL TE' E DELLE ROSE di Jennifer Donnelly



il mio pensiero

I GIORNI DEL TE’ E DELLE ROSE
di Jennifer Donnelly


Ed. Sonzogno
Un romance corposo ma assolutamente piacevole e avvincente, per i miei gusti!
Quella narrata dalla Donnelly è una storia densa di avvenimenti, colpi di scena, con personaggi ben caratterizzati, a cominciare dalla protagonista, Fiona Finnegan.
Fiona è una diciassettenne di origini irlandesi, che vive a Londra, a Whitechapel (quartiere londinese, zona est); suo padre lavora al porto e lei è impiegata presso la Burton Tea, un’azienda molto importante che commercia tè.
La vita di Fiona procede serena e piena, circondata com’è dal calore della famiglia e dall’amore dell’uomo che ama, il giovane Joe Bristow, venditore ambulante di frutta e verdura.
I due ragazzi si conoscono e si amano praticamente da sempre; pur non vivendo nelle agiatezze e pur lavorando ogni giorno con fatica, i due conservano un sogno comune: aprire una drogheria, un negozio in cui vendere tanti prodotti di prima necessità ma anche di prima qualità, e per cercare di realizzare il prima possibile questo progetto, Fiona e Joe stanno mettendo da parte del denaro, uno scellino alla volta.
Sentir tintinnare il “salvadanaio” (una lattina  di cacao) li rende euforici ed eccitati e ogni volta che aggiungono anche solo qualche penny, sono già felci.
Ma la vita nel vecchio quartiere londinese, negli anni Ottanta dell’Ottocento, non è affatto facile e i sogni dei due innamorati devono fare i conti con la realtà circostante.
Anzitutto, i problemi economici, che vanno a incrociarsi con quelli sindacali, con i diritti dei lavoratori che non vengono assolutamente rispettati.
Il padre di Fiona, il buon Paddy Finnegan, è un sindacalista e, insieme ad altri colleghi, si impegna a far nascere nei colleghi una coscienza sociale, per pretendere un aumento salariale che non è che uno dei tanti diritti di cui il capo dell’azienda priva i suoi dipendenti.
Chiaramente, questa situazione è tutt’altro che rosea e il padre di Fiona incontrerà non pochi problemi nella sua lotta sindacale…
A questo si aggiunge l’atmosfera di terrore che aleggia per le strade e i vicoli di Whitechapel: un pericoloso serial killer va adescando delle prostitute e poi le ammazza crudelmente, infierendo sul loro corpo a colpi di coltello.
E chi sarà mai quest’assassino?
Immediatamente gli viene affibbiato il soprannome di Jack Lo Squartatore, dalla polizia, come dalla stampa, come dalla gente comune.
Ma nonostante tutto, il mondo di Fiona resiste, sta in piedi e lei prosegue a testa alta e con entusiasmo, lavorando e mettendo da parte i suoi scellini, mentre cerca di essere utile alla sua bella famiglia: il caro papà Paddy, la bella e saggia mamma Kate, il fratello minore Charlie, un po’ testa calda ma in fondo un bravo ragazzo, il piccolo Seamie, di quattro anni e l’ultima arrivata, la piccola Eileen; per non parlare degli amici, dal caro e buono “zio” Roddy, un agente di polizia, amico di famiglia, alla mamma di Joe, Rose.
Ma il bel quadro familiare si frantumerà ben presto e i sogni di un futuro come commerciante, nonché moglie di Joe, cominceranno a sfumare in modo drammatico.

Il “male” si insinuerà come un serpente, strisciando silenzioso, e come il serpente dell’Eden inizialmente avrà sembianze positive. Joe, stanco di lavorare obbedendo al padre dalla mentalità chiusa, che non ha “mire espansionistiche” e non crede di dover modificare e migliorare il proprio modo di lavorare per aprirsi margini di guadagno maggiori, decide di accettare una allettante proposta di lavoro a Covent Garden, da parte di un imprenditore, tale Tommy Peterson
E in effetti imparerà un sacco di cose e accrescerà le proprie competenze di commerciante, essendo già lui portato per questo e avendo da sempre tante belle idee e un grande entusiasmo; ma lontano dalla famiglia e dalla sua ragazza – che pure cerca di tranquillizzare, dicendole che con questo lavoro metterà da parte più soldi e più velocemente per poter aprire il loro negozio -, Joe si ritroverà invischiato suo malgrado in un ambiente che tenterà di “risucchiarlo”, allontanandolo dalla gelosa Fiona, che col suo istinto di donna capisce che sta rischiando di perdere il suo Joe..

