domenica 31 maggio 2020

Recensione: ALMARINA di Valeria Parrella


Elisabetta e Almarina: due donne in divenire, che una volta uscite da quell'istituto in cui la prima lavora e l'altra è detenuta, non saranno più le stesse: una donna che il destino non ha reso madre, e una ragazza cui la madre (e, in generale, la famiglia) è stata tolta troppo presto, si incontrano, si comprendono, e a dispetto dei cavilli burocratici, dei tanti interrogativi e della paura di sbagliare, si regalano reciprocamente la possibilità di essere un punto di partenza l'una per l'altra. 
Perché non è mai tardi per ricominciare.


ALMARINA
di Valeria Parrella



Einaudi
136 pp
"Almarina non aveva ricordi cosí ed era stata vestita di carta, ma possedeva la luce del futuro negli occhi: e il futuro comincia adesso."  

 Elisabetta Maiorano vive a Napoli, è una vedova di cinquant'anni, insegnante di matematica nel carcere minorile di Nisida.

Ogni mattina si reca a lavoro, seguendo una routine quotidiana alla quale è abituata e che fa ormai parte della sua vita solitaria: quando la sbarra si alza, dopo aver chiuso in un armadietto non solo la propria borsa ma anche tutti pensieri, le ansie e le tristezze che sono un po' di Napoli e un po' sue, Elisabetta raggiunge i suoi ragazzi in questo luogo in cui il tempo pare allargarsi e sospendersi, un carcere sull'acqua dove le colpe possono sciogliersi e sparire. 

E in un piccolo spazio a fare da aula, finalmente senza sbarre, a simulare una sorta di vita scolastica "normale", la donna cerca di fare della sua professione una missione, dando il suo personale contributo per far sì che a questi giovani detenuti sia data la possibilità di imbastire il proprio futuro, com'è giusto che sia:

"La nostra speranza, credo, è che quel giorno, ora lontano, in cui avranno scontato tutta la pena, tornerà loro nelle mani questa chiave, e dagli archivi spalancati voleranno fogli bianchi senza piú inchiostro sopra, immacolati, come il bucato steso alle terrazze."

La protagonista e voce narrante, Elisabetta, è una donna sola ed insicura, alla (inconsapevole?) ricerca di se stessa, la cui esistenza è contrassegnata, appunto, dalla solitudine: il marito Antonio è morto da tre anni, lasciandola sola; non ha figli e con le sorelle di lui non ha un buon rapporto.

A farle compagnia, quindi, ci sono le fantasticherie su un uomo che non le appartiene e i ricordi di una felicità che pare essersi dissolta per sempre; giorni grigi e fissi, tutti uguali, fino alla mattina in cui i suoi occhi incrociano quelli di una nuova alunna arrivata nella sua classe, a Nisida: è Almarina, un'adolescente romena dal passato difficile (chi, tra questi ragazzi, non ce l'ha?), che ce la mette tutta e chissà... forse, nonostante tutto il brutto e il male vissuto finora, ad attenderla c'è qualcosa di buono oltre quelle sbarre?
Per adesso, quando alza gli occhi deve accontentarsi di immaginare l'orizzonte attraverso una porta chiusa, oltre  la quale c'è la libertà.

Elisabetta ha conosciuto tanti ragazzi e ragazze da quando insegna nel carcere, e non di rado s'è affezionata a qualcuno; e adesso sente di voler provare ad andare oltre il mero sentimento, di fare qualcosa di concreto per dare una possibilità a questa giovane che con la sua presenza ha dischiuso una luce nuova nel suo cuore.

Ma in realtà, quella che sembra essere l'opportunità offerta da un'insegnante empatica e altruista ad una ragazza che la vita ha messo tra le sbarre, si rivela come un dono per la stessa Elisabetta, che con i giorni, a contatto con quella ragazzina che splende benché abbia attraversato il buio della violenza e della separazione dal fratellino, matura il desiderio di lasciar entrare Almarina nella propria esistenza attualmente scevra di affetti.

Quello tra lei ed Almarina è un legame affettivo sincero, disinteressato, genuino, che nasce spontaneamente nella testa e nel cuore di due creature diverse e in fondo estranee, ma così simili nelle loro personali solitudini.
Due piccoli pianeti che, senza volerlo, si ritrovano sulla stessa traiettoria: due donne in divenire, che una volta uscite da quell'istituto non saranno più le stesse, una donna che il destino non ha reso madre, e una ragazza cui la madre (e, in generale, la famiglia) è stata tolta troppo presto, si incontrano, si comprendono, e a dispetto dei cavilli burocratici, dei tanti interrogativi e della paura di sbagliare, si regalano reciprocamente la possibilità di essere un punto di partenza l'una per l'altra. 

Perchè c'è sempre un modo e un tempo per ricominciare, per lasciarsi dietro le spalle gli sbagli, i pregiudizi, i timori, i lutti e le perdite.

"Voi che giudicate siete disposti a credere ai colpi di fulmine, ma altre forme d’amore improvviso vi mettono in sospetto. (...) Volete che l’amore proceda per gradi, vorreste intravederne un percorso lineare, guardare, morbosi, tutto. Invece no, non si guarda: il cuore è opalino e gli esami di coscienza sono per gli infelici. Io mi sono legata ad Almarina cosí, mentre guardavamo il mare".

Con una scrittura che sa essere tanto asciutta e ruvida quanto delicata e poetica, attraverso il racconto di un presente in cui trovano spazio frammenti del passato della protagonista, Valeria Parrella ci narra una storia fatta di amore, paura, desiderio di riscatto e di espiazione, di speranza per il futuro, di affetti - alcuni perduti (e allo stesso tempo custoditi nel cuore), altri cercati e trovati in un posto tra i più improbabili che ci siano: un carcere.

"...il carcere è un dolore che non finisce, da cui non puoi mai distrarti. Chiunque varchi la porta di un carcere lo sa (e se non lo sa, lo sente) che sta passando da un’altra parte inconciliabile con la promessa che ci fecero da bambini: che la vita non avrebbe fatto paura, e non saremmo mai rimasti soli. Il carcere invece è paura e solitudine. In carcere ti addormenti e quando ti svegli sei in carcere. In carcere impari presto che meno fai meglio è."

Se con lo stile dell'Autrice ho dovuto prendere gradualmente confidenza, a convincermi da subito è stata l'ambientazione, che dà un carattere sociale e politico a questo romanzo: il carcere minorile di Nisida, un luogo "protetto", un dentro con confini precisi, dove sostano singole giovani vite in attesa che il loro destino prenda forma, contrapposto alla bella e vivace Napoli, al fuori, che è sì sinonimo di libertà ma anche di pericolo, perché quei giovanissimi detenuti, una volta usciti fuori, "torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui".


Finalista del premio Grinzane Cavour 2020, Almarina è nella dozzina del Premio Strega 2020. 

2 commenti:

Un buon libro lascia al lettore l'impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. O. Lagercrantz

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