domenica 24 maggio 2020

RECENSIONE: PALESTINA E ISRAELE: CHE FARE? (a cura di Frank Barat)



E' uno di quei "conflitti" che dura da molti, troppi decenni, che vede contrapposti due popoli e ad oggi non v'è stata alcuna soluzione in grado di soddisfare equamente le richieste dell'uno e dell'altro; a dirla tutta, tra i due, uno se la passa meglio, l'altro decisamente peggio.

Sto parlando della "questione israelo-palestinese", e in questo libro il giornalista e attivista Frank Barat ha raccolto, attraverso interviste, le opinioni di Noam Chomsky (filosofo, linguista e attivista politico) e Ilan Pappè (storico israeliano antisionista) in merito all'argomento, perché esaminare il "caso palestinese è (…) essenziale per comprendere dove ci collochiamo come esseri umani".




PALESTINA E ISRAELE: CHE FARE? 
(Noam Chomsky - Ilan Pappè)
a cura di Frank Barat



Fazi Ed.
trad. M. Zurlo
223 pp
Ho letto questo testo spinta dal desiderio di approfondire la tematica in oggetto e ammetto di essermi lasciata guidare, nella scelta, dal fatto che in esso sia esposto il pensiero di Chomsky (autore studiato ai tempi universitari) e che Pappè sia un israeliano; di entrambi confesso di non aver mai saputo, prima d'ora, la loro posizione circa la questione Israele/Palestina.
In pratica, mi sono accostata a questo volume un po' "alla cieca" e cercando, soprattutto, di mettere da parte eventuali preconcetti e saperi precostituiti, leggendo quindi gli interventi dei tre autori con la mente più sgombra possibile.

Più di tutto, però, mi auguro di non scrivere inesattezze e di riuscire a darvi un'idea chiara di quello che è la posizione assunta da Pappè, Chomsky e lo stesso Barat, espressa tra queste pagine.

Le idee sostenute da Noam Chomsky e Ilan Pappé si propongono di offrire un approccio alla questione israelo-palestinese che renda chiaro come sia urgente e necessario porre fine a quello che essi esplicitamente identificano come un'opera di ‘insediamento’ e ‘colonizzazione’ da parte dello Stato d'Israele a danno del popolo palestinese.

"Ristabilire l’equazione “Sionismo uguale a Colonialismo” risulta di cruciale importanza non soltanto perché chiarisce al meglio le politiche israeliane di giudaizzazione all’interno di Israele e le politiche insediative in Cisgiordania, ma soprattutto perché è perfettamente coerente con il modo in cui i primi sionisti percepivano e descrivevano il loro progetto."


Non affrontare il problema, evitando di chiamare le cose col loro nome, significa condannare all'oblio un'intera popolazione, per questa ragione è necessario denunciare quella che è la vera natura di Israele - un paese colonizzatore -, spingere la comunità internazionale a prendere una posizione ferma contro le sue politiche d'occupazione e provare a capire quale potrebbe essere una possibile soluzione a un conflitto che va avanti da anni, a scapito di troppe vittime innocenti.

"Al cuore del conflitto che imperversa dal 1882 vi è sempre stato il desiderio di trasformare la multietnica Palestina in uno spazio etnicamente puro. Questa spinta, mai condannata né ostacolata da un mondo che stava a guardare senza far nulla, portò nel 1948 all’espulsione di 750.000 persone (la metà della popolazione del paese), alla distruzione di oltre 500 villaggi e alla demolizione di
decine di città."


Ilan Pappè parla esplicitamente di "genocidio progressivo", risultato inevitabile della strategia complessiva di Israele in tutta la Palestina in generale, e nei territori occupati nel 1967 in particolare.

In virtù di questo, ha ancora senso parlare ancora di Palestina e Israele usando espressioni come "processo di pace", "soluzione a due Stati", "partizione"?
O forse è più giusto porre la questione nei termini di "decolonizzazione" e "cambio di regime"?


Dalle conversazioni tra Pappè-Chomsky e Barat emergono alcuni punti fondamentali:

1. Quanto è davvero realizzabile la cosiddetta "soluzione dei due stati" (cioè la creazione di due Stati separati nella parte occidentale della Palestina storica, uno ebraico e l'altro arabo)?
Questa "proposta" - sostiene Chomsky - ha il solo merito di contare su un enorme appoggio internazionale e se finora non si è realizzata è per colpa degli Stati Uniti.

E se anche si arrivasse a questa soluzione, chi ne trarrebbe vantaggio: entrambi i popoli o piuttosto solo uno di essi?
E' fin troppo probabile che "la versione sionista dei due Stati" non sia altro che una via accettata dal mondo Occidentale per realizzare una Palestina ebraica, estesa su “appena” l’80% dell’area; la riconciliazione con i palestinesi resta una chimera: l'unico desiderio di Israele è controllare quanta più terra possibile, avendo tra i piedi un numero limitatissimo di palestinesi (zero è anche meglio).