Il mondo di Fiona comincerà  ben presto a crollarle addosso e diversi colpi di scena condurranno la bella, spaventata ma coraggiosa Fiona, a prender la manina del piccolo Seamie e a fuggire alla svelta da Londra, salpando su una nave della White Star (la stessa compagnia del Titanic), in compagnia di un giovanotto strambo ma simpatico e onesto (Nick) conosciuto per caso, e approdando in America, a New York, dove vive uno zio, fratello del padre, possessore di una drogheria, in cui Fiona intende imparare tante cose per aprire un giorno il proprio negozio (sogno che comunque non ha smesso di custodire).

Sola, senza famiglia e senza l’amore di sempre, Fiona non troverà a New York la situazione ”idilliaca” che sperava, ma questo non le impedirà d fare come sempre: alzare il mento, arrotolarsi le maniche e mettersi a lavoro per partire da zero e costruirsi un futuro.
La grinta e la determinazione di questa giovanissima ragazza, che non ha ancora 18 anni ma i cui occhi e le cui orecchie hanno visto e udito di tutto e il cui cuore nasconde pesi troppo grandi per una fanciulla, attraversano tutte le pagine di questo libro, in cui impariamo a conoscere Fiona ed apprezzarla, ammirarla per il suo carattere forte, non privo di fragilità, certo, ma capace di andare avanti nonostante le lacrime e i tanti momenti di solitudine, di disperazione, sempre circondata da persone che le vogliono bene e che le saranno di grande aiuto per realizzare i propri sogni, andando anche al di là delle proprie aspettative.

Un sogno che ha il sapore deciso e delizioso del tè e l’odore delicato delle rose tè.

Un sogno che si realizza non solo grazie alla caparbietà e alla forte personalità di colei che continua a crederci, ma anche grazie alla presenza di persone sincere e affettuose nelle quali, pure nella sconosciuta e frenetica New York, Fiona riesce a porre la propria fiducia.
Certo, non sarà sempre facile la via per il raggiungimento dei propri sogni e attraversandola Fiona incontrerà diverse persone e un paio di uomini, ai quali in qualche modo si legherà: Will McClane e Nick Soames, entrambi affettuosi con lei, sinceri nei loro sentimenti e, in qualche modo, entrambi ricambiati.
Ma nulla che somigli vagamente all’amore ardente e alla passione travolgente che il suo cuore e il suo corpo hanno provato con e per Joe.

Distanti chilometri e chilometri, divisi dall’oceano, entrambi vivono struggendosi l’un per l’altra, credendo che sia ormai troppo tardi e che ognuno ha ormai la propria vita.
Ma ci sono fuochi che non si possono estinguere e ciò che lega Joe e Fiona è qualcosa che mira a durare per sempre, a superare matrimoni sbagliati, risentimenti, destini avversi, anni di lontananza.

I giorni del tè e delle rose è una splendida storia d’amore, in cui quest’ultimo c’è in tutte le sue forme: l’amore tra i membri di una stessa famiglia, tra due innamorati, l’amore per il proprio lavoro, l’amore non corrisposto, l’amore non compreso (come quello omosessuale), l’amore che caratterizza la vera amicizia.

È anche una storia di rivincite, vendette, di odio e di crudeltà, sentimenti davanti ai quali Fiona non riuscirà mai ad abituarsi e che anzi la spingeranno a stringere i denti e ad andare diritta per la sua strada, a volte con successo, altre volte correndo rischi incredibili, ma sempre con la determinazione di chi agisce per amore, per il senso di giustizia, per orgoglio, per rispetto verso se stessi e i propri valori.

Diversi sono i personaggi che satellitano attorno alla testarda e bella protagonista, alcuni ci faranno indignare, altri ci commuoveranno o ci faranno sorridere di simpatia e tenerezza, ma è probabile che comunque non li dimenticheremo in fretta.

Un romanzo che ho letto in tutta fretta, non perché qualcuno mi corresse dietro ma per la voglia di andare avanti, di scoprire insieme a Fiona cosa le riservava il giorno dopo.
Fiona è un personaggio femminile che spesso mi ha ricordato Rossella O’Hara, anche se rispetto a quest’ultima, Fiona è molto più generosa, sensibile verso il prossimo, fedele all’amore che vive nel proprio cuore coma una fiammella inestinguibile; però le accomuno per la stessa forza, audacia, capacità di tenere la schiena dritta e il mento su, pronte a stringere i pugni e a guardare verso il futuro con il desiderio di prenderlo in mano e non di lasciarsi sopraffare dagli eventi (tragici) che la vita spesso riserva.
Anche il personaggio maschile mi è piaciuto molto, e in generale i personaggi principali sono ben tratteggiati e la stessa tecnica narrativa scelta dall’Autrice (sempre in terza persona) ci permette di vedere le cose da diversi punti di vista e di “sbirciare” in diverse vite, così da “sentire” le vicende più da vicino.

L’ambientazione anglo-americana della seconda metà dell’Ottocento, il riferimento a Jack Lo Squartatore, la descrizione vivida e vivace dei quartieri, delle persone, dei mercati, mi hanno catturata e immersa in quel contesto, come se fossi lì e potessi sentire odori, sapori, voci...

E’ il primo libro della Donnelly che leggo e non sarà l’ultimo; ho già pronto “Come una rosa d’inverno”, da portare con me in vacanza e da “spolpare” in auto, nel corso di 12 ore di viaggio dalla Puglia alla Svizzera.!! ^_^

Ok, non so se si è intuito, ma lo consiglio vivamente a chi ama il genere romance!!

venerdì 16 agosto 2013

Anteprima Edizioni E/O (28 AGOSTO)


Prossime uscite E/O.

L'ESTRO DEL MALE
di Alberto Paleari


Ed. E/O
Dal Mondo
336 pp
18 euro
USCITA 28 AGOSTO
2013
Trama

Antonio Boggia visse nella Milano della prima metà dell’800. Fu un lavoratore rispettato da tutti. Fu un parrocchiano fervente, con moglie e figli. Ma soprattutto fu un serial killer, il primo omicida seriale scientificamente documentato in Italia, il mostro “della Stretta Bagnera”. Tra il 1849 e il 1859 massacrò con una scure tre uomini e una donna, li squartò, li seppellì e si impossessò dei loro patrimoni. Una volta scoperto venne processato e impiccato in pubblica piazza. L’estro del male è il romanzo della sua vita e dei suoi crimini, un thriller che scandaglia la zona d’ombra di una mente criminale enigmatica e che attraverso il coro dei personaggi di secondo piano restituisce l’affresco di un’intera epoca.


L'autore.
Alberto Paleari è nato a Milano nel 1975. È autore dei romanzi Saranno infami (Fandango Libri, 2012) e Il colore della vergogna (Todaro editore, 2010). Nel 2010 è stato tra i vincitori del premio Subway Letteratura. Suoi racconti sono apparsi anche in antologie collettive, periodici, riviste letterarie e siti web
.

CHI RESTA DEVE CAPIRE
di Cristina Lio


Ed. E/O
Dal Mondo
192 pp
16 euro
USCITA 28 AGOSTO
2013
Trama

La protagonista di questa storia è una ragazzina che vive nella Calabria degli anni ‘80, in una comunità d’accoglienza. 
Protagonista insieme a lei è un’umanità variegata fatta di disabili, tossicodipendenti, preti, obiettori, volontari, che attraverso il suo sguardo ironico e disincantato sono insieme adulti e bambini, forti e fragili.
 La loro è una quotidianità speciale, a tratti buffa, a tratti dolorosa, piena di domande a cui la bambina, nella sua inconsueta forma di solitudine, non riesce a trovare risposta. 
Un giorno in comunità arriva Veronica, una giovane tossica con un talento speciale per il disegno e una grande carica vitale. 
E la bambina si lega intensamente a lei, in un rapporto che la porterà a uscire pian piano dal proprio guscio e a incamminarsi nella vita adulta con un senso nuovo dell’affetto e della perdita. 
La storia di una vita fuori dal comune che, mettendo il lettore di fronte alle sue responsabilità, costringe ad aprire gli occhi su un’umanità dolente e coraggiosa.