2. Pensare sia realmente fattibile la soluzione summenzionata significa non essere realisti, secondo Pappè: l’unica chance per contrastare il sionismo in Palestina è una campagna per i diritti umani e civili che non si ostini ad operare distinguo tra una violazione e l’altra, e che indichi con precisione chi è la vittima e chi il carnefice.
Inoltre, ciò che serve è trovare un modo per modificare le relazioni tra le comunità e creare una struttura di potere, politica, ideologica, costituzionale e socioeconomica che valga per tutti gli abitanti della Palestina, non solo dello Stato di Israele.

"Nella mia ottica, quindi, sostenere la soluzione a uno Stato significa portare avanti un’attività di militanza che convinca tutti a immaginare l’intera area come un’unica terra e l’intera popolazione come un unico popolo."

3.  Perché si diffonda un approccio più giusto alla questione palestinese, non si può prescindere dal "denunciare" (tra le altre cose) anche come il sapere e le informazioni siano (state) manipolate in modo da contrapporre - al cospetto dell'opinione pubblica internazionale - Israele quale “unica democrazia del Medio Oriente” vs gli arabi palestinesi dipinti come una masnada di terroristi folli e violenti o, nella migliore delle ipotesi, "semplicemente arretrati".

Il popolo di Gaza e di altre aree della Palestina è deluso nel constatare come a livello internazionale manchi una risposta decisa di fronte al perdurare dell'opera di devastazione portata avanti da Israele, che dal canto suo ha elaborato una narrazione convincente per giustificare quel massacro: che altro può fare se non difendersi da Hamas? Di fronte alle aggressioni degli arabi, Israele ha il dovere di reagire per legittima difesa.

Questo voler manipolare o nascondere la verità storica non è rivolto soltanto all'esterno di Israele, ma anche "all'interno", cioè indottrinando i propri giovani e inducendoli a "disumanizzare i palestinesi", annullando sul nascere ogni forma di empatia verso di loro.


4. Ma è possibile "criticare" l'antisionismo - si chiedono i tre attivisti - senza incorrere in accuse di antisemitismo?  Si è liberi o no di pensare e dichiarare che Israele sia un regime non democratico, segregazionista e razzista nei confronti dei palestinesi?


Barat ragiona con i due autori anche in merito all'attivismo pro Palestina, che non dovrebbe limitarsi - non che non sia importante, ovvio - a smuovere l'opinione pubblica internazionale e a sensibilizzarla in merito ai soprusi che i palestinesi subiscono a causa dell'occupazione israeliana, ma soprattutto a pensare a come attuare strategie pratiche che mirino ad ottenere risultati tangibili per i palestinesi.

A questo proposito, è indispensabile conoscere, informarsi seriamente, sapere cosa accade ogni giorno nella striscia di Gaza, senza pregiudizi, mistificazioni.

A Gaza (…) la norma è un’esistenza miserabile in un crudele e devastante stadio d’assedio, gestito da Israele in modo da garantire la mera sopravvivenza e nulla più. Da quattordici anni, la norma è che Israele uccide in media oltre due bambini palestinesi alla settimana.


Nell'ultima parte del libro si  traccia il ritratto di "com'è la situazione a Gaza", come vivono le persone ogni giorno: è un assedio quotidiano, che incide - e non potrebbe essere altrimenti - sulla popolazione in termini di sofferenze di ogni genere, e questo col beneplacito non solo di Israele ma anche degli USA, che lo appoggiano, e dell'Europa che tace e non fa nulla.


"Il silenzio del mondo su questo crimine contro l’umanità (l’espressione con cui il vocabolario del diritto internazionale definisce in generale la pulizia etnica) ha fatto della pulizia etnica l’impalcatura ideologica sulla quale è stato edificato lo Stato ebraico."


Tanto Chomsky quanto Pappè si dicono comunque abbastanza fiduciosi del fatto che la violazione sistematica dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale sia sotto gli occhi di tutti e non sia più possibile girare la testa dall'altra parte; questa consapevolezza  pare stia facendo mutare anche, negli ultimi anni,  l’opinione pubblica statunitense, soprattutto tra i giovani.

Il libro è molto scorrevole, anche per com'è strutturato - conversazioni a tre, con Barat che guida attraverso specifiche domande; consigliato a chi vuole approfondire l'argomento, informarsi, magari accostandosi anche a posizioni non necessariamente vicinissime alle proprie. Del resto, confrontarci con chi la pensa diversamente da noi non dovrebbe mai spaventarci, né tantomeno dovremmo privarci della possibilità di rivedere il nostro pensiero e metterci in discussione.



"Conoscere è il primo passo verso una soluzione". 

(Vittorio Arrigoni)

4 commenti:

  1. La mia domanda purtroppo è sempre la stessa: come hanno fatto gli israeliani a trasformarsi da vittime in carnefici?

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    Risposte
    1. Vorrei poter dare una risposta, a te come a me stessa... :(
      Davvero la storia non insegna nulla all'uomo

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Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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