L'autrice.
Cristina Lio è nata nel 1976 a Fermo nelle Marche. Ha vissuto in una comunità d’accoglienza fondata a metà degli anni Settanta in Calabria da un gruppo di persone disabili e non (tra cui i suoi genitori). Laureata in D.A.M.S. ha conseguito una specializzazione in sceneggiatura cinematografica e televisiva a Milano. Da diversi anni lavora ed opera all’interno di una organizzazione del terzo settore che si occupa di interventi per l’inclusione sociale di fasce svantaggiate. Il cinema e la letteratura sono le sue passioni, oltre al fitness, lo sport e il contatto con la natura. Questo è il suo primo romanzo
.

Anteprima. TROVAMI STANZA N.1 - La trilogia delle stanze



Sperling ci propone il primo volume di una trilogia tutta fuoco e passione, la "Trilogia delle stanze".


Un travolgente percorso di rieducazione sessuale e sentimentale, una grande avventura erotica ma anche una straordinaria storia d’amore: Trovami, il primo volume della Trilogia delle Stanze, è tutto questo e molto altro; seguiranno Svelami e Scoprimi.
Entra nelle stanze di Elle. Non te ne pentirai.

TROVAMI. Stanza n.1
di Emma Mars


Ed. Sperling&Kupfer
Pandora
512 pp
14.90 euro
USCITA 27 AGOSTO
2013
Trama

Parigi.In una stanza dal soffitto a specchi del lussuoso Hôtel des Charmes, Elle ha deciso: il gioco, divertente ed eccitante, di fare la escort per l’agenzia Belles de nuit deve finire. 
Ormai sta per sposare David, erede di un impero mediatico, l’uomo di cui si è innamorata perdutamente, che non sa nulla di lei, e che le aprirà le porte di un mondo nuovo e scintillante.
 Ma prima di diventare la moglie di David, c’è ancora un ultimo appuntamento, a un vernissage molto chic. 
Quella sera, nella folla, Elle incontra anche Louis.
 È un uomo diverso da tutti, è di classe, ma è chiaro che la vita non è stata gentile con lui. Terribilmente sexy, non pare interessato per il momento al sesso. Sembra volerla conoscere, scoprire tutto di lei. Intanto, però, è lei a fare una scoperta sconvolgente: altri non è che il fratello del suo futuro sposo. 
E, da quel momento, Elle è nelle sue mani: piegata ai suoi comandamenti imperiosi, alle sue richieste sfacciate, alle parole brucianti e infiammate che lui le scrive.
 Nonostante il pensiero di David non la abbandoni mai, con Louis Elle conosce qualcosa di totalmente nuovo, un sentimento che la fa volare in alto, e le suscita emozioni mai provate prima. 
Ben presto, però, si troverà di fronte a qualcosa che non si sarebbe mai aspettata: un mistero nascosto nel passato dei due fratelli – da sempre rivali – che la riguarda molto da vicino. 
Come potrà, adesso, tornare a essere libera?
 E soprattutto… è proprio sicura di voler essere libera, e di non essersi innamorata dell’uomo sbagliato?

L'autore
Si tratta in realtà di un maschietto, che scrive con uno pseudonimo femminile, forse perchè ritiene di conoscere molto bene l'universo femminile....

giovedì 15 agosto 2013

Frammenti.. di chi non smette di sognare



frammenti


Non le importava del fatto che normalmente le ragazze non
si occupavano di affari commerciali,
 in special modo le ragazze del porto, 
come sua madre le ricordava in continuazione: 
dovevano imparare a cucinare, a cucire e a
tenere in ordine la casa per trovare un marito che si occupasse
di loro, come avevano fatto i loro padri. 
"Stupidaggini", così la madre liquidava le sue idee 
e le consigliava di cercare di
imparare a fare il pane, invece di stare al fiume. 
Ma il padre non credeva che i suoi sogni fossero stupidi. 
"Bisogna avere dei sogni, Fee", diceva. 
"Il giorno che smetti di sognare puoi
anche andare dal becchino, 
perché non sei niente di più di un morto. "


